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Autore: crazy lion    12/01/2020    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Nel documentario "Stay Strong", Demetria ha dichiarato di aver avuto delle ricadute dopo il ricovero. Nella seguente fanfiction ho immaginato come potrebbe essere stata una di esse.
In quella giornata di fine luglio la ragazza sente dentro che qualcosa andrà male. La sera, infatti, una metaforica tempesta si abbatte su di lei con tutta la sua forza distruttrice. Demi lotta, o almeno ci prova, ma ogni sforzo sembra vano. Non ce la fa più, il dolore è troppo violento, i suoi disturbi paiono più forti di lei perché la verità è che sconfiggere questi demoni non è solo una questione di volontà. Lottare richiede coraggio e la ragazza non è sicura di averlo. Forse, però, non tutto è perduto…
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti gli altri personaggi di cui ho parlato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti!
So cosa state pensando:
Ma che fa? Ha una long in corso e ne inizia un’altra?
Forse alcuni di voi potrebbero dirsi che, tanto, anche loro ne hanno più di una e che se non è un problema per me, allora è tutto a posto. Altri invece potrebbero considerarmi pazza.
Io sono una persona che non ama avere più di una storia in corso, lo trovo confusionario. Ma questa mini long è già completa, ha tre capitoli e l’ho scritta nel giro di alcune settimane più qualche giorno per revisionare, per cui la pubblicherò tutta oggi. E sinceramente, è la storia breve di cui vado più fiera.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
IL CORAGGIO DI LOTTARE

 
 
DEDICA
 
Questa storia è dedicata a Demi Lovato, a tutte le persone del mondo che soffrono per i motivi più diversi, ma in particolare alla mia amica _FallingToPieces_. Sei una persona speciale e la mia amica più cara, ti voglio bene.

 
 
INTRODUZIONE
 
Cari lettori, vi prego non saltate quest’introduzione. È importante e vi prometto che presto potrete leggere la storia.
 
Ammiro molto Demi Lovato per la sua forza, onestà e sincerità. Credo che, anche se ha affermato che aiutare gli altri raccontando la sua esperienza è quello che ad un certo punto ha capito di volere, e anche se in un’intervista ha detto che non si sente coraggiosa nel farlo, il suo sia comunque un atto di grande forza. Non è facile esporsi così tanto, nemmeno se sei una celebrità.
 
Le descrizioni delle emozioni provate da Demi, anche per quanto riguarda l'ansia, che ha veramente vissuto - l’ho letto in un articolo dell’”Huffington Post” -, sono molto forti, così come  quelle dei disturbi alimentari e dell'autolesionismo. Per quanto riguarda il panico, ne ha avuto uno quando è entrata in clinica, così dice un articolo su www.younghollywood.com, in altri articoli ho trovato informazioni riguardo l’ansia e il panico ma con i termini confusi, quindi non so dire con sicurezza se ne abbia sofferto ancora, anche se penso di sì.
Sono andata un po' più nell'esplicito, ma non nel volgare, questo mai. E non per incitare qualcuno a tagliarsi, o a cadere nel tunnel dell’anoressia, o della bulimia, o per dire che avere ansia o attacchi di panico è figo, ma per sensibilizzare su queste tematiche e far capire quanto dolore portano nella vita di una persona. Vorrei che questi problemi non fossero più dei tabù, che chi sta male ne potesse parlare senza paura né vergogna, come sarebbe giusto. Purtroppo però i disturbi mentali, forse ancora più di quelli alimentari, vengono sottovalutati o temuti da persone che nemmeno li conoscono a fondo e che non vogliono informarsi a riguardo.
 
Se voi, lettori, in questo momento siete in uno stato mentalmente fragile, non leggete se pensate che poi starete peggio. Voglio parlare di queste situazioni difficili e poi dare speranza, non affossare ancora di più.
 
La storia è ambientata a Los Angeles. So che Demi è nata ad Albuquerque e ha vissuto per un periodo in Texas, ma nelle mie storie per farla stare sempre vicina al suo migliore amico (un personaggio creato da me) ho fatto in modo che si trasferisse in California molto presto. Nelle mie fanfiction non tratto i suoi problemi con la droga, l'alcol e il disturbo bipolare: sono troppo difficili per me. Oltre a ciò che ho menzionato prima, Demi ha anche sofferto di binge eating da piccola.
 
Non ho mai avuto disturbi alimentari ma ansia, attacchi di panico e depressione sì e ci sto ancora combattendo. No, non sto scherzando.
 
Ma qui Demi non è solo una ragazza che sta soffrendo, è anche una che continua a combattere con tutte le sue forze, come ha sempre fatto. Ed è per tale ragione che scrivo questa storia, per far capire a chi ha un disturbo alimentare, mentale come me o un problema di autolesionismo che si può stare meglio, nonostante le ricadute. Certo, è difficilissimo. Ci sono alti e bassi, a volte sembra che il dolore durerà in eterno, che non ci sia fine al buio che ci avvolge, ma non è così, e ve lo dice una che ha fatto dentro e fuori da quest’oscurità centinaia di volte.
 
Non sentitevi in colpa, non ditevi:
"Dovrei essere più forte."
Voi siete come siete. Datevi i vostri tempi, non ascoltate chi vi dice cosa fare solo perché, anche se a fin di bene, vuole spronarvi ad andare avanti e a stare meglio subito. Sappiate che ci sono persone disposte ad aiutarvi. Parlatene con i vostri genitori o, se non riuscite a dire loro tutti i vostri problemi (conosco bene la sensazione) con un amico o una figura professionale che vi dia una mano. A volte non basta l'aiuto della famiglia e degli amici e non significa che siate matti o deboli. L'affermazione "Dallo psicologo/psichiatra ci vanno i pazzi" è sbagliata. Da queste persone ci va chi ha bisogno di aiuto per stare meglio e non c'è nulla di male in questo.
Non tenetevi tutto dentro, non vergognatevi di esternare emozioni, dolori o problemi per quanto grandi e insormontabili, per quanto brutti e bui siano i vostri pensieri. Fatevi aiutare.
E se proprio vi sembra di non riuscire ad arrivare a domani o nemmeno a stasera, non ce la fate più e pensate di mollare, chiamate un numero anti-suicidio. Fate di tutto perché la malattia o i vostri pensieri non siano più forti di voi, perché non vi anneghino nel loro mare di dolore.
 
La strada per venir fuori dal buco nero è lunghissima e tortuosa, ve lo dice una che la sta percorrendo da anni e che è caduta mille volte e si è rialzata sempre a fatica, sempre un po’ più rotta, per cui non voglio affatto asserire che sia facile. Sono sicura, però, che un giorno ci riusciremo e diremo che la vita è bellissima anche se spesso troppo dura. E saremo più forti e migliori di prima.

 
 
"I cannot tell you that I have not thrown up since treatment. I cannot tell you I’ve not cut myself since treatment. I’m not perfect. This is a daily battle that I will face for the rest of my life."
(Demi Lovato, dal documentario Stay Strong)
 
Traduco, così se qualcuno non sa l’inglese può capire queste frasi che sono importanti per il significato della storia:
"Non posso dirvi che  dal ricovero non ho più vomitato. Non posso dirvi che dal ricovero non mi sono più tagliata. Non sono perfetta. Questa è una battaglia quotidiana che dovrò affrontare per il resto della mia vita."
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 1.
 
VERSO IL PRECIPIZIO
 
"Allora, come stai?"
La voce dolce della dottoressa Doom spezzò il silenzio scomodo che si era  venuto a creare nella stanza da quando Demi era entrata. Le prime sedute con lei, a gennaio, una volta uscita dalla clinica erano sempre state così, ci aveva messo un po' a rompere il ghiaccio e a parlare, poi aveva imparato a fidarsi anche di lei come aveva fatto con gli psicologi e gli psichiatri alla Timberline Knolls. Emily Doom era una psicologa, ma Demetria andava anche da una psichiatra per il momento.
Restò lì, con le mani aperte appoggiate sulle ginocchia, per qualche secondo. “Come stai?” era una domanda difficile, a cui di solito si risponde un “Bene” così, tanto per dire qualcosa, anche se in realtà le cose vanno male e tutto dentro la testa grida per il dolore, la frustrazione, la tristezza o altri sentimenti negativi.
"Non lo so" ammise. "Dovrei essere felice, dovrei stare bene."
"Dovresti? E chi ti dice che devi sentirti in un certo modo? Tu hai il diritto di stare come vuoi e di prenderti i tuoi tempi. Ormai so che continui a lottare e sono sicura che ti sentirai meglio, ma non farti influenzare se c'è qualcuno che pretende che tu sia in un certo modo."
"No, non è questo, è che…" Doveva scegliere con calma le parole. Non era semplice. "È che sono tornata al lavoro, il mio album uscirà fra poco e i miei fan credono che io stia meglio, mi scrivono messaggi su Twitter e Facebook nei quali mi domandano come mi sento eccetera. Magari avessi il tempo di rispondere a tutti! Faccio quello che posso, dico che è stata dura ma adesso va meglio.”
“Ed è così o no?”
“Sì, ma ho come la sensazione che non capiscano che sto ancora combattendo. Ho iniziato a parlare dei miei problemi, ma penso che non sia abbastanza. Sto lavorando ad un documentario che uscirà l'anno prossimo e si intitolerà “Stay Strong” e cercando di dare un'immagine forte di me, ma io oggi non mi sento molto positiva ed è una cosa che capita ancora abbastanza spesso."
La psicologa rifletté per qualche momento su quelle parole. Il suo studio era una stanza piccola ma carina con le pareti dipinte di giallo, un colore che dava allegria ma che, la prima volta in cui ci era entrata, Demi non aveva sopportato. Erano sedute su due poltrone, l'una a fianco all'altra, separate da un tavolino basso con sopra una scatola di fazzoletti e un telefono.
“Sei uscita dalla clinica da pochi mesi e il percorso per guarire è lungo, lo sai e non tutti i giorni sono uguali o positivi in questo cammino” disse la donna, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio con un gesto lento.
Le sorrise e i suoi occhi color miele, così belli e particolari e simili a quelli di Madison, si illuminarono.
“Sì, è che vorrei stare meglio adesso, o quantomeno presto. Per me stessa, per la mia famiglia, per i fan, per tutti.”
“Lo so, ma ti serve tempo. Non pensare di non essere forte solo perché hai ancora molti giorni neri e tante difficoltà da affrontare. Stai lottando, è questo l’importante. Ed è un segno di grande coraggio.”
“Tu dici?” chiese Demetria, la voce ridotta ad un sussurro a causa di un groppo che le serrava la gola.
“Sì, dico. Ne sono convinta, ma l’importante è che lo sia tu. E poi, il fatto che tu abbia detto prima di tutto che vuoi stare meglio per te stessa conta moltissimo, significa che ti importa di nuovo di te.”
Non era stato così quand’era entrata in clinica, non le interessava più niente. A quel tempo aveva capito di avere più di un problema e di non avere scelta, ma proprio i disturbi alimentari e l’autolesionismo l’avevano talmente distrutta che all’inizio non era nemmeno stata sicura di riuscire a guarire né tantomeno di volerlo, convinta che la sua vita e la propria carriera fossero finite.
“Sì, credo mi importi. A volte, almeno. Non penso di essere coraggiosa, non ancora.”
“Ci lavoreremo su, allora. D’accordo?”
La ragazza annuì.
"Cosa senti in questi giorni non molto positivi?"
"Oggi per esempio ho la sensazione che succederà qualcosa. Non so cosa né quando, ma quello che sento non è affatto bello."
"Hai fatto qualche incubo che ti ha portata a pensarlo?"
"Non che io ricordi, no" disse riflettendo con la testa fra le mani, ma pareva poco convinta. "E il 12 di questo mese è uscito il mio singolo "Skyscraper" e sono contenta davvero, ma mi sento strana. Triste, giù di morale, ansiosa."
"Riesci a dormire bene?"
"Più o meno. Ma sono stata molto in ansia questi giorni. Ho avuto vari attacchi d'ansia anche senza alcun motivo apparente e sono durati molto, un giorno o più. Forse è stato perché a volte non sono riuscita a finire tutto il pranzo o la cena e le voci mi dicevano di vomitare o di fare abbuffate notturne e poi rimettere."
"E tu cos'hai fatto?"
"H-ho resistito."
E in quel balbettio e nella sua voce roca la psicologa lesse una sofferenza enorme, una battaglia interiore giornaliera così dura che era impossibile immaginarla. E vi lesse anche forza e fragilità insieme, coraggio e paura al contempo.
Aveva resistito, certo, pensava intanto la ragazza. Ma qualcosa le diceva che avrebbe avuto un'altra delle sue ricadute e che sarebbe stata molto brutta, stavolta. Non che le precedenti fossero state belle, anzi, nessuna lo era. Ma temeva che questa sarebbe stata molto, molto peggiore. Lo disse alla psicologa.
"Comunque non posso vivere con quest'ansia. Ce l'ho troppo spesso, mi distrugge. Riesco ad uscire, però a volte mi prende all’improvviso per esempio se sto in un posto affollato o, in certi momenti, se sono a casa da sola, anche se non sento di avere paura della solitudine.”
“Quando sei sola senti di volerti fare del male?”
“Ogni tanto, ma non credo che l’autolesionismo sia legato a questo.”
“Forse non solo. Credo che il tuo inconscio ti dica che quando stai da sola ti senti più fragile, più vulnerabile e ogni tanto partono quei pensieri, forse è per questo che stai così, ma dovremo lavorarci meglio nelle prossime sedute.”
“Va bene. Eppure per il resto faccio tutto tranquillamente: parlo, mi muovo, insomma ogni cosa è normale. Cerco di trattenermi finché non sono in un posto tranquillo, mentre dentro mi sento malissimo, e poi crollo. Comincio a respirare male, sudo, ma gli attacchi di panico sono i peggiori anche se ne ho avuti solo due… Prendo già tre ansiolitici - sì, so che il farmaco non lo è pripriamente, ma io lo definisco così per semplicità - ma vorrei chiedere alla psichiatra di poterne assumere un quarto se sto troppo male."
In clinica le era stato diagnosticato un disturbo ansioso che durava già da molti anni, con attacchi d'ansia frequenti. Non aveva mai avuto veri e propri attacchi di panico, tranne una volta, il giorno del suo dodicesimo compleanno, quand’era andata a fare un giro con il suo migliore amico Andrew e un'altra poco prima di entrare in clinica, ma d'ansia sì ed erano stati sempre orribili, tanto che un giorno era finita in ospedale a causa di uno di essi. All'inizio la psichiatra che aveva conosciuto in clinica avrebbe voluto prescrivere a Demi delle benzodiazepine, ma lei si era fermamente opposta perché creano assuefazione. Anche se in principio era stata di quell’avviso, si era poi detta che provare non sarebbe costato nulla e che in fondo era seguita, per cui non doveva temere niente. Aveva quindi provato le gocce di Lexotan, da prendere al bisogno e che le venivano date dalle infermiere nelle dosi indicate dalla psichiatra. Non si era sentita assuefatta, non era stato questo il problema. Dopo averle prese circa dieci volte in un mese si era resa conto che l’avevano intontita e basta, non aiutata così, dopo averne parlato con la dottoressa e aver detto che non voleva più prendere benzodiazepine, erano passate al Trilafon, un antipsicotico che oltre a curare altri disturbi, lo fa anche con l'ansia se questa è grave e se i farmaci ansiolitici non hanno fatto effetto. Una volta fuori la ragazza aveva continuato la cura, seguita dalla psichiatra da cui andava adesso.
Uscita dalla Timberline Knolls, sentendosi un po’ meglio almeno per quanto riguardava l’ansia, aveva cominciato ad assumere quella medicina solo ogni tanto e non tre volte al giorno. Quando la psichiatra l’aveva saputo, però, le aveva spiegato che se preso in quel modo il farmaco non fa effetto perché il corpo non riesce ad assorbirlo, quindi la cantante si era arresa a seguire la terapia prescritta.
"Se vuoi il mio parere,” riprese la dottoressa Doom riportandola al presente, “penso che in questo momento tu abbia bisogno di quella quarta pastiglia."
"Io ho intenzione di smettere con quei farmaci, ti giuro!" esclamò la ragazza. "Solo che non sono pronta. Sto ancora male."
Non voleva che la psicologa pensasse che non ce la stava mettendo tutta o che avrebbe voluto continuare a prenderli per sempre, o peggio ad abusarne, ma al contempo era consapevole, così come la psicologa, che non era ancora il momento di smettere.
"Lo so Demi, calmati. Il dosaggio che prendi non è affatto alto, dato che assumi sei milligrammi e il massimo è ventiquattro, e finché non starai meglio forse questa pastiglia in più a volte ci vorrebbe. Ma dobbiamo anche lavorare per arrivare all'origine del problema che ti causa tutta quest'ansia, capisci? So che ne abbiamo già discusso, ma ritengo ci sia ancora strada da fare."
Se non si va alla radice, si possono prendere tutti i farmaci del mondo ma non si risolverà mai la situazione.
Demi annuì.
"Forse è un insieme di cose, come ho detto in clinica e come ti ho spiegato varie volte” rifletté. “I miei demoni della bulimia, dell'anoressia e dell'autolesionismo sono sicuramente alcune cause della mia ansia. La dietista mi dice sempre che non devo pensare di essere bellissima e perfetta come le modelle alle quali mi ispiravo in passato, tutte magre e fantastiche, ma che è necessario che io impari ad accettare il mio corpo per com’è.”
“Sono d’accordo. Me ne avevi già parlato e stiamo lavorando anche su questo, dovremo farlo tanto.”
“Quando mi guardo allo specchio cerco di dirmi che sto guarendo, che un giorno sarò sana e che andrà bene così, ma sono consapevole che le ricadute sono sempre dietro l’angolo. Non dovrei pensare di stare di nuovo male e cerco di non farlo, ma quello che sto cercando di dire è che per me è molto difficile accettarmi per come sono” ammise, la voce ridotta ad un sussurro sempre più debole, mentre alcune lacrime le scorrevano lungo le guance e il petto si alzava e si abbassava con respiri pesanti. “Spesso mi guardo allo specchio e mi vedo orribilmente grassa, larga, penso sempre di non venire bene nelle foto e meno me ne fanno, meglio è. Da piccola, a circa tre anni, mi toccavo la pancia e mi vedevo grassa e di certo vivere in una casa in cui mia madre aveva un disturbo alimentare, anche se io allora non me ne rendevo conto, ha avuto il suo peso. In seguito volevo essere perfetta, ma non ci riuscivo e mi sentivo ansiosa. Mi vedevo grassa, mi abbuffavo, vomitavo e poi stavo peggio. E il mio passato, quello che è successo con mio padre, e la pressione per il lavoro.”
"In quegli anni in cui ti ispiravi a modelle o a persone che reputavi più magre o più belle di te, che cos'avresti desiderato?"
Demi sospirò incrociando le braccia al petto.
"Che qualcuno mi dicesse che andavo bene così com'ero, che a dodici anni non avrei dovuto iniziare una dieta assurda, né a farlo mai perché era pericoloso, perché non era sano. Che qualcuno mi aiutasse a capire che l'anoressia e poi la bulimia, e da più piccola il binge eating, non mi avrebbero fatta sentire bene né essere felice, ma che si sarebbero trasformati in delle ossessioni e che sarebbero state queste malattie a controllare la mia vita, ogni mio pensiero, le mie azioni. Negli anni ho nascosto tutto in mille modi diversi, ho mentito così bene che tutti mi credevano o, se mia mamma ha notato qualcosa, non ha mai fatto nulla. Non la incolpo, sono stata solo io che ho iniziato a cadere in un buco nero più profondo di quello che pensavo. Se dimagrivo un po' ero felice, ma durava poco perché non appena ingrassavo leggermente mi sentivo malissimo e andavo per ore in palestra. Allo stetsso tempo però pensavo che tutto ciò, per me, fosse normale e quindi in parte mi andava bene così."
"Non abbiamo tanto tempo prima della fine della seduta, ma hai tirato fuori moltissimi argomenti e sentimenti e ti ringrazio per esserti aperta tanto, non è facile. Dalle tue parole noto che ti sentivi molto sola e che soffrivi tanto, ma che allo stesso tempo negavi di avere dei problemi come spesso fa chi soffre di disturbi alimentari. Ne parleremo ancora meglio, promesso."
"Va bene."
Durante ore ed ore di terapia era venuto fuori che ogni cosa partiva dalla sua infanzia, da ciò che aveva visto accadere in famiglia, poi la pressione di apparire in un certo modo lavorando in televisione e diventando una celebrità - non che alla Disney le avessero detto di dimagrire, ma essere lì aveva comunque influito sui suoi disturbi alimentari -, e che tutto ciò perdurava ancora adesso anche se l’ansia era migliorata molto. Inoltre a lei piaceva fare quel lavoro, per cui dopo essersi presa una pausa una volta uscita dalla clinica era tornata e, se si sentiva troppo stressata, ne parlava con il suo team e andavano più piano. Lo disse alla donna, che in parte già lo sapeva.
"L'immagine che go quando penso a tutto quello che mi hai appena detto è quella di un grossissimo peso sulle tue spalle" commentò la donna. "Tu come lo percepisci?"
“Così come hai detto. È tanto da reggere tutto insieme. Lavorare però mi piaceva molto, per cui ci sono stati anche momemti molto belli."
"Parlami ancora delle voci."
"A volte ne sento più di una contemporaneamente, per esempio quelle della bulimia e dell'autolesionismo e non è semplice tenerle a bada e capire cosa mi dicono. Si sovrappongono, si confondono e mi esplode la testa."
"Queste voci di cui parli da tempo sono diverse l'una dall'altra? Hanno timbri differenti? Sono una maschile e una femminile? Descrivimele."
Demi rifletté per un po'. Era abituata a sentirle da tantissimi anni, così tanto che non faceva più caso a come fossero. E poi era come studiarsi dall'esterno in quel momento. Lei, che adesso non udiva quelle voci, doveva capire cosa c'era all'interno della sua mente. Era un compito arduo. Si mise le mani sulle tempie e si concentrò al massimo, cercando di non dare peso alla lieve emicrania che sentì facendo un simile sforzo.
"Quelle dell'anoressia e della bulimia sono simili. Sono entrambe femminili e tutte e due rassicuranti quando faccio quello che dicono ed usano un tono aspro e pieno di odio quando invece è il contrario. L'unica differenza è che ovviamente dicono cose diverse. Mentre per l'autolesionismo…" Tremò appena. Quella era la voce che aveva sentito per prima, a undici anni, quando si era tagliata la prima volta e aveva provato quel dolore terribile, visto il sangue, ma poi tutto ciò le aveva dato sollievo. Certo, i suoi disturbi alimentari erano iniziati un po' prima, ma non aveva mai sentito le voci allora. "Lei è più dolce, lo è sempre. Quando non faccio quello che mi dice, però, urla così forte che non capisco più nulla. Tutte e tre mi dicono che sono le mie uniche amiche e che solo loro possono capirmi e aiutarmi. Ah, e quando non mi taglio e lei mi parla è sempre più triste, così tanto che mi fa sentire in colpa per non essermi fatta del male."
"Capisco. Mi hai già spiegato cosa ti dicono ma dovremo lavorarci di nuovo, separandole meglio l'una dall'altra e comprendendo le loro differenze anche in questo. È importante per poi riuscire a trovare dei modi per contrastarle ancora meglio."
"D'accordo."
Parlarono di come andavano le cose a casa, di Andrew e del loro rapporto. I due erano amici da una vita e vicini di casa da sempre, o meglio da quando lei, nata ad Albuquerque, si era trasferita con la sua famiglia in Texas e subito dopo in California, a un mese di vita perché il padre non riusciva a trovare lavoro, e Demi disse che da quando era uscita dalla clinica aveva davvero capito chi era suo amico e chi no, chi le restava accanto nonostante le difficoltà e chi invece si era allontanato. Andrew era rimasto prima, durante e dopo il suo ricovero, venendola a trovare spesso con Dianna, Eddie, Madison e Dallas a Chicago.
"Chissà se anche mio padre sente le voci quando beve o si droga" mormorò Demi, più a se stessa che alla dottoressa.
"Tu cosa pensi?"
"Non lo so. Forse sì, magari è un punto che abbiamo in comune."
"Cosa provi se rifletti sul fatto che questo potrebbe accomunarvi?"
"Come ti ho spiegato, il nostro rapporto non è mai stato molto buono. Gli voglio bene, ma provo sentimenti contrastanti quando penso a lui perché in parte a volte lo odio, anche se mi dispiace e mi fa male dirlo."
Era pur sempre suo padre, ammettere di odiarlo non era cosa da poco. Aveva fatto cose orribili e lei non le giustificava, non l’avrebbe mai fatto, ma… restava sempre quel ma che la riportava al principio della questione: Patrick era il suo padre biologico e lei non poteva dimenticarlo.
"Con un'infanzia come la tua, dato che l'hai visto ubriaco e che hai assistito a varie scene di violenza psicologica e fisica da parte sua nei confronti di tua madre, è normale che tu abbia questi sentimenti. È comune nei bambini che hanno subito un trauma del genere."
Emily Doom non lo diceva per minimizzare il suo problema, ma solo per farle capire che non doveva sentirsi strana o male per questo. Stavano lavorando anche sul suo passato, scavando molto a fondo nei ricordi e Demi lo stava facendo anche con la psichiatra, perché i suoi problemi derivavano in parte da lì e perché comunque erano argomenti che andavano affrontati, ormai lei l'aveva capito, se voleva stare meglio. Ci sarebbe voluto almeno qualche anno di terapia per far pace con quell'ennesimo demone. Forse non sarebbe mai riuscita a lasciarselo alle spalle, ma voleva quantomeno che i ricordi di lui che urlava e lanciava cose come un pazzo insultando sua madre e a volte picchiandola non venissero più a tormentarla, né di giorno né negli incubi durante la notte. Non sapeva se sarebbe riuscita a stare meglio, ma voleva provarci.
Una volta uscita dallo studio della dottoressa, Demi si mise in macchina e fece fatica ad arrivare fino a quello della psichiatra. Era stanchissima. Parlò con lei più o meno delle stesse cose, discutendo anche dei farmaci. La donna decise che sì, dati i sintomi che la paziente riportava e ciò che raccontava era il caso di aumentare la dose di ansiolitico e le disse di prendere la quarta pastiglia solo al bisogno, mentre le altre tre mattina, pomeriggio e sera ogni giorno come
sempre.
Giunta finalmente a casa la ragazza prese la medicina del pomeriggio, si trascinò in camera e, chiusasi la porta alle spalle, si gettò sul letto. Era stato un pomeriggio intenso, due colloqui nello stesso giorno non erano uno scherzo. Vedeva la psicologa due volte a settimana, la dietista ogni giorno - ci era andata quella mattina, ora che ci pensava, quindi i colloqui erano stati tre - e la psichiatra una volta al mese. Non ne poteva davvero più. Erano le cinque e mezza di pomeriggio ma si mise a letto con le finestre ancora aperte e il sole che entrava. Chiuse gli occhi e poco dopo si addormentò non pensando, stranamente, a niente.
 
 
 
"Mamma, Demi non sta dormendo troppo?" chiese Dallas a Dianna.
La donna era ai fornelli e stava cucinando la cena. Il fatto che la figlia si stesse curando per disturbi alimentari, tra le altre cose, non aveva impedito alla donna di continuare a mangiare pochissimo e a vomitare. Demi e le figlie si erano accorte che non stava bene, Eddie aveva notato qualcosa ma nessuno aveva capito fino a che punto per cui la famiglia non si era preoccupata, così lei cercava di nascondere il tutto il più possibile. Doveva essere un buon esempio per Demi, o perlomeno far finta di esserlo.
"Sì. Andresti a svegliarla?"
Dallas stava per alzarsi quando le squillò il cellulare.
"Scusate, è una chiamata di lavoro. Devo rispondere" disse in fretta e si allontanò chiudendosi in bagno, l'unico posto in cui poteva trovare un po' di pace.
La mamma e Madison erano in cucina e Eddie in salotto a guardare la televisione.
"Madison, tesoro, ci vai tu?"
Dianna girò le verdure che stava lessando e controllò la cottura del pollo. Era quasi pronto, non poteva lasciare le pentole incustodite e Madison aveva solo nove anni, di certo non avrebbe permesso che si avvicinasse ai fornelli. Quando Eddie si metteva a guardare il football americano non si staccava da lì nemmeno a pagarlo oro, anche se in realtà la aiutava parecchio quando poteva. Il fatto era che lavorava moltissimo e la sera era distrutto.
"I-io?"
La bambina aveva balbettato e tremato, ma sperò che la mamma non si fosse accorta almeno del tremore che l'aveva colta. Ogni volta che vedeva Demi e che le parlava non sapeva mai se la ragazza sarebbe stata buona, gentile e dolce oppure se si sarebbe arrabbiata anche per sciocchezze. Certo era che da molto tempo era sempre triste, giù di morale o di cattivo umore. Mesi prima la mamma le aveva spiegato che Demi stava molto male, che doveva andare in un posto dove si sarebbe sentita meglio. Aveva cercato di farle capire cos'erano l'anoressia, la bulimia e l'autolesionismo, con un linguaggio semplice adatto ai bambini e senza spaventarla troppo.
"Ma perché a volte è buona e altre sembra che non ci voglia bene?" aveva chiesto la piccola.
"Oh, Madison!" aveva esclamato la donna abbracciandola, mentre gli occhi le si erano riempiti di lacrime.
"Tesoro," era allora intervenuto Eddie, "non è che non ci voglia bene. Lei ce ne vuole tantissimo. Il fatto è che i problemi che ha modificano il suo comportamento e i suoi atteggiamenti, perché sono malattie che partono dalla mente e poi si sfogano sul corpo. A causa di queste e dell'autolesionismo, la sua testa non funziona come quella di una persona che sta bene. Il che non significa che sia pazza o che non sia normale, ma che si sente male e dev'essere aiutata per sentirsi meglio. Non può semplicemente smettere di farsi male, o di non mangiare o di mangiare troppo e poi vomitare, non è così semplice. Dobbiamo avere pazienza, farle sentire il nostro affetto e starle vicini. Vedrai che con il tempo tornerà ad essere allegra e a sentirsi bene."
E Madison in quel momento si era domandata se aveva mai visto la sorella davvero felice, e si era risposta di no.
"Sì, tu. Perché me lo chiedi così?"
La voce della mamma la riportò improvvisamente alla realtà.
"No, niente, niente. Vado subito."
"Non correre sulle scale e non saltare quando scendi" la ammonì, sapendo che alla bambina piaceva molto farlo. In effetti era una cosa che amava. Purtroppo però i genitori l'avevano scoperta e gliel'avevano impedito dicendole che era pericoloso.
Sbuffò.
“Ma mamma!”
“Niente “Ma mamma”. Vai.”
“Va bene” borbottò.
Salì lentamente i gradini. Erano in legno e la scala non era molto lunga in realtà, quindi non capiva dove fosse il pericolo, ma era ubbidiente per cui non si azzardò ad andare contro il volere dei genitori.
La camera di Demi era subito a sinistra. Madison rimase lì davanti alla porta con la mano a mezz'aria, poi la abbassò sulla maniglia ma non riuscì ad aprire. Cosa le avrebbe risposto la sorella? Si sarebbe arrabbiata? Avrebbe gridato? L'avrebbe cacciata in malo modo dicendole qualche parolaccia? Ne aveva viste così tante che era pronta a tutto, ma sapeva che una sua reazione negativa avrebbe bruciato più del fuoco dell'inferno. Fu allora che ricordò un altro episodio e fu come riviverlo davvero dato che era avvenuto proprio in quella camera circa tre anni prima.
 
 
Era piccola, avrà avuto sei anni. Quella notte c'era un terribile temporale e aveva anche grandinato. Madison si era spaventata molto durante la grandine, ma mamma e papà l'avevano rassicurata finché aveva preso sonno. Tuttavia, la piccina si era appena svegliata a causa di un incubo e anche di un tuono così forte che aveva fatto tremare i vetri. Il vento ululava minaccioso e sembrava uno di quei lupi cattivi dei quali si racconta nelle favole. La bimba saltò giù dal letto e camminò a piedi nudi, tremando a causa del contatto con il pavimento freddo. Non ricordava dove aveva messo le ciabatte, ma forse erano finite sotto il letto. Uscì dalla stanza e bussò alla porta di quella vicina.
"Che c'è?" chiese Demi con voce assonnata.
Sembrava arrabbiata e infastidita e Madison aspettò qualche secondo prima di abbassare la maniglia ed entrare, mentre il cuore le batteva all'impazzata.
"D-D-Demi?" domandò balbettando.
Temeva di disturbarla o di farla arrabbiare ancora di più.
Sua sorella era distesa sul letto con un iPod lì vicino e delle cuffiette nelle orecchie, la bambina non riuscì a decifrare la sua espressione. Appena vide Madison, Demetria lo spense e lo mise sul comodino.
"Dimmi. E perché balbetti?"
"I-io ho fatto un b-bruttissimo sogno. Posso dormire con te?"
"Sei venuta qui solo perché hai avuto un incubo?"
"S-sì. Ho paura. Altre volte mi hai fatta stare con te quando facevo brutti sogni. Perché questa sembri non volerlo?"
A quel punto la ragazza scoppiò a ridere. Era una risata terrificante, non sembrava nemmeno la sua. Lei non pareva più la stessa Demi. Era spaventosa, o almeno Maddie ne ebbe paura. La vide pallida, con gli occhi rossi per il pianto e con delle bende ai polsi.
"Cosa ti sei fatta?" gridò in preda al panico.
"Niente, è stato un incidente. Sono una sciocca. Non dirlo a nessuno okay? Non è importante."
"D'accordo."
Madison non l'aveva fatto e anzi, aveva presto dimenticato quel che aveva visto. Le era tornato in mente anni dopo, quando Demi era entrata in rehab.
"Comunque, riguardo quello che mi hai detto" proseguì la ragazza, "la vita è un incubo. Non lo è solo quando vai a letto. Nel momento in cui ti svegli, è ancora peggio. Ormai sei grande per dormire con me. Quindi cerca di crescere ed esci. Via!" disse a voce alta.
Non era la prima volta che Madison si sentiva rivolgere parole del genere da Demi. La maggior parte delle volte era buona, dolce e gentile con lei, altre invece si comportava molto male e le diceva cose brutte.
La bambina usò tutta la sua forza per mettersi sul letto della sorella, che era piuttosto alto, e poi la abbracciò ma la ragazza la spinse via e le fece sbattere la testa sulla testiera.
"Oh Dio!" esclamò quando capì ciò che aveva fatto. "Piccola, mi dispiace. Non volevo farti male, io…" Adesso era dolce, la sua voce era vellutata, ma Maddie scese e stava per correre via piangendo, quando Demi la raggiunse. "Aspetta, devo metterti del ghiaccio!"
"Non voglio" si lamentò la bambina, liberandosi dalla stretta della sorella.
"Ti verrà fuori un bernoccolo! Maddie, perdonami. Non volevo!"
Continuò a supplicarla, si mise anche in ginocchio.
"Lo dici ogni volta che mi tratti male. Tu sei cattiva!"
Detto questo, corse fuori dalla stanza e chiuse con tutta la forza che aveva. Sentì Demi che si dirigeva nel bagno che aveva in camera e che, prima di chiudere la porta, esclamava:
"Quanto odio questa maledetta vita!"
Maddie non capì il senso di quelle parole. Sentiva solo un forte dolore alla testa, così corse dai genitori.
 
 
"Madison, hai svegliato Demi? Tra cinque minuti è pronto."
La ragazzina dovette appoggiarsi alla parete davanti a sé per non cadere. Si sentiva come se qualcuno le avesse dato un pugno alla schiena mozzandole il respiro.
"Ora lo faccio, scusa mamma."
Lasciò andare un respiro tremante e poi si diede della stupida. non doveva avere paura di sua sorella, Demi le voleva bene. Ma il dolore per certe parole che le aveva rivolto era ancora grande e troppo vivo in lei. Abbassò lentamente la maniglia e non accese nemmeno la luce, cercando a tentoni il letto.
"Demi? Demi, è ora di alzarsi" la chiamò con dolcezza.
"Mmmmm" fece l'altra, poi aprì appena gli occhi. "Che ore sono?" mugugnò.
"Quasi le otto. La mamma ha detto che…"
Non fece in tempo a finire la frase che l'altra si era messa a sedere di scatto.
"Oh mio Dio, ma è tardissimo! Merda. Perché non mi avete svegliata prima?"
Non era arrabbiata, solo agitata.
"Mamma e papà hanno detto che eri molto stanca perché avevi avuto un pomeriggio difficile con tutte quelle visite e di lasciarti dormire."
"In effetti hanno fatto bene, ero proprio distrutta e lo sono ancora. Non mi va nemmeno di mangiare."
All'ora di cena le voci dell'anoressia si facevano sentire di più, così come a pranzo e a colazione, anche se non sempre. C’erano giorni nei quali riusciva a mangiare quasi normalmente seguendo la dieta che le era stata data.
"Ingrasserai fino a scoppiare, è questo che vuoi? Vuoi che la gente ti chiami balena come facevano i bulli della tua scuola? Se è quello che desideri allora mangia, però poi fai dieci ore di allenamento: corsa, salti, cyclette, quel cazzo che ti pare, ma le fai."
Eccola, infatti, Ana. Era tornata a tormentarla. Ma lei non voleva ascoltarla. Aveva capito che fare quelle diete di merda e dieci o dodici ore di allenamento, o non mangiare affatto erano tutti comportamenti sbagliatissimi, che mettevano a repentaglio la salute fisica e mentale e stava cercando in ogni modo di non essere più quel tipo di persona. Doveva mangiare un po'.
"Provaci, almeno tre quarti di piatto come  dice la tua dietista."
"E tu come fai a sapere cosa dice la mia dietista?" le domandò Demetria sorridendo.
"Ci sono anch'io, sento come ti aiutano mamma e papà."
"Hai ragione."
"Pensavo ti saresti arrabbiata" ammise la piccola abbassando lo sguardo.
"Cosa? Perché?"
Demi sbarrò gli occhi per la sorpresa. Madison l’aveva solo svegliata, era stata gentile, perciò non avrebbe avuto motivo di prendersela con lei. È anche vero che quando si ha molto sonno non si vorrebbe essere destati, ma era pur sempre ora di cena.
"Quando stavi più male a volte lo facevi, e anche tanto."
E le parlò di quello che aveva appena ricordato.
Mentre la ascoltava, a Demi si formò un groppo in gola sempre più stretto, sempre più stretto tanto che le sembrava di non respirare. Come aveva potuto comportarsi così male con Madison quella volta e molte altre? Come si era permessa? Che cosa le era passato per quel minuscolo cervello che si ritrovava? Doveva averlo proprio piccolo, solo una deficiente farebbe così. Era solo una bambina. Ed era sua sorella. Spesso, dopo quegli episodi, si era tagliata. Era l’unico modo che aveva trovato per punirsi, ma anche per riuscire a controllare un po’ il senso di colpa e la vergogna, per farli diminuire. Strinse forte Maddie e la fece accomodare accanto a sé.
"Mi dispiace, piccola. Ti prometto che cercherò di stare più attenta. Purtroppo non posso controllare ancora del tutto i miei problemi, a volte le mie malattie mi fanno dire cose che non penso e che, se stessi bene, non mi sognerei nemmeno di pronunciare. Sei speciale, la persona più importante della mia vita."
"Davvero? Anche più della mamma, o Dallas, o Andrew?"
Madison restò a bocca aperta. Non si aspettava quella rivelazione e il suo cuore cominciò a battere all'impazzata mentre le mani le sudavano. Nessuno prima d'allora, a parte i suoi genitori, le aveva mai detto una cosa così bella.
"Sono tutti tipi d’amore diverso, non si possono paragonare. Ma per me sei importantissima, non te lo direi se non fosse vero. Sappi che qualsiasi cosa accadrà tu sarai sempre la mia sorellina e io ti amerò per la vita e anche oltre, e nulla potrà mai cambiare questo. Amo te e Dallas allo stesso modo, ma tu sei mia sorella minore e dato che non credevo che ne avrei mai avuta una, sei speciale. Voglio bene a Eddie e alla mamma, ovvio, ma in modo diverso dal vostro. Capito?"
Caddero l'una nelle braccia dell'altra rimanendo così per quella che ad entrambe parve una meravigliosa eternità. A Madison venne da piangere. Ne aveva viste troppe, in quegli anni e soprattutto nell'ultimo periodo data la salute di Demi e anche della mamma. Era molto da sopportare per una bambina della sua età. Demi le accarezzava la schiena e cercava di calmarla sussurrandole parole dolci.
"Va tutto bene, piccolina. Io starò bene, staremo bene tutti quanti. Vedrai, saremo felici."
Stai dicendo cose nelle quali non credi fermamente pensò. Le stai mentendo, almeno in parte.
Ma ora non aveva tempo di sentirsi in colpa per questo.
"I-io lo vorrei t-tanto" disse la bambina fra le lacrime.
Demetria cercò di ricacciare indietro le sue. Non poteva piangere davanti alla sorella, l'avrebbe fatta soffrire ancora di più.
"Lo so. Di' le preghiere ogni sera e vedrai che Dio ti ascolterà."
Quando le due si furono ricomposte, scesero le  scale per mano. Non lo facevano da tantissimo tempo, rifletterono, ed era bellissimo sentire di nuovo le loro mani intrecciate e fare un gesto semplice come un piccolo percorso insieme, vicine l'una all'altra.
Prima di sedersi al tavolo, Demi trasse un profondo respiro e iniziò a ripetersi come un mantra:
"Puoi farcela, puoi farcela , puoi farcela."
Era quanto si diceva ad ogni pasto per darsi forza. Senza  quelle parole sarebbe crollata, se lo sentiva. Prese posto lentamente, quasi avesse paura, e guardò il piatto. C'erano pollo cotto al vapore e verdure, nulla di troppo condito o elaborato. Seguiva un percorso nutrizionale specifico e personalizzato dato dal suo dietista, fatto ancora di alimenti semplici e non di cibo spazzatura anche se da tempo, sulla pasta, oltre all'olio aveva iniziato ad aggiungere altri condimenti come il pomodoro e le era stato permesso solo da poco qualche dolce. Si ricordò di quando, in clinica, era rimasta un'ora a guardare una bustina con cinque grammi di formaggio senza riuscire a metterla sulla pasta. Il cuore le era battuto forte per tutto il tempo mentre l'ansia la attanagliava nella sua morsa. Alla fine ce l'aveva fatta, però. E pensò all'altro episodio nel quale era andata in crisi perché le pareva che le infermiere le avessero messo più olio di quello che il dietista aveva detto, anche se non era vero, ed era scoppiata a piangere lanciando via tutto. E alla prima cena in clinica dove le avevano messo nel piatto pollo, verdure e latte e lei aveva dato tre morsi al primo dicendo di essere a posto. La donna seduta accanto a lei per controllarla, in quella grande stanza nella quale tutti erano seguiti da qualcuno durante i pasti, le aveva detto di no, lei aveva risposto di sì, ma poi si era resa conto che forse aveva bisogno di stare lì, dato che non riusciva nemmeno a finire un pasto. Adesso era diverso, non stava più così male, ma la sua determinazione prese a vacillare. Si sentiva come nei momenti ai quali aveva pensato poco prima. Il profumo del cibo le dava il voltastomaco, era consapevole di fare mille smorfie e avrebbe voluto scappare, ma non poteva. La mamma non gliel'avrebbe permesso, dicendo che era per il suo bene.
"Coraggio Demi, prova con una zucchina, solo una" la incoraggiò la donna.
"Solo un boccone, poi il resto verrà più facile" continuò Eddie.
"Noi crediamo in te" aggiunse Dallas.
I genitori si scambiarono uno sguardo preoccupato che disse tutto.
"Perché oggi sta così? Perché fa tanta fatica a mangiare? Ieri era andata meglio. Che stia peggiorando o avendo una ricaduta?"
Queste erano le domande che si ponevano mentre cercavano di celare la preoccupazione dietro tanti sorrisi e incoraggiamenti. I loro cuori battevano all'impazzata e sudavano loro le mani.
Demi infilzò alcune verdure e se le mise in bocca, poi fece lo stesso con un po' di carne. Le girò qualche volta, poi mandò giù. Tutti le sorrisero, forse ce la stava facendo, quella crisi era passata. Ma il piatto le sembrava grandissimo, il cibo tantissimo, sempre di più, una quantità industriale che lei non sarebbe mai riuscita a mangiare. Lo vide davvero enorme e con un gusto e un aspetto orribili, sapeva quasi di marcio e lo sembrava. La malattia le faceva vedere tutto in modo distorto. Poi ogni cosa accadde molto velocemente, così tanto che all'inizio i tre rimasero senza né parole né fiato, increduli di fronte a quella reazione. Le voci nella testa di Demi cominciavano a farsi sentire più forti, era sempre Ana a parlare ma sembravano più persone con la stessa voce.
"Sei grassa e brutta, vuoi diventare ancora di più un cesso? Guarda che se mangi farai schifo e nessuno ti vorrà più bene, anzi ti odieranno tutti: i tuoi genitori, le tue sorelle, anche Andrew. È questo che vuoi?"
Se tutti l'avessero odiata, lei sarebbe rimasta sola e non sarebbe riuscita a sopportarlo. Il solo pensiero la atterriva facendole tremare persino l'anima.
"No" mormorò, così piano che nessuno la udì.
"Allora ascolta me, Ana, la tua unica amica. Ti dirò io cosa devi fare adesso e tu mi obbedirai."
Quello era un ordine, certo, ma la sua voce suonava comunque dolce e tranquilla, non brusca. E Demi, che ancora non era uscita dalla malattia, si fidò di lei. Se fare ciò che le chiedeva era l'unico modo per non perdere nessuno, allora era disposta a seguire i suoi consigli. Alzò il piatto in aria e, non potendo sopportare oltre la vista e il lezzo di quel cibo, la ragazza scagliò tutto lontano con un urlo terrificante. Il pollo e le verdure finirono dappertutto sporcando il pavimento e il tappeto, l'acqua del bicchiere che lanciò per secondo si riversò a terra e quest'ultimo e il piatto si spaccarono in mille pezzi. Approfittando del momento di silenzio calato su tutti quanti a causa dello sbigottimento Demi fece cadere la sedia e corse via, poi si rifugiò in camera e vi si chiuse dentro a chiave crollando sul letto. Non poteva vomitare adesso anche se Ana glielo stava praticamente urlando, avrebbe destato ancora più preoccupazione e troppi sospetti.
“Lo farò, okay? Smettila di torturarmi la testa!” esclamò, sentendo le tempie pulsare.
Doveva aspettare un momento più tranquillo, sperando che nessuno la  udisse e che il cibo non sarebbe andato troppo a fondo nel frattempo. Ma non riuscì ad attendere. Il corpo era scosso da forti sussulti, come se rifiutasse il cibo che lei aveva appena ingerito e volesse liberarsene subito, in quell'istante. Approfittò del momento di probabile shock dei familiari per dirigersi in bagno. Aprì al massimo l'acqua del rubinetto del lavandino per coprire il rumore, poi andò in camera sua e accese lo stereo a volume non troppo alto e lasciò la porta semi-aperta. Doveva sbrigarsi. Aprì il coperchio del water, si infilò due dita in gola e aspettò. La lingua, calda e bagnata, premette contro le sue dita mentre le parve che la gola formicolasse. La sensazione sarebbe stata piacevole se non le fosse sembrato di soffocare. Ma doveva liberarsi di quella roba che aveva ingerito, non poteva ingrassare. Dapprima sentì solo un sapore acido salirle su, poi il cibo arrivò e finalmente uscì aiutato da un conato. Avendo mangiato da poco era stato facile. Dopo aver tirato lo sciacquone ed essersi lavata bocca e denti per non far insospettire nessuno, la ragazza se la coprì con la mano e, con ancora la voce di chissà quale cantante nello stereo, urlò a pieni polmoni. Ne uscì solo un grido strozzato che nessuno udì e che non la fece sfogare. La gola le dolse per aver appena rimesso.
Brava, cogliona pensò. L'hai fatto di nuovo, dopo un mese e mezzo, un mesi e mezzo, ripeto, che non capitava, porca puttana!
Ana non era sua amica. In clinica le avevano insegnato che non era il cibo ad essere suo nemico, lo era lei di se stessa. Perché, allora, a volte crollava e non riusciva a ricordarselo? Corse nella sua stanza in punta di piedi e si chiuse piano la porta del bagno alle spalle, aprì la finestra e chiuse le imposte con due tonfi, poi richiuse il vetro con un'altra forte botta. Si avvicinò alla sedia dove teneva i suoi vestiti ed iniziò a lanciarli in terra, a caso, mentre gli abiti l'uno dopo l'altro cadevano e si stropicciavano.
"Non sto bene! Non sto bene, cazzo!" avrebbe voluto urlare.
Ma non aveva la forza di farsi vedere così dai suoi, di far capire che la sua ricaduta era più forte di quello che pensavano. Sapeva che parlare era importante, ma in quel momento non ci riusciva. I fan l'avrebbero odiata se l'avessero vista in quelle condizioni, ma per il momento non ci pensava. Ma una cosa era certa, e lo sentiva: lei si odiava. Rimise tutto a posto, anche se non in ordine come prima. Stava meglio nella confusione, perché in fondo quella era la metafora della sua vita che non era di certo perfetta e, con le mani davanti al volto e le guance in fiamme, scoppiò in un pianto dirotto e senza fine.
 
 
 
Dopo la paura e lo stupore il volto di Eddie e Dianna si trasformò. Il sorriso sparì per lasciar posto ad un'espressione irata, ma i due sapevano che urlare alla figlia:
"Ma che diavolo hai fatto?",
o fare discorsi sul non sprecare il cibo in quel modo sarebbe stato inutile. Anche Dallas lo capì, ma per i tre era difficile non lasciarsi andare a quelle forti emozioni.
"M-mamma, perché ha f-fatto così?" chiese Madison tremando, mentre diventava sempre più pallida.
La sua voce era più acuta del normale, sembrava avere quattro o cinque anni e aveva gli occhi sbarrati e le mani strette attorno al tavolo, tanto che le nocche le diventarono bianche.
"L'anoressia, una delle sue malattie, è stata più forte di lei stavolta. Non sopportava di vedere il cibo e ha avuto una crisi. Non ce l'ha con te né con nessuno, stai tranquilla."
Dianna aveva cercato di spiegarglielo, anche se l’anoressia non è, in realtà, dovuta dal fatto che il cibo non piace. Ma in quel momento non aveva la forza di dire altro.
Dallas si mise a pulire tutto mentre gli altri finivano la loro cena controvoglia e in fretta, in particolare i genitori.
“Sta ascoltando musica” disse Dianna ad un certo punto, mentre le note di una canzone riempivano l’aria.
“E se stesse vomitando?” suggerì Eddie. “Ci siamo informati, lo sai, questo è uno dei comportamenti delle anoressiche: rimettere dopo aver mangiato anche poco.”
Sì, lo so anche troppo bene pensò Dianna, che soffriva di anoressia da tanti anni ma, fino a quel momento, era riuscita a nascondere tutto. E mi sento in colpa perché mia figlia potrebbe essersi ammalata a causa del mio disturbo.
Una lacrima le solcò la guancia destra e avrebbe voluto gridare perché Dio, quel pensiero la uccideva dentro ogni singolo giorno, sempre un po’ di più, piano, in una tortura continua e la stringeva in una morsa dalla quale non si sarebbe potuta liberare.
Si divisero: Dallas portò Madison in camera con l'intenzione di parlarle e tranquillizzarla, mentre i genitori andarono da Demi. Dovevano assicurarsi che non avesse vomitato o altro, ma allo stesso tempo erano preoccupati per le altre due figlie. Tutti stavano soffrendo per quella situazione, non solo Demetria, e avendo tre figlie Dianna doveva tener conto dei sentimenti di ognuna, ora l'aveva capito. Dopo anni passati a non parlare con loro di argomenti profondi, di come stavano davvero, da quando Demi era stata male le cose stavano cambiando. Parlare è importantissimo, specialmente tra una mamma e i suoi figli, adesso ne era consapevole.
 
 
 
In piedi nella sua stanza, Madison era scossa da violenti tremori che rischiavano di farla cadere. Credeva di essere una bambina forte, tutti gliel'avevano sempre detto, ma quando un suo familiare stava male lei crollava e questo capitava in particolare con Demi, forse perché era più legata a lei che a Dallas nonostante volesse un bene dell'anima ad entrambe.
"Maddie, siediti" mormorò la più grande, con dolcezza, per la seconda o forse terza volta da quando erano entrate.
L'altra si lasciò prendere per mano e quasi trascinare verso il letto dove cadde sdraiata a peso morto. Aveva le mani fredde e brividi lungo tutto il corpo. Da tempo non aveva tanta paura.
"Demi sta molto male, vero?" domandò flebilmente.
La voce non le tremò al contrario di quanto si sarebbe aspettata, ma le uscì roca e stanca, non sembrava nemmeno la sua ma quella di una vecchia.
"Come ti ha detto la mamma, ha avuto un'altra crisi com'è accaduto altre volte in questi mesi, ma ce ne sono state di peggiori. Certo non sta bene, ma l'ho vista molto peggio."
"Anch'io, ma odio vederla soffrire."
E non riusciva a sopportare il fatto che a volte i suoi familiari minimizzassero i loro problemi per farla sentire meglio, tanto lei sapeva benissimo che la situazione di Demi non era buona, fatta di alti e di tanti bassi, di giorni buoni e di crisi come o peggiori di quella e che i problemi che la affliggevano da anni erano molto gravi e seri. Se pensava che se li era portati dietro per anni senza dire niente, senza mai chiedere una volta aiuto… Non ne poté più e scoppiò a piangere.
"È colpa mia?" chiedeva senza interruzione. "Demi sta male per colpa mia?"
Dallas le asciugava le lacrime, le scostava i capelli dal viso e la accarezzava.
"Madison, calmati. Non è colpa tua, non devi pensarlo nemmeno per un istante. Shhh, tranquilla. Ascoltami, tu non hai fatto niente. Nessuno di noi ha colpe in tutto questo. Demi ha sempre detto che la sua famiglia è la cosa più importante per lei assieme ad Andrew, che sta lottando anche per noi e, lo sai, sul comodino in clinica aveva la tua foto. Credi che sarebbe stato così se avesse incolpato noi di qualcosa?”
La bambina fece cenno di no con la testa.
“Ecco, vedi? Non è arrabbiata con noi, anzi, né sta male per colpa nostra. Io, tu e i nostri genitori la aiutiamo ad essere più forte e dobbiamo stare uniti, specialmente in momenti così difficili per lei e per tutti.”
Madison non riuscì a trattenere un piccolo sorriso, anche se in quella situazione non ci sarebbe stato nulla per cui sorridere, ma a Dallas ci volle molto altro tempo per calmarla. Le tenne la mano, le parlò a lungo, le lesse qualcosa come faceva quando era più piccola, lasciò che si sfogasse più che altro con il pianto, dato che quella sera alla bimba le parole non uscivano. Tuttavia non c’era bisogno di loro per capire quanto soffriva, il dolore si poteva leggere nei suoi occhi tristi e stanchi, nel viso pallido, lo si percepiva dal respiro corto e irregolare.
 
 
 
I cuori di Eddie e Dianna battevano come due tamburi, ed ebbero la paura irrazionale che le figlie potessero udirli ed esserne disturbate. Per prima cosa aprirono la porta della camera di Demi e, senza osservarla, andarono subito in bagno, guardarono in giro, nel Water, ma non c’erano tracce di vomito. Lo spazzolino, però, era ancora bagnato e quindi doveva essere stato usato da poco.
“Dio, potrebbe aver…” mormorò Dianna, ma la sua voce si spezzò e non riuscì a continuare.
“Lo so” mormorò Eddie, grave. “Credo che l’abbia fatto.”
“Perché non siamo venuti prima?”
Se solo fossero stati più veloci forse avrebbero potuto fermarla, farla ragionare.
“Eravamo sconvolti, ma non è una giustificazione. Dovremmo capire i segnali, ormai, ma Dianna, non possiamo controllare tutto. Siamo umani anche noi.”
“Ma siamo genitori! Siamo genitori, porca miseria!” La donna si batté entrambe le mani in fronte. “Come ho fatto?”
Era sul punto di piangere e anche Eddie, benché non lo desse a vedere, faceva fatica a trattenersi. La abbracciò da dietro.
“Possiamo fare qualcosa adesso. Andiamo da lei.”
Intanto, Demi era a letto. I genitori la trovarono coperta solo dal lenzuolo, il resto era per terra anche se ancora infilato nel letto per un lato. La ragazza teneva gli occhi chiusi e non si muoveva, respirava piano anche se il suo cuore era in tumulto.
"Che disastro" mormorò Dianna.
"Deve aver avuto un forte scatto di rabbia quando è entrata qui dentro. Guarda adesso come trema."
"Tesoro mio" sussurrò la donna dandole poi un bacio su una guancia, piano per non svegliarla.
Le faceva male vederla così, le ricordava il modo in cui l'aveva trovata mesi prima quando era salita in camera sua per convincerla a farsi ricoverare. Aveva pensato a mille frasi da dirle, anche piuttosto dure, ma quando l'aveva vista non ce l'aveva fatta. Le era parsa una bambina spaventata, non una diciottenne, e per fortuna Demi - almeno in quel momento - non aveva opposto resistenza.
"Copriamola, coraggio."
Eddie la riscosse dai suoi pensieri e la donna si affrettò a farlo con il suo aiuto.
"Siamo sicuri che starà bene?" chiese, la voce rotta da un pianto che non vedeva l'ora di uscire.
Ad Eddie ci volle qualche secondo per rispondere. Nonostante non piangesse anche a lui dispiaceva tantissimo per Demi, e strinse le mani a pugno tenendo le braccia lungo i fianchi per cercare di incanalare in quella zona un po' del suo dolore, poi trasse un lungo e profondo sospiro. Lo sguardo che rivolse alla moglie, carico di sofferenza e tristezza, le disse più di mille parole.
"Sì, vedrai che non le succederà niente. Dorme e sembra più tranquilla, ma se vuoi resto un altro po' con lei" si offrì, sapendo che altrimenti l'avrebbe fatto Dianna.
Lei era già molto stanca, spesso passava lunghe ore a letto senza volersi alzare e altri segnali stavano iniziando a far capire a lui e ai familiari che anche in lei qualcosa non andava.
"Va bene, grazie amore."
Si sorrisero e si abbracciarono, evitarono però di darsi un bacio vista la situazione. Si scambiarono però uno sguardo pieno di quell'amore che li univa ormai da sedici anni, prima come fidanzati e poi come sposi. Eddie le accarezzò una guancia e Dianna ricambiò.
"Devi farti la barba. Pungi" gli fece notare ridendo.
"Domani mattina, promesso" rispose lui, sapendo che la donna non sopportava di vederlo con la barba lunga. Ma entrambi tornarono subito seri, quello non era il momento di scherzare. "Hai le mani fredde, Dianna. Fatti qualcosa di caldo."
"Sì. Ho paura. E quando ho paura il mio corpo ha questa reazione."
"Lo so."
La donna uscì dalla stanza barcollando leggermente e dovette tenersi ad una parete per lasciare che la vertigine che l'aveva colta passasse. Una volta scesa in cucina la prima cosa che fece fu tirare fuori dal nascondiglio dove lo teneva, un mobile che apriva praticamente solo lei e sotto varie cianfrusaglie che nessuno usava un barattolo di pillole. Xanax, un ansiolitico di cui era diventata dipendente da tanti anni e del quale non poteva proprio fare a meno. Prese una pillola e la mandò giù con pochissima acqua, poi si fece una camomilla.
Eddie rimase con Demi per una mezzoretta a guardarla dormire e ad ascoltare il suo respiro. In effetti la ragazza alla fine aveva preso sonno, anche se non avrebbe voluto. L'uomo le mise le mani sul petto e restò qualche secondo a sentirlo mentre si alzava e si abbassava. L'aveva fatto con lei, Dallas e soprattutto con Madison quando erano piccole per un po'. Gli pareva un modo per star loro più vicino, per proteggerle in un certo senso, per calmarle con la sua presenza. Era una cosa tutta sua che forse Dianna non sapeva, o almeno non ne avevano mai parlato, una "cosa da padre", come gli piaceva definirla. E non importava che ora Demetria fosse grande, sarebbe sempre stata la sua bambina. Ad ogni modo lui non aveva mai cercato di sostituirsi a Patrick, né aveva impedito a lei e a Dallas di vederlo o di chiamarlo papà, non si sarebbe mai permesso. Ma erano state loro ad affezionarsi a lui così tanto da considerarlo più un padre che il compagno o il marito della mamma.
"Dormi bene, principessa" le disse prima di uscire e andare in camera sua, dove Dianna intanto si era già messa a letto e dormiva, anche a causa dello Xanax che aveva fatto effetto in fretta.
Ma poco dopo che Eddie fu uscito, Demetria si svegliò di soprassalto a causa di un incubo che non ricordava già più. Si era alzata in piedi di scatto quasi senza accorgersene, probabilmente ancora nel sonno e ora grondava di sudore e piangeva. Quel sogno doveva essere stato così brutto che la sua memoria l'aveva cancellato per non farla stare troppo male.
 
 
 
Seduto sul letto, Andrew si passò una mano tra i capelli castani, un gesto che faceva a volte per rilassarsi. Guardava il cielo fuori dalla finestra. Gli piaceva osservarlo nelle notti in cui le nuvole si facevano sempre più scure coprendo luna e stelle, e soprattutto nel momento in cui dei bagliori sembravano volersi rincorrere sopra di esse. Accadeva spesso in quel periodo, essendo estate, che ci fossero dei brevi ma intensi temporali e, a quanto sembrava, sarebbe capitato anche quella sera. Di solito lui osservava incantato la scena mentre si godeva il ticchettio crescente delle gocce di pioggia che prima picchiettavano e poi si abbattevano con violenza sul tetto ma quella sera, mentre il temporale si avvicinava, si sentiva diverso. Una sensazione fin troppo familiare iniziò a farsi strada in lui scaturendo dalla parte più profonda di se stesso e cominciando a salire e a salire ancora fino a che il ragazzo avrebbe voluto urlare. Si mise le mani sul petto e trasse un profondo respiro per cercare di allontanare il dolore continuo che lo aveva colto ormai da un po', non insopportabile ma fin troppo insistente, mentre il suo respiro si faceva irregolare. Avrebbe voluto piangere, ma i suoi occhi verdi parevano secchi, asciutti, come se avessero già fatto sgorgare ogni singola lacrima. Era preoccupato non per qualcosa, ma per qualcuno. Non vedeva Demi da alcuni giorni, l'ultima volta gli era sembrato che stesse bene, ma adesso più pensava a lei più aveva la sensazione che le fosse accaduto qualcosa di brutto o che le sarebbe successo a breve. Non se la sentiva di andare da Frank e Joyce, i suoi genitori, e parlarne loro e nemmeno da Dianna e Eddie per non spaventarli, magari inutilmente. Per quanto sapessero che la situazione di Demetria non era semplice e che lui, come suo migliore amico, le voleva un bene dell'anima, Frank e Joyce avrebbero cercato di rassicurarlo dicendogli che andava tutto bene e di stare tranquillo e parole simili. Discorsi normali per dei genitori che cercano di calmare il proprio figlio, ma non per lui che avrebbe provato solo fastidio.
Si alzò dal letto. La scrivania era a pochi passi da lui, gli sarebbe bastato prendere il cellulare che vi si trovava sopra e mandarle un messaggio con scritto:
Ciao, come stai?
oppure:
Tutto bene?
o simili, ma le mani gli tremavano tanto che non riusciva nemmeno a fare questo.
Si avvicinò alla libreria accanto al tavolo e allungò un braccio. In alto, nell’ultimo scaffale, al quale arrivò solo mettendosi in punta di piedi, c’era un libro con dei sonetti di Shakespeare. Gliel’aveva regalato sua madre l’anno prima, dato che a scuola Andrew aveva apprezzato alcuni sonetti di quell’autore. Certo erano difficili, il linguaggio era complesso, ma perlomeno si sarebbe tenuto occupato, avrebbe concentrato la mente su qualcos’altro. Aprì la prima pagina e iniziò a leggere ma non ci capì nulla, non riusciva nemmeno a comprendere i termini più semplici. Leggeva e leggeva, sfogliava le pagine, ma le parole gli scorrevano davanti come se non avessero avuto senso. Urlò fregandosene del fatto che qualcuno avrebbe potuto udirlo e lanciò il libro dall’altra parte della stanza. Questo sbatté contro il muro e cadde a terra con uno schianto secco, la copertina si aprì mostrando la prima pagina. Andrew lo lasciò là. La testa non faceva che vorticare, sentiva il petto pesante e un senso di affanno ingarbugliargli lo stomaco. Tornato al suo letto raccolse le ginocchia al petto mentre scoppiava in un pianto dirotto.
 
 
 
NOTE:
1. una persona con i problemi di Demi dev’essere seguita da un team fatto di dietista, psicologo e psichiatra, per questo li ho inseriti tutti e tre. Non so se lei abbia mai preso farmaci per l’ansia, qui ho messo quelli che prendo io e la riflessione sulle benzodiazepine è mia, lei non ne ha mai parlato. Per un periodo ho assunto il Lexotan in gocce con gli stessi sintomi descritti qui, poi però l’ho preso in pastiglie per un lungo periodo, un anno o più, sempre al bisogno e devo dire che lo assumevo abbastanza spesso anche perché non mi intontiva, mi aiutava. Come nel caso della Demi di questa fanfiction, la mia ansia era quasi continua. Alla fine sono passata al Trilafon con la stessa terapia prescritta a lei e devo dire che mi trovo molto meglio. Ed è vero, Demi ha avuto un attacco di panico prima di entrare in clinica, o almeno così dice un articolo su www.hollywood.com. L'altro è tratto da una mia storia.
2. In un’intervista che ho visto su YouTube a “Pretty Big Deal”, molto recente ma che, forse, poteva valere anche per quel periodo, Demi ha spiegato che il suo dietista le dice che lei non ha bisogno di essere perfetta per stare bene, bensì di accettare il proprio corpo.
3. Nell’articolo che ho letto Demi non spiegava i motivi della sua ansia. In un video su YouTube, un’intervista al “Katie Show”, diceva che il rapporto conflittuale con il proprio corpo era cominciato molto presto, a tre anni, prima che iniziasse a fare audizioni e poi c’era tutto il discorso sul fatto che si toccava la pancia e si vedeva grassa e che vivere in una famiglia problematica causi difficoltà com’è successo a lei. Sempre lì ha detto che in clinica c’era qualcuno che la controllava durante i pasti e dato altre informazioni.
Per il resto ho cercato di dedurli.
In un altro articolo ha dichiarato che anche se alla Disney non le hanno mai detto di dimagrire, lavorare lì ha comunque avuto un impatto sui suoi disturbi alimentari. Per quanto riguarda questi, in “Stay Strong” ha dichiarato che non è riuscita a finire la prima cena in clinica, composta di ciò che ho scritto e che allora ha capito che forse aveva bisogno di rimanerci.
4. È vero, è finita in ospedale per un attacco d’ansia, anche se da come era descritto nell’articolo (diceva che si sentiva come se fosse stata drogata) a me pare più un attacco di panico. Tuttavia c’era scritto anxiety attack e ho lasciato così, non essendo sicura.
5. Gli attacchi di panico e d’ansia sono differenti. I primi si caratterizzano per essere molto brevi, massimo dieci minuti, improvvisi, scatenati di solito da un pensiero, da una paura, da un sentimento negativo e di forte preoccupazione e, durante tali episodi, si teme persino di morire. I sintomi (vertigini, soffocamento, sudorazione e altri a seconda dei casi) sono molto forti. Attacco d’ansia non è un termine clinico, ma si usa per descrivere stati di forte preoccupazione, paura o altri sentimenti negativi. Tali attacchi possono durare ore, giorni, ma anche settimane o mesi.
6. Non so se Demi sentisse le voci negli anni in cui ha avuto quei problemi, ma ad alcune persone capita così l’ho inserito.
7. Nel documentario "Stay Strong" Demi ha dichiarato che, una volta entrata in clinica, pensava che non sarebbe mai stata meglio e aveva la foto della sorellina sempre con sé.
8. Dianna ha sofferto di anoressia, depressione post partum, PTSD (disturbo post traumatico da stress) ADHD (Deficit di Attenzione e Iperattività) e dipendenza dallo Xanax. Lo racconta nel memoir “Falling With Wings: A Mother’s Story” ed è vero, faceva di tutto per nascondere ogni cosa anche se a un certo punto (non so se proprio nel momento in cui la mia storia si ambienta o poco dopo) i familiari hanno iniziato a notare qualcosa.
9. Nel libro Dianna scrive che avrebbe voluto dire a Demi mille cose, frasi anche dure, per farle capire che era necessario che si ricoverasse ma quando l’ha vista distrutta, le è parsa più una bambina che una diciottenne e le ha chiesto semplicemente di farlo. Demi ha risposto che non aveva altra scelta e la madre si è sentita sollevata che avesse capito e accettato.
   
 
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