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Autore: paoletta76    14/01/2020    0 recensioni
"She's not afraid of all the attention
She's not afraid of running wild
How come she's so afraid of falling in love.."
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Storie'
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Un mese, due mesi. Neppure una parola.
Autoconfinata in un angolo, Anna aveva con fatica cercato di riappropriarsi del ruolo, delle stelle, della divisa. Sua sorella Chiara non capiva ma rispettava le pause di silenzio cupo random, Marco sembrava tornare alla carica invitandola ad uscire. E si fece di nuovo vivo anche Giovanni, con un pretesto che non ricordava.
Ah, sì. Aveva cambiato idea.
- Ho capito che cosa ho perso solo quando l’ho perso - le aveva detto - ho deciso di lasciarlo, il seminario. La mia strada è con te.
- La mia è lontana - gli aveva risposto - lontana trecento chilometri ed un’ora d’elicottero.
Giovanni aveva aggrottato le sopracciglia. Sinceramente, non capiva. E quella scatolina aperta, fra le dita, con quell’anello, le avevano dipinto d’amarezza il mezzo sorriso con cui aveva deciso di congedarlo.
- Amo un altro, Giovanni. Non è colpa tua. Lui non voleva neppure, andare via. Ho fatto tutto io. Lo amo. E forse non glielo potrò mai dire.
 
Perché no, Anna? Perché non glielo puoi dire?
Perché questo non dobbiamo esserlo, io e te, mai?
 
Romeo scherzava, oltre il vetro, con il solito sorriso un po’ bambino. Raccontava, mostrava foto voltando lo smartphone verso i colleghi raccolti attorno alla sua scrivania.
- Sì, sta bene. Dice che la tipa.. sì, c’ha un’infermiera tipa, dice che è molto carina ma manesca, che lo tira dappertutto e gli fa un male cane, però gasa, perché l’altro giorno ha mosso le dita dei piedi. No, asp. Le gambe, dice che riesce a muovere le gambe; la tipa si chiama Barbara e ha già rimesso insieme i cocci di uno che s’è preso una bomba.- scambio di sguardi a dire a’n vedi, oh – dice che è una con le palle. Aspetta che gli mando un vocale; mi sta rispondendo, vuol dire che è in pausa.- Romeo piegava il polso e portava il cellulare alle labbra – o Frà, ma una foto no, eh? Sei ancora in ospedale o sei fuori?
Un attimo, attendere le spunte della visualizzazione. E poi quella voce. Resa metallica dalla lontananza e dal mezzo, ma era la sua. Ed appariva tutto tranne che rabbiosa o contrariata.
- Fuori? Fuori è un pezzo che ci sono, Romè! No, scherzo. Sono uscito dall’ospedale tre giorni fa. Foto? Che foto ti devo mandare?
- Dove sei? Da Laura?
Stessa procedura. Rispondi, invio vocale, aspetta. Di nuovo quella voce.
- No, sto da un'altra parte ma vicino. E’ bello, quando mi venite a trovare?
- Eéh, sì..
- C’è figa.
- Scusa?
 
In risposta, gli arrivò una foto. Tre, quattro tipe. Schierate lungo la linea di un terrazzo, appoggiate in maniera molto informale alla ringhiera con qualche caffè.
- Mi prendi per il culo, eh?
- No. La mano davanti al cellulare è il mio compagno di stanza. Le tipe sono nostre colleghe, ce ne sono cinque o sei.
- E tu che non ci volevi andare!
 
Un vocale di due secondi, sospiro sognante. Romeo che rideva, protestando in risposta: ma che uomo di merda..! E risate. Leggere, un po’ sommesse. Perché siamo in caserma.
Nessuno prestò attenzione allo sguardo del capitano, poco oltre il profilo della porta a vetri. O alla sua mano a stringere appena lo stipite, prima che si ritirasse in disparte, oltre la scrivania, voltando di spalle la poltrona per nascondere altre lacrime.
 
Ciao, Anna..
 
Quella voce, leggera e paterna, la sorprese nella semioscurità, rannicchiata contro l’ultimo banco della chiesa.
- Già. Che ci fai, qua? – rispose, raccogliendo il respiro e sollevandosi a sedere – è che non ho nessuno con cui parlarne, don Matteo. E io ho-
- Un bisogno disperato, di parlarne.- il prete le girò intorno, accomodandosi al suo fianco in attesa.
- No, credo.. credo che sia-
- Aspetta.- quello tese la mano, ad arginare il suo scatto – non è fuggendo, che si risolve. Né tenendoselo dentro. Così fa solo male. E direi che siete stati male abbastanza, tutti e due.
- Scusi-?
- Era lì.- quello le indicò un paio di banchi avanti – seduto lì. La divisa addosso, come te. E le spalle curve, come te. Con un peso, nel cuore, più grande di lui. O meglio.. così la pensava. Cercava solo qualcuno che lo aiutasse a portarlo. Mi ripeteva spesso di.. di sentire non essere stato abbastanza, per suo padre, per sua madre, ma stavolta era diverso. Quel dolore era lì, lo leggevi nei suoi occhi, ma apparteneva al passato. Stavolta invece era una fiamma.
- E lei cosa-? – Anna si lasciò cadere di nuovo seduta. Non servivano domande, né giustificazioni. Don Matteo aveva gli stessi poteri di quella collega, la psicologa. Forse anche qualcosa di più.
- Cosa gli ho detto? Quello che ho appena detto anche a te. Tenerlo dentro.. fa solo male. E non risolve nulla.
- Quindi dovrei.. semplicemente chiamare un uomo che ora mi odia e dirgli..
- Dirgli il perché. Perché hai fatto quella scelta, e perché in quel modo.
- Lei- Cecchini..
- Mi ha detto che il vostro scambio di sguardi, all’ospedale, metteva i brividi, e di non averti mai vista tanto decisa e tanto cattiva. Che non hai trovato il coraggio di scendere dalla macchina per andarlo a salutare. Che quando gli ha fatto il tuo nome, Francesco ha stretto i pugni e chiuso gli occhi. Ma sono passate nove settimane.. e alla fine avevi ragione tu. Può tornarci, in piedi. Quindi-
- Don Matteo..
- Quindi credo che non chiuderà il telefono in faccia alla donna che gli ha salvato la vita.
 
Zappavigna..
A quel richiamo, il giovane sollevò gli occhi dal computer e s’affrettò a rispondere:
- Comandi.- mettendosi in attesa di ordini.
- Nel mio ufficio. Per.. per favore.
Il capitano si ritirava oltre la porta, lasciandolo aggrottare le sopracciglia. Non gli aveva mai chiesto niente, per favore.
- Mi dica.- la raggiunse, posizionandosi davanti alla scrivania con le mani intrecciate oltre la schiena.
- Non serve che stai rigido, non devo chiederti niente di ufficiale. Hai.. hai il numero di Castiglione?
- Sì, signora. E’ successo qualcosa?
- No.. no, niente. Sta.. sta bene, vero?
- Non.. non vi siete sentiti?
- No, Romeo. Sennò non starei qui a chiederti il suo numero.- Anna gli fece cenno di accomodarsi – ma ho sentito che siete in contatto.
- Sì, e aveva ragione lei, capitano – superato quel primissimo attimo d’imbarazzo, il giovane le si accomodò di fronte, raccogliendo il cellulare e scorrendo la cronologia – stamattina ha fatto la prima prova con le stampelle, e ci riesce. A camminare, intendo. Mi ha mandato questo.
Voltò lo schermo, in cui compariva un veloce dialogo di Whatsapp.
 
Inizia la salita. Ma non la faccio da solo J
Più in basso, una sua immagine. Stampelle sotto le braccia, sorridente, in braghe della tuta. Oltre le spalle, la ringhiera di un terrazzo. E sullo sfondo il rosso del tramonto.
- Comincio a pensare che non mi prendeva in giro, quando ha detto che è un posto speciale – Romeo riprese il telefono, per scorrere di nuovo una serie di immagini e mostrargliele – guardi.
Mare, una lunga fila di case dai colori vivi, bandiere alle finestre come fosse stata festa. Un molo decorato da yacht di lusso, gente a passeggio con il gelato. Ed un ultimo messaggio.
Quello che le mandò il cuore a mille.
 
M’ha mandato in paradiso, Romè..
 
Ora il giovane sollevava lo sguardo, incontrando il suo mordersi le labbra.
- Non ce l’ha con lei, capitano.- osò, timidamente – è stato.. è stato un po’ un trauma: prima l’ospedale, i medici che gli danno poche probabilità.. e di botto qualcuno che-
- Che decide al posto suo. Lo so. Sono responsabile per ognuno di voi, Romeo. L’avrei fatto comunque-
- Currarino non l’ha affidato al SAeS, quando s’è sfasciato il ginocchio per scendere in quella roggia, l’anno scorso.
- Non era un caso così-
Lo sguardo del ragazzo e le sue labbra arricciate bastavano a dire ogni cosa, anche senza parole.
- E ok, a lui tengo in modo un po’dive- ma che va a spifferare, in giro, Cecchini?
- Io? Cosa? Che ho fatto, stavolta? - il comparire del maresciallo la salvò in corner, limitando il rossore che le aveva invaso le guance. Si guardava intorno, con quella smorfietta di serie, fin oltre le spalle, prima di decidersi a fare il serio e consegnarle delle carte – se non c’è altro, io me ne-
- Non faccia lo gnorri, Cecchini.- ora la donna sollevava un sopracciglio, intrecciando le dita – che è andato a raccontare?
- Di che?
- Del matrimonio della sua quasi-figlia.
- Che il cibo era così-così, ma il rosso della casa era tanta roba.- replicò quello, sornione.
- Maresciallo.
- Che le ha detto la capitana strizzacervelli? Non c’è niente di male. Quindi coraggio, prenda su il telefono e lo chiami.
- Ma-
- Ma cosa? Le do il mio, toh.
Zappavigna rideva, sotto i baffi, nel raccogliere il blocchetto dei post-it e tracciare quel numero sul primo foglio, prima di appoggiarglielo davanti, piegare appena il viso e lasciare la poltroncina.
- Già. Credo che adesso desideri un po’ di privacy.- il maresciallo seguiva il giovane verso la porta a vetri, e senza perdere quel sorriso da stregatto si chiudeva la porta oltre le spalle. Non tralasciando un inchino.
 
Prendere il respiro, lenta e profonda, cercando di sgomberare la testa da voci e pensieri.
Digita numero, premi chiama. Ecco. Suona. Ti prego, fa che non-
 
- E’ il tuo.- dopo un istante a cercare il proprio telefono oltre il monte di vestiti che avrebbe dovuto decidersi a riordinare, prima o poi, Roberto puntò il pollice verso il collega, steso accanto a lui a guardare la partita.
- AH.
- Che è? – quello lo vide raccogliere, esaminare lo schermo e riappoggiare lontano il tutto, tornando indifferente alla TV – qualcuno che ti sta sul-?
- No. Numero sconosciuto.
Il telefono aveva smesso di vibrare e suonare, Francesco non si preoccupava di controllare. Robè sollevò le spalle e tornò al derby, passandogli le patatine.
- Lo sai, che non dovresti-?
- E’ Ricco, quello che non può mangiare ‘sta roba. A me mi hanno preso alle spalle.
- Intanto lui ora c’ha il fisico da calendario, e tu da bidone del vetro.
- Non l’hai mai viFto un bidone del vetro, Fic’.
Roberto sgranocchiava, mangiandosi allegramente anche le consonanti. E sì, pensò, lanciandogli un’occhiata. Anche lui aveva sinceramente bisogno di rimettere su qualche chilo, dopo mesi a formaggini e minestrina dell’ospedale..
 
Un sospiro, il telefono che emetteva un unico lungo BIP.
- Che è?
- Monica. Che mi chiede se stasera intersechiamo.- sguardo a fessura verso l’amico, che lo sgranava – ma che ti frega, Paz? E’ un messaggio.
- Monica sul se-?
- MaPPiantala..- lo allontanò con una manata, rimandandolo schiena al cuscino – è sempre il numero sconosciuto.
- Ti smessaggia? Uno sconosciuto? Forse è qualcuno che conosci, e ti sei perso il numero.
- Ssì. Ok.
- Che dice?
- Come stai?- ora Francesco aggrottava le sopracciglia, esaminando lo schermo e cercando di capire se il suo compagno di stanza avesse ragione – mi chiede come sto.
- E allora vedi che ti conosce? Rispondigli.
 
Bene. Tu?
Banale, pensò Francesco. Scontato, ma almeno poteva sperare in una risposta in cui capire chi lo stesse cercando. Parenti. No, coi cugini non si sentiva quasi mai, nessuno si era preoccupato finché era stato all’ospedale, perché cercarlo adesso? Amici. No, amici no: di quelli aveva tutti i recapiti in rubrica. Magari qualcuno che aveva cambiato num-
Sei ancora in ospedale? Ti posso chiamare? – recitava il messaggio successivo.
Sono in caserma, perché? Chi se-?
 
Non riuscì a finire la frase, che il telefono cominciò a suonare e vibrare di nuovo.
- Pronto?
- Ehi..
 
Trecento chilometri, dieci settimane e due giorni. E quella voce riusciva ancora a portargli il cuore in gola.
Ah. Mi chiami. Mi hai mandato via, buttato di peso su quell’elicottero. Hai deciso della mia vita senza averne il minimo diritto e neppure ti sei degnata di venirmi a chiedere scusa. Come un pacco, come un-
E ora mi chiami e mi chiedi come sto. Bene, grazie. Stavo da dieci, prima di sentirti di nuovo.
La voce che vibrava, carica di rancore, nella testa. Le dita che tremavano appena.
- Capitano.. - fu tutto quello che riuscì sfuggirgli dalle labbra, cercando di dimostrare indifferenza - buonasera, come- perché mi ha chiamato? Successo qualcosa?
 
Quel tono la sorprese, mettendola a tacere per un lunghissimo istante.
Perché l’hai chiamato, perché l’hai chiamato, perché..?
- Eh.. ecco.. volevo solo sapere come stavi; è passato un po’ di tempo, e-
- Sono in contatto con Zappavigna, non le ha detto che-?
- Lo so; ho visto qualche foto..
- E’ un bel posto, sì. Sto bene, grazie. Sul serio, non si doveva disturbare.
- Frà..
La voce le si incrinava, oltre il telefono.
 
Chi se ne frega, Anna. Sto bene, sì. Sto benissimo, senza di te.
O no?
 
- Davvero, sto bene..- le disse, leggero – grazie, capitano, avrà un sacco di cose da fare; non la disturbo oltre. Buonanotte..
Il dito sul tasto rosso, premere finché quel numero non scompariva. Ecco fatto, Anna. Addio.
 
Un attimo di silenzio, infinito, con gli occhi fissi al bordo della scrivania ed il telefono ancora contro l’orecchio.
Poi, quella vocina.
Tim, messaggio gratuito. 
Spento, o non raggiungibile.
 
Mi ha.. mi ha attaccato il telefono in faccia; mi ha..
 
- Allora? – il naso di Cecchini faceva capolino dalla porta, aperta come al solito senza bussare.
- Tutto ok.- scattò a rispondergli, arricciando le labbra e fingendo convinzione – è.. è soddisfatto; il posto gli piace, sta ingranando coi colleghi e da qualche giorno cammina. Con le stampelle, ma cammina. Ha ottime probabilità di tornare operativo in poche settimane.
- Visto? Facile! – quello uscì a marcia indietro, sorriso felino e soddisfatto, mani intrecciate – allora.. buona serata e buonanotte, capitano.
- Buonanotte, maresciallo..
 
Seduta sul bordo del letto, dopo aver sbocconcellato qualcosa distrattamente per cena, non riusciva a smettere di fissare lo schermo del cellulare. E pensare che per un attimo ci aveva sperato, che la richiamasse..
Magari è in un posto in cui non può parlare, magari ci sono altri e non vuol far sapere i cavoli suoi; magari..
 
Un paio di minuti di ipotesi e giustificazioni, poi aveva raccolto di nuovo ciò che restava del suo coraggio per quella sera, ed aveva fatto il primo passo.
Francesco. Chiama.
 
Il numero selezionato non è abilitato per questo tipo di chiamate.
 
Mi ha bloccato. Mi ha bloccato, mi ha bloccato, mi ha..
  
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