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Autore: iron_spider    16/01/2020    1 recensioni
La sua mente è un caos infernale, ma ricorda il momento: ricorda la propria morte, ricorda il dolore rosso e scottante e Peter che urla, Rhodey che accorre al suo fianco. Ricorda di aver saputo che non avrebbe rivisto Pepper… ma ce l’avevano fatta. Avevano aggiustato il mondo, cancellato il tempo perso, risolto le cose. E il ragazzino era tornato. Piangeva, quel ragazzino che lo odiava per ciò che aveva fatto, ma era tornato. Era vivo.
E Tony Stark era morto. Ma adesso respira di nuovo mentre cerca di pensare, annaspando, con le mani che tastano le pareti che lo circondano, che lo racchiudono, che lo soffocano.
È in una bara. È sottoterra. È sottoterra, cazzo.

[Traduzione // Hurt-comfort // What If? // Tony&Peter // scritta pre-Endgame // Completa]
Genere: Angst, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1


 
Accade tutto insieme, ed è straziante.

Viene riassemblato come nuovo, mentre qualcosa o qualcuno torce le lancette del tempo facendo in modo che niente sia mai accaduto. La decomposizione si riavvolge, la tinta verdastra della sua pelle si schiarisce, il gonfiore rientra, i bulbi oculari e i capelli ricrescono. Come se la morte non l’avesse mai toccato, come se la sua salma non fosse mai stata ricomposta e non ci fosse stato alcun funerale, nessuna lacrima.

Solo che è ancora sottoterra.

Accade tutto insieme, in un lampo. Come un fulmine che lo colpisce inviando una scossa nel suo corpo per riportarlo in vita, e si sveglia come nuovo – esattamente com’era prima, intero, vivo – con dei rantoli spezzati, il panico che gli pompa nelle vene, il suo debole cuore che va a singhiozzo, sul punto di fermarsi ancor prima che la sua seconda vita possa iniziare.

Ha ancora il tanfo della morte appiccicato addosso, al completo tre pezzi in cui l’hanno sepolto.

La sua mente è un caos infernale, ma ricorda il momento: ricorda la propria morte, ricorda il dolore rosso e scottante e Peter che urla, Rhodey che accorre al suo fianco. Ricorda di aver saputo che non avrebbe rivisto Pepper… ma ce l’avevano fatta. Avevano aggiustato il mondo, cancellato il tempo perso, risolto le cose. E il ragazzino era tornato. Piangeva, quel ragazzino che lo odiava per ciò che aveva fatto, ma era tornato. Era vivo.

Tony Stark era morto. Ma adesso respira di nuovo mentre cerca di pensare, annaspando, con le mani che tastano le pareti che lo circondano, che lo racchiudono, che lo soffocano.

È in una bara. È sottoterra. È sottoterra, cazzo.

Cerca di urlare, di chiamare aiuto perché è sepolto vivo, maledizione, perché non è più morto, non è morto, non è morto… ma non ha voce. Riesce solo a emettere un gracidio, degli ansiti disperati che quasi lo strozzano. Ci riprova, ci prova e riprova ancora. Niente. Per una volta, è senza parole.

È completamente buio. Buio puro. Panico, panico, panico e terrore, del tipo che si radica a lui e lo immobilizza, e sta rantolando, artiglia le pareti troppo morbide che lo attorniano. La voce nella sua testa sta urlando, implorando, e sente di non riuscire a respirare – morirà di nuovo e non lo saprà nessuno – nessuno saprà che era tornato, che si era risvegliato sconfiggendo la morte per poi cadere di nuovo nelle sue grinfie altrettanto rapidamente…

Calmati, pensa: ha la testa piena di statico, ma cerca di focalizzarsi sulla propria voce, persa da qualche parte dentro di lui. Calmati, sei ancora te stesso. Sei ancora Tony Stark, calmati, puoi cavartela.

Una parte di lui non ne è così certa. Non gli è mai capitato di essere sepolto vivo, né di tornare dall’aldilà. Il silenzio è opprimente. Riesce ad alzare solo un poco la testa, e cerca a tentoni attorno a sé – è così buio, maledizione – trovando un fiore secco sul proprio petto che si sbriciola al suo tocco, con un paio di occhiali da sole accanto… e un guanto repulsore vicino alla sua coscia. Ne segue il contorno e schiaccia un pulsante. Emana una luce azzurrina che dissipa un poco il buio.

Lo fissa, cercando di capire se sia un’allucinazione. Tenta di respirare appena. Vi poggia sopra la mano: è reale. Reale quanto tutto il resto.

Segue il perimetro della sua bara grazie a quella nuova fonte di luce. Sta piangendo: non vorrebbe, ma sta piangendo e si copre il volto con le mani. La disperazione è un peso che lo schiaccia come la terra sopra di lui. Non sa da quanto tempo sia morto, quanto a lungo può sopravvivere qua sotto, come sia il mondo adesso, chi sia rimasto… gli sfugge un singhiozzo e si preme le dita negli occhi.

Il momento della sua morte si ripete a loop nella sua testa. Ancora e ancora. Il momento che l’ha condotto fin qui, che l’ha portato a questo. Riesce quasi a sentire il braccio che pulsa violentemente come allora. Riesce quasi a sentire il sangue in bocca. Riesce a sentire Rhodey che gli parla, sottovoce. Sente Peter che piange, implorandolo di non andare.

Deve uscire di qui. Potrà rivederli. Rivedere Happy. La squadra.

Pepper.

Si ricompone. Prende il fiore, secco e friabile, e lo mette dentro la giacca elegante. Vede un paio di buste da lettera cacciate in quella stessa tasca e le fissa per un lungo istante: un altro incentivo per uscire di lì. Risucchia un respiro, enorme, perché sa che il terreno gli franerà addosso non appena sfonderà il coperchio, e deve essere pronto.

Ringrazia silenziosamente chiunque gli abbia lasciato il repulsore. Gli sembra il tipo di cosa che farebbe Peter.

Infila la mano nel guanto, che si attiva a un suo gesto emettendo una luce più intensa. Non ha lo spazio per stendere il braccio ed è lieto di non essere anche claustrofobico, tra le altre cose. Posiziona il gomito accanto al costato e punta il palmo verso l’alto. Poi spara un raggio.

La terra si riversa su di lui come un’onda anomala e ne spara un altro, serrando gli occhi. Tira calci e pugni, allargando il foro che ha creato, e grugnisce mentre si dà la spinta verso l’alto, dimenandosi e aggrappandosi qua e là e scivolando indietro, con la terra negli occhi e in bocca e in gola, sotto le unghie mentre si dimena, e spara un colpo sotto di sé per provare a sospingersi fuori. Riesce a malapena a pensare e la terra lo sta soffocando – sta annegando nella morte, tutt’intorno a lui, con il terriccio che si comprime mentre cerca di oltrepassarlo. Si sente troppo debole, ma non può arrendersi. Non può, non può. Loro devono essere là fuori, da qualche parte. Deve tornare da loro.

Riesce a vedere la luce, dei movimenti, e continua ad avanzare sforzando i muscoli in fiamme, e gli sembra che gli stia per cedere il cuore. Gli fa male tutto, ogni osso, si sente nudo ed esposto, con la disperazione e il dolore che lo attanagliano. Non sa se ce la farà o se si stia muovendo nella direzione sbagliata, finendo per scivolare via – con la terra che lo metterà a tacere, estinguendolo.

Poi qualcuno lo afferra. Afferra la mano libera dal guanto e a Tonynon importa chi sia: il sentire qualcuno, chiunque sia, gli dà speranza, e scalcia e lotta con più energia attraverso la ragnatela di terra mentre lo sconosciuto lo issa verso l’alto. Sente l’aria, la assapora, tossisce nel raggiungere la superficie, mentre l’altro lo trascina per l’ultimo tratto quando lui si accascia esanime per lo sfinimento. Tossisce, quasi si strozza, ma è qui. Il terreno cede sotto di lui.

Ce l’ha fatta.


«Oddio,» dice una voce familiare. «Oddio, oddio, o– oddio.»

Peter.

«Oh, mio Dio,» singhiozza Peter, e Tony sente le sue mani sulla schiena. «Cosa– cosa– oh– oh, mio Dio–»

Tony ha l’impressione che il proprio corpo pesi un milione di chili, e sa che la sua mano scoperta sta sanguinando, ma indirizza ogni energia residua nel sollevare il capo.

Peter è rimasto lo stesso. Ha i capelli un po’ più lunghi, ma tant’è. È l’unica differenza.

È una delle cose più belle che Tony abbia mai visto in vita sua. In entrambe le vite. È reale. Una persona in carne ed ossa, lì con lui. Il ragazzo. Una persona a cui vuole bene, una persona per cui aveva dato la vita. Avrebbe potuto essere un estraneo, un guardiano del cimitero qualunque, ma diamine, questo è un altro miracolo. Peter ha gli occhi pieni di lacrime ed è aggrappato a lui, spazza via il terriccio dai suoi vestiti come se non sapesse nemmeno quello che sta facendo.


«Sto– me lo sto sognando, oddio,» dice, in un respiro. «Oh, mio Dio.»

Tony si ricorda che non può parlare. Non ha la sua cazzo di voce. Ci prova di nuovo, ma non esce nulla, solo un lamento flebile e terrificante. E lui è terrorizzato, si sente sulla soglia di un infarto.

«Tony,» lo chiama Peter, stringendolo forte per le spalle. «Tony, stai… oddio, non ci credo… Tony, Tony–»

Tony sta per avere un attacco di panico. Sta tremando incontrollabilmente, col terrore che gli scorre nelle vene, e fa il gesto di rimettersi in piedi. Peter lo prende delicatamente per gli avambracci e cerca di aiutarlo. Non appena raggiunge una posizione vagamente verticale, Tony collassa contro di lui, avvolgendolo in un abbraccio e stringendolo con forza. Non vuole sconvolgerlo ancor di più, ma non riesce a pensare razionalmente, sta tremando come un bambino ed è così felice che sia Peter, dannazione, è così contento che sia lui. Chiude gli occhi.

«Sono qui,» balbetta Peter. «Sono– sono, sono– sono qui, è– oddio– va tutto bene, va tutto bene.» Gli sfrega la spalla, gli dà delle pacche sulla schiena e Tony cerca di calmarsi, di riprendere il controllo. Di non pensare al fatto che fino a venti minuti fa era morto.

Cerca di respirare.


«Chiamo– chiamo– chiamo Pepper… Bruce e Rhodey sono già qui– ci vengono a prendere, capiremo cosa fare… ci sono io, va tutto bene. Tony, va tutto bene.»

Tony capisce che Peter sta cercando di essere forte per lui. Si chiede quanto spesso venga qui. Perché abbia avuto la fortuna di averlo qui proprio stasera. Riapre gli occhi: il cielo è scuro, tinto del rosa di un tramonto morente. Vede l’Empire State Building in lontananza, e la Stark Tower. È ancora lì.

Vede la propria lapide oltre le spalle di Peter.
 
ANTHONY EDWARD STARK
29 MAGGIO 1970 – 18 SETTEMBRE 2018
PER SEMPRE NEI NOSTRI CUORI
 
“No stop signs, speed limit
Nobody’s gonna slow me down”

Cristo Santo.

Chiude di nuovo gli occhi e si stringe al ragazzo. Si sente folle, con questo completo addosso, ricoperto di terra, con un guanto dell’armatura su una mano e l’altra che sanguina.  Ma è vivo. È vivo.

Sente Peter che tira fuori di tasca il telefono, una mano che ancora lo tiene saldamente.


«Bruce?» dice nella cornetta. «Bruce, devi– devi venire qui da me– ho… sì, sono ancora qui, ma mi serve– è successa una cosa, una cosa… Dio, non lo so. È importante. Vieni e basta. Porta Pepper.»


 
§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter 1 di iron_spider da _Lightning_


Note della Traduttrice:

Salve e buon anno in ritardo!
Avevo promesso la pubblicazione di una nuova long tradotta nel periodo natalizio... ma purtroppo il fato ha voluto altrimenti, e riesco ad arrivare solo ora con una delle storie di iron_spider che amo di più. Sottolineo il fatto che l'autrice l'ha scritta molto prima di Endgame, anche se immagino che tutti noi vorremmo veder tornare in vita Tony adesso, a fattaccio compiuto *sigh*

Come sempre cerco di rispettare lo stile dell'autrice in traduzione senza imporre il mio: qualunque scelta di punteggiatura, ripetizioni, termini e struttura dei dialoghi è voluta in modo da essere quanto più possibile fedele all'originale, con cambiamenti (indicati di solito nelle note) volti solo a renderla più fruibile in italiano senza intaccarne l'intento di base. EDIT: Ho corretto il titolo, poiché avevo messo quello della bozza in cui non avevo riportato l'esatto versetto biblico a cui si fa riferimento.

Se volete, fatemi sapere che ne pensate, ma soprattutto andate a lasciare kudos alla storia originale per mostrare il vostro apprezzamento all'autrice! Trovate sempre il link ai rispettivi capitoli a piè di pagina, subito prima delle note, assieme a quello al mio account personale (se voleste contattarmi, lo controllo molto più spesso di questo) <3

Al prossimo capitolo, ovvero tra una settimana esatta,

-Light-
   
 
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