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Autore: nattini1    08/01/2020    3 recensioni
Dopo lo scontro con Tony, Bucky e Steve si sono rifugiati in Wakanda. Bucky è ancora temporaneamente senza un braccio, il che lo porta ad aver bisogno di aiuto anche nelle piccole cose da parte di Steve, che lo convince che non c’è niente di umiliante e cerca come può di rendere la cosa più dignitosa possibile, lasciando che l’amico si abitui gradualmente.
Dalla storia: “Bucky provò a protestare ancora: «Ce la faccio, non sono più un bambino e non sono ancora uno stupido vecchietto!».
«Stupido lo sei sempre stato e ti ricordo che tecnicamente abbiamo più di cento anni» rispose Steve con un sorriso”.
Scritta per la 12 DAYS AFTER CHRISTMAS - 2019 EDITION del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

Come aveva detto Shuri? Il ricordo della squillante voce della ragazza echeggiò nella mente di Bucky: «Non ci sono cose che tu non possa fare con un braccio solo intanto che io te ne creo uno nuovo in vibranio, ma dovrai trovare un modo diverso per farle».

Se l’avesse avuta davanti in quel momento, le avrebbe dimostrato che era perfettamente in grado di suonargliele di santa ragione con un braccio solo, ma di certo non era capace di lavare un semplice piatto. Probabilmente la principessa non avrebbe compreso il suo disagio, lei di certo non aveva mai dovuto lavare un piatto in vita sua, ma per lui riuscire a portare a termine uno di quei piccoli compiti quotidiani era fondamentale: come avrebbe detto sua madre, il fatto che la sua attuale casa fosse semplice e modesta non era una scusa per trascurarla. E voleva farcela autonomamente. Raccolse i cocci dal fondo della bacinella e li gettò nel cestino; si morse le labbra, pensando che c’era un motivo se gli uomini erano stati fatti con le braccia che dovevano stare in coppia.

Non vedeva l’ora di riavere suo, odiava che Steve cercasse di sopperire a tutto quello che lui non riusciva a fare, dall’aprire un barattolo al tagliare una bistecca.

Dall’altro lato della stanza Steve finse di non essersi accorto di nulla; di solito lasciava che Bucky sparecchiasse mentre lui lavava i piatti, ma stavolta non era stato abbastanza veloce a finire di mangiare e l’amico l’aveva preceduto. Dopo lo scontro con Tony, aveva pensato che l’unico posto in cui sarebbero stati al sicuro era il Wakanda e, ringraziando il cielo, T’Challa li aveva accolti. La priorità di tutti era stata trovare un modo per vanificare il condizionamento mentale dell’Hydra; una volta riusciti nell’impresa, il re li avrebbe voluti ospitare in una suite nel suo palazzo, ma loro avevano preferito tenersi il più possibile in disparte, accontentandosi di sistemarsi in una semplice capanna. Dopotutto, durante la guerra avevano dormito in posti peggiori: lì avevano due comodi letti ed era piacevole riposare sotto quel tetto di paglia, circondati da pareti ricoperte da morbide pelli e rallegrate da tendaggi multicolore. Avevano anche un angolo pieno di cuscini; Steve sapeva che Bucky lo adorava: gli ricordava quando erano bambini e mettevano per terra i cuscini del divano. Non c’era energia elettrica né acqua corrente, ma un limpido corso d’acqua vicino forniva loro tutta quella di cui avevano bisogno.

Da subito Bucky aveva capito che, privato del braccio, nella lotta con bottoni, cinture e lacci sarebbe risultato inevitabilmente sconfitto e, non volendo l’aiuto di Steve per vestirsi (aiuto che sarebbe stato volentieri elargito), aveva preferito accantonare gli abiti occidentali e drappeggiarsi addosso i colorati panni tradizionali del luogo e girare a piedi nudi. Copriva il moncone con un pezzo di stoffa blu annodato. Portava i lunghi capelli raccolti sulla sommità del capo in una crocchia scomposta fermata alla bell’e meglio, da cui ricadevano molte ciocche ribelli. A Steve piaceva quell’effetto di pittoresco disordine; spesso indugiava nel guardarlo per fissare nella sua memoria eidetica ogni particole, ripromettendosi che un giorno, appena avesse avuto sottomano carta e matite, avrebbe reso giustizia a quell’immagine.

Bucky si era lasciato crescere la barba, più perché trovava difficile curarla che per la reale necessità di nascondere i suoi tratti, ma ormai era arrivata a un punto in cui era troppo lunga e gli dava fastidio. Decise quindi che era il momento di darci un taglio, letteralmente. Andò a prendere dell’acqua pulita (aveva imparato a sue spese che era più semplice recarsi al torrente con una brocca che con la bacinella, se non voleva rischiare di lavarsi nel tragitto), posò un catino sul tavolo accanto a rasoio e schiuma da barba, lo riempì e prese le forbici.

«Sembra che tu stia potando una siepe» commentò Steve osservando il modo in cui l’amico tagliava con veemenza i ciuffi scuri orientandosi con il suo riflesso in uno specchietto rettangolare appeso al muro.

«E per fortuna il braccio che mi è rimasto è quello buono!» rimbeccò Bucky con una punta di acidità.

Steve lo osservò mentre, terminata la prima fase dell’operazione, chinato sul catino, stava cercando di inumidirsi il viso: prendeva l’acqua con una mano e la portava in alto (a Steve ricordava molto un gatto), ma nel farlo più della metà del liquido colava lungo il braccio finendo per bagnare la maglia e il pavimento.

Bucky si lasciò sfuggire un’imprecazione a mezza voce.

«Linguaggio!» protestò Steve.

Bucky sbatté la mano sul tavolo: «Sono stato in grado di fare cose che non avrei mai creduto possibili, nel bene e nel male, e non sono capace di una cosa così semplice!».

«Sarei felice che mi lasciassi fare qualcosa per te. Se non ricordo male, un giorno tu mi avevi proposto di venire a vivere conte e mi avevi detto che tutto quello che avrei dovuto fare sarebbe stato tipo lucidarti le scarpe e magari portare fuori il pattume. L’offerta è ancora valida?» disse Steve dolcemente.

Bucky arrossì al ricordo di quella che nel suo cuore, anche se non era stato in grado di dirlo esplicitamente, avrebbe voluto essere molto più che una semplice proposta di convivenza. Allora credeva di essere lui quello più forte, quello che avrebbe dovuto prendersi cura dell’altro. Sospirò e rispose: «Non porto le scarpe e, se non ricordo male, tu hai rifiutato affermando che te la saresti cavata da solo. Posso cavarmela da solo».

«Ma tu mi hai ricordato che non ero obbligato a farlo» argomentò Steve che non aveva nessuna intenzione di demordere.

Entrambi sapevano come si era concluso il discorso: «Sarò con te fino alla fine, amico», una promessa che vivevano ogni giorno.

Steve si avvicinò e posò la mano su quella di Bucky: «Lascia che me ne occupi io. Quando ero io ad aver bisogno di te, quando ero malato e mi cambiavi le pezze bagnate sulla fronte, ci sei sempre stato. Permettimi di ricambiare».

Bucky provò a protestare ancora: «Ce la faccio, non sono più un bambino e non sono ancora uno stupido vecchietto!».

«Stupido lo sei sempre stato e ti ricordo che tecnicamente abbiamo più di cento anni» rispose Steve con un sorriso.

Bucky non riuscì a non sorridere di rimando e dovette cedere. Pensava ancora di non meritare tanto dall’amico, ma si era sempre dovuto arrendere davanti alla cocciutaggine e al grande cuore del piccoletto di Brooklyn; certe cose non erano cambiate.

Steve posò con delicatezza le mani sulle sue spalle invitandolo a sedersi con una leggera pressione; prese un asciugamano e glielo drappeggiò attorno al collo.

All’occhiata storta dell’amico per quella premura che riteneva evidentemente eccessiva rispose con un allegro: «Benvenuto al salone del barbiere Rogers, qui offriamo un servizio completo!». Poi ci ripensò e aggiunse: «A parte i giornaletti pornografici, qui non sono ammesse tali volgarità!». Aveva capito che scherzare con leggerezza era la chiave per permettergli di aiutarlo senza urtare i suoi sentimenti.

Infatti, come previsto, Bucky rise gettando la testa all’indietro.

A quel punto Steve immerse le mani nella bacinella d’acqua e poi le passò sul volto dell’amico per inumidirgli la pelle, picchiettandola dolcemente con la punta delle dita. Bucky non avrebbe mai ammesso ad alta voce quanto la sensazione fosse piacevole, ma chiuse gli occhi cercando di assumere un’espressione di dignitosa contrarietà. Steve si riempì una mano con una dose generosa di schiuma da barba e la trasferì con attenzione. Con una mano sfiorò da un lato la mascella dell’amico, che a quell’invito gentile inclinò docilmente il capo, poi prese un rasoio e lo fece scorrere dalla gola verso l’alto. Passò la lama più volte per brevi tratti, immergendo il rasoio nella bacinella per ripulirlo. Quando ebbe fatto tutto il volto, passò le dita per verificare al tatto che non avesse dimenticato qualche pelo e non fossero rimaste delle zone dove ripassare. Bucky emise un mugolio di soddisfazione (sì, Steve pensò che decisamente gli ricordava un gatto). Steve sciolse l’asciugamano dalle spalle di Bucky e ne intinse un angolo nella bacinella, usandolo poi per ripulire i residui di schiuma e tamponandolo poi con la parte rimasta asciutta.

Fece un passo indietro per ammirare il suo operato e quando l’amico riaprì gli occhi gli sorrise.

Bucky arricciò impercettibilmente di rimando gli angoli delle labbra all’insù e mormorò un «Grazie» a fior di labbra, pensando che c’era un motivo per cui gli uomini erano stati fatti per stare in coppia.

 

 

NdA

Ciao a tutti!

Appena ho letto il prompt ho subito pensato a Bucky e a Steve!

Mi sono documenta e pare che farsi la barba sia una delle cose più complicate per chi ha un braccio solo. Ammetto che è stata una sofferenza per me far tagliare la sua bellissima e sexy barba a Bucky, ma ho pensato che in una capanna priva di elettricità (e quindi nell’impossibilità di usare un regolabarba) prima o poi avrebbe dovuto tagliarla del tutto.

Ero anche indecisa se sviluppare o no la relazione, ma ho preferito una cosa soft pre slash (anche se mio marito dice che è slash all’ennesima potenza!).

 


 

 

   
 
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