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Autore: Darlene_    04/01/2020    0 recensioni
William vive in un ospedale e tutti i giorni osserva da lontano un paziente, fino a quando viene invitato ad entrare e gli viene narrata una storia.
1912, il decennio delle grandi navi e di nuove invenzioni nautiche, ma anche l'anno in cui cinque musicisti si incontrano e salpano insieme verso il loro destino. Ognuno di loro ha un passato, una storia da svelare. Tra balli e sale tirate a lucido nascerà così un amore.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NEARER MY GOD TO THEE




CAPITOLO 

I



.
 


10 Aprile 1912,
Liverpool


Imprecò guardando l’orologio che teneva nel taschino del suo panciotto. Mancava poco più di un’ora all’inizio della traversata, non aveva ancora conosciuto il nuovo membro della compagnia ed era in ritardo per il ritrovo con i suoi colleghi. Alzò un attimo gli occhi al cielo e, senza accorgersene, andò a scontrarsi con qualcuno. 
L’orologio gli cadde di mano e l’altro lo raccolse frettolosamente, porgendogli qualche scusa che lui accettò con poco entusiasmo. Tutta quella folla lo metteva sempre a disagio e pregava di poter raggiungere la nave il prima possibile. Accarezzò il quadrante dell’orologio e notò con dispiacere che il vetro si era rotto nell’impatto. 


Cercava tra la massa i suoi colleghi, ma data la sua bassa statura non riusciva ad individuarli. 
“Tomlinson.”
Non ebbe il tempo di girarsi che una mano lo afferrò per una spalla. Sospirò di sollievo e sorridendo rispose: “Grazie a Dio vi ho trovati.”
I suoi compagni erano schierati in un angolo. 
“Dov’è Paul?” Chiese Liam. 
Louis poggiò il bagaglio a terra e li guardò uno ad uno: Niall osservava ammirato la massiccia struttura della nave, mentre Zayn continuava a fissarsi i piedi; solo Liam lo stava puntando con curiosità.
“Paul ha avuto un brutto incidente, non viaggerà con noi. Mi è stato assicurato che arriverà un altro membro altrettanto preparato. Come sempre mi aspetto da voi il massimo impegno.”
Posò a tutti una pacca sulla spalla. Lavoravano insieme da un paio di anni e si trovavano in ottima sintonia, sicuramente non ci sarebbero stati problemi.
“Scusate, siete voi i membri dell’orchestra?” Una voce roca, ma ancora infantile li interruppe. 
Zayn aspirò dalla sua sigaretta e rispose sgarbatamente: “Non vogliamo essere disturbati.” Buttò a terra la cicca ormai consumata e la pestò con una scarpa. 
Il nuovo arrivato si sistemò i capelli scompigliati e, senza scoraggiarsi, domandò: “Cerco Tomlinson, Louis Tomlinson.”
Il diretto interessato rivolse allora la sua attenzione allo sconosciuto. I loro sguardi si incrociarono e rimasero ammutoliti.
“Harry, Harry Styles.” Porse la mano imbarazzato perché aveva riconosciuto il ragazzo con cui si era scontrato un attimo prima e perché stava pensando di non aver mai visto un azzurro più bello di quello negli occhi di Louis. “Ti chiedo scusa per prima, io non volevo, dovevo…” Farfugliò qualcosa di incomprensibile, infine spiegò il motivo per cui si trovava lì. “Sono il violoncellista sostituivo.”
“Oh. Bene.” Louis era sorpreso: si aspettava un uomo e invece si era ritrovato davanti un ragazzo che non poteva avere più di diciotto anni, probabilmente al suo primo ingaggio.
Vennero fatte le presentazioni di rito e rimasero fermi sulla banchina ad aspettare fino a quando vennero chiamati per salire a bordo. 


Quando furono introdotti sul transatlantico Harry rimase a bocca aperta. Era il suo primo viaggio su una nave e quella era sicuramente la più grande e costosa che fosse mai stata costruita fino a quel momento. 
Ammirò i lunghi corridoi, sbirciando all’interno delle cabine della prima classe: non aveva mai visto tanto sfarzo come in quel posto. Abbracciò la custodia del suo strumento, leggermente imbarazzato, perché non aveva mai posseduto nulla di valore: i vestiti che indossava erano consunti da tempo e l’unico ricambio era la divisa che avrebbe indossato durante la traversata. 
“Cosa ne pensi?” Sussurrò Niall al suo orecchio, con un sorriso malizioso. 
“Semplicemente fantastico, non avevo mai visto nulla di simile!” Era letteralmente estasiato. 
“Lo abbiamo costruito noi, c’è sangue irlandese tra queste pareti di metallo.” 
Harry faticava a metabolizzare tutte quelle notizie, avrebbe voluto poter camminare più lentamente per immagazzinare ogni dettaglio, ma doveva seguire il suo gruppo. Ad un certo punto chiese al suo compagno: “Irlanda?”
“L’Irlanda, la grande e verde Irlanda!” Gli occhi di Niall brillavano di orgoglio come se fosse stato lui a partorire quel mastodontico mezzo. Perse un po’ del suo entusiasmo vedendo che il violoncellista sembrava spaesato. 
“Belfast, bello mio.” Gli assestò una pacca sulla spalla. “Questo è il Titanic, l’inaffondabile, costruito a Belfast. Si dice che nulla lo spezzi perché c’è il cuore degli irlandesi tra queste paratie. Mio padre lavorava in cantiere…” Continuò a parlare a lungo, ma ormai il riccio non lo stava più ascoltando, perso a contemplare la bellezza che lo circondava.


“Questa è la vostra cabina.” Disse il marinaio accompagnando quelle parole con un gesto della mano. Porse ad ognuno di loro una piccola chiave e consegnò a Louis il foglio con gli orari in cui avrebbero dovuto suonare. 
Il locale era piccolo, quasi un ripostiglio rispetto alle sontuose stanze della prima classe. C’erano cinque cuccette e poco spazio per i bagagli e l’unica fonte di luce era un piccolo oblò da cui si poteva scorgere il mare. 
Harry posò il suo zaino su un lettino, ma Zayn lo scostò in malo modo e quasi ringhiando gli intimò di spostarsi. Il ragazzo fece come gli era stato ordinato, un po’ dispiaciuto per il tono di superiorità con cui lo aveva trattato. 
Liam cercò di spiegare il motivo di quel gesto. “Zayn dorme sempre in basso a destra, è una tradizione.”
“Io… Mi dispiace, insomma, non lo sapevo.” Sembrava una misera giustificazione, ma si sentiva a disagio in quel nuovo ambiente, con persone completamente sconosciute. 
Fu Niall a percepire il suo sconforto e cordialmente gli propose: “Vieni qui, io dormo sempre nelle cuccette in alto, ma penso che potresti trovarti bene qui sotto.” 
Il riccio gli sorrise, grato per aver spezzato quel velo di ostilità con cui tutti lo avevano guardato fino a quel momento. Ringraziò cordialmente e dispose le sue poche cose nello spazio che gli era stato assegnato.
“Abbiamo un’ora prima della prova generale.” Spiegò Louis. In quanto direttore d’orchestra era considerato il capo del gruppo e solitamente era lui a prendere le decisioni. “Potete andare dove volete, esplorate la nave, ma arrivate puntuali nella sala dell’orchestra.”
Tutti annuirono e uno ad uno uscirono dalla cabina. Quando Harry varcò la soglia la voce severa del maggiore lo richiamò dentro. “Tu aspetta qui.”
Ubbidiente il riccio lasciò passare Niall e chiuse la porta. Louis si avvicinò a lui e gli intimò di spogliarsi. Harry avvampò, imbarazzato, temeva che il direttore d’orchestra avesse strani propositi, ma si rivelò tutto un malinteso. 
“Ti hanno dato una divisa, giusto?”
Il ragazzo annuì.
“Indossala. Siamo membri dell’equipaggio e in quanto tali dobbiamo sempre essere impeccabili. Fai attenzione a non sporcarla e a non rovinarla.”
Harry cominciò a cambiarsi sentendosi gli occhi di Louis puntati addosso. Il maggiore si pose davanti a lui e lo aiutò ad abbottonare la camicia. Le sue esili dita si muovevano agili sul tessuto, con grazia e dolcezza. Prese la giacca e gliela fece scorrere sulle braccia. Si allontanò di qualche passo e annuì, ammirando il suo operato, ma c’era ancora qualcosa di stonato. Sempre in silenzio infilò le mani tra i ricci disordinati. A quel contatto Harry rabbrividì di piacere. I polpastrelli scorrevano tra le ciocche in modo quasi affettuoso. Erano così vicini che il più piccolo poteva annusare quel profumo dolce, ma pungente dell’altro e si beava di quel piacevole odore. 
Cercava di disciplinare quella massa disordinata non volendo ammettere che in realtà gli piaceva giocare con i capelli di Harry. Quando ebbe finito il suo lavoro restò ad ammirarlo e sorrise, per la prima volta da quando era arrivato a Liverpool. 
“Sei perfetto” asserì.
L’altro rise per nascondere il suo imbarazzo a quel gradito complimento. Quando rideva due fossette si disegnavano sulle sue guance e Louis notò che anche gli occhi assumevano una sfumatura più brillante, un verde smeraldo. 
“Posso andare?”
Ancora una volta un cenno di assenso. Si girò per chiudere la porta, ma rimase un attimo a contemplare la minuta figura del suo capo che si era già voltato di spalle. Harry notò che teneva in mano un violino e la sua postura, elegante e rigida, lo faceva somigliare ad una statua. Varcò la soglia e stava per chiudere l’uscio quando la voce di Louis lo richiamò. 
Si osservarono per qualche istante, poi il maggiore gli disse: “Benvenuto nella compagnia.”
Il suo tono era cambiato: non era più così autoritario, ma aveva una sfumatura di dolcezza.
Forse non era stata una così grande pazzia imbarcarsi in quell’impresa, pensò Harry.


 

Nearer, my God, to thee,
Nearer to thee!
E'en though it be a cross
That raiseth me.


Gli strumenti erano perfettamente accordati tra loro e la musica era lieve e precisa. Tutti i musicisti stavano dando il meglio di loro e in quelle note si sentiva la loro notevole bravura. 
I passeggeri di prima classe stavano cenando e l’orchestra stava suonando per la prima volta su quella nave. In quel momento tutti i problemi della giornata, gli screzi e le incomprensioni erano svaniti per lasciare spazio ad un unico cuore pulsante: la musica. 
Harry teneva il violoncello tra le gambe. Aveva gli occhi chiusi e si lasciava trasportare da quella pace. Mentre qualcuno cantava lui corse con la mente al passato, alla sua infanzia, quando suo padre, seduto su una poltrona rovinata, gli mostrava come solleticare le corde dello strumento. Ricordava con un po’ di nostalgia che il primo brano che aveva suonato era stato proprio quello: “Più vicino a te, mio Dio.”


Il pianoforte era sempre stata la passione di Liam: fin da bambino aveva mostrato questa attitudine e suonare sul transatlantico più grande al mondo lo riempiva di gioia. Quella sera, mentre le canzoni si susseguivano si lasciò contagiare da quell’atmosfera di pace. Sollevò un attimo gli occhi dal suo spartito e contemplò tutte quelle persone che ascoltavano solo distrattamente la musica, troppo prese dalle loro conversazioni. Amava quel senso di anonimato che l’essere membro di un’orchestra gli concedeva: non era Liam, era solo quello del pianoforte. A poco a poco le note divennero meno acute e il ritmo sempre meno frenetico, fino a quando l’orologio scoccò la mezzanotte e la bacchetta di Louis si fermò: il concerto era terminato.


Gli strumenti erano stati riposti nelle loro custodie e i musicisti si erano divisi. Harry aveva deciso di godersi la fresca brezza notturna, e stava appoggiato al parapetto contemplando un orizzonte nuovo e sconosciuto. Una parte di lui fremeva al pensiero che presto avrebbe potuto esplorare il Nuovo Continente, ma era anche spaventato: si sentiva così lontano da casa e da tutto ciò che conosceva.
“L’oceano di notte è uno spettacolo meraviglioso, non trovi?” Louis interruppe i suoi pensieri. Si era accomodato accanto a lui e gli stava porgendo un bicchiere di liquore che accettò con piacere.
“Prima di oggi non avevo mai nemmeno visto il mare” ammise il più giovane. 
Il suo interlocutore annuì, finendo il suo scotch. “Lo immaginavo.”
Restarono l’uno accanto all’altro, persi nei loro pensieri. L’aria era sempre più fresca ed Harry rabbrividì nella sua impeccabile divisa.
Sentirono dei passi dietro di loro e il direttore d’orchestra si voltò, già immaginando chi fosse il nuovo venuto. Si congedò dal violoncellista e seguì Zayn. 
Harry rimase a fissare il vuoto, triste per essere rimasto solo: in fondo apprezzava molto la compagnia di Louis. 


“Cosa vuoi?” Chiese scostante Zayn. 
Louis spostò il peso da un piede all’altro, cercando di trovare le parole giuste.
“Allora?”
“Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?” 
Il moro annuì. Prese una sigaretta dalla tasca e ne porse una al suo amico, che la strinse tra le dita. Aspirarono qualche boccata in silenzio e solo dopo diversi tiri Louis riprese il discorso. 
“Eravamo due squattrinati in una taverna e volevamo scoprire il mondo.” C’era un pizzico di nostalgia nella sua voce. 
“Tu eri depresso perché volevi guadagnare qualcosa per aiutare la tua famiglia.” Alzò leggermente gli angoli delle labbra in un vano tentativo di sorriso.
Louis si passò una mano tra i capelli e disse: “Abbiamo superato tanti ostacoli aiutandoci a vicenda, perciò Zayn se c’è qualcosa che non va parlane con me.” Era quasi una supplica. 
Il moro chiuse gli occhi e puntò il viso verso il cielo. Il chiaro di luna illuminava la sua pelle abbronzata. “Sto bene.”
“Non è vero: da quando siamo partiti sei scontroso e irritabile, cosa c’è?”
Zayn si staccò dal parapetto e posò una mano sulla spalla dell’amico, rassicurandolo: “Sono solo un po’ stanco.” Lasciò cadere la mano lungo il fianco e si incamminò tristemente verso l’interno del transatlantico.
Louis buttò il mozzicone in mare e restò in ascolto: le onde si infrangevano contro le paratie creando una musica dolce e ritmica. 




Agosto 1985,
Londra


Il vecchio tossì e William gli porse un bicchiere di acqua. Il sole era ormai tramontato dietro alle tende della stanza d’ospedale, e la testa dell’uomo era ormai pesante. Aveva la gola secca e la stanchezza cominciava a farsi prepotentemente sentire.

“Will.” 
Il bambino sgranò gli occhioni azzurri e si mise sull’attenti.
“Will, sono molto assonnato, perché non torni nella tua stanza?” Gli chiese cortesemente. Gli era difficile mostrarsi gentile con qualcuno, da moltissimi anni non aveva contatti con il resto del mondo: aveva vissuto a lungo solo e quando la malattia lo aveva assalito si era stabilito in ospedale. Non aveva amici né parenti, era completamente solo. 
Il bambino annuì controvoglia e si alzò dal letto. Prima di uscire gli disse: “Domani torno, voglio conoscere il finale.”
  
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