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Autore: _aivy_demi_    07/01/2020    32 recensioni
Era stato l’ultimo ad essere accolto all’agenzia di ricerca di nuovi talenti nel mondo della musica, l’ultimo di conseguenza ad essersi unito al gruppo.
Park Jimin, questo il suo nome: un nome che Jeon Jungkook, neppure con tutta la forza di volontà del mondo avrebbe potuto dimenticare. Un nome che già conosceva, e che aveva imparato a detestare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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N
o time for Regrets
He arrives, a Trauma




Era stato l’ultimo ad essere accolto all’agenzia di ricerca di nuovi talenti nel mondo della musica, l’ultimo di conseguenza ad essersi unito al gruppo.
Park Jimin, questo il suo nome: un nome che Jeon Jungkook, neppure con tutta la forza di volontà del mondo avrebbe potuto dimenticare. Un nome che già conosceva, e che aveva imparato a detestare.




La notizia dell’arrivo dell’ultimo membro a completare il gruppo di idol volò da una bocca all’altra rimbalzando dalla segretaria alla portinaia del dormitorio comune, con una velocità tale da spiazzare i ragazzi coinvolti. Lo stavano aspettando tutti e sei con fare impaziente e la concentrazione nella piccola sala era pari a zero. Namjoon, leader e compositore di testi si scompigliò malamente i capelli chiari, tentando di ritrovare una connessione perduta tra la prima e la seconda strofa per la quinta volta consecutiva; Yoongi lo stava squadrando con occhi scuri e glaciali mugugnando qualcosa su come di fatto le canzoni non potessero scriversi da sole, ricevendo un’occhiata truce di rimando. Non era certo momento di battute, pensò con una semplice alzata di spalle, e non si sarebbe fatto intimorire da un’espressione contrariata. A lui comunque non andava certo meglio, il blocco su cui era solito appuntare i risultati dell’ispirazione era completamente candido. Si mangiucchiava nervoso le unghie voltando e rivoltando la penna tra le dita, penna che non aveva versato una sola goccia di inchiostro. Digrignò i denti stizzito prima di dar fiato alla bocca con tono acido.
«Jin, vuoi smetterla? Non ti sopporto più.»
Il diretto interessato bloccò il proprio tamburellare ritmico sul bracciolo del divano a due posti poggiato sulla parete di fianco all’entrata, sbuffando dalle labbra piene e rosate. Si massaggiò la tempia prima di esordire con una frase ad effetto su come tutta quell’attesa nuocesse alla pelle perfetta corrugata tra le sopracciglia ben disegnate, rischiando di fatto di intaccare la diafana bellezza di cui il ragazzo tanto si vantava.
Uno di loro se ne stava a sbirciare con occhietti vispi dall’uscio affiancato al collega poco più alto, aggrappato e pericolosamente sbilanciato sulle sue spalle; li zittì rumorosamente, scuotendo il braccio nel tentativo di placare il battibecco inutile scatenato dall’attesa. «Zitti!» Disse infine Hoseok mimando un secondo gesto d’imposizione della quiete. «Potrebbe entrare da un momento all’altro! E tu, Tae, smettila di sbilanciarmi o cadremo… Tae… Ta-»
Il tonfo prodotto dai due accasciati l’uno sull’altro attirò l’attenzione latente del più giovane, Jungkook, che se ne stava in un angolo accucciato sul pavimento: cappuccio della felpa oversize abbassato sui fini capelli castani, le iridi color cioccolato coperte dalle palpebre e un auricolare stretto tra le dita, la musica in pausa. Tentava di simulare disinteresse in ogni modo, anche se in realtà, era il più teso di tutti. Il più teso perché sapeva esattamente chi avrebbe varcato quella porta, ed era l’unico ad esserne a conoscenza.


Il viaggio di Jimin era stato lungo e inquieto, era tardi ed il traffico della città non perdonava neppure durante le ore piccole: la capitale era viva notte e giorno e questo non aveva certo contribuito a rendere più digeribile l’idea di presentarsi a sei futuri colleghi di cui ancora non sapeva assolutamente nulla. Le prime gocce di pioggia di un autunno inspiegabilmente freddo stavano bagnando il parabrezza del taxi rendendo le innumerevoli luci notturne striate e confuse, portando ulteriore tensione nella mente del ragazzo; si strinse nella giacchetta leggera sentendo un brivido, non certo dato dalla temperatura percepita. I 23 gradi nell’abitacolo non erano sufficienti a scacciare la pelle d’oca.
Era tutta tensione.
Non sapeva in che modo stemperarla e cosa aspettarsi: sapeva d’essere il settimo membro d’un gruppo di cantanti e ballerini, si sentiva indescrivibilmente non all’altezza nonostante il risultato ottenuto ai provini privati che la piccola azienda aveva organizzato per ricercare il mancante e scritturarlo. Ed era lì, era il suo turno di apparire, di mostrare il proprio volto e di sorridere, sorridere e sembrare il più naturale possibile. “Sii te stesso, non importunarli, non essere insistente.”
Andrà bene.
Andrà bene.
Stava inghiottendo per l’ennesima volta un boccone inesistente, neppure la saliva scendeva nell’esofago teso. Il pensiero primario era quello di non dare una brutta impressione, e questo lo stava letteralmente perseguitando ad ogni passo. “Comportati bene, chissà cosa si aspetteranno da te. Jimin, non fare cazzate.”
Non fare cazzate.
Raggiunta la stanza indicata da una signora ben pienotta in volto, sulla cinquantina, l’aria bonaria di chi la sapeva lunga senza poter dir nulla, non poté fare a meno di scoppiare a ridere aggrappandosi allo stipite della porta, sconvolto da tanta ilarità scatenata da due ragazzi stesi a terra, uno sull’altro a braccia aperte, pressati ben bene sul pavimento. Il primo tentativo di apparire serio era completamente fallito: quello era stato il modo migliore di presentarsi? No di certo, era paonazzo in volto e non riusciva a smettere di ridere, tanto da cadere a terra sui glutei. Hoseok si issò scavalcando Taehyung che ancora non s’era ripreso, rischiando di inciamparsi nuovamente sull’amico nel raggiungere il nuovo arrivato e scusarsi per lo spettacolo inatteso. Jimin gli strinse la mano stropicciandosi un occhio con l’altra prima di notare la figura che ancora giaceva sulle piastrelle, indecisa se sprofondare oltre o fingere d’essere spirata nel mentre. Le piccole dita calde e confortanti del ragazzino lo ridestarono dall’imbarazzo in cui s’era chiuso nascondendo ancora il volto verso il basso: il settimo membro s’era chinato aiutandolo a rialzarsi. Si fissarono negli occhi quel tanto che bastava a ricordare d’essere dei completi sconosciuti, ed il grazie sussurrato dallo stesso Tae si palesò in un sorriso quadrato, solare, sincero. Una scena di poco più di quattro secondi che pareva essersi dilatata attraverso il tempo e la stanza, dove le dimensioni vennero riportate alla normalità dagli altri che li circondarono un attimo dopo. Jimin scuoteva il capo da una parte all’altra cercando di ricollegare le voci ai volti nuovi, tentando di memorizzare invano nomi e cognomi recepiti a velocità sostenuta.
Dall’angolo opposto uno dei presenti scosse Jungkook dalla distanza mantenuta appositamente. «Ehi, vieni a salutare.»
«Yoongi, lasciami stare. Ora c’è troppo casino, capirebbe meno di un cazzo se mi buttassi lì in mezzo.»
«Kookie, sei il solito. Togli il broncio e fa come me, fingi che ti importi qualcosa. Vedrai che dopo i primi cinque minuti questa pagliacciata sarà già finita.»
Il più giovane sbuffò scollegando gli auricolari dal cellulare senza mostrare il minimo entusiasmo: contrariamente agli altri ed in linea con i pensieri di Yoongi stesso, non sopportava affatto tutta quella dimostrazione di cortesia, le moine, le smancerie palesi come quelle esternate da Hoseok dopo la figuraccia della caduta. Troppe strette di mano, troppe parole, informalità già presente: la sua irritazione era già salita esponenzialmente.
Jimin spostò lo sguardo trovando un’apertura tra un corpo e l’altro, quasi tutti più alti di lui di almeno una decina di centimetri; il suo essere minuto non aiutava certo a costruirsi una visuale completa della stanza. Cercava attorno consapevole della mancanza di qualcuno all’appello e la sua curiosità aveva di poco superato la marcata sensazione di disagio. Doveva sapere, conoscere ancora qualcuno. Si levò il cappellino scompigliando i sottili capelli neri e ravvivandoli con i polpastrelli in un gesto dal sapore abitudinario.
Nervosismo?
Prima di parlare venne interrotto da Namjoon e dal suo tono quieto. «Ti stiamo togliendo l’aria, vero? Vieni, siediti. Immagino tu sia stanco ed il viaggio sia stato lungo. Dai, ti presento al resto del gruppo. Jin, smettila di guardarlo in cagnesco, i posti sul divano non si sposano. E non fare quella moina, non ci casco di nuov… smettila, no, alzati, Jin ades… scusami, lui è fatto così. Levati, levati non farmelo ripetere.» Lo squadrò con occhio severo mimando uno “sciò” sospirando irritato, ricevendo un borbottio per nulla nascosto. Jimin si scusò con un lieve cenno del capo sentendosi di fatto un’intromissione in un luogo comune che non riconosceva affatto come proprio, anche se così sarebbe dovuto essere. Il tempo di un istante e Jin spalancò le proprie labbra in una smorfia soddisfatta accompagnando il ragazzo al centro del divanetto, ancora sconvolto.
Hoseok, dimentico dell’immane figura di cui era stato vittima inconsapevole grazie alla perdita di equilibrio di Taehyung, gli si sedette accanto entusiasta, richiamando all’attenzione a gran voce gli ultimi due membri: aveva letteralmente gridato i loro nomi nella speranza di smuoverli e portarli a presentarsi con la dovuta cortesia. Il primo si mosse mormorando qualcosa riguardo ad un sonno eccessivo e all’inutilità delle smancerie: «Yoongi, piacere.» Gli strinse la mano ritraendola poco dopo come se il contatto ravvicinato lo avesse infastidito. Jimin fece altrettanto con un sorriso di cortesia, percepiva il gelo farsi pressante attorno, proveniente da una direzione specifica. Scorse ancora qualcuno a non più d’un paio di metri, ma che pareva molto più distante: Jungkook non lo stava guardando neppure, anzi, fingeva d’essere estremamente impegnato nel misurare le fughe delle piastrelle con la punta della scarpa.
Namjoon tentò di riprenderlo scontrandosi con un suo sguardo sottile: l’affermazione nelle iridi di quello che di fatto era designato come leader si rivelò dalle labbra con autorevolezza. «Vieni qui, ora.»
Il giovane scansò Jin nel farsi spazio, sedendosi sul tavolino di fronte al sofà; alzò il volto e le loro pupille finalmente s’incrociarono. Jimin faticava a gestire la strana sensazione data da quel contatto visivo prolungato; stava forse tentando di intimidirlo in qualche modo?
Un piccolo sbuffo e la mano si tese, lui si sporse in avanti flettendo le dita sulle piccole dell’altro. «Sono Jungkook, il più giovane qui. Spero tu possa trovarti bene.» Sospirò di nuovo un attimo prima di riprendere con voce atona. «Bene, abbiamo finito?»
Jimin sorrise fino a socchiudere le palpebre presentandosi un’ultima, difficile volta, fece lieve pressione con i polpastrelli a tastare il palmo caldo prima di sciogliere l’intreccio e rendersi conto che la parte più complessa si stava finalmente concludendo, lasciandogli addosso una lieve punta di curiosa familiarità. Chi gli stava di fronte si alzò dirigendosi verso Taehyung e sostandogli accanto il tempo di poche e semplici parole. «Smettila di fissarlo, o ti beccherà.» L’altro scostò immediatamente il viso colpevole maledicendosi per la solita innocenza superficiale, ma non poteva farci proprio niente Tae, non riusciva mai a nascondere ciò che provava e pensava, nemmeno impegnandosi: era limpido e cristallino in ogni sfumatura del suo essere, nelle situazioni più disparate e le più complesse da gestire.


Una serata decisamente sfiancante a detta del ragazzino che aveva affrontato un viaggio eterno avvolto nella tensione più lacerante e pura, per poi ritrovarsi a scoprire di dover dividere la stanza da letto con tutti quanti: con la promessa di un trasferimento a breve, i sette erano costretti a condividere uno spazio angusto per la notte, tanto angusto da essere rappresentato da un’anticamera e un’unica stanza con relativi posti letto. Non che Jimin si aspettasse una sistemazione di lusso ma l’idea lo stava davvero mettendo in soggezione. Namjoon gli passò la mano sulla schiena massaggiandola lievemente nel breve tentativo di rinfrancarlo, ed a quel tocco sussultò come scottato mantenendosi rigido: era estraneo a quel genere di contatto e sapeva che avrebbe dovuto abituarcisi. L’altro si scusò grattandosi la nuca impotente: non era facile rompere il ghiaccio, soprattutto alla rivelazione della notizia successiva. «Può sembrare strano ma ci si fa presto l’abitudine. È più facile di ciò che sembra, credimi. Vedi, basta solo…»
Crack.
«Ma che?» Lo scricchiolio sinistro provocato dal calpestio di Namjoon destò l’attenzione di tutti, dopo aver calciato all’aria un paio di scarpe e scaraventato sotto un letto un paio di magliette abbandonate sul pavimento; voltandosi sbatté il gomito contro lo spigolo di una mensola, e la breve imprecazione smorzata dal morso alla lingua fece scoppiare a ridere di cuore Jimin che fino a poco prima giaceva in un angolo in attesa di qualsiasi cosa. «Beh, sempre salvo imprevisti. Kookie, il posto accanto al tuo è occupato adesso, togli la tua roba.»
Il più giovane sbucò dall’angolo del proprio letto contrariato, le sopracciglia aggrottate in un’espressione che lasciava poco spazio all’immaginazione: non tentava nemmeno di celare la contrarietà alla cosa. Aveva quindici anni e fare finta di nulla o mentire spudoratamente nascondendo ciò che pensava davvero non rientrava certo tra le sue più alte aspettative. Aveva già pensieri a sufficienza per la testa senza dover fingere un’empatia che non era in grado di provare, soprattutto per lui.
Un rumore secco di oggetti sbattuti con malagrazia sul pavimento coinvolse Hoseok nel silenzioso immaturo gioco di potere che si stava svolgendo sotto agli occhi di tutti; non poté fare a meno di spiare dall’alto del letto a castello sporgendosi e scuotendo il capo con dissenso. Senza disturbare il vicino Yoongi che già stava dormendo della grossa, si calò dalla scaletta e si posizionò accanto a Jimin.
“Cos’hanno questi? Possibile sia un’abitudine stare così appiccicati?” Avrebbe voluto dar voce a quel disagio ma quel tepore confortante ed il suo sorriso sincero lo stavano tranquillizzando, anche se ancora diviso dalla diffidenza iniziale. Le iridi scure e vivaci, brillanti e vive sembravano volergli ricordare che il mondo poi non era così difficile come si stava mostrando attraverso i comportamenti incomprensibili di un ragazzino fastidioso. Lo sentì azzerare le distanze e sussurrargli qualcosa divertito: «lascia perdere Jungkook, è in piena fase di ribellione adolescenziale. Non ascoltarlo, io sono dalla tua parte. Noi lo siamo.»
Il disagio stava scemando piano, ma rimaneva un problema da risolvere, ed era quello di doversi sistemare per la notte, accanto alla persona che a quanto pare lo tollerava meno nell’intero gruppo.
Avrebbe dovuto far finta di nulla ed inspirò lentamente cercando di trovare la forza in sé per affrontare quell’assurda sistemazione. Strinse il proprio borsone spostandosi con passo rigido e controllato fino all’ultimo letto in fondo, quello accanto alla finestra, quello attaccato al materasso di Jungkook.
«Avremmo potuto spostarlo se ci fosse stato spazio sufficiente, mi spiace.» Namjoon era accorato, ma non aveva potuto fare nulla più di ciò che era stato fatto. Un piccolo gesto di cortesia col capo sembrava voler dire “sopporta, lo facciamo sempre tutti.”
E la nottata doveva ancora cominciare.






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Nota dell’Autrice (ahhhh la prima NdA dell’anno):
Ciao, sono Stefy, e questo è il primo aggiornamento del 2020. Non è un ulteriore capitolo di una long, non è parte di una raccolta già iniziata, e nemmeno una OS autoconclusiva.
Nooo.
Scherziamo? Perché rendere facile l’anno corrente continuando qualcosa di già avviato? Sarebbe da me? Assolutamente no, ma neanche per scherzo, nemmeno per sbaglio. E infatti, un nuovo progettino – il più corposo in assoluto, fidatevi – che mi girava in testa tipo da qualche mese, ha preso finalmente il via. Le dinamiche si muovono in un ipotetico momento del “predebut” di un gruppo di idol nell’industria musicale sudcoreana, in cui vengono selezionati i componenti, testate le loro capacità, dove vengono sottoposti ad allenamenti di ogni genere per riuscire ad arrivare pronti al momento dell’esordio. Un periodo decisamente delicato, dove lasciano le loro famiglie per andare a convivere con i loro futuri colleghi e cominciare a lavorare sui progetti lavorativi. Si tratta di ragazzini o poco più (il più piccolo ha quindici anni, il più grande ne ha venti), e dovranno condividere tutto.
Questi sette sono i miei testoni, ed i personaggi traggono liberamente ispirazione da un noto gruppo musicale. Potrei definire Canonverse rielaborato ciò che viene mostrato qui, ma le dinamiche, le interazioni, le interpretazioni caratteriali sono frutto della mia fantasia e per questo considerate in ambito originale. Mi auguro possa piacervi, ormai già con Singing avete capito che il mondo della musica rientra nel grande disegno composto dalle mie storie originali.
E dopo questa luuuuunga lunghissima nota – direi la più lunga mai scritta, chissà se qualcuno ha già lasciato perdere! – vi auguro un florido e positivo 2020, che possa darvi gioia, una vita migliore e tanta ispirazione. Non vi libererete facilmente di me, alla prossima e grazie di essere ancora qui al mio terzo anno su EFP. -Stefy-
   
 
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