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Autore: AngelCruelty    15/01/2020    3 recensioni
"Storia partecipante al contest "Who put crack in my amortentia?" indetto da GiuniaPalma / LadyPalma sul forum di EFP"
Dal testo: "La sua speciale tazzina da tè era tornata ad essere solo un altro boccale di burrobirra come tutti gli altri."
AberforthxMinerva
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Minerva McGranitt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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NA INIZIALI: Heylà! Innanzitutto vi dò un po' di contesto perché la vicenda è direttamente immersa nella storia, senza premesse. Conoscete già la storia di Minerva? Lei era innamorata di un babbano ma visto che sua madre (strega) aveva vissuto un rapporto complesso e difficile con uno di loro ha deciso di rifiutare la sua proposta di matrimonio. Più tardi è diventata professoressa a Hogwarts insieme a Albus, e quando ha scoperto che Douglas (il babbano) si era sposato con un'altra, Silente l'ha consolata, confessando il suo, di passato (tutta la famosa storia di Ariana e Grindelwald). Da allora i due sono diventati grandi amici. Bene, io ho immaginato che queste confessioni fossero rimaste in quel aula di trasfigurazione fino a questo momento in cui, dopo la perdita di Grindelwald e nei primi giorni di Silente come preside, lui non ha iniziato a perdere sé stesso per via del forte potere del pensatoio. Cosa c'entra Aberforth? C'entra moltissimo, ma questo lo scoprirete leggendo!
Devo essere sincera, io non so se siamo in realtà coerenti con i tempi. Questo perché ad un certo punto Minerva si è sposata e non so se questa vicenda sia avvenuta prima o dopo che Silente è stato nominato preside, tuttavia in questa storia Minerva non si è ancora sposata. Non riesco a trovare informazioni più accurate, per cui mi prenderò un po' di licenza poetica e farò finta che sia tutto in regola. Insomma, trovate i nostri protagonisti più giovani e ingenui di come li conosciamo, ma non giovanissimi.
 

 
UN ALTRO BOCCALE DI BURROBIRRA

Quando Minerva arrivò nello studio di Albus Silente, lo trovò immerso nel pensatoio. La donna esitò, incerta sul da farsi. Albus era l'uomo più scaltro, il duellante più agile e il mago più potente che lei avesse mai conosciuto, tuttavia non si era minimamente accorto della sua presenza. Il ricordo che stava rivangando l'aveva completamente assorto, riducendo la sua soglia dell'attenzione verso l'esterno in maniera pericolosa. Ovviamente Hogwarts era il posto più sicuro del mondo magico dopo la Gringott, per cui non aveva nulla da temere, ma la giovane professoressa si domandò ugualmente se si trattasse di un comportamento sano, consono. Si guardò intorno: doveva forse andarsene e tornare più tardi? Quel momento sembrava essere piuttosto intimo per il nuovo preside della scuola e non voleva disturbarlo. La donna indietreggiò, ma prima che raggiungesse la statua a forma di aquila, l'uomo sollevò il capo e fece dei passi all'indietro, fino a ricadere stanco nella sua poltrona. Si strofinò gli occhi e tirò su con il naso, poi alzò lo sguardo e si rese conto di non essere da solo.
"Minerva..." disse, colto di sorpresa.
"Albus, posso tornare tra qualche ora se preferisce." si affrettò a dire lei, rispettosa.
Lui sorrise, la sua espressione si addolcì e quelli che sembravano essere principi di lacrime si asciugarono in fretta per lasciare spazio alla solita aria pacifica e rassicurante: "Minerva non scherzare. Solo perché ora sono preside, non vuol dire che il nostro rapporto debba cambiare. Vieni pure." la invitò a sedersi, e lei lo fece, cercando di nascondere la sua curiosità verso il pensatoio: ne conosceva le proprietà, ma non ne aveva mai utilizzato uno. Eppure aveva dei sospetti su quali memorie potessero aver portato Albus in quello stato. Con un solo sguardo gettato nella direzione del pensatoio il preside intercettò i suoi pensieri: "Ah, questo cimelio è davvero potente. Non si comprende mai abbastanza l'importanza di certi ricordi finché non li si rivive come se fosse la prima volta. Credimi, è davvero vivido. Puoi provarlo se vuoi, depositare qualche rimembranza di Douglas o della tua infanzia."
Minerva trovò tale proposta piuttosto fuori luogo: "Io non voglio ricordare Douglas, né qualche evento puerile di scarsa importanza, e non dovresti farlo nemmeno tu. È la seconda volta che la trovo consunto dalle immagini di questo artefatto, devo ammettere di essere davvero preoccupata per lei."
Ancora una volta l'espressione di Silente mutò drasticamente, rabbuiandosi: "Non mi aspetto che tu capisca... Ma devo chiederti di non oltrepassare il limite, so bene cosa sto facendo professoressa McGrannitt."
Ma anche se la donna anteponeva il rispetto avanti a qualsiasi cosa, non era davvero il tipo da farsi intimorire o sottomettere, nemmeno dal suo datore di lavoro, nemmeno se si trattava del mago più influente della sua epoca. Per cui rispose prontamente: "Oh no, io capisco davvero bene. Il pensiero di chi abbia davvero ucciso Ariana tra voi tre giovani e avventati maghetti la consuma: ma non scoprirà la verità nemmeno ripercorrendo quei ricordi miliardi di volte. La sua memoria è compromessa dalle emozioni, e se non ha visto allora chi ha lanciato la maledizione, non lo vedrà nemmeno adesso. Adesso mi perdoni se ho tirato fuori il suo passato dopo aver concordato di non parlarne mai più, ma sappia che ha cominciato lei: sia crogiolandosi nei sensi di colpa che nominando Douglas." così dicendo si alzò, dimenticando il vero motivo per cui era arrivata fin lì, e si incamminò verso l'uscita.
Anche Albus scattò in piedi, ponendo la punta delle dita sulla cattedra per sporgersi e urlare: "Non avrei mai dovuto raccontarti quelle cose!"
Minerva era consapevole che quelle parole erano dovute ad uno scatto di rabbia, all'impeto del momento, ma non poté fare a meno di voltarsi e ribattere: "Nemmeno io avrei dovuto raccontarla del mio amore per un babbano, allora. Crede forse che, siccome ho sofferto per lui, passerò tutta la mia vita a compiangermi e cercare di ritrovarlo tra i miei ricordi come fai lei?"
Albus scosse la testa, incerto sull'espressione da incarnare: doveva ridere o essere ancora più arrabbiato?
"Come puoi anche minimamente paragonare l'amore per una sorella morta ad un amore giovanile perduto?!"
Stavolta fu Minerva a sorridere amaramente: "Non mi riferivo a lei stavolta, ma a Grindelwald."
Le labbra di Silente si trasformarono in una linea piatta, incapaci di muoversi. Nel suo racconto impiastrato di singulti, nella notte in cui i due avevano stretto un'amicizia che andava oltre gli obblighi lavorativi, Albus aveva volutamente omesso di accennare ai sentimenti che aveva provato verso l'uomo che l'aveva portato alla rovina. Tuttavia, doveva aver sottovalutato l'arguzia di una donna che di amori infranti ne sapeva qualcosa. La McGrannitt dunque scivolò via con il gargoyle e lasciò nuovamente solo il suo più caro amico.
Si chiuse nella sua camera da letto e guardò fuori dalla finestra: così facendo Albus si sarebbe rovinato la vita e la carriera, e se c'era una cosa a cui Minerva teneva di più che ai rapporti interpersonali, quella era la scuola di Hogwarts. Lei non aveva il potere di riportare indietro né Ariana né Gellert, ma c'era qualcuno che poteva tornare sui suoi passi e far ragionare quell'ombra di un professore che un tempo stimava: quella persona era Aberforth Silente.
 
*
La prima volta che Minerva vide il minore dei fratelli Silente fu quando entrò per la prima volta alla Testa di Porco. Da ragazzina si era rifiutata di entrare in quel posto, troppo rozzo e sporco per i suoi gusti. I suoi amici erano attratti dal che di proibito che esso rappresentava, dal lato oscuro di Hogsmeade. Lei invece non trovava affascinanti le tenebre: la vita era troppo breve per essere vissuta al buio. Lo riconobbe all'istante: l'omone brizzolato dalla barba incolta e gli occhi azzurri al bancone non poteva che essere lui. Cercò di sembrare disinteressata e si sedette su uno sgabello davanti a lui, in realtà non aveva esattamente pensato a cosa dire, così improvvisò: "Gradirei una tazza di tè" disse.
Solo un attimo dopo, quando la risata di lui esplose prorompente, si rese conto della stupidaggine che era uscita dalla sua bocca. Rossa in viso, guardò il barista con aria indispettita.
"Mi dispiace, solo burrobirra e acqua allegra qui" rispose lui, rivelando un tono di voce profondo e calmo.
"Mi dia quello che vuole" rispose lei, decisa a riprendersi dall'episodio.
Lui obbedì e gli porse una burrobirra per poi mettersi ad asciugare dei piatti dal lavabo. La donna non poté far a meno di notare che lui era l'unico barman a utilizzare le mani per lavorare, anziché la bacchetta. Come a dimostrargli come andavano fatte le cose, estrasse la sua e trasfigurò il biondo liquido all'interno del boccale legnoso in una candida tazzina di tè verde. L'uomo notò il suo gesto a malapena, intento nelle sue faccende. Minerva sapeva di dover dire qualcosa, ma aveva il sospetto che la schiettezza avrebbe portato al fallimento della sua missione. Per cui attese e attese, nella speranza di essere notata, di poter parlare con lui e trovare una leva per aprire il suo cuore coriaceo. Tuttavia attese invano, in silenzio, finché il suo tè non freddò e tutti gli altri clienti pian piano sparirono dal locale. Dal canto suo Aberforth non disse nulla, non la invitò ad andare via né interruppe lo strano rito della donna. Anche il 'piccolo' Silente attese.
*
La volta successiva, Minerva arrivò al pub con maggior risolutezza. Si sedette sullo stesso sgabello della volta precedente, ma prima che potesse ordinare qualcosa, una bianca tazzina vuota le apparve davanti. Aberforth doveva averla conservata, perché era la stessa che lei aveva trasfigurato dal boccale di burrobirra. Non solo, si era ricordato di lei e l'aveva servita di conseguenza. Probabilmente era solo un'abitudine da barista attento, ma Minerva non poté far a meno di sorridergli: "Grazie" disse prima di pronunciare un incantesimo per riempirlo di caldo liquido verdognolo. Per qualche minuto, ripeté lo strano silenzio della volta precedente, rimuginando su quel piccolo gesto. Infine però, fece uno slancio d'istinto e gli parlò: "Non utilizzi la magia" verbalizzò i suoi pensieri.
"La magia è utilizzata fin troppo per questioni futili come i lavori manuali." rispose lui, senza degnarla di uno sguardo.
"Forse. Ma tu non la utilizzi proprio. Non hai trasfigurato la tazzina nella sua forma originale." disse.
Quel gesto tanto carino, che poteva sembrare calcolato e dolce, non era che un riflesso del fatto che quell'uomo aveva smesso di usare la sua bacchetta. E Minerva ne conosceva il motivo: il pensiero che quell'asta di legno potesse essere responsabile della morte di sua sorella doveva averlo corroso al punto da costringerlo ad abbandonarla.
"Cosa ti fa pensare che io non sia un magonó o una semplice schiappa in materia?" ridacchiò allora lui.
"Intuito. Sono un'insegnante." disse con un tono di vanto nella voce.
"Hogwarts?" alla domanda dell'uomo Minerva comprese di essere stata un po' avventata, ma poco valeva. In molti la conoscevano ad Hogsmeade e chiunque avrebbe potuto rivelargli quell'informazione. D'altronde, seppur la sua vicinanza con Albus poteva suscitare un minimo di astio nei suoi confronti da parte di Aberforth, quel quesito dimostrava che lui era anche un po' curioso. Forse il rapporto tra i due fratelli non era poi così lacerato...
"Si, trasfigurazione." ammise.
Lui annuì, ma non accennò ad Albus: "Non mi piace la magia" sussurrò.
Probabilmente lui non avrebbe voluto che sentisse, ma le sue orecchie soriane lo intercettarono. In quel momento seppe che non doveva farli riconciliare solo per il bene del suo migliore amico, ma anche per quello di Aberforth.
**
Qualche sera dopo, Minerva era di nuovo seduta nello stesso angolo della Testa di Porco, a sorseggiare del tè. Aberforth sfilò accanto a lei, trasandato come non mai, e la donna si mise a pensare a quanto i due fratelli fossero diversi. Albus con il suo stile elegante e pacifico e la capacità di chiedere perdono (giusto qualche sera prima le aveva chiesto scusa per la discussione riguardo il pensatoio, dandole ragione); e Aberforth tanto più rozzo, scontroso e incapace di ammettere di avere torto. Improvvisamente si riebbe dalle sue riflessioni, perché nel voltarsi a guardare Aberforth aveva urtato la tazzina, che stava per infrangersi a terra.
"Vingardium leviosa!" esclamò, estraendo prontamente la bacchetta.
La tazza levitò all'istante, evitando l'inevitabile. Aberforth si voltò a guardarla. Allora lei gli disse: "Vedi? La magia può essere utile se utilizzata bene."
Lui grugnì quello che sembrava un assenso, poi tornò a lavoro.
**
Aberforth non le chiese di lasciarlo solo, ma iniziò a spazzare il pavimento al centro della stanza, come se lei non fosse presente. Tutti i clienti erano ormai svaniti, ma lei no. Come tutte le sere da un po’ di tempo a quella parte, d’altronde.
Minerva si voltò a guardarlo, abbandonando la tazzina vuota sul bancone. Avrebbe voluto parlargli di quanto la magia fosse speciale, per convincerlo a praticarla di nuovo. Tuttavia ogni parola che le veniva alla mente era puramente moralista e infantile. Lei era fin troppo innamorata della sua bacchetta per pensare lucidamente. Così, in silenzio, la estrasse dalla tasca e sussurrò dolcemente le parole: “Expecto patronum”
Dalla punta della bacchetta fluì un concentrato di energia argentata e filiforme, che prese subito la forma di un gatto. Questo iniziò a zampettare verso Aberforth fino a strofinarsi sulla sua gamba. Minerva non si aspettava un tale gesto e trattenne il fiato. Sentire il proprio patronus toccare un altro essere umano era una sensazione indescrivibile. Significava quasi condividere la propria felicità, il proprio ricordo gioioso, con quella persona. Tuttavia lo si faceva senza parlare. Non era come quando si raccontava una vicenda, era più come se quella felicità fluisse dalla propria persona all’altra. Quello che ricevette in cambio fu una scossa improvvisa di paura, e lei avvertì che proveniva da Aberforth. Imperterrito, il patronus continuò a strofinarsi contro l’uomo, in cerca di una coccola. Lui rimase immobile. Fissò l’argentea figura per un tempo illimitato, dopodiché inserì la mano nella propria giacca. Minerva lo osservava attenta, ancora una volta con il fiato sospeso. L’uomo prese la sua bacchetta da un taschino interno e la guardò come se gli fosse aliena. Poi la strinse con forza, riportando alla mente la sensazione che si provava quando si lanciava un patronus. Minerva sentiva il suo timore, ma anche la sua voglia di dimostrarle che anche lui era capace, che anche lui aveva ancora qualche ricordo felice nella mente. All’improvviso, come riscosso da un sonno, egli tuonò: “Expecto patronum!”
Immediatamente si materializzò una capra dall’aspetto candido e semplice, sembrava disegnata con dei fili d’argento pallido. Il patronus-gatto gli corse subito incontro, e con un salto agile salì sulla sua groppa, si accucciò e sembrò addormentarsi su di lei. Minerva riuscì a stento a staccare gli occhi da quell’immagine tanto tenera quanto insolita, ma volle lanciare uno sguardo a Aberforth: stava sorridendo.
**
Dopo quella notte, tutte le volte che Minerva varcava la soglia della Testa di Porco, notava quello stesso sorriso comparire sul volto di Aberforth. Lei a quel punto arrossiva, ma impavida camminava verso di lui e aspettava che le servisse la solita tazza di tè. Ripeterono serate simili per settimane, e Minerva perse di vista l’obiettivo di far riunire i due fratelli Silente. Tutto quel che contava era lì, tra la sua tazza e il boccale di burrobirra di Aberforth.
**
Una sera, Minerva si sentì spavalda. Quando l’uomo gli porse la solita tazza, lei scosse la testa: “Sai cosa c’è? Dammi una burrobirra!” disse ridente.
Lui sorrise della sua scelta e la servì. Anche lui si riempì un boccale, e brindarono insieme: “Alla burrobirra!” disse lui.
“Alla magia!” ribatté lei.
E bevvero: lui si sporcò i baffi di schiuma, lei cercò di bere tutto d’un fiato e quasi si strozzò.
Passarono tutto il tempo a ridere e riempire i bicchieri, e anche quella volta rimasero da soli. Tra un discorso e l’altro, Minerva nominò i suoi fratelli e uno scherzo che le avevano fatto da bambini. Quasi senza fiato dal ridere commentò: “Ero così tremendamente arrabbiata! Dicevo che non era affatto divertente, ma a ripensarci adesso sembra così esilarante! Chissà quante devi averne combinate tu, con tuo fratello!”
A quelle parole, il volto di Aberforth si rabbuiò all’istante. Persino le luci delle candele nella stanza sembrarono affievolirsi. L’unico rumore erano le risa della donna, chiaramente ubriaca.
“Mi chiedevo quando avresti fatto una mossa falsa.” Disse lui, cupo.
A quel punto, Minerva non poté più ignorare il suo cambio di stato d’animo, e si zittì.
Confusa, scosse la testa. Si, aveva nominato Albus, ma non credeva che quell’argomento potesse essere un taboo così grande.
“Cosa intendi?” domandò incerta.
“Mi credi forse stupido?” chiese lui di rimando, esplodendo in un fiume di parole: “Viene qui una donna tutto punto e raffinata come te, di punto in bianco, dopo aver evitato come la peste il mio locale… proprio dopo aver iniziato a lavorare con Albus Silente! Da quando è diventato preside deve avere più potere su voi streghette, non è così? Ti ha inviata per controllarmi sotto ricatto o sotto promessa di un aumento di stipendio? Dimmelo, non andrò a dirlo ai quattro venti, in ogni caso.”
Minerva si sentì come cadere da un’altezza indefinita dopo essere inciampata in un sasso che non sapeva essere proprio lì, davanti ai suoi piedi.
Scosse nuovamente il capo e iniziò a borbottare: “No! No, hai frainteso!”
Aberforth lanciò una risata amara e glaciale, che congelò la donna all’istante: “Ma veramente? Ho frainteso? Allora guardami negli occhi e dimmi che la prima volta che sei venuta nel mio pub non l’hai fatto per lui. Dì che non eri qui per mio fratello.”
Minerva era una strega arguta, una brava duellante, una figlia modello e un’insegnante tutto punto: e soprattutto non era una bugiarda. Sapeva che l’uomo stava fraintendendo l’intera faccenda, ma non gli avrebbe mentito, avrebbe spiegato tutto, a partire dal giorno in cui aveva beccato Albus nel pensatoio: “Lo ero, ma…”
Ma a quel punto Aberforth divenne un gigante durante uno scatto d’ira. Si alzò in piedi, rosso in viso, e le urlò contro: “Lo sapevo! L’ho sempre saputo! Volevo vedere fin dove saresti arrivata. Da quando hai detto quella frase sulla magia, sul fatto che essa può essere usata nel modo giusto. Suona proprio come Albus, mi sono detto! Era perché quella frase era davvero sua, me la sono ricordata! Ti ha manovrata per arrivare a me, vuole togliersi dalla coscienza il mio rifiuto di praticare la magia. Almeno quello, povero martire! Va via!”
Minerva era costernata. Forse era l’alcol a farlo reagire a quel modo, ma questo lato di lui che era rimasto celato la spaventava un poco: “Ma…” mormorò.
“Va via e non tornare mai più!” insistette l’uomo, indicandole la porta.
La professoressa McGrannitt tirò su con il naso, determinata a non farsi vedere ferita da quell’uomo carico di rabbia e odio. Si smaterializzò fino ai cancelli di Hogwarts, varcò la soglia salutando a malapena l’inserviente, e poi si chiuse in camera sua. Finalmente poté scoppiare a piangere di un pianto controllato e tetro com’era il suo amore per Aberforth Silente.
**
Passarono i giorni e Minerva non tornò alla Testa di Porco. Si gettò a capofitto nel lavoro e si chiudeva in camera solo quando era così stanca da crollare immediatamente addormentata sul letto. Non pianse più per Aberforth, né per Albus o nessun altro uomo in vita sua. Le settimane si succedettero e lei capì una cosa: non poteva essere felice né con un uomo che non conosceva la magia come Douglas, né con uno che la odiava come Aberforth. Il suo posto sicuro era solo uno, e quello era Hogwarts. Per quanto riguardava la vita privata… ormai aveva una certa età e non aveva più bisogno di quegli amori travolgenti e passionali che lasciavano senza respiro: voleva un compagno di vita. Qualcuno con cui condividere le giornate in tranquillità, con cui sfogarsi nei periodi stressanti e con cui gioire quando qualcosa andava per il verso giusto. Per questo motivo, quando il suo caro amico Elphistone Urquart chiese la sua mano per la millesima volta, inaspettatamente lei disse di sì.
Tuttavia Minerva non mantenne la promessa fatta a Aberforth di non tornare mai più nel suo locale. Pochi anni dopo infatti, Minerva rimase vedova. Il suo amato marito era molto più vecchio di lei e questo finale era stato probabilmente inevitabile sin dall’inizio. Per distrarla da questo terribile destino che l’aveva raggiunta, i suoi amici Pomona e Filius la invitavano spesso ad uscire con loro. Per non destare sospetti, e per dimostrare ad Aberforth di non essere affatto intimidita da lui, decise di accettare quando loro proposero una serata alla Testa di Porco. Seduta ad un tavolo con i due colleghi, e senza mai destinare uno sguardo al barman, non riuscì però a non notare che dopotutto, grazie a quegli incontri notturni qualche buon risvolto c’era stato. Infatti l’occhio attento di Minerva fece caso al fatto che sulle mensole impolverate non c’erano altro che boccali: erano così rovinati da non poter essere delle sostituzioni. Anche dopo la loro separazione Aberforth aveva continuato a utilizzare la magia, e la sua speciale tazzina da tè era tornata ad essere solo un altro boccale di burrobirra come tutti gli altri.
Dopotutto, Aberforth Silente non era stato l’unico a lasciare il segno. Anche la giovane professoressa aveva impresso qualcosa di sé su quella scorza dura d’un caprone.
E Minerva… beh, lei aveva imparato a bere la burrobirra.
“Un altro boccale, grazie.” Ordinò.
 
NA finali
Io amante del crack? No, in realtà no. Io certe coppie non le riuscirei nemmeno a pensare. È per questo che il contest di GiuniaPalma rappresenta una sfida interessante, pertanto ho deciso di partecipare. Quando tra le proposte ho letto MinervaxAberforth ho pensato: e perché no!? Ma quando ho iniziato a scrivere ho capito che sarebbe stata davvero dura. Alla fine ho deciso di prendere 'un giro largo', e connettere i due personaggi con l'unica figura di mezzo tra di loro: Albus.
Ps. Le licenze poetiche le ho prese anche per quanto riguarda i patronus, trovavo romantico che toccando un altro umano, un patronus potesse dare emozioni indescrivibili, e ho voluto inserirlo anche se non credo sia vero nell’universo di zia Ro. Per quanto riguarda la smaterializzazione, non ho voluto descrivere tutto il viaggio a piedi di Minerva per raggiungere il castello, ma con ‘cancelli di Hogwarts’ intendo l’inizio della barriera che non permette la smaterializzazione (sono stata attenta stavolta eheh).
Beh, che dire! Grazie di aver letto questa storia, spero vi sia piaciuta nonostante tutte le libertà che mi sono presa! A presto!
  
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