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Autore: CHAOSevangeline    07/01/2020    1 recensioni
{ Orione/Artemide }
"Non c’era ragione di preoccuparsi dell’amore, perché Artemide non gli avrebbe mai permesso di ferirla.
Ma ormai anche se correva fra le file di alberi, nel fitto della foresta e attraversava un terreno sterrato più rapida del suono non c’era angolo di quell’isola dove le sue ansie non la trovassero. Per la prima volta i suoi pensieri erano veloci quanto lei e correre, rotolarsi nell’erba e porre sul loro cammino ostacoli come tronchi d’albero che lei scavalcava rapida come una cerbiatta non gli impediva di raggiungerla."
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Apollo, Artemide, Orione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III.
Ultimo quarto
 


 
Orione si era accampato sulla spiaggia perché il mare lo calmava.
Le onde spazzavano ritmiche il bagnasciuga ed erano una certezza, un moto inesorabile e indiscusso. Più o meno tumultuose, non si sarebbero mai sottratte al compito di danzare sulla sabbia per poi ritirarsi, portando con sé in fondo al mare qualche nuovo granello e restituire dei tesori alle rive.
Quel giorno era come se qualcosa fosse cambiato. Era come se gli occhi di Orione vedessero in modo diverso da come avevano sempre fatto.
In principio s’era chiesto se non si trattasse dell’intervento di Efesto; forse vedeva in modo diverso e dunque percepiva così: diversamente. Sì, i suoi occhi dovevano aver subito qualche modifica fisica.
Ma non era questo. Questa era una scusa.
Orione aveva iniziato a percepire la realtà in modo nuovo dal giorno prima. Non l’aveva notato, non subito almeno: le prime differenze erano state nelle sfumature, in qualche pensiero.
Poi il cambiamento era avvenuto e lui aveva smesso di prestarci attenzione, perché quella era diventata la nuova naturalezza. E non gli dispiaceva affatto.
Il mare era sempre stata una certezza per Orione: era lì e si muoveva con il suo ritmo più o meno impetuoso.
Orione aveva iniziato a domandarsi perché lo facesse, perché credesse di dover sottostare a una decisione che gli era stata imposta; perché proprio lui non si ribellasse al dominio di Poseidone e non scrivesse le proprie regole, perché non violasse le gerarchie e le strutture impostegli da qualcun altro.
Doveva non essere ancora conscio della propria forza, era l’unica spiegazione che Orione riusciva a trovare.
Quel mattino presto il cacciatore aveva gettato le braci del proprio focolare ormai estinto e richiamato Sirio per cercare Artemide nella foresta. Il loro saluto del giorno prima era stato imbarazzante per la dea, ma Orione non era dello stesso avviso.
Mentre pensava a questo e camminava nel fitto sottobosco vide Sirio irrigidirsi con la coda dell’occhio e lo sentì ringhiare.
«Cosa succede bello?»
Doveva trattarsi di una bestia feroce. Orione mise mano al proprio arco, ma prima che potesse anche solo pensare di prepararsi a colpire l’aria fra gli alberi fischiò: una freccia si era conficcata dritta in mezzo ai suoi piedi.
Ma non si trattava di una freccia comune, né di una freccia di Artemide: riluceva di un bagliore dorato.
Apollo.
Orione non era mai andato troppo d’accordo con Apollo, forse perché il dio per primo aveva dimostrato quanto scarse fossero le sue intenzioni di essere gioviale con lui; era un presuntuoso, un egocentrico e se Orione aveva tenuto per sé certe considerazioni era solo per via – o grazie, la sfumatura era quella di una concessione – alla sua amicizia con Artemide.
Il dio emerse dalla boscaglia prima ancora che Orione parlasse: non aveva bisogno del suo permesso per mostrarsi, né tantomeno era così codardo da non assumersi la paternità di quel dardo.
«Da quando il dio del sole va a caccia in queste foreste?» domandò Orione.
Nel suo tono non c’era scherno, ma l’aveva usato per avvelenare ogni sillaba della propria frase, celandolo fra i suoni.
«Da quando è libero di farlo», rispose secco Apollo. «Cioè da molto prima di te.»
Orione non sapeva della discussione fra Apollo e Artemide. Non poteva esserne a conoscenza perché Apollo era cauto e perché lui, in ogni caso, aveva la tendenza a notare molto poco oltre il proprio stesso naso.
Nella caccia però Orione sapeva sempre cosa aspettarsi, a cosa prestare attenzione.
Un presentimento gelido come una mattina invernale gli scivolò lungo la schiena.
«Eppure si dice che non sbagli mai il bersaglio», fece il cacciatore. «Una preda troppo veloce?»
Apollo sorrise, algido.
«Al contrario: camminava», rispose minaccioso, dirigendosi verso di lui.
Gettò uno sguardo a Sirio, che smise di ringhiare. Doveva essersi reso conto di non poter competere, perché si rilassò come se avesse creduto di aver preso un abbaglio considerando Apollo un nemico. O come se avesse pensato di dovergli portare rispetto.
«E non ho mancato il bersaglio. Ho mirato fra i tuoi piedi», aggiunse. «Insolente da parte tua pensare il contrario.»
Apollo recuperò la freccia e lo superò.
Avrebbe potuto rendere quell’unico colpo un colpo di grazia. Orione aveva colto il telaio della sua minaccia, costruito solidamente con una freccia sul suo cammino e un sorriso dalle venature intimidatorie.
«Febo Apollo, è tua sorella la dea della caccia. È legittimo io abbia pensato non la eguagliassi», rispose Orione. «Perché mai avresti dovuto scoccare una freccia ai miei piedi?»
Apollo non raccolse la sfida. Artemide sosteneva di sapersela cavare da sola e lui nemmeno avrebbe dovuto mettere in atto quell’avvisaglia alle spese di Orione, dunque preferì evitarsi la bile in gola dovendo trattenere le proprie mani dal compiere un efferato omicidio in quel di Delo.
«Chissà, forse per la previsione di qualche atto da punire.»
«Artemide non la prenderebbe bene.»
Apollo allungò una mano verso la faretra, ma solo per riporvi la freccia che aveva recuperato. Non voleva sprecarne nemmeno una per Orione.
«Perché? Perché sei il suo favorito?» chiese. «Guardami bene, cacciatore. Ho la faccia di uno a cui importano i favoritismi di mia sorella quando questi possono farle del male?»
Le labbra morbide di Apollo si incurvarono mentre parlava.
Orione per un istante mostrò confusione, ma fu solo un momento perché poi tornò a guardare il dio del sole con quello sguardo di sfida.
«Non intendo farle del male.»
«Oh, risparmiami. So riconoscere un animo crudele quando lo vedo.»
Orione camminava in bilico su un filo ma fingeva di non farlo; fingeva di avere i piedi ben saldi a terra quand’era sospeso metri e metri più in alto. Apollo avrebbe potuto farlo precipitare in ogni istante.
Il cacciatore voleva chiedere se allora Apollo vedesse in sé stesso in un animo crudele, ma soffocò le parole.
«E so cosa stai pensando. Ero come te, un tempo: crudele», gli concesse Apollo. «E so esserlo ancora.» Le ciglia bionde calarono sulle iridi color del cielo, assottigliando il suo sguardo. «Sta pur certo che la prossima volta ti colpirò. Ti strapperò il cuore dal petto mentre mi guardi, se me lo renderai necessario.»
Orione non disse altro. Restò in silenzio a fissare il viso di Apollo prima che questi si decidesse a voltarsi e a scomparire.
Parlava con velata circospezione, ma era chiaro cosa volesse dire: sapeva dove Orione era diretto anche se il luogo non era preciso.
Da Artemide.
Dovunque lei fosse.
 
 
«Tuo fratello è forse in collera in questi giorni?»
Artemide staccò gli occhi dalla propria strada per voltarsi a favore di Orione.
«Quando l’hai visto?»
«Mentre ti raggiungevo. Era vicino alla spiaggia», rispose. «Mi ha scoccato una freccia in mezzo ai piedi e mi ha detto che mi aveva mancato di proposito. In più il cielo mi pareva buio, si dice reagisca così quando è arrabbiato.»
Artemide stava provando una lunga serie d’emozioni complicate nell’arco di troppi pochi giorni: appena il pomeriggio prima s’era vergognata di sé come non ricordava d’aver mai fatto; si era incollerita con Apollo e aveva dovuto affrontare il proprio imbarazzo preparandosi a una nuova battuta di caccia con Orione. Se non altro inviperirsi nuovamente con il fratello le aveva concesso qualche momento di tregua dalla sensazione che le annodava lo stomaco e che credeva troppo astratta per parlarne con l’uomo al proprio fianco.
«Malaka», sibilò fra i denti.
Non si fosse imposta un certo portamento avrebbe addirittura sputato a terra.
A quell’insulto sul viso del cacciatore parve comparire l’ombra di un sorriso.
Artemide sembrava furiosa e Orione forse questo trarre dalla propria rivelazione.
«Ignoralo, vuole rovinarmi la vita», riprese la parola Artemide.
«Avete discusso?» indagò Orione.
«Più o meno.»
Per Artemide il discorso era da concludersi lì. Orione non era dello stesso avviso.
«Di che cosa?»
«Siamo qui per parlare o per cacciare?»
Artemide gli camminava sempre un passo avanti, guidava com’era giusto facesse una dea. Allora però gli appariva solo sfuggente, desiderosa di sgusciargli dalle dita come l’acqua fresca di un torrente.
«Sono venuto a incontrare te. La caccia è solo l’attività a cui siamo più abituati.»
Artemide credeva la propria domanda, brusca e graffiante come sabbia sulla pelle, sarebbe stata sufficiente a spostare tutta l’attenzione di Orione sulla ragione per cui lei credeva si fossero incontrati: cacciare. Poco importava che volesse anche parlargli; lei non parlava, soffocava ogni briciolo di quella volontà in fondo al cuore. E dopo le disastrose pieghe prese dalla discussione avuta con Apollo il giorno prima dubitava avrebbe trovato tanto in fretta la voglia di aprirsi con altre persone.
«Stai forse dicendo che cacci per forza, di solito?» lo provocò.
Tutto pur di svoltare al primo bivio disponibile nella conversazione, di imboccare una strada sicura per un nuovo argomento.
«Artemide», incalzò lui.
Le prese la mano come aveva fatto il giorno prima, per trattenerla quand’era stata sul punto di fuggire. Artemide guardò le loro dita e i suoi occhi per un istante parvero sul confine tra l’oltraggiato e lo sconvolto. In realtà aveva gli occhi così spalancati solo perché si rendeva conto che l’icore sarebbe stato in grado quanto il sangue degli umani di renderla paonazza.
«Cosa vuoi sentirti dire?» ribatté lei. «Quel che ho detto ad Apollo? Gli ho raccontato di ieri al fiume», strariparono le parole. «Non ho alcuna voglia di affrontare ancora il discorso dopo aver visto gli effetti che un dialogo civile ha su mio fratello.»
«Io non sono tuo fratello», le fece notare Orione.
Artemide schioccò la lingua e con un sorriso sarcastico rifuggì i suoi occhi.
«Sei un uomo e io credo di non saper parlare con… voi
«Così mi offendi.»
«Così ti dico la verità.»
Artemide si accorse che Orione aveva mosso un passo verso di lei.
«Perché hai pensato al fiume?»
Quell’unica parola, fiume, avrebbe dovuto farle capire quanto si sarebbe compromessa solo pronunciandola.
Per qualche ragione, del tutto incoerente con le proprie parole, Artemide scelse di rispondere; perché non c’era ragione di fare altrimenti, o di contenersi.
«Perché mi sono sentita un’idiota. Mi vergognavo.»
«Di che cosa?»
Le domande di Orione parevano quelle snervanti di un bambino curioso e portarono Artemide a strappare le proprie dita alla presa salda delle sue.
«Oh, lo sai di che cosa!» quasi gli gridò contro. «Di quel che ho fatto, di quel che ho detto.»
Di come mi hai respinta.
Ma lo pensò, senza parlare.
Pensò questo e che, ancor di più, si vergognava del pensiero che se solo avesse ricordato di nuovo che Eos non era mai stata tanto lontana da Orione come allora avrebbe tentato ancora di sedurlo, perché per la prima volta nella vita sentiva il bisogno di avere qualcuno con sé. Sentiva il bisogno di avere lui, con sé.
«Non hai ragione di vergognartene, Artemide.»
Un altro passo verso di lei. Artemide arretrò e iniziò a sentire con un tallone le radici nodose di un albero.
Non si sarebbe fatta mettere con le spalle contro un tronco, se non avesse voluto. Non sarebbe rimasta a guardare il sorriso seducente sulle labbra di Orione.
«Mi hai respinta.»
Lo esalò, alla fine.
Era un pensiero che faceva male come mille aghi conficcati sotto la pelle, le bruciava come il sale su una ferita aperta.
«Pensavo fosse meglio così.»
Quand’era con Orione, Artemide perdeva la bussola. Il sud diventava nord, l’est diventava ovest. Non si orientava, non capiva. Poi lo guardava e continuava a non comprendere, ma realizzava anche quanto non le importasse.
Racimolò delle parole e costruì una domanda. Rudimentale e impacciata, ma pur sempre qualcosa che soddisfacesse i suoi pensieri o le desse la pallida illusione di riuscire a farlo.
«Perché ora?»
«Perché ci ho riflettuto.»
Le dita di Orione erano ruvide per le molte ore trascorse nella foresta, calde e robuste. Dopotutto di lui le leggende narravano fosse un gigante. Artemide non le aveva mai sentite sul proprio viso, farsi largo fra i capelli e camminare sicure come un contadino fa nel suo campo di grano.
Pensò che le bastasse. Pensò fosse sufficiente sapere questo, che ci aveva riflettuto, che nella sua mente avesse una logica e che qualsiasi cosa sarebbe accaduta, la vergogna del giorno prima non aveva motivo d’esistere: non si era resa ridicola. Orione era lo stesso uomo che aveva riconosciuto in quelli che per tutti erano i suoi difetti più grandi ciò che la rendeva unica.
Poteva fidarsi di lui.
Artemide non aveva mai baciato qualcuno.
Non era previsto lo facesse.
Aveva conosciuto solo baci casti, sulle guance e sulla fronte, o fra i capelli. Baci carichi d’affetto e che aveva creduto le sarebbero bastati per sempre.
Quando le labbra di Orione sfiorarono le sue fu strano. Per un momento si ritrasse, come scottata, mentre sentiva il suo fiato caldo e si rendeva conto che così, funzionava; così sarebbe stato baciare qualcuno.
Ma non riusciva a provare una bella sensazione.
Non riuscì a sentire il cuore scalpitare, non si sentì felice e colma di quel calore di cui tutti parlavano.
Mentre una mano di Orione le teneva il viso, l’altra scese lungo il suo chitone. Sul fianco e sulla sua gamba. Sfiorò la pelle.
Poi d’improvviso una consapevolezza le lampeggiò nella mente.
Ha sorpreso Ares ed Eos insieme.
Le parole di Apollo. Come una profeta o come un guastafeste, il gemello aveva fatto capolino ancora una volta nella sua mente.
Il tarlo del dubbio era lì, insidiato nel proprio nido fra i pensieri; non avrebbe potuto pensare ad altro nemmeno mentre Orione la baciava.
Era il suo desiderio più grande, il giorno prima. Un desiderio che era incapace di comprendere, nel momento in cui quello stesso bacio era arrivato. Quei pensieri glielo resero indigesto, sbagliato.
Ma non era colpa di Apollo.
Era perché Artemide, a quelle parole, stava dando un significato. E quel significato si componeva dei gesti di Orione.
Artemide si ritrasse.
«Che cosa c’è?» chiese lui.
Parve spazientito.
«Perché…» biascicò Artemide. «Perché ci hai ripensato?»
«Ne dobbiamo parlare ora?»
Tentò di baciarla ancora e Artemide si scostò.
«Sì. Sì, ne dobbiamo parlare ora.» Capì che non avrebbe ottenuto risposta, così fu lei a chiedere. «Perché sei in collera con Eos?»
Silenzio.
«Rispondimi.»
Non alzò la voce, non gridò. Si innervosì, solo questo.
Artemide iniziò a sentire mille rivoli di ghiaccio farsi acqua dopo essersi sciolti lungo le sue scapole e la sua spina dorsale. Parvero scendere giù e la fecero rabbrividire.
«Mi ha tradito.»
Artemide pensò che sotto i suoi piedi si fosse spalancata una voragine pronta a precipitarla nell’Ade. Sentì anche le vertigini. Ma si trattò solo di una speranza vana, irrealizzabile; Ade sarebbe stata un’ottima compagnia, allora, ma non le aveva fatto l’enorme favore di farsi largo con prepotenza in un momento simile accogliendola nel proprio regno.
«Con Ares.»
Fu Artemide a completare la sua frase.
Orione fu sorpreso, ma ancor più arrabbiato nell’udire quel nome.
«Lo sapevi?»
Artemide avrebbe annuito, ma la sua mente era già altrove. Lontana, come lei si allontanava quando cacciava. Lontana, troppo rapida per i propri stessi pensieri. Saettava fra gli alberi e non un’idea o un problema riusciva a raggiungerla.
«Lei ti ha tradito con Ares», cominciò. «Quindi tu ora stai tradendo lei.» Prese un respiro prima di dirlo. «Con me.»
«È più complicato di così, Artemide.»
«Oh no invece, a me sembra tutto estremamente chiaro.»
Conquistare la fiducia di Artemide era difficile: andava accudita, curata come una pianta bisognosa di mille e più attenzioni. Ma perderla era di gran lunga più semplice. Serbava rancore e chiudeva un capitolo senza dargli più alcuna speranza.
«Ieri mi desideravi, perché ora no?» domandò Orione. «Cos’è cambiato?»
«Ieri non sapevo quello che so ora.» Le sembrava sciocco anche solo doverlo spiegare. «Ieri hai detto di avermi respinta perché stavi pensando ai miei sentimenti e ai suoi. Hai detto di aver riflettuto, ma penso tu abbia solo capito cosa potevi permetterti di fare.»
L’interesse di Artemide l’aveva scottata.
Questo aveva detto, Apollo: diventerà ingordo.
Aveva ragione.
Artemide lo superò. Improvvisamente il proprio atteggiamento del giorno prima smise di sembrarle degno di vergogna; fu quel bacio a farla sentire così. Usata da un uomo. Proprio lei, Artemide.
Dei, quant’era caduta in basso?
«Non ti importava di Eos ieri. Sapere cos’è accaduto non cambia le cose.»
Fu questo a farle perdere le staffe, a farla infuriare.
Fino ad allora Artemide gli aveva dato le spalle, troppo orgogliosa perché i suoi occhi che mai si mostravano lucidi dessero voce alla verità, a quanto stesse soffrendo. Ma non era così codarda da non affrontare un nemico guardandolo negli occhi.
Per un istante parve quasi che i suoi capelli si fossero fatti elettrici, gli occhi grigi che minacciavano lacrime ma perseveravano nel trattenerle come una diga. A fatica, ma forti.
«Non sono un qualche giocattolo che usi e poi lasci da parte quando non serve più», gli ringhiò contro. «Ti voglio lontano da quest’isola. Non mi importa se ci vive anche Eos, non mi importa se te ne andrai con o senza di lei.»
Orione incassò in silenzio, perché Artemide aveva ogni ragione. E aveva ragione.
«Sta lontano da me.»
«Artemide…» parlò solo allora lui, muovendo un passo.
«Sta lontano da me!»
Artemide fu di nuovo lontana. Da tutto e da tutti. Si spinse fin sulla cima rocciosa del monte Cinto e vi rimase, in silenzio, mentre tante emozioni che mai credeva di aver provato le si scuotevano dentro e le rendevano difficile respirare.
Apollo aveva ragione. E lei era stata una sciocca.
   
 
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