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Autore: lady lina 77    09/01/2020    2 recensioni
Poldark, Season 5 Episodio 8: Cosa sarebbe successo se nell'episodio finale le cose fossero andate diversamente e Demelza si fosse imbarcata davvero coi suoi figli per la Jamaica, lasciando Ross al suo presunto tradimento con Tess? Cosa la attende ai Caraibi? Cosa le succederà? Che donna potrebbe diventare in quelle terre selvagge popolate da pirati? E i suoi figli?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il sole era accecante quando scesero dalla nave e il caldo, già soffocante di suo, era accentuato da quella massa indistinta di persone che, dopo mesi di navigazione, non vedeva l'ora di mettere piede a terra e spingeva per scendere dalla nave coi pochi bagagli che aveva con se.

Demelza, strattonata e coi bambini stretti a lei e a Prudie, lottò con tutte le sue forze per non farsi spingere a terra mentre la nausea a causa del caldo e della gravidanza, non le dava tregua.

Nella calca si guardò attorno, osservò quelle povere persone che, come lei, erano state costrette ad abbandonare il loro vecchio mondo alla disperata ricerca di una vita nuova e meno misera e si chiese se anche lei avesse il loro sguardo sperso e spaventato in quel momento. C'era di tutto, in quella nave, da povere famiglie vestite di stracci a giovani marinai che cercavano fortune in quei mari ancora inesplorati e in quelle terre da popolare.

Con i loro piccoli fagotti, finalmente furono a terra. Si era imbarcata coi bambini e con Prudie usando nomi falsi per non essere rintracciata eventualmente da Ross ma ora poteva tornare ad essere Demelza di Illugan, moglie abbandonata di Ross Poldark ma pur sempre moglie... E madre dei suoi bambini.

Appena fu a terra, osservò quel mondo nuovo che spesso aveva cercato di immaginare in quei mesi di viaggio ma mai era riuscita davvero ad inquadrare nella sua mente.

Era tutto così diverso dalla Cornovaglia...

Il cielo era di un azzurro intenso mai visto e il mare, dai colori talmente belli da sembrare quelli del Paradiso, sembrava fondersi con esso. Mai aveva visto un mare tanto magnifico e trasparente, dai colori che andavano dall'azzurro turchese al verde smeraldo e con delle acque talmente limpide da poter vedere il fondo anche lontano da riva.

Ma per il resto, tutto era ancora selvaggio e la natura rigogliosa formata da piante che non conosceva, sembrava voler lottare e inglobare quel piccolo borgo portuale costruito sulle spiagge e che diradava verso la foresta e le colline interne.

Il porto era composto da un ammasso di casette di legno costruite senza un effettivo criterio dove marinai e forse contrabbandieri andavano e venivano senza sosta. Baracche, più che case, povere, che scorrevano su strade sterrate dove persone ed animali vivevano in promisquità.

In lontananza, alla fine di un sentiero che costeggiava la foresta e che si staccava dal porto, scorse il piccolo campanile di una Chiesetta improvvisata e intorno ad essa delle costruzioni meno fatiscenti, forse le case delle poche persone abbienti dell'isola e dei governatori locali, circondate da una moltitudine di casette di legno colorate e da altre baracche che dovevano essere probabilmente il borgo abitato principale dell'isola.

Ormeggiate al porto c'erano altre barche, alcune grandi come la loro che dovevano aver portato migranti, altre più piccole e probabilmente appartenenti a pescatori e altre, ormeggiate più al largo, dall'aspetto sinistro e piene di uomini chiassosi che, a prima vista, dovevano forse essere pirati e gente poco raccomandabile.

Con i bambini, Prudie e Garrick, mosse i primi passi a terra, spersa e spaventata. Santo cielo, partire era stato facile a caldo ma ora aveva paura! Cosa avrebbe pensato Ross di un posto del genere? Di quella gente dai vestiti variopinti, povera ma col sorriso sulle labbra, di quei bambini magri e scalzi che sbucavano da ogni dove e correvano chiassosamente dappertutto senza nessuno che li guardasse e forse senza aspettative nella vita? Aveva portato lì i suoi figli, in quella terra lontana e sconosciuta e ora aveva paura... Aveva sbagliato? O fatto bene?

Pensò a Ross abbracciato a Tess e il cuore le fece male. E capì che non poteva permettere che il cuore facesse male anche ai suoi bambini e che aveva fatto bene a scappare da quel terremoto che si era abbattuto su di lei e sulla sua famiglia. Non sarebbero più stati felici in Cornovaglia, non lei, non i bambini. E sarebbero stati soli come lo erano stati gli ultimi mesi, con un marito e un padre assente e ormai disinteressato a loro. Una famiglia senza amore che famiglia sarebbe stata?

Scossa da quei pensieri, mentre muoveva incerta i primi passi in quella terra sconosciuta che presto sarebbe diventata la sua casa, la piccola Isabella-Rose le diede un calcione ben assestato che la fece fermare per riprendere fiato. "Giuda".

"Signora!" - la soccorse Prudie.

Jeremy rise. "Bella sta dando un saluto alla sua nuova casa".

Demelza sospirò. Isabella-Rose, per Jeremy e Clowance era diventata 'Bella'. Era con questo nomignolo affettivo che parlavano di lei e anche Demelza avrebbe voluto tenere con la figlia in arrivo quel tono confidenziale. Ma non ci riusciva, non riusciva davvero a ridurre le distanze con quella piccola bimba e per lei era rimasta Isabella-Rose Poldark. Niente confidenze, per ora...

Prudie, più spersa di lei e sudata come un cavallo, si asciugò la fronte. "La piccola Bella è al fresco nel pancione, ma noi si va arrosto. Che posto è questo, con un caldo così infernale?".

Demelza si trovò d'accordo. Era una terra strana la Jamaica, con un mare dai colori del Paradiso e un caldo che ricordava le fiamme dell'inferno. Si sarebbero abituati a quel clima assurdo? Osservò le donne del posto, indossavano abiti che sembravano per lo più sottovesti leggere, con le gonne sopra la caviglia, le braccia scoperte, informali e piuttosto sfrontate nel mostrare le loro curve. "Ci abitueremo, Prudie" – tentò di consolarla, anche se con poca convizione.

"E mentre ci abituiamo? Arrostiamo?" - insistette la domestica.

Già, dovevano fare qualcosa e in fretta. Indugiare in quel porto sarebbe servito a poco visto che non avevano né una casa né punti di riferimento. E quindi dovevano sbrigarsi, cercare informazioni su Kitty e Cecily e poi mettersi alla loro ricerca. "Andiamo verso il paese, dove c'è la Chiesa! Qualcuno forse saprà darci informazioni".

Clowance, saltellando, le indicò la spiaggia bianca che si stagliava dopo il porto. "Nel caso non troviamo Kitty e Cecily, mamma, potremo dormire lì!Davanti a quel mare, sai che bella avventura sarebbe?".

Demelza le sorrise, appoggiandole la mano sulla spalla. Era così indomita, le ricordava un sacco suo padre... "Oh lo faremo, te lo prometto. Ma solo quando avremo comunque una casetta nostra dove tornare, nel caso ci stancassimo di tutta quella sabbia".

"Dove le cerchiamo Cecily e Kitty?" - chiese Jeremy.

Demelza osservò il piccolo campanile della Chiesa e lo indicò al figlio. "Credo che nessuno possa conoscere meglio la gente dell'isola di un prete. Che ne dite di iniziare da lì?".

Jeremy annuì. "Sì, ottima idea mamma" – le rispose, prendendola dolcemente per mano.

Fecero per avviarsi verso il villaggio con Prudie che borbottava, Garrick che correva entusiasta in quella nuova terra e i bambini che chiacchieravano, quando un gruppetto di monelli sporchi, scalzi e malnutriti corse verso i nuovi arrivati della nave, urlando come forsennati. "Correte, correte nella piazza signori! Un grande spettacolo per voi! E ve lo abbiamo detto noi, ricordatevi di darci una monetina per avervelo detto!".

Demelza sospirò. I monelli erano uguali in tutto il mondo, furbi, intelligenti, scaltri e capaci di chiedere una moneta per qualsiasi cosa, anche la più futile. Erano così magri quei bambini, ma pieni di vita. Come era stata lei fin da piccola, sempre con la pancia vuota e una energia comunque indistruttibile.

Clowance si avvicinò ad uno dei bambini. "Che succede?".

Il mocciosetto che doveva essere il capo della combriccola, un bambino biondo forse di cinque anni, tirò su col naso pulendosi poi la faccia con la mano. "Impiccano un pirata! Uno spettacolo vero, signorino! Una moneta per l'informazione, grazie" – concluse, allungando la mano verso di lui.

"Che faccia tosta!" - sbottò Prudie.

Demelza si avvicinò per riprendere Clowance. "Vi ringrazio per la gentile informazione ma non abbiamo soldi da darvi e non intendiamo andare a vedere un uomo che muore".

"Ma signora! Il pirata Flint Dancan! Terrore dei mari del sud, catturato dalla guardia inglese dopo mesi di inseguimento! Non potete perderlo".

"Credo che potrò farne a meno" – disse Demelza, donando comunque ai piccoli il poco pane che aveva portato per lei dalla nave.

Il monello, forse deluso dal dono che però prese e divorò in un secondo, sospirò. "Come volete signora!". E poi corse via.

Jeremy le strattonò il braccio. "Mamma, mamma! Dai, andiamo a vedere com'è questo pirata! Un pirata vero, con un occhio bendato, la bandana nera e un pappagallo sulla spalla".

"Appeso per il collo!" - aggiunse Clowance.

Demelza prese per mano entrambi, decisamente meno entusiasta. "E' uno spettacolo orribile e non lo guarderei per nulla al mondo. E non abbiamo tempo da perdere, abbiamo cose più importanti da fare".

"Grazie al cielo" – borbottò di nuovo Prudie.

I bimbi parvero delusi ma alla fine ubbidirono, come sempre. "Come vuoi, mamma... Tanto di pirati impiccati mi sa che è piena quest'isola. Pirati ovunque, morti ma anche vivi!".

Demelza, facendo finta di non sentirli, si incamminò stancamente, dando un'ultima occhiata alle persone che avevano diviso quella nave con lei in quei mesi. Tutti loro sarebbero ripartiti da zero, con paura ma anche voglia di fare. E silenziosamente, ad ognuno di loro, augurò buona fortuna anche se non li conosceva...

Camminando nel sentiero che conduceva al villaggio, osservò le rigogliose piante che sembravano voler fagocitare in loro quel pezzo di civiltà che si era impossessato dell'isola e si chiese chi l'avrebbe avuta vinta in quella battaglia: uomo o natura? C'era nell'aria un profumo intenso di frutti sconosciuti e di piante, unito alla salsedine del mare, un clima asciutto che dopo tutto, appena fattaci l'abitudine, faceva apprezzare anche quel caldo fortissimo e in fondo decise che quel posto era affascinante e che i colori del Paradiso aveva vinto sul calore soffocante dell'inferno. Avrebbe amato quel posto, ci sarebbe riuscita. E ne avrebbe conosciuto segreti, abitudini e tutto ciò che serviva per viverci.

Poi però sorpassarono un gruppo di una ventina di giovani uomini di colore che, in catene, camminavano in senso opposto al loro, spinti in malomodo da uomini bianchi muniti di fruste. E di colpo l'inferno sembrò bussare in quelle candide terre, ricordando a Demelza quanto le aveva raccontato Kitty Despard. Allora questi erano...?

"Mamma, sono schiavi quelli?" - chiese Clowance pronunciando quella parola che, dai racconti di Kitty sua madre aveva imparato ad odiare, un pò intimorita dal vedere uomini martoriati, smunti e in catene e con sguardo cupo e assente come se fossero già morti.

"Sì" – rispose un vecchio uomo dalla lunga barba che camminava di fianco a loro, diretto verso il paese.

Lo guardarono, dagli abiti sembrava un marinaio e comunque un uomo esperto della zona. "Dove li portano?" - domandò Demelza.

Il vecchio alzò la spalla, portandosi alla bocca la pipa che teneva fra le mani. "Nelle piantagioni dei signori dell'isola, nell'entroterra. Probabilmente sono uomini di Sir Copper. O di Gillet o Cameron... Sono loro i signori della Jamaica, comprano al mercato gli schiavi migliori per lavorare le loro terre. Credo siano di Copper, sì. Casa sua si trova nella direzione che stanno seguendo, nell'entroterra.

Copper? Demelza si accigliò, aveva già sentito quel nome...

Copper, Copper...

Improvvisamente le venne in mente la piccola e strana ragazzina incontrata sul pontile poche ore prima, di notte assieme alle sue due strane guardie del corpo e alla sua silenziosa domestica. Si chiamava Lilith Copper e aveva detto che suo padre era il più potente uomo dell'isola... Non l'aveva vista mentre sbarcavano dalla nave ma probabilmente i viaggiatori di prima classe scendevano da pontili separati e qualcuno era venuto a prenderla prima che la ressa dello sbarco la coinvolgesse. Vedendo quegli schiavi e ricordando le parole della bambina su suo padre, ora capiva da cosa derivasse la sua potenza e la sua ricchezza. Si ricordò di Hanson, il padre di Cecily e capì che questo Copper non doveva essere molto diverso. E la figlia pareva la sua degna erede... "E' il governatore dell'isola?" - chiese, al vecchio con la pipa.

Lui rise. "Copper? No, che gli importa di Governare? E' amico dei governatori, questo sì! E loro sono amici suoi, un mutuo scambio di favori che gli permette di lavorare nell'ombra senza compromettersi e condurre tranquillamente i suoi loschi affari con la protezione dei poteri forti".

"E' una persona potente, quindi, in queste terre?".

L'uomo la adocchiò pensieroso. "Sì, ma... Diciamo che se dovessi scegliere se essere amico di Copper o di uno squattrinato pirata... sceglierei il pirata".

Demelza spalancò gli occhi e anche Prudie e i bambini fecero lo stesso. "Addirittura? Ne stanno per impiccare uno in piazza, però...".

Il vecchio sorrise, prima di sorpassarla e andarsene per la sua strada. "Siete appena arrivata, vero signora?".

"Sì".

"Imparerete molte cose su queste terre, su chi le abita e di chi essere amica. Benvenuta in Jamaica, mia lady". E così dicendo, a passo veloce quasi fosse un giovane, scomparve nella via sterrata davanti a loro. Lasciando nella mente di Demelza ancora più dubbi di quanti ne avesse avuti poco prima durante lo sbarco. In che diavolo di posto era finita?


...


Le avevano mandato incontro a prenderla due schiavi, una donna di circa trent'anni e un uomo molto più anziano, con un cavallo nero su cui Tim e Tom l'avevano posta come se fosse stata un pacco.

Lilith stavolta li aveva lasciati fare senza rimostranze, spaurita, stanca e accaldata. Che posto strano questa Jamaica, così diverso da Belfast e da tutti i luoghi visitati con i suoi nonni. Non c'erano palazzi ma solo casette di legno fatiscenti, bambini dai più disparati colori di pelle che correvano scalzi e vestiti di stracci fra viottoli sterrati e alberi, un panorama selvaggio oltre al piccolo paesino portuale che li aveva accolti e tutt'attorno un mare dai colori che andavano dal verde smeraldo all'azzurro intenso.

Era una bella visione ma si sentiva spaventata e i 2 schiavi di colore di suo padre e i suoi tre accompagnatori, col loro silenzio non aiutavano a renderla più serena. “Quanto manca alla casa di mio padre?” - sbottò infine, sul cavallo, mentre la conducevano fuori dal porto e dal piccolo borgo marinaro, diretti verso la foresta e poi chissà dove.

I due schiavi si guardarono spaventati per il fatto che lei gli avesse rivolto la parola ed ora esigesse una risposta.

E allora?” - insistette Lilith, stizzita.

Fu l'uomo a parlare, in una lingua stentata, con un tono sommesso e quasi spaventato. “Dopo qualche miglio nella foresta, saremo alla tenuta del padrone. La grande casa è in mezzo alla vegetazione, lontana dalla folla del porto”.

Lilith si asciugò la fronte madida di sudore. “Sbrigatevi!”.

Non aveva così voglia di vedere suo padre, a dire il vero. Era più che altro incuriosita dalle tante voci che aveva sentito su di lui, alcune grandiose, altre meno lusinghiere... Non lo incontrava da quasi quattro anni ma ricordava che i suoi nonni non parlavano spesso di lui e quando lo facevano, non ne sembravano entusiasti. Dicevano brutte cose di nascosto, su di lui, che lei aveva ascoltato rannicchiata dietro le porte. Amava i suoi nonni ma non aveva mai voluto credere a cosa dicessero di suo padre. Che era feroce, crudele ed avaro, dovevano essere solo frottole! Che ne sapevano loro, a Belfast? Dicevano anche che la loro amata figlia, sua madre, era morta a causa sua. Che colpa ne aveva suo padre se lei era caduta dalle scale?

Certo, non poteva nascondere a se stessa una certa inquietudine comunque. Suo padre le era sconosciuto, aveva sei anni l'ultima volta che lo aveva visto e ne ricordava poco persino i tratti del viso. Aveva i capelli neri, nerissimi, questo lo sapeva. E dei baffetti molto curati che stavano bene sul suo viso scavato e magro. Non era molto alto ma aveva una figura elegante, anche questo ricordava... E poi basta, sapeva solo che era l'uomo più potente e ricco della Jamaica.

Persa in quei pensieri, mentre oltrepassavano strane piante che mai aveva visto, Lilith quasi non si accorse del grande cancello e del grande muro giallo che avevano oltrepassato. Un viale acciottolato più elegante che attraversava un rigoglioso giardino molto curato fu l'ultimo tratto del suo viaggio prima di giungere al grande ingresso di una elegante villa bianca a due piani, con tante vetrate, una grande veranda e un enorme terrazzo al primo piano che dominava il giardino. La casa, di forma curva, pareva cingere il giardino più interno come a volerlo proteggere dall'esterno selvaggio ed inospitale. Una gabbia dorata, questo le venne in mente... Un posto bello ma che sulle prime le fece paura.

Tanti uomini di colore malvestiti e malnutriti sbucarono dal giardino e dai campi circostanti, avvicinandosi con circospezione e timore. I due schiavi venuti a prenderla al porto la aiutarono a scendere da cavallo e a quel punto la grande porta d'ingresso si spalancò e un uomo dai capelli neri ne uscì, scendendo i tre scalini che separavano l'atrio dal giardino. “Lilith, finalmente sei arrivata”.

La ragazzina deglutì. “Padre” - mormorò, esibendosi in un perfetto inchino. Poi si avvicinò a lui che la aspettava con passo elegante, a testa alta. Quando gli fu davanti si esibì in un perfetto inchino e con fare formale ed educato, allungò la mano a stringere quella dell'uomo. Le persone per bene, le avevano insegnato, non si abbracciano. Si salutano così, educatamente, senza esibirsi in plateali manifestazioni d'affetto. Solo i poveracci e gli analfabeti si abbracciano e baciano e lei non era né l'una né l'altra.

Suo padre la guardò intensamente, come a volerla studiare. Si lisciò i baffetti con le mani e poi annuì soddisfatto. “Vedo che sei stata educata bene alle buone maniere”.

Sì signore” - rispose la bambina.

L'uomo fece cenno a una domestica di portargli qualcosa e la donna, anch'essa di colore, corse in casa uscendone poco dopo con una grande ed elegante bambola fra le mani, dai capelli biondi e con indosso un bellissimo vestitino rosso di velluto. “Questa è per te, Lilith. E' un gioco adatto a una futura lady e padrona di casa, ti preparerà per il tuo ruolo di madre e moglie”.

Lilith osservò la bambola. Mai si doveva dimostrare scontento davanti a un regalo, era cattiva educazione e lei non voleva sfigurare davanti a suo padre, ma le bambole non le aveva mai amate troppo ed erano almeno due anni che non ci giocava. Osservò silenziosamente Tim, Tom e Miss Thorpe, la sua domestica, e loro le fecero cenno di ringraziare e non dire altro. “Grazie” - disse infine, senza però particolare entusiasmo.

Suo padre se ne accorse. “Non è di tuo gradimento?”.

Oh, è bellissima! Ma adoro leggere i libri più che il gioco con le bambole”.

L'uomo si accigliò, prima di mettersi a ridere. “Libri? A che ti serve essere istruita quando sei figlia di Vincent Copper e potrai avere TUTTO senza fatica?”.

Ma a me piacciono comunque” - rispose la piccola.

Copper sbuffò. “Beh, se ci tieni tanto, avrai qualche libro”.

Davvero?”.

L'uomo annuì. “Ovviamente veglierò sulle tue letture e non spenderò capitali per comprarti dell'inutile carta rilegata. Li ritengo una perdita di tempo ma al villaggio c'è un gruppo di missionarie che gestisce un orfanotrofio e vende vecchi libri usati portati dai viaggiatori europei che si trasferiscono qui”.

Libri usati? Non che la cosa la entusiasmasse, ma sempre meglio di nulla. Ed era troppo in soggezione per muovere delle rimostranze davanti a un padre che ancora non conosceva e che gli appariva fin troppo distante dalle sue abitudini e dai suoi gusti. “Grazie, padre” - rispose, inchinandosi di nuovo.

L'uomo sospirò, osservando i tre accompagnatori della figlia. “Il viaggio? Andato bene?”.

Lungo e noioso” - gli rispose, a tono.

Copper rise. “Bene, sei senza peli sulla lingua, mi piace! I miei due schiavi che son venuti a prenderti ti hanno trattata con rispetto?” - chiese, squadrando i due che, in un angolo, attendevano nuovi ordini senza fiatare. Come tutti gli altri, del resto... C'erano tante persone in quel giardino ma solo in quel momento Lilith si accorse del grande silenzio che li attorniava.

Lilith annuì, colpita da quell'aspetto. “Sì. Ero stanca e loro mi hanno detto che saremmo giunti qui in poco e hanno rispettato i tempi che mi hanno preventivato”.

Cosa?”. L'espressione di Copper cambiò di colpo, si incrinò, i suoi occhi divennero cupi e con furore mischiato ad odio, osservò i due. “Chi? Chi ti ha parlato?” - chiese alla figlia, gelido, mentre i due schiavi iniziavano a tremare.

Senza capire, Lilith rispose. “Lui, quel signore”.

Copper si avvicinò all'uomo, prendendolo per il bavero e sbattendolo con violenza contro il tronco di una pianta. Era minuto ma in quel momento Lilith si accorse di quanto forte e rabbioso potesse essere. “Hai osato rivolgere la parola a mia figlia? Piccolo verme, lo hai fatto?” - urlò, piantandogli un pugno nello stomaco.

L'uomo boccheggiò, annaspando e lottando contro l'aria per non cadere. “La signorina mi ha fatto una domanda e io...”.

TU dovevi stare zitto! I vermi non rivolgono la parola alle principesse, eseguono solo i loro ordini. Lo sai, lo sai vero qual'è il tuo posto? Beh, forse lo hai dimenticato ma te lo ricorderò io". Si voltò verso un altro schiavo, fermo ed immobile. Nessuno sembrava capace di muovere un dito per aiutare l'amico in difficoltà. “Entra in casa e prendimi la frusta, ho bisogno di allenare il mio braccio e questo verme me ne darà l'occasione”.

Gli occhi di Lilith si riempirono d'orrore. Che stava succedendo? Che aveva fatto di male quell'uomo? Era colpa sua? Spesso diceva a Tim e Tom che li avrebbe fatti frustare ma mai aveva visto davvero un uomo che frusta qualcun altro. “Padre?! Gli ho fatto una domanda, lui è stato gentile a rispondermi”.

Copper si voltò verso di lei, cercando di tenere a bada una rabbia furente. “Lilith, impara la lezione più importante! Tu sei una persona, loro sono animali. Tu comandi, loro eseguono senza parlare! Loro non hanno il diritto di dirti nulla, sono bestie, vanno guidate e strigliate quando non ubbidiscono e d'ora in poi non voglio che tu ti sbagli ancora quando hai a che fare con loro! NON devi parlare con gli uomini dalla pelle scura! Né uomini, né donne, né bambini. Sono bestie e noi non parliamo con le bestie!”.

La bambina guardò guardò Miss Thorpe e Tim e Tom in cerca di aiuto. Ma loro le fecero capire di non dire nulla. Purtroppo però lei non riusciva, non era mai stata capace di star zitta. “Io non lo sapevo, non è colpa di quell'uomo. Non gli parlerò più ma voi... voi per questa volta...”.

Copper, a dispetto di tutto, sorrise. Un sorriso gelido di chi già pregusta il piacere di sottomettere qualcuno completamente in sua balìa. “Cuore debole di donna il tuo, figlia. Ma io frusto questa specie di uomo per il suo bene, per insegnargli”. Poi si rivolse ai suoi tre accompagnatori. “Tim, Tom, voi sarete le guardie del corpo di Lilith, la seguirete ovunque quando uscirà dalla tenuta. La accompagnerete al villaggio per le sue passeggiate e per prendere i suoi libri senza perderla di vista e riferendo a me ogni cosa che le succede. Miss Thorpe, voi curerete la sua persona, le sue stanze e veglierete sul suo cibo e il suo sonno. E ora portate mia figlia in camera sua, la domestica vi farà strada”.

La donna che aveva portato la bambola fece cenno di seguirla e mentre lei fu costretta ad ubbidire e si allontanava con Tim, Tom e Miss Thorpe, vide suo padre trascinare via lo schiavo e gli altri schiavi rimanere fermi, immobili e in silenzio. Si sentì di voler piangere ma sapeva anche che non era signorile farlo. Non conosceva quel mondo e quello che le appariva cattivo, forse non lo era. Suo padre diceva che lo schiavo meritava delle frustate per il suo bene e lei doveva credergli. Questo era il compito di una brava ed educata figlia.

La domestica li condusse in casa, elegante, raffinata e dalle pareti bianche e candide. Mobili di pregio ovunque, quadri di valore alle pareti, una grande scala in legno e al primo piano, con un balcone che dava sul giardino e sul mare che si intravedeva in lontananza, una magnifica stanza per lei, piena di giochi e di ogni agio, con un grande letto a baldacchino. Ma non riusciva ad esserne contenta e si sentiva fuori posto e spaventata.

Mentre Miss Thorpe si affaccendava a disfare i bagagli che uno schiavo aveva portato nella stanza, Lilith si avvicinò alla finestra e lo vide... Di sotto, in giardino, c'erano suo padre e lo schiavo, legato a un albero, percosso da decine di violente frustate inferte senza pietà sulla sua schiena sanguinante e martoriata. Da suo padre...

I suoi occhi si riempirono d'orrore. Possibile che quello fosse fatto per far del bene? Sangue e urla erano fare del bene? La sua mano tremò, si sentì sola e spersa in un mondo non suo dove non conosceva nulla, suo padre gli apparve più simile ai racconti dei suoi nonni che a quelli lusinghieri dei suoi soci in affari e desiderò tornare a casa sua, a Belfast.

Improvvisamente la mano di Miss Thorpe le strinse il braccio. La donna tirò le tende e con uno strattone la allontanò dalla finestra e da quella visione orribile. “Non guardare!” - le intimò - “Quello non è uno spettacolo per te”.

Ma...”.

Ma la donna, di solito taciturna, parlò di nuovo. “Zitta e ascolta! Non guardare, qui è così che funziona”.

Voglio tornare a casa” - mormorò la piccola, ancora più confusa.

Questa ora è la tua casa”.

Non mi piace”.

La donna la prese per le spalle, scuotendola. “Zitta! Se tuo padre ti sentisse...”.

Ma lei non stette zitta. “I miei nonni dicevano che ha ucciso mia madre”.

ZITTA!”.

Lo sai? Tu sai se è così?”.

ZITTA!!!”.

Lilith, con uno strattone, si liberò dalla stretta. “Andiamo via! Con la prima nave, subito!”.

Miss Thorpe, pallida, la strinse a se. “Non è possibile”.

Cerca un modo! Con Tim e Tom. Cercalo o io urlerò come volevo urlare sulla nave. E dammi del LEI quando mi parli, non osare mai più prenderti tutta questa confidenza” - le comandò la ragazzina.

Ma Miss Thorpe non si fece schiacciare, anche se si accorse dell'errore commesso a causa dell'agitazione, nel rapportarsi con la sua padroncina. “Perdonatemi, la preoccupazione per voi...”.

Non importa. Cerca un modo o urlerò”.

Miss Thorpe scosse la testa. “Non lo farete”.

Come lo sai?”.

Lo so perché anche voi sapete bene che non potete farlo”.

Perché?”.

Sapete anche questo”.

Arrabbiata, frustrata e spaventata, Lilith prese la bambola donatale dal padre che era stata appoggiata sul letto e la scaraventò contro la parete. “Questo posto non mi piace”.

Miss Thorpe le si avvicinò, poggiandole dolcemente una mano sulla spalla. “Avrete dei libri però, almeno di questo dovete esserne contenta”.

Libri usati!”.

Sempre libri, però. E non era scontato che vostro padre vi accordasse il permesso”.

Lilith sospirò, mettendosi sul letto con la testa sotto il cuscino. Fuori non si sentiva più nulla, né il rumore delle frustate, né i lamenti dello schiavo. Forse suo padre aveva smesso di agire per il bene di quell'uomo... “Voglio stare sola” - disse infine, stancamente.

Miss Thorpe comprese. Le accarezzò i capelli, la salutò, uscì dalla porta e la lasciò coi suoi pensieri.

E Lilith, con gli occhi arrossati, si mise a pancia insù, guardando il soffitto di legno della stanza. Faceva così caldo... E aveva bisogno di una consolazione e una bambola non poteva dargliela. Poi si ricordò di qualcosa che forse avrebbe potuto sollevarle il morale, un qualcosa donatole da una donna sconosciuta dai capelli rossi, su una nave. Frugò nella tasca del suo vestitino di pizzo rosa, tirandone fuori il libricino ricevuto in dono poche ore prima di notte, sul pontile della nave, da una donna sola, incinta e gentile. Poesie sul mare... Lo sfogliò, lesse di mari meravigliosi che portavano le persone in posti fantastici. E fece finta di essere una di quelle persone...


  
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