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Autore: Nuel    17/01/2020    6 recensioni
La pace è tornata a Dante’s Cove dopo che le Ombre sono state ricacciate nella loro prigione secolare, ma di Toby e Adam non c’è traccia.
Mentre i ragazzi sono intrappolati nella Casa delle Ombre, il mondo morente da cui le malvagie entità che li hanno attaccati hanno avuto origine, le streghe e i maghi del Treesom rimasti sull’isola cercano un modo di riportarli a casa.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam, Ambrosius Vallin, Grace Neville, Kevin Archer, Toby Moraitis
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I
Lontani

 

Il pavimento cigolò sotto il peso di Adam. Le vecchie tavole scricchiolavano, l’umidità macchiava i muri e c’era persino un’asse marcia, in cucina, sotto il lavello di pietra su cui aveva attecchito il muschio. Se le Ombre erano state rinchiuse in quel mondo per secoli, non c’era da stupirsi che fossero incazzate quando erano riuscite a uscirne.
     
L’aria puzzava di decomposizione, ma ormai ci aveva quasi fatto l’abitudine. Qualcuno – qualcuno che apparteneva al piano materiale o in qualunque modo si definisse chi aveva un corpo fisico, e quindi non le Ombre – aveva abitato lì, e con ogni probabilità ci era anche morto. In ogni caso, aveva costruito quella casa e realizzato un rudimentale sistema di filtraggio dell’acqua. C’era anche uno steccato spaccato su cui ancora si riconoscevano le rune magiche, a delimitare la casa e un orto con più erbacce che ortaggi.
     Se volevano sopravvivere, dovevano uscire di lì. Dovevano trovare il modo di tornare a casa o sarebbero impazziti, ma fino a quel momento avevano capito solo che riparare lo steccato era l’unico modo per tenere le Ombre fuori dal perimetro dell’abitazione. Quando la staccionata era tornata intera le rune si erano riattivate, scacciando le Ombre fuori e rendendo loro prigionieri.
     La cosa peggiore, però, era vedere lo sguardo di Toby ogni giorno più spento.
     Quando Adam entrò in camera lo trovò di nuovo lì, di fronte a quello specchio che si era affannato a ripulire della polvere con i resti di una tenda ormai strappata e sfilacciata.
     «Toby?». Non ottenne risposta. «Toby, per favore». Gli si avvicinò, abbracciandolo e posandogli un bacio tra i capelli, ma lo sguardo di Toby rimase sullo specchio che rifletteva i loro volti stanchi. Era la loro finestra sul mondo dal quale provenivano, ma non sapevano come usarla.
     Si attivava da sola, quando dall’altra parte c’erano Bro o Kevin, ma nessuno dei due sembrava in grado di vederli. Per contro, vederli assieme stava consumando Toby. Lo specchio si trovava nella loro camera, proprio di fronte al loro letto, e Adam non sapeva quante volte Toby avesse picchiato i pugni contro il vetro, chiamando Kevin fino a perdere la voce. Kevin si addormentava tra le braccia di Bro dopo aver scopato con lui, lo baciava, rideva con lui e sembrava felice.
     Adam si chiedeva se Toby lo amasse ancora. Il dolore che gli vedeva negli occhi, la mandibola serrata ogni volta che vedeva le mani di Bro sulla pelle nuda di Kevin, gli spezzavano il cuore. Lui preferiva uscire e lasciare i loro ex amanti alla loro nuova vita, ma Toby restava a guardarli, come se avesse ancora bisogno di convincersi che Kevin non era più suo.
     Dalla frequenza con cui scopavano e si addormentavano, Adam aveva intuito che il tempo scorresse in modo diverso nei due mondi, anche se era difficile capire quanto durasse un giorno nel regno delle Ombre: il sole era pallido e lontano, malato come la terra e come l’acqua. L’alba sembrava mischiarsi al crepuscolo senza che fosse mai davvero giorno.
     «Andiamo, Toby. Ho bisogno di te in cucina». Lo scosse piano, sorridendo nella speranza di strappargli un sorriso in risposta, ma riuscì solo a farlo sospirare.
     Toby scivolò fuori dal suo abbraccio e rivolse un altro sguardo allo specchio, su un letto dalle lenzuola sfatte su cui i due uomini dormivano abbracciati e inconsapevoli.
     Lo seguì in cucina, fermandosi sullo stipite della porta a osservarlo esaminare le radici bitorzolute che aveva lasciato sul tavolo. Le gettò con poco entusiasmo in un paiolo di rame ammaccato, aggiungendo l’acqua avanzata dalle precedenti cotture. Avevano riempito un secchio con d’acqua filtrata e fatta bollire per maggiore sicurezza, ma non potevano sprecarla, così Toby cercava di riutilizzare l’acqua di bollitura conservandola in una ciotola sbeccata.
     Anche la legna per accendere il fuoco era poca e per lo più umida. Toby aveva imparato ad accendere il fuoco quando, da ragazzino, andava in campeggio con il suo
pappou, suo nonno. Non era stato comunque semplice, per cui avevano deciso di tenere il fuoco sempre acceso, all’interno di un piccolo caminetto che, forse, sarebbe riuscito ad asciugare un po’ l’aria malsana della casa.
     Adam aveva accatastato accanto al caminetto un po’ di legna che aveva trovato all’esterno, nella speranza che si seccasse abbastanza da prendere fuoco senza problemi.
     «Domani potrei cercare un po’ di quelle bacche aspre che abbiamo mangiato l’altro giorno». Il silenzio stava diventando insopportabile, e non c’erano più bacche nel perimetro della staccionata. Adam non poteva più fingere che non fosse diventato necessario uscire.
     «Non è prudente». Toby non alzò nemmeno lo sguardo. Lavorava senza entusiasmo con gli utensili che aveva trovato, vecchi di almeno due secoli, triturando dell’erba aromatica più gialla che verde che cresceva sparuta nell’orto.
     «Forse potrei trovare qualcosa da mangiare», insistette Adam, «potrei provare a costruire delle trappole».
     La risata di Toby uscì forzata e sprezzante. «Hai sentito il verso di un solo uccello da quando siamo qui? Hai visto un insetto volare o strisciare per terra?». L’acredine sgorgò dalla sua voce come Adam non ricordava di averla mai sentita. «Non c’è niente di vivo in questo posto! Niente, Adam». Finalmente alzò gli occhi cerchiati su di lui. «E tra non molto non ci saremo nemmeno noi».
     Adam si sforzò di reggere il suo sguardo, e Toby torno a fissare le foglioline sul tagliere, senza riprendere a sminuzzarle.
     «Mi dispiace». Adam sospirò e tirò fuori il senso di colpa che lo divorava, perché era colpa sua se erano finiti lì. «Non avresti dovuto cercare di salvarmi». Era stato lui a cadere nel tranello e farsi risucchiare dal portale che li aveva sputati in quel mondo morente.
     Toby scosse la testa. «Non potevo lasciarti solo». La sua voce era di nuovo calma ma, se possibile, a Adam fece ancora più male perché era una calma rassegnata, di chi aveva già gettato la spugna. «Ti avevo promesso che saremmo stati sempre insieme, che non ti avrei mai lasciato».
     «Non era a questo che pensavi, quando l’hai detto».

)o(

Quando suonò il campanello, Kevin stava già infilando gli occhiali da sole. «Apro io!» Baciò Ambrosius sulle labbra e marciò verso porta.
     Bro lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì oltre la porta della veranda, poi rivolse gli occhi all’oceano. Era una giornata meravigliosa, le onde erano troppo basse per il surf e la spiaggia era praticamente deserta. C’era una brezza gentile che sfiorava le palme. Sembrava impossibile che solo poche settimane prima l’isola fosse stata sconvolta da un tornado e che la gente sembrasse impazzita. I telegiornali avevano parlato di isteria di massa e di incidenti a catena per spiegare quello che non poteva essere spiegato.
     Le labbra di Bro si stesero in un sorriso sprezzante. Erano riusciti a sigillare di nuovo le Ombre, le avevano spazzate via, e non gli dispiaceva affatto che i turisti se ne fossero andati coi primi aerei disponibili e che Dante’s Cove fosse rimasta semi-deserta. Aveva fatto ottimi affari acquistando a buon mercato dai residenti in ginocchio le proprietà distrutte dagli incendi, e una considerevole porzione dell’isola presto avrebbe pagato l’affitto a lui.
     Qualcuno si schiarì la voce, alle sue spalle. Avrebbe riconosciuto il timbro femminile e spocchioso di Grace tra mille. «A cosa devo l’onore di questa visita?». Si girò lentamente, facendo scivolare lo sguardo su di lei, senza perdere il sorriso beffardo.
     Grace si avvicinò di un paio di passi, il mento alto e le labbra piegate in un’espressione sdegnosa, come se lo disprezzasse ancora. Probabilmente i loro rapporti non sarebbero mai cambiati davvero, nemmeno dopo tutto quello che avevano passato assieme, nemmeno ora che Grace era incinta.
     «Ti trovo in forma». La donna si portò le mani al ventre. La curva più morbida dovuta alla gravidanza si notava appena, ma presto avrebbe dovuto abbandonare quei ridicoli abiti attillati. «Per una donna della tua età». Non poté fare a meno di aggiungere accarezzandosi il collo, facendo scivolare la mano verso il basso, con finta casualità, certo che gli occhi di lei avrebbero seguito il suo movimento, e fu ripagato dalla stizza che le comparve sul viso. «Ancora non torna Griff? Ho sentito dire che gli ormoni della gravidanza rendono le donne delle vere tigri».
     Oh, se gli sguardi di Grace avessero potuto uccidere! Ma nulla l’avrebbe mai privato del piacere di infastidirla.
     Lei alzò il mento con ostentata e impotente superiorità, facendolo ridere di cuore.
     «Sono passata solo per sapere se le tue ricerche hanno prodotto qualche risultato, Ambrosius, non per farmi insultare da te».
     «Grace», la chiamò con tono conciliate e divertito, «non voglio prenderti in giro. Abbiamo seppellito l’ascia di guerra ormai. Vuoi bere qualcosa?».
     Lei stirò le labbra in una linea dura. «Meglio di no». Sospirò con troppa enfasi, come se volesse darsi un tono. «Non riesco a tenere nulla nello stomaco».
     Lui alzò un sopracciglio in un’espressione sinceramente sconcertata.
     «Nausee», dovette chiarire lei.
     «Oh!». Ambrosius smise di scherzare. Al di là di tutte le loro divergenze passate, sapeva quanto quel figlio fosse importante per Grace. «Beh, per rispondere alla tua domanda», cambiò discorso mentre rientrava in casa, «non ho trovato niente. Nessuna traccia magica, nessuna impronta, niente di niente».
     Grace lo seguì, affilando lo sguardo. «Ma dobbiamo ritrovarli».
     «Dobbiamo?». Bro si fermò all’improvviso, girandosi verso di lei. «Non mi ero reso conto che tenessi così tanto a Toby e Adam».
     Grace incrociò le braccia sotto il seno. «Non li stai affatto cercando, Ambrosius Vallin! Tu sei felice che Toby sia quanto più lontano possibile da Kevin».
     Bro non cercò nemmeno di fingere. Le regalò un sorriso compiaciuto, da gatto che ha finalmente mangiato il topo. «Un altro mondo è una distanza a malapena sufficiente per Toby». La sua voce sembrò fare le fusa.
     «E Kevin lo sa?».
     L’uomo si strinse nelle spalle. «Non è necessario che lo sappia».
     Grace stava perdendo la pazienza. «Lui non si arrenderà, lo sai», lo mise in guardia, «e quando scoprirà che non hai mosso un dito per cercare Toby ti si rivolterà contro un’altra volta e non riuscirai più a…».
     «Probabilmente sono morti, Grace!», la interruppe lui. «Mi dispiace, ma Toby e Adam non hanno nessuna possibilità di sopravvivere nel regno delle Ombre, e lo sai anche tu! Kevin se ne farà una ragione».
     Grace scosse la testa. «Quei ragazzi ci hanno sorpresi altre volte, e se anche fossero morti, avremmo il dovere morale di ritrovarli».
     Ambrosius rise. «Tu parli a me di morale?». Nella sua risata trapelarono tutto il rancore e il dolore del loro passato. «Sta’ tranquilla, Grace. Le preoccupazioni non fanno bene né a te né al tuo bambino».
     Lei alzò di nuovo il mento e se ne andò impettita, senza aver risolto niente.
     «Strega!», sputò Bro, quando lei fu fuori portata.

)o(

Il negozio sulla spiaggia era ancora chiuso. Con la partenza dei turisti, non c’era fretta di riaprire il Tropic Rush, soprattutto quando c’erano edifici ben più importanti da mettere in sicurezza; così Diana aveva preso l’abitudine di passare le giornate in casa o facendo lunghe passeggiate sulle spiaggia.
     Kevin andava a trovarla, ogni tanto. La donna era ancora profondamente abbattuta, ma almeno era tornata in sé. Il senso di colpa, però, non la lasciava; Kevin lo vedeva dai suoi occhi sempre arrossati. Piangeva.
     «Ti andrebbe una tazza di tè?». Diana si tormentava le mani ma gli sorrideva, sollevata di non dover trascorrere le giornate da sola e, forse, grata che lui non la reputasse responsabile di quanto era accaduto.
     Kevin si lasciò cadere sul divano. «Grazie. È una bella camminata da casa a qui».
     «Hai cominciato a considerare casa di Ambrosius come la tua».
     Lui si strinse nelle spalle. «Dove altro potrei andare?».
     Pochi minuti dopo Diana posò un vassoio sul tavolino da caffè e riempì due tazze di porcellana fin troppo raffinate per lo stile della casa. «I tuoi genitori?».
     Lui sporse il labbro inferiore. «Se anche mia madre avesse voluto cercarmi, il mio patrigno glielo avrebbe impedito».
     «Tu però potresti chiamarla. Sarà preoccupata, non credi?».
     Kevin si portò la tazza alle labbra. Il tè era profumato e bollente. Troppo per chiunque altro, ma non per chi aveva ormai il potere della Casa del Sole dentro di sé. Bevve e sentì la magia che scorreva nel proprio corpo assorbire il calore. Sorrise soddisfatto; si sentiva potente, ma aveva imparato che la forza da sola non basta. Bro lo stava istruendo, e presto non avrebbe più avuto bisogno di un maestro, ma per il momento aveva bisogno di una guida.
     «Sono qui per altro, Diana».
     Lei teneva la tazza in mano, lo osservava. Diana era paziente e di buon cuore, era la persona giusta a cui chiudere, ma, come se avesse avuto un’intuizione, incassò la testa tra le spalle e bevve un sorso di tè, scottandosi. Anche se aveva riottenuto la magia, era debole, come se non ci fosse più fuoco dentro di lei. Sorrise imbarazzata e posò la tazza sul tavolino, pronta a scappare via con una scusa.
     Kevin la trattenne afferrandole una mano. «Per favore, Diana».
     La donna cercò di evitare il suo sguardo, ma alla fine si arrese e annuì.
     «Aiutami a cercare Toby».
     Le dita lunghe e ossute di Diana si serrarono sulla stoffa leggera del suo vestito a fiori, stropicciandolo sopra le ginocchia. «Non ci stanno già pensando Ambrosius e Grace?», chiese con un filo di voce.
     Kevin le lasciò la mano e abbassò lo sguardo. «È quello che dice Bro, ma sono passate settimane e non ha fatto nessun progresso».
     «E cosa ti fa credere che io possa riuscire dove lui ha fallito?».
     «Tu hai mandato Van nel passato perché impedisse a Michelle di suicidarsi».
     Diana si alzò di scatto, distogliendo lo sguardo. Kevin sapeva che era una mossa azzardata e che l’incantesimo era riuscito solo grazie al solstizio della Bilancia, ma era anche convinto che lei fosse l’unica in grado di ritrovare Toby.
     «E guarda cos’è successo! Ho liberato le Ombre e…». Gli occhi le si inumidirono e Kevin si sentì terribilmente in colpa. «È stata tutta colpa mia», mormorò lei, portandosi le mani alla bocca e sussultando come se si fosse sforzata di trattenere il pianto.
     «Sì. È stata colpa tua, quindi è compito tuo rimediare». Kevin sapeva di essere crudele, ma si impose di sostenere il suo sguardo mentre lei fissava gli occhi azzurri e sgranati nei suoi. Forse Diana avrebbe voluto gridare, forse avrebbe voluto mandarlo via, ma si sentiva responsabile e non l’avrebbe fatto. Annuì. C’erano dolore e paura nei suoi occhi, ma non si sarebbe tirata indietro, perché Diana cercava sempre di fare la cosa giusta, anche se non rifletteva abbastanza sulle conseguenze.

 

_________________________
 

Note:

Tanto per citare Grace, “The bitch is back”!
     Non mi faccio illusioni sul numero di lettori che questa fanfiction riuscirà a interessare perché so bene che la serie TV in Italia è praticamente sconosciuta, ma se volte qualche informazione, la trovate  qui.
     Dante’s Cove non ha una grande trama e non brilla nemmeno per coerenza, ma ci sono Charlie David e Thea Gill, e a me tanto basta.
     Con questa storia ho voluto dare un finale allo show che è stato interrotto lasciando l’isola devastata, i maghi sani e salvi e i poveri Adam e Toby a picchiare i pugni contro uno specchio mentre Bro e Kevin… beh, non credo sia necessario dirlo. Ho cercato anche di mantenere i tempi, lo stile e i tagli degli episodi, pur suddividendo i pov in paragrafi compatti per non farvi saltare da una scena all’altra come palline da tennis.
     La storia si compone di cinque capitoli, è già conclusa, e la aggiornerò con cadenza settimanale.
     Se siete arrivati fin qui, magari potrebbe andarvi di fare un salto pure sulla mia pagina FB.
     A presto. ^^

   
 
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