Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |      
Autore: Lothiriel_Indil    06/01/2020    0 recensioni
In un mondo che rischia di collassare due ragazzi si trovano a svolgere un compito del tutto imprevisto e forse più grande di loro. Riusciranno Garrick e Daron ad essere all'altezza di tutto ciò?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«In nomine patri et filius et spiritus sanctis. Amen.»
La voce del prete rimbombava nella sua mente stanca, bramante di qualche ora di sonno, di quel riposo negatole durante i giorni precedenti. Un tono forte, deciso, quasi accusatore, portato  a spingere i molteplici fedeli, più o meno convinti, o forse solo disperati, che si erano recati a seguire la funzione mattutina.
Garrick non era un credente, benché fosse nato e cresciuto in una famiglia cattolica, sotto molti aspetti bigotta, e, dal canto suo, non amava questo genere di convinzioni visionarie portate a dare un senso, o qualcosa ritenuto tale, a ciò che li circondava, oltrepassando le risposte date dalla scienza, da lui ritenute molto più attendibili.
Inutile dirlo, non si trovava a suo agio in quella chiesa e, tutt’altro, non vedeva l’ora di tornare all’aria aperta, rimettendo piede fra le spettrali strade che quella mattina lo avevano accolto e ricevendo un benvenuto molto differente da quello che si era aspettato. Forse il suo animo rispecchiava lo stato in cui la cittadina si era presentata davanti ai suoi occhi, cupa e poco amichevole. Una motivazione precisa l’aveva condotto fra quelle mura, un qualcosa che gli era superiore e a cui lui stesso non era permesso opporsi, rendendolo incapace di ignorare la situazione e, di conseguenza, spingendolo ad agire, anche se con visibile riluttanza.
Poggiato contro la parete, proprio accanto all’affresco del Cristo crocefisso, osservava con una certa distrazione i presenti che, seppur di sottecchi, parevano rivolgergli a loro volta alcune occhiate. Non era uno stupido, nonostante più di una volta gli avessero fatto notare l’espressione poco intelligenteche aleggiava sul suo volto pallido, sapeva bene di non essere bene accetto. “Figlio del diavolo.”, “Servo del demonio”, “Satana.”. Le definizioni che si creavano nelle loro menti e che venivano rivolte al giovane parevano essere palpabili nell’aria pesante e impregnata dall’odore d’incenso, perenne in quel luogo sacro, come in molti altri destinati ad avere la medesima funzione. I capelli rossi, che facevano parte di lui fin dalla nascita, non contribuivano a renderlo anche solo più simpatico agli occhi degli altri. Poco male, altre preoccupazioni erano presenti fra i suoi pensieri, non gli importava minimamente di ciò che dicevano di lui, almeno per il momento.
Vestiti a festa, quindi, i cittadini, si accingevano ad abbandonare il proprio posto per poter tornare a svolgere i propri compiti. Lui non si mosse, non osò muovere un solo muscolo, limitandosi ad abbassare le palpebre nell’attesa. Troppo pesanti, ma non avrebbe dovuto attendere a lungo, nel giro di qualche ora avrebbe potuto finalmente raggiungere la locanda e, senza neanche toccare cibo, appoggiare il capo su un cuscino.
«Daron mi ha avvertito del tuo arrivo.».
Ed ecco che una voce sovrastò quei silenziosi bisbigli che, inudibili ad orecchie altrui, avevano affollato la sua mente, accusandolo e deridendolo. Silenzio improvviso l’aveva invaso, tombale l’avrebbe definito lui in quel momento, nella pesante attesa di nuove parole pronunciate dal medesimo tono, seppur del tutto sconosciuto.
Riaprendo gli occhi, Garrick, puntò le iridi verdi verso l’uomo: aria sciatta quanto la sua, capelli radi e del tutto scompigliati, decisamente poco curato rispetto agli ultimi presenti che oltre a loro popolavano ancora quel luogo. Colui che lo attendeva.
«Daron ha detto il vero, a quanto pare.», rispose con tono stanco, decidendo di concedersi quell’aria ironica che tanto lo rappresentava e che spesso faceva irritare colui di cui si trovava a parlare. Un vero peccato che non si trovasse con lui in quel momento.
Le folte sopracciglia dell’uomo si inarcarono per formare un’espressione arcigna. Garrick notò che quella destra pareva tagliata da una piccola cicatrice, probabilmente procurata anni prima.
«Il tuo compagno?».
«Sta dando un’occhiata al motore, abbiamo avuto qualche problema durante il volo.»
Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, di certo il bastardo ne aveva approfittato per andare a bere qualcosa. Sempre a lui spettavano le faccende burocratiche, se così potevano essere definite.
Il vecchio non accennò ad aggiungere altro, si limitò a dargli le spalle per incamminarsi lungo la navata laterale, accompagnato dal rimbombo dei suoi passi che, uno dopo l’altro, si spargeva riempiendo quel vuoto che era venuto a crearsi con l’assenza delle loro voci. Prima della partenza era stato avvertito, quel tipo era di poche parole e non perdeva tempo con convenevoli e cose del genere, insomma abitudini che venivano fatte proprie nei molteplici anni al servizio della guardia.
Garrick, prendendo a sua volta per mano il silenzio, si mise al suo seguito, limitandosi a guardare oltre la sua spalla. Sapeva come trattare con lui, gli era stato spiegato, e non aveva la minima intenzione di perdere tempo in alcun modo, soprattutto considerando che quel posto non gli piaceva minimamente e, nel bene o nel male, desiderava rivolgervi al più presto il proprio poco sofferto addio, negando a prescindere un arrivederci.
Non amava la caotica capitale, Mondinium, sede e residenza delle figure più importanti del paese, dove abitava la stessa regina. Lui non si interessava di politica, poco gli importava sapere chi impartiva i comandi a lui destinati, quale potente viziato aveva deciso come fargli guadagnare lo stipendio giornaliero. Lui svolgeva, punto, il resto non lo riguardava.
Il portone di legno si chiuse alle loro spalle e un cielo grigio si spalancò sopra le loro teste, superando i tetti degli alti palazzi che costeggiavano la via principale. La tranquillità fu nuovamente interrotta, questa volta dalla vita mondana che rendeva quelle strade più caotiche del dovuto. Grandi carri percorrevano il selciato trascinati dai cavalli, i più ricchi si dirigevano verso la proprio meta a bordo di macchinari a vapore: macchine di ferro che a prima vista parevano tante gabbie, Garrick mai avrebbe accettato di prendervi posto.
Scendendo tre scalini, presero la strada sulla destra e si diressero lungo la via degli inventori, costeggiata da botteghe di vario genere, differenza basata sui costi, facilmente intuibile dall’aspetto del luogo che accoglieva i clienti. Si trattava di uno dei viali più affollati, poco strano dati i tempi che correvano e le mode che erano sopraggiunte, molti erano i mecenati che parevano fare a gara per finanziare le migliori invenzioni, o progetti che si prospettavano tali, non per niente si trattava di un impiego molto ricercato e forse fin troppo sopravvalutato.
I più strani rumori giungevano alle sue orecchie, alcuni sovrastando addirittura il vociare della gente che lo circondava e superava senza dargli la minima attenzione: scoppiettii provenienti da chissà quali invenzioni; suoni, alcuni anche piacevoli, probabilmente portati a deliziare coloro a cui erano destinati; poche sembravano potersi vantare di contribuire a quella calma che sembrava persa in quel luogo, forse ci stavano addirittura provando.
Sbuffando, quindi, infilò la mano destra nella tasca e con l’indice prese ad accarezzare il porta sigarette di metallo che la occupava, pregustando il momento in cui avrebbe potuto godere di una di esse e, facendosi largo tra la folla, cercò di non perdere d’occhio la sua “guida”, soprattutto per evitare di smarrirsi in quella città che non gli era più tanto familiare come un tempo.
Molte cose erano cambiate, uno dei motivi per cui non amava la prospettiva di rimanere in quel luogo anche solo per qualche giorno.
«Mio signore, cerca compagnia?»
Fu una donna ad attirare la sua attenzione, facendogli rivolgere lo sguardo sul viso incorniciato da lunghi capelli castani. Il vestito scarlatto lasciava ben poco all’immaginazione, soprattutto per quanto riguardava i pallidi seni poco coperti che Garrick, nonostante tutto, non poté che trovare piacevoli. Non era difficile capire il motivo che l’aveva spinta ad avvicinarsi a quello sconosciuto che in mezzo a quel caos doveva apparire fuori luogo, la pecora nera fra tanti candidi caproni.
«Non sono un signore. », sentenziò come unica risposta.
«Per me siete tutti signori. Il ricco necessita della giusta compagnia quanto il povero. Nessuno può dire di avere il cazzo d’oro.», un sorrisetto malizioso venne a formarsi sulle rosse labbra della sconosciuta, donandole un’aria vivace e a tratti derisoria.
Il silenzio, però, proseguì quelle ultime parole rimaste sospese fra i due, in attesa. Gli occhi color smeraldo di Garrick parevano quasi scintillare, probabilmente alla ricerca della giusta soluzione al problema, o così avrebbe detto la donna.
«Altri possono dire di non averlo affatto. », concluse con tono stizzito il rosso, come se la sua interlocutrice avesse toccato il tasto sbagliato, quella ferita ancora aperta che nessuno avrebbe dovuto vedere. Il suo viso si adombrò e quella stessa scintilla scomparve in un solo attimo, sostituita da uno sguardo ben poco gentile.
Non una sola parola giunse in risposta, la giovane storse le labbra in una smorfia di disappunto e, affrettandosi a dargli le spalle, mosse i propri eleganti passi, brevi e veloci, per potersi disperdere fra la folla.
Garrick, diversamente, non si mosse, limitandosi unicamente a sorridere soddisfatto per la riuscita di quella piccola “missione” portata a liberarsi da quell’imprevisto impiccio. Odiava essere disturbato, soprattutto quando si trattava di lavoro e a causa di ciò avrebbe avuto particolari problemi nello svolgimento dei propri compiti.
Sbuffando prese a guardarsi in giro alla ricerca della schiena che ormai aveva perso di vista. Il cliente, forse era poco educato continuare a definirlo vecchio, era svanito fra i presenti. Non gli rimaneva che cercarlo alla cieca, nella speranza di ritrovarlo con un colpo di fortuna.
«Che palle.»
Riprendendo a muovere i propri passi, appesantiti dagli stivali della malconcia divisa, si incamminò lungo la direzione dove gli pareva di aver intravisto l’ultima volta l’uomo. Non era passato molto, di certo non aveva percorso molta strada, soprattutto contando l’età, perché altro non era che un vecchio, e il numero di persone presenti in quel momento. Era impossibile muoversi veloce, anche a Garrick risultava difficoltoso, bisognava fare particolare attenzione, per lo più in mancanza di un minimo di fiducia verso gli altri.
Superò tre banchetti, messi alquanto male rispetto a certe botteghe d’alto livello, e, svoltando in una stradina laterale, decise di approfittarsi di vie più tranquille. Probabilmente avrebbe anche avuto più possibilità di trovarlo… Forse.
Sollevando lo sguardo verso il cielo si perse per diversi secondi in quelle nuvole grigie che negavano costantemente il sole e il cielo azzurro alla capitale che risultava persa, quasi malinconica.
Forse questo era un altro motivo che aveva portato Garrick a non provare simpatia verso essa?
Probabile o, meglio dire, quasi sicuramente. L’azienda per cui lavorava, per fortuna, non l’aveva portato lontano da casa, seppur speso e volentieri lo costringesse a volare sopra i tetti di Mondinum, preferiva di gran lunga i prati verdi delle lontane montagne dove era cresciuto e dove aveva fatto addestramento, conoscendo così quelle poche persone che gli stavano in simpatia, o riusciva meglio a sopportare.
«I tuoi superiori non ti hanno insegnato che non è un bene perdere il proprio cliente?», la voce ruvida che l’aveva “accolto” all’interno della Cattedrale tornò a farsi presente alle sue orecchie, costringendolo a puntare lo sguardo di fronte a sé per ritrovare la figura che aveva perso a causa della prostituta.
«No, ma mi hanno accennato qualcosa riguardo al fatto che chi si rivolge a noi è spesso e volentieri disperato, per questo la clientela non viene mai a mancare», e il significato di quelle parole che spesso e volentieri aveva udito dal suo diretto superiore era riuscito a capirle unicamente nel corso di qualche anno.
Il suo non era un lavoro pulito, era una sorta di postino, se così si poteva definire: consegnava informazioni, merci… Insomma, a lui bastava tenere la bocca chiusa e per il resto riceveva il giusto compenso, sporco o pulito che fosse.
Non accennò alcuna risposta il suo interlocutore e, anzi, sputando a terra quello che pareva tabacco, gli fece un cenno del capo in direzione di un edificio dall’aria decadente e gli diede le spalle, un chiaro segno che Garrick avrebbe dovuto seguirlo senza continuare quella discussione che probabilmente aveva toccato il tasto sbagliato per quel cliente.
Aprendo la porta di legno malconcia, dunque, il vecchio, prese a salire le scale dove ai lati erano seduti alcuni bambini dall’aria scarna. Garrick si impose di non guardarli se non per una veloce occhiata, non doveva provare pietà per loro, se ciò fosse accaduto il suo lavoro sarebbe risultato difficoltoso il più delle volte.
La pietà doveva provarla unicamente per sé stesso e per i soldi che portava in quel minuscolo buco che continuava a chiamare casa.
Dieci scalini. Primo piano.
Venti scalini. Secondo piano.
Trenta scalini. Terzo piano.
Una puzza di fumo fuoriusciva da quell’appartamento che da fuori sembrava avere un aspetto migliori rispetto a quelli che aveva intravisto ai piani inferiori. Non conosceva il nome, o i nomi, della persona che vi abitava, forse lo stesso vecchio lo occupava, ma di una cosa era certo: finalmente era giunto a destinazione.
«Scusa il ritardo, il ragazzino si era fatto fermare da una puttana.»
L’interno dell’appartamento non era migliore della rampa di scale che li aveva condotti fino a lì: l’aspetto trasandato sembrava andare di moda tra quelle pareti e Garrick, lo sapeva, non era da meno, sarebbe potuto risultare perfetto per quel posto.
Non rispose alle parole che chiaramente avevano accennato a lui, però la voce di una donna lo costrinse a voltare lo sguardo su di lei: giovane, avrebbe detto anche seducente se i suoi gusti avessero anche solo apprezzato minimamente il genere femminile.
Per questo era stato più volte definitivo “sbagliato”. Come se i suoi capelli rossi non fossero già causa di pettegolezzi poco gentili nei suoi confronti. Ma a chi importava realmente?
Riccioli biondi cadevano sulle spalle della donna, occhi castani rivelavano molteplici preoccupazioni (o si trattava unicamente di stanchezza?), doveva avere poco più di trent’anni ad una prima occhiata.
Lei gli rivolse un sorriso, cosa che accadeva raramente ad uno come lui.
La donna abbandonò la sedia che si trovava accanto al tavolo dove una tazza fumante di caffè sembrava guardarlo invitante, e si avvicinò a lui per porgergli la mano.
«Siamo grati per il servizio che sei pronto a svolgere per noi. Puoi chiamarmi Anne.»
Osservò a lungo la sua mano: nemmeno un callo, segno che con molta probabilità stava ad indicare che non era una gran lavoratrice, dunque con chi si trovava a parlare?
No, non doveva porsi domande indiscrete, questa era la prima regola.
«Garrick.», il proprio tono di voce non parve poi tanto sicuro come quando sul suolo sacro aveva incontrato il vecchio e non poté non notare un sorrisetto sul viso di quest ultimo, doveva essersene accorto anche lui.
Benché Garrick non sapeva chi potesse essere realmente quella donna, non poteva che provare un certo… Come definirlo? Imbarazzo? Insomma, si trovava in difficoltà di fronte a lui, eppure poteva dire di aver avuto la meglio con uomini più grandi di lui.
«Immagino tu non sia di molte parole.», ecco che a sua volta Anne si lasciò scappare una nota divertita. Garrick non vedeva l’ora di togliersi da quell’impiccio per poter raggiungere il proprio compagno di viaggio, con la speranza che l’aereo fosse pronto per riportarli al quartier generale. Solo allora si sarebbe potuto ritenere tranquillo. Una volta posta la propria firma a lavoro terminato si sarebbe concesso qualche giorno di riposo lontano da tutto ciò.
«Sono di giuste parole. Parlo soltanto quando il mio lavoro lo richiede.»
«Come osi? Devi portare rispetto ver…»
Una mano della donna si sollevò in aria per interrompere il discorso che il vecchio aveva iniziato. Verso? Che questa Anne fosse una persona di rilevante importanza? Questo non poteva far altro che spingere Garrick a desiderare di far ritorno dal proprio compagno, nonostante sapesse bene che il suo limite di sopportazione con lui avesse ormai raggiunto il limite.
«Mi piaci. Ho sentito parlare di te, Garrick, per questo ho richiesto te per questo lavoro.»
«Perché sono uno di poche parole?»
«Anche.»
Solitamente non era questa la procedura con cui loro venivano mandati a raccogliere ciò che avrebbero dovuto trasportare, parole o cose. Generalmente la squadra veniva chiamata dal quartier generale in base all’importanza del cliente, da ciò che desiderava e, soprattutto, dai giorni di riposo che si erano potuti concedere.
Difatti quest’ultima parte pareva non essere stata calcolata per lui e Daron.
Erano passati solo un paio di giorni da quando Lewis, il loro diretto superiore, li aveva richiamati con una certa urgenza al quartier generale per affidargli l’incarico.
Nemmeno una decisione per loro: il tempo di preparare la borsa con cibarie e poche cose utili. Forse per questo l’aereo aveva avuto quel guasto?
Garrick dal canto suo non si era preoccupato della sua manutenzione, era Daron ad occuparsi di ciò.
Cosa che con molta probabilità non aveva fatto.
Un altro tassello che portava Garrick verso la linea di sopportazione nei confronti del compagno. Possibile che solo lui si preoccupasse di svolgere i propri compiti? Studiava le carte, cercava le vie più veloci per fare in modo di tornare a casa il prima possibile.
Garrick però lo sapeva, a Daron piaceva la capitale, lì le locande avevano gli alcolici più buoni ed era più semplice ingannare chi osava sfidarlo a carte o al tiro con i dadi.
Forse c’era un'unica cosa che non gli avrebbe mai permesso di superare quella linea: l’aspetto che suscitava in lui una certa attrazione.
Quante volte avrebbe voluto mandarlo al diavolo e non l’aveva fatto solo per godere del suo fascino?
 «Matthew, ti chiedo di darmi la scatola.», ora la donna si rivolse nuovamente all’uomo che risultò non poco stupito a quella richiesta.
«Vi… Ti chiedo di ripensarci, non sembra affidabile. E’ solo un ragazzino.»
Non scappò a Garrick quel tono iniziale che Matthew (davvero un uomo dall’aspetto così poco elegante poteva portare un nome così… Nobiliare? O quantomeno altolocato).
«E’ la persona giusta, mi hanno detto che ha sempre portato a termine i propri incarichi e chi mai sospetterebbe di lui?»
Nel dare le proprie spiegazioni Anne pose la scatola tra le mani del più giovane tra i tre. Gli rivolse un sorriso, un qualcosa di fiducioso che per la prima volta fece sentire Garrick importante.
«Ne va del vostro regno, regina Arleen.»
Gli occhi di Garrick parvero voler abbandonare il suo volto.
Regina Arleen. Regina Arleen. Regina Arleen.
Non Anne ma Arleen.
Come poteva non essersene accorto immediatamente? Forse perché non gli era mai importato nulla della corona e di chi la portava? Non fino a quel momento.
Era stata la regina a chiedere di lui? Perché?
No, doveva continuare a svolgere il suo lavoro come sempre aveva fatto. Discrezione e poco interesse, questo era il suo motto. Eppure…
Quella che ormai poteva definire la regina decise di non dare più spiegazioni all’uomo e, anzi, tornò a rivolgersi a quel ragazzo che in quell’istante si sentiva tanto piccolo. Le sue mani vellutate sfiorarono quelle poco più piccole di Garrick. Ora si era fatta seria.
«Tu non mi hai mai visto. Ti sei incontrato con una donna normale che ti ha consegnato una scatola da portare a sud. Non parlare di me. Non nominarmi. Ne va del nostro regno e ora anche della tua vita»
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Lothiriel_Indil