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Autore: Pareidolia    12/01/2020    1 recensioni
Dal testo:
"E’ pensando a lei che ti svegli. Il suo volto ancora si sofferma davanti ai tuoi occhi mentre le ultime ombre d’un sogno che non ricordi si dissolvono in quelle concrete della stanza."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ pensando a lei che ti svegli. Il suo volto ancora si sofferma davanti ai tuoi occhi mentre le ultime ombre d’un sogno che non ricordi si dissolvono in quelle concrete della stanza.
C’è l’alba, fuori. I suoi colori ti inondano il viso di luce tiepida. Filtrano attraverso i fori della tapparella non del tutto abbassata, superando la superficie della finestra e poi la tenda bianca, semi-trasparente.
Senti il tuo respiro lento e ancora assonnato perdersi nella stanza. Vaga, incrociando poco più in là i suoni dal volume abbassato della televisione, rimasta accesa per tutta la notte. Sullo schermo vecchie immagini di un film che ricordi di aver visto qualche anno fa, ma che non ti suscita più alcuna emozione.
Le voci degli attori e i silenzi che li separano iniziano a colmare l’aria della stanza insieme al ritmo del tuo respiro mentre ti accorgi di essere quasi del tutto sveglia.
Alzi piano il busto dal letto, ritrovando a vagare il tuo sguardo sopra le forme ancora oscure attorno a te. La luce non è ancora abbastanza forte da rischiarare lo spazio ma va bene così, non hai alcuna voglia di alzare le tapparelle. Se ne avessi le energie, anzi, le abbasseresti ancora di più e spegneresti il televisore, in modo da restare al buio più assoluto.
Allungando una mano verso il cellulare lo afferri, controlli l’ora sullo schermo, scopri di essere ancora in orario. Hai poco meno di tre ore a disposizione.
Con gesti lenti raccogli i capelli rossi in una coda ben stretta e ti alzi, spegnendo la televisione ma perdendoti, prima, per qualche secondo, a osservare i volti degli attori.
Quando il buio cala nella stanza, senti la solitudine congelarti le ossa.
 
La metropolitana è quasi totalmente vuota. L’orario dei lavoratori è ormai passato da almeno due ore e sul vagone, seduti sui sedili in plastica grigia, stanno solo viaggiatori sparsi, privi di espressioni che attirino la tua attenzione. Occhi stanchi, linee anziane, abiti contro il vento invernale e fra  le dita libri o cellulari.
Una donna asiatica sulla cinquantina continua a rispondere ai messaggi registrando brevi audio. Una voce dal tono alto, come un trillo che ti risveglia, ricordandoti di non essere persa nel deserto dei pensieri ma di essere viva, sveglia, a Milano, in metropolitana.
Osservi il volto della donna, i suoi capelli tinti d’un biondo simile alla paglia. Sulle labbra ha un sorriso spensierato, mentre si guarda attorno prima di tornare a fissarelo schermo, registrare un nuovo audio avvicinandosi il microfono degli auricolari alla bocca e, infine, lanciare nuovamente occhiate a destra e sinistra lungo il vagone. Osservarla ti mette stranamente di buon umore, anche se non c’è nessuno con cui poter condividere tutti questi dettagli. Li assorbi, imprimendoli come a fuoco nella mente. Entrano a far parte dei tuoi ricordi, piccole sequenze ora indelebili.
Quando il treno si ferma e le porte si aprono, senti l’annuncio della tua fermata. Pasteur.
 
-Un biglietto, grazie.-
-Sette euro, allora.- Porgi una banconota da dieci, metti via il resto e stringi nella mano destra il biglietto come fosse l’oggetto più importante del mondo intero. Ti volti, superi le spesse tende rosse appese di fronte alla cassa, ed entri in sala. Le luci sono già state spente e ci sono poche persone, oltre a te, ma ti siedi comunque in fretta su una poltrona nelle file più distanti dallo schermo.
Nel buio le immagini si inseguono. Con delicatezza, tra il silenzio degli spettatori. Eleganti e armoniose, si imprinono nei tuoi occhi e nella mente, esattamente come la donna nella metropolitana, andando ad accostarsi ad essa e a comporre un unico, splendido dipinto.
I tuoi occhi vengono rapiti dalle immagini, le orecchie dai suoni e tutti il corpo ti si paralizza fin quando una lacrima, lenta e calda, inizia a scivolare lungo la guancia sinistra.
Qualcosa in te si spezza, tantando infinite volte di ricomporsi ma senza mai riuscirci. I tentativi sono inutili, fin quando le immagini continueranno. Fin quando i pochi dialoghi, pronunciati quasi sussurrando nella malinconia di luci tanto tetre quanto sacre continueranno a diffondersi nelle tue orecchie. Fin quando le dita, appoggiate alle ginocchia, continueranno a tremare per l’emozione.
 
Asciughi le lacrime, restando seduta fin quando i titoli di coda non sono terminati e le luci si riaccendono, illuminando gli ultimi due spettatori rimasti in sala assieme a te.
Superi nuovamente le tende rosse, un po’ a fatica poiché ancora scossa dalle emozioni, poi raggiungi la cassa.
-Scusi, per caso voi tenete...ehm, tenete le locandine dei film proiettati?- Il ragazzo dietro al computer sembra doverci riflettere su un secondo, prima di riattivarsi come se si fosse spento per qualche istante.
-Certo, le abbiamo tutte qui nell’armadietto. Però dovresti dirmi quali vorresti, perché sono molto in disordine.-
-Oh, be’ allora...quella de “La casa di Jack”? O anche di “Climax“, se possibile.- Scorrendole una ad una, estrae quella del primo film che hai nominato ma non riesce a trovare la seconda.
-Mi spiace, temo di aver finito quelle di “Climax” ma ce ne sono ancora parecchie di Mr. Jack.-
-Grazie mille. Di questo film ne avete, invece?-
-Guarda, purtroppo no, non ce ne hanno mai consegnate.-
-D’accordo, allora prendo questa.-
-Ottimo! Fanno...tre euro, grazie.-
 
Fuori dal cinema il cielo è limpido. Il cortile esterno della chiesa, sul quale l’ingresso del cinema si affaccia, è popolato solo da auto immobili.
Sola, alzi lo sguardo verso il cielo, sentendoti più fresca grazie al vento che ti carezza il viso. La mente libera dai pensieri e pervasa solo da una musica dolce, che ti ricorda le scene del film.
Inizi a camminare, diretta verso la metropolitana per tornare a casa.
 
   
 
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