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Autore: moira78    06/01/2020    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 23: LUCI E OMBRE


La luce obliqua che entrava dalle finestre le indicò che era pomeriggio.

Alla faccia di riposarsi un po'.

Tornò a guardare le due figure addormentate di fronte a sé e il suo primo impulso fu di gridare.

Ma come si permette...?!

Si tirò su a fatica, facendo leva sui gomiti, e rimase basita da quanta debolezza la affliggesse; aprì la bocca e fece per urlargli contro: che ci fai qui? Chi ti ha dato il permesso di entrare e di tenere in braccio il bambino? Poi vide le braccia di Kuno allacciate strettamente sul corpicino del neonato, in modo che non cadesse durante il sonno, e si rese conto che anche il piccolo dormiva beatamente. Aggrottò le sopracciglia, tentando di metterli a fuoco meglio e le tornò quella sensazione che dal ventre si irradiava fin su, nel cuore, oltre l'anima, passando per gli occhi.

Stava fissando l'immagine del proprio figlio e di suo padre beatamente addormentati.

I soliti ormoni che mi fanno pensare cose assurde.

La pervase una serenità perfetta, la certezza che fosse giusto così e che quell'immagine le sarebbe rimasta negli occhi fino alla fine dei suoi giorni: non vedeva più in Tatewaki colui che rimaneva nell'attesa spasmodica delle foto di Akane e della ragazza col codino, colui che aveva cercato di violentarla, colui che aveva rifiutato di sposarla,

e poi è tornato chiedendotelo qualcosa come decine di volte

colui che l'aveva trattata duramente quando aveva saputo che avrebbe voluto dare quel figlio in adozione.

Vedeva un giovane uomo, affascinante e già innamorato del figlio, che lo proteggeva anche nel sonno e probabilmente era lì anche per lei.

Appunto, gli ormoni. Giusto?

“Idiota, sembri quasi innocente visto così”, mormorò tentando di alzarsi. Voleva raggiungerlo ma le gambe le parevano fatte di burro e di forza nelle braccia ne aveva pochissima. Voleva togliergli il bambino e smetterla di pensare a lui come ad un potenziale protagonista di quei sentimenti: era già tanto, per lei, provarli per la creatura che aveva appena messo al mondo.

Per cui non capì come mai, nonostante le sue intenzioni, una volta raggiunto a fatica Kuno, si fosse chinata su di lui per baciarlo. La sensazione fu la stessa di quando, da ragazzina, aveva annusato un fiore, i kami la fulminassero se ricordava qual era, prima di porgerlo a sua madre: lo aveva sfiorato con le labbra prima di avvicinarlo al naso e la sensazione era stata di consistenza vellutata e profumo intenso.

Un movimento e un gemito strozzato le indicarono che il ragazzo si era svegliato

Oh dei, ho persino chiuso gli occhi, povera me!

e lei si allontanò tanto velocemente che ricadde di peso sul letto.

Avrei potuto finire per terra... la mia fortuna non ha mai fine...

Si ritrovò a fissare i suoi occhi spalancati e la palese espressione di stupore. Aveva baciato Tatewaki altre volte, in passato, ma l'intensità del contatto di poco prima le stava ancora facendo girare la testa. O forse era solo la debolezza.

“Non farti strane idee, ho partorito da poche ore e ho gli ormoni in subbuglio”, disse prontamente. Lui aprì la bocca per parlare e il bambino scelse quel momento per cominciare a piangere.

“Io... mi hanno detto che quando ti fossi svegliata avresti dovuto allattarlo”, rispose avvicinandosi per porgerglielo. Nabiki si chiese confusamente dove avesse imparato a maneggiarlo con tanta destrezza: neanche per un istante temette che potesse farlo cadere.

Quando lo riprese tra le braccia fu come rinnovare il terremoto interiore che l'aveva colta qualche ora prima: il bambino era morbido e profumato e lei sentiva trasudare senso di protezione da tutti i pori. Lo avvolse stringendoselo al petto e si rese conto di non avere la minima idea di come fare per allattarlo. Fu il bambino a trarla d'impaccio, muovendo la testolina in direzione del suo seno sinistro e lei non dovette far altro che scoprirsi e porgerglielo. Quando succhiò, Nabiki strinse i denti: non era esattamente un procedimento indolore, eppure sapere che quella creatura indifesa stava prendendo da lei il nutrimento le riempì nuovamente il cuore. Per quanto tempo era rimasto arido come il deserto?

Quanti tipi di amore sto scoprendo in un giorno solo!

“Ehm... posso parlarti?”. La voce di Kuno le ricordò che lui era lì e la stava guardando.

“Voltati, non voglio che mi guardi”.

“Perdonami, ma eravate bellissimi; l'immagine di te che allatti nostro figlio mi ricorda uno di quei dipinti della Madonna di...”.

“Ė mio figlio”, rettificò irrigidendosi; il piccolo dovette sentirlo, perché smise di succhiare. Lei lo sollecitò con un dito, avvicinandogli il capezzolo, e lui riprese.

“No, Nabiki. Ė anche mio e ho intenzione di riconoscerlo; sono qui per rinnovarti la mia richiesta di sposarmi. Ho fatto tanti errori nella mia vita ma il più grande è stato quello di essere egoista: anche se non mi ami, e sappi che ora ho dei dubbi su questo, il bambino ha diritto ad una famiglia. Abbiamo il dovere di dargliela”.

Nabiki lo fissò per parecchi istanti, chiedendosi chi fosse lo sconosciuto che le parlava e che diavolo le avesse preso poco prima. Ora lui aveva addirittura dei dubbi sui suoi sentimenti! Come se lei non sapesse benissimo…

Cosa? Cosa so e cosa non so? Cosa sto nascondendo a me stessa?

"Il… latte materno è un nutrimento essenziale, insostituibile per il bambino. Le ricerche hanno confermato che quello artificiale può portare malattie quali il diabete e una serie di allergie, quindi cerca di allattarlo sempre al seno se vuoi che cresca sano e forte", spiegò voltandosi nuovamente.

Ma che...?!

Fu il turno di Nabiki di alzare lo sguardo e incollare gli occhi spalancati sulla sua schiena: prima le parlava del futuro del bambino e del proprio egoismo, poi la erudiva sulle qualità del latte materno illustrandole i pro e i contro.
"E queste perle di saggezza da dove ti vengono?", domandò cominciando a cullare leggermente il bambino.

Kuno si schiarì la voce: "Mi sono documentato. Ho letto libri e seguito trasmissioni sui bambini. Avevo un figlio in arrivo e non volevo essere impreparato".

Nabiki non sapeva più cosa rispondere: Tatewaki l'aveva stupita, in passato, ma vederlo così maturo e responsabile

ne sa praticamente più di me in fatto di neonati

la sconvolse. Pensava freneticamente a una risposta da dare ma non trovò parole adatte: si limitò a fissare intensamente la creatura che suggeva il latte da lei come se potesse darle una risposta.

Che cosa mi hai fatto? Dovevi essere solo un incidente di percorso, e invece...

"Perché non me lo hai detto subito?", domandò all'improvviso.

Tatewaki si girò e la fissò con un'espressione interrogativa, ma qualcosa le suggerì che, invece, aveva capito benissimo la sua domanda.

"Kashao mi ha detto tutto, ma già lo sospettavo. Perché non mi hai detto che la famiglia adottiva del bambino eri tu?".

Lui si mise le mani in tasca e sorrise: "Perché ero sicuro che non avresti voluto. Qualcosa mi diceva che preferivi fosse lontano dalla tua vita, che magari avresti temuto il mio riavvicinamento con lui al seguito. Ma c'è anche un altro motivo, ed è un po' l'esatto opposto di questo".

Nabiki alzò le sopracciglia, non capiva dove volesse andare a parare. Poi, un'idea cominciò a farsi strada e ne ebbe la conferma.

"Volevo punirti, farti soffrire, capire cosa si prova a strapparsi qualcuno dal cuore con la forza". Tatewaki lo disse con rabbia, come se avesse tentato lui stesso di farlo, ma invano.

Lei non rispose, per la prima volta in vita sua non sapeva cosa replicare. La verità era che qualcosa stava già cambiando dentro di lei prima di quel giorno fatidico, e probabilmente lui se n'era anche accorto.

"Non credevo che lo avresti mai amato, ma la tua fuga e l'immagine che ho davanti in questo momento parlano da sole". Le sorrise, un sorriso disarmante e dolce.

Nabiki continuò a non sapere cosa dire, ma avvertì un dolore sordo al seno destro e, istintivamente, vi posizionò il bambino perché succhiasse anche da quel lato. Il sollievo fu quasi immediato.

Sono come una mucca che dev'essere munta.

Il pensiero le strappò un sorriso involontario.

"Come lo chiamerai?", chiese Kuno improvvisamente, spezzando la tensione che si era creata nella stanza.

Quella domanda però la disorientò: aveva letteralmente dimenticato che doveva dare un nome a suo figlio. Se non era una pessima madre lei…

"Sinceramente non ci ho pensato", rispose. Poi, decise di mettere in chiaro le cose: "Sappi che se sono tornata qui la colpa è solo di quell'imbecille di Kashao. Io volevo fuggire col bambino e tenerlo con me". Deglutì, sapendo che si era scoperta, e continuò: "Kasumi aveva avuto il sospetto che tu lo avessi adottato e quando me l'ha detto mi sono chiesta come mai non ci avessi pensato da sola. Da tempo mi stavo rendendo conto di volerlo tenere perché mi stavo affezionando a lui e questa tua punizione... beh, mi ha dato una bella scossa".

Non alzò gli occhi per vedere il suo sorrisetto soddisfatto, ma ne intuì la presenza e si accigliò.

"Sì, avevo subodorato che ti stesse accadendo qualcosa, quel giorno. Qualcosa di molto importante. Ma ero anche infuriato con te e sono stato più duro di quanto avrei voluto. Comunque, se vuoi riconoscerlo dobbiamo trovargli un nome: devono registrarlo al più presto. Inoltre ricorda che, quando gli cambierai il pannolino, devi usare…".

"Non serve che tu me lo spieghi: visto che sei tanto informato lo farai tu".

Che aveva detto?!

Lo vide spalancare gli occhi lentamente e guardarla con uno stupore molto simile a quello di poco prima quando lo aveva

accidenti a me!

baciato. Ancora un po' e gli occhi gli sarebbero rotolati sul letto e caduti direttamente in grembo. "Spero che tu abbia anche preso informazioni su come fargli il bagnetto, perché io non ne so niente. Inoltre, dimmi se hai qualche idea per il nome perché io brancolo nel buio".

"Que… questo v-vuol dire che… che…?!".

Nabiki alzò gli occhi al soffitto. "Non balbettare come uno scemo. Sì, ti sposo, contento? Dobbiamo dare o no un futuro a questo marmocchietto che mi sta distruggendo nonostante non abbia ancora i denti? Fai piano, Haru…". Si interruppe.

Mi sono tradita.

"Haru? Allora ci avevi pensato al nome! Mi piace, significa 'luce del sole'! Comunichiamolo subito alle…".

"È il primo nome che mi è venuto in mente!", mentì. In realtà, ci aveva pensato quando aveva visto proprio il sole filtrare dalle finestre, mentre stava nascendo.

"…infermiere e poi fissiamo una data per il matrimonio. Ora avviso Sasuke e…".

"Piano, Taichi, con calma! Una cosa alla volta per piacere!". Le cose stavano procedendo più velocemente di quello che avrebbe creduto, ma come mai non riusciva a sentirsi irritata? Le sembrava quasi di esserne… felice.

Kuno le si avvicinò e le prese una mano. La guardò negli occhi con un'intensità tale che si ritrovò per un attimo a trattenere il fiato. "Ti giuro, Nabiki Tendo, che darò a te e a mio figlio ogni soffio del mio cuore, ogni attimo della mia vita e ogni respiro…".

"Ho capito, dacci un taglio!". Voleva usare un tono freddo ma, al contrario, stava ridendo.

Mi sto rammollendo.

Inoltre lui era a distanza di bacio e non andava bene.
"Ora, che ne diresti di chiedere se mi portano qualcosa da mettere sotto i denti? Sto morendo di fame…".

Lui s'impettì e dichiarò che le avrebbe portato un pranzo luculliano. Rimase sola con il suo Haru solo pochi istanti perché, subito dopo che Kuno fu uscito, entrò tutto il resto della sua famiglia.

***

Ryoga era frustrato: avrebbe voluto parlare ma riusciva a biascicare solo suoni incomprensibili. Inoltre il braccio destro, o quel che ne rimaneva, stava ricominciando a torturarlo.

Non posso chiedere che leniscano il mio dolore. Non posso parlare con la mia Ukyo che sta piangendo da stanotte sul mio letto. Se devo vivere così, meglio tornare a morire.

Perché ne era sicuro: doveva essere morto. Almeno in un paio di occasioni aveva smesso di sentire il dolore, aveva visto il proprio corpo dall'alto come si raccontava in un'inquietante libro occidentale che gli era capitato tra le mani durante uno dei suoi viaggi. Non ricordava in quale dannata biblioteca lo avesse scovato, se si trovasse ancora in Giappone o fosse persino arrivato in Cina quella volta, ma ne era rimasto sconvolto.

Fa male, brucia come l'Inferno.

"Ghaaaa maaaaaa", gli uscì dalle labbra. Si sentiva come un vecchietto rimbambito e gli venne da piangere.

"Come, tesoro? Hai male da qualche parte?".

Ryoga chiuse gli occhi e si limitò ad annuire.

"Vado a chiamare un medico perché ti dia un antidolorifico. Torno subito!", gli disse Ukyo carezzandogli i capelli ancora lerci di terra.

Quando fu uscita dalla stanza, Ryoga sperò che il cuore si fermasse di nuovo, ma stavolta definitivamente.

Aveva sempre desiderato vivere, anche quando era infuriato con Ukyo: le arti marziali, l'amore, la luce del sole o il semplice colore del cielo erano motivi più che sufficienti sui quali non si era mai soffermato realmente con attenzione, ma che sapeva essere sempre stati presenti, anche nei momenti più bui.

Ora si sentiva solo un relitto inutile, incapace di essere felice e soprattutto di rendere felice una donna. In quelle condizioni non serviva a niente e a nessuno. La sua aura aumentò e si chiese se avrebbe scatenato uno Shishi Hokodan che lo avrebbe ucciso: sperava di sì.

Mentre i medici parlavano con Ukyo, spiegandole che ancora non potevano sapere quanto duraturi sarebbero stati i danni subiti dal suo cervello, pensavano che dormisse. Bisbigliavano e lui aveva tenuto gli occhi chiusi, ascoltando mentre il cuore accelerava a ogni parola. Non sapevano se il braccio sarebbe rimasto al suo posto o se si sarebbe resa necessaria un'amputazione; non sapevano se, qualora non si fossero presentate infezioni e avesse potuto tenerlo, avrebbe funzionato come prima. Non sapevano se avrebbe parlato, camminato, coordinato i movimenti. Era troppo presto per tutto: il coma e la mancata affluenza di ossigeno al cervello potevano averlo trasformato in una specie di brutta copia del vecchio Ryoga.

Le lacrime gli punsero gli angoli degli occhi e avvertì il calore dell'aura aumentare a dismisura. Per fortuna gli era rimasto quello.

Si preparò a lanciare l'ultimo Shishi Hokodan della sua vita ma, proprio in quel momento, entrò un medico seguito dalla sua ex fidanzata.

Aveva fatto decisamente troppo presto.

***

Akane si lasciò cadere sul letto sentendosi improvvisamente sfinita. Nonostante la buona notte di sonno era esausta a causa delle tante emozioni.

Vedere Nabiki col suo bambino l'aveva riempita di gioia, soprattutto quando Kuno stesso aveva annunciato il loro prossimo matrimonio: si augurava di tutto cuore che fossero felici, loro tre, e che sua sorella avrebbe finalmente ritrovato la gioia di vivere attorniata dalle persone che amava.

Incluso quel bambino che, si vedeva lontano un miglio, era già la cosa più importante della sua vita.

Non le avevano lasciato vedere Ryoga, ma gli occhi pieni di lacrime di Ukyo erano stati sufficientemente eloquenti: "Stava per lanciarsi addosso uno Shishi Hokodan, quando sono rientrata. Credo non abbia più voglia di vivere".

Ad Akane si era stretto il cuore e Ranma aveva promesso alla sua amica che sarebbe andato a darle il cambio quella sera stessa, perché riposasse. Dubitava che Ukyo se ne sarebbe tornata a casa così facilmente, ma sperava che almeno avrebbe riposato un po'.

Il suo amico, sempre così dolce e combattivo, ora lottava per parlare e non si sapeva se avrebbe recuperato mai le facoltà linguistiche, quelle intellettive e l'uso del braccio destro, che pareva avessero ricucito per puro miracolo e grazie all'abilità di un chirurgo molto bravo.

"Akane, perché piangi?", le domandò Ranma entrando e scuotendola dai suoi pensieri.

Lei, che non se n'era nemmeno accorta, scosse la testa: "Niente, tutta questa giostra di emozioni... la felicità per Nabiki, la preoccupazione per il povero Ryoga... mi scoppia la testa".

Ranma le si avvicinò e la strinse in un abbraccio: Akane intuì che cercava conforto a sua volta: "Hai ragione, anche a me. Ma cerchiamo di essere obiettivi: Nabiki sta benone e sta riprendendo le fila della sua vita; abbiamo un nipotino stupendo, il nostro bambino in arrivo e la nostra casa è ancora in piedi, a parte qualche oggetto rotto. In quanto a Ryoga...", la voce gli si spezzò per un attimo e lei colse la nota bugiarda nel suo tono, quando aggiunse: "...sono certo che si riprenderà perfettamente, anche prima di quanto immaginiamo. Lui è un testone ed è molto forte, sono sicuro...".

Poi tacque e Akane non seppe se era per trattenere le lacrime o perché non sapeva più cosa inventarsi per convincersi. Rimase con il viso affondato nella sua casacca, cullata dal loro caldo abbraccio.

***

"È permesso?", chiese Ukyo bussando leggermente alla porta.

"Entra, chiunque tu sia!", rispose una voce a metà tra il divertito e l'esasperato.

Quando entrò, Nabiki stava allattando il piccolo Haru ed era sola nella stanza. L'immagine le riempì il cuore, nonostante tutto il dolore che l'affliggeva.

"Mi spiace, non volevo disturbarvi", esordì sorridendo.

"Ma no, figurati, dopo l'ondata emozionale di papà e del resto della famiglia e le elucubrazioni di Tatewaki almeno con te posso parlare con più tranquillità. Siediti", le accennò con il mento alla sedia vicino al letto.

Ukyo guardò il bambino e fu travolta da una tenerezza disarmante: gli occhi le si riempirono di lacrime e soffiò un lieve: "È bellissimo".

"Ehi, ehi, lo so che è il bambino più bello del mondo, ma non dovrebbe far piangere tutti quelli che lo vedono!", scherzò Nabiki.

Ukyo tentò di ricomporsi, asciugandosi gli occhi. Non si era mai sentita così fragile: "Scusami, Nabiki, è che sto attraversando un momento un po' particolare e questo bimbo così innocente e dolce apre davvero il cuore alla speranza".

Il sorriso di Nabiki si aprì, autentico e comprensivo: "Tranquilla, so a malapena cosa sia successo a Ryoga ma si vede che sei distrutta. E se il mio Haru ti dà un po' di conforto puoi tenerlo un po' in braccio, così mi riposo qualche istante, che ne dici?", le propose.

Ukyo aprì la bocca per parlare e riuscì solo a balbettare sillabe incomprensibili: "Ma... ma... io... se...non...".

"Tranquilla, se non l'ho fatto cadere io che non sono la mamma dell'anno puoi farcela di sicuro anche tu!", la incoraggiò lei con una risatina.

Allungò le braccia con prudenza, preparandosi a sostenere il suo peso con cura e si stupì di quanto fosse leggero e morbido. Istintivamente lo avvicinò al petto per contenerlo e scoprì che avrebbe tanto voluto averne uno suo e di Ryoga, un giorno. Inghiottì le lacrime che seguirono a quel pensiero e guardò le guance piene, l'espressione beata, la piccola goccia di latte all'angolo della boccuccia carnosa: "È... è... accidenti, oggi biascico come Ryoga". Scosse la testa, maledicendosi per quel paragone e cercando ancora una volta di frenare le lacrime.

Lo cullò leggermente, assorbendone la tenerezza infinita, poi lo ridiede alla madre: "Sarà meglio che non veda la mia faccia distrutta, ma quella rilassata e felice della sua mamma", disse obbligandosi a sorridere.

Nabiki riportò il piccolo al seno e la fissò con un'espressione seria: "È così grave, Ukyo? Non temere, puoi dirmi quello che ti senti. Io sto bene, il bambino anche e forse la mia vita si sta davvero aggiustando. Quindi sfogati pure, se ne hai bisogno: l'hai già fatto qualche mese fa e mi hai anche ascoltata, ricordi? Potremmo quasi diventare amiche", concluse con una nota divertita nella voce.

Ukyo capì che stava cercando di metterla a proprio agio e, soprattutto, che era cambiata tantissimo grazie a quel figlio meraviglioso che stringeva tra le braccia. Così, le raccontò tutto, asciugandosi gli occhi di tanto in tanto e cercando di non piangere troppo.

Nabiki sospirò: "L'unico consiglio che posso darti è di continuare a fargli sentire che gli sei vicina, che tieni a lui e che deve vivere per questo. Ma potrebbe non bastare".

La cuoca alzò gli occhi per guardarla: "Non capisco, il mio amore non gli basta?".

La media delle Tendo si mordicchiò il labbro, come in cerca delle parole adeguate: "Non voglio dire che lui non tenga a te, altrimenti non sarebbe vivo, tutt'altro. Ma in questo momento si rende ben conto dei suoi limiti nel parlare, nel muoversi. Ti ricordi quando, per insultare Ranma, gli davano del mezzo uomo? Beh, maledizione di Jusenkyo a parte credo che sia l'insulto peggiore che si possa fare ad un uomo e Ryoga adesso si sente esattamente così. Il fatto che tu gli sia vicino ma che lui non abbia niente da offrire a te, né a se stesso, lo sta corrodendo dentro e ha bisogno di ritrovarsi. Nel suo caso, si tratta di recuperare l'uso corretto della parola e del braccio. Tu puoi aiutarlo, certo, ma il suo orgoglio potrebbe risultarne ferito. Deve fare questo percorso da solo, con l'aiuto di medici, fisioterapisti, insomma...".

Ukyo si alzò di scatto e fece rumore con la sedia. Il bambino, che era quasi addormentato, emise un vagito di protesta e lei si scusò: "Perdonami, ma mi hai appena fatto venire in mente una cosa. È stato davvero illuminante parlare con te: ora so cosa devo fare, almeno spero".

Nabiki le sorrise, cullando il bambino che parve non aver risentito troppo di quell'interruzione: "Bene, felice di esserti stata d'aiuto. Allora fai quello che ti detta il cuore e non esitare. Io ci ho messo un po' a farlo e ho rischiato di perdere tutto. Tu devi farlo in tempo, sia per te che per lui".

La cuoca di okonomiyaki, spinta da un impulso di gratitudine, tenerezza e ammirazione per quella nuova Nabiki, fece una cosa che non avrebbe creduto possibile nemmeno in un milione di anni: si chinò su di lei e le posò un leggero bacio sulla fronte. Abbassò gli occhi verso il neonato e gli disse: "Bacerei anche te, ma so che i bambini piccoli possono baciarli solo la mamma e il papà". Gli tirò un bacio con la mano e sorrise a una evidentemente perplessa Nabiki.

"Grazie, tornerò a trovarvi a casa tra un po' di tempo, quando vi sarete un po' ambientati". Fece un cenno di saluto e si richiuse piano la porta alle spalle.

Ora doveva fare una telefonata molto importante e poi parlare con i medici.
   
 
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