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Autore: Darlene_    17/01/2020    0 recensioni
Josh e Chris, due fratelli, un unico destino.
Cosa nasconde lo studio del padre, perennemente chiuso a chiave? Josh, a cui mancano poche settimane di vita, decide di varcare la soglia. Lui e il fratello si ritroveranno in un nuovo mondo in cui loro sembrano essere dei perfetti estranei, ma le sorprese sono dietro l'angolo e una serie di avventure si prospettano per loro.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le avventure dei fratelli Atwood'
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VIAGGIO A GREENHILLS







CAPITOLO 

II


 
Morto. Quella parola rimbombava nella sua testa mentre gli anfibi sprofondavano nella terra morbida. Josh chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, ma era terrorizzato. Sapeva che non sarebbe sopravvissuto a lungo, eppure non pensava che sarebbe finita così: stroncato in un cunicolo buio dove si era cacciato per uno stupido capriccio. Sollevò nuovamente le palpebre, ma quella specie di paradiso verdeggiante non scomparve. L’ansia lo strinse nella sua morsa, facendogli battere il cuore all’impazzata. Lo sentiva tuonare nelle orecchie, provocandogli un forte mal di testa. Annaspò alla ricerca di ossigeno e si rese conto che, in effetti, i suoi polmoni erano ancora in grado di trarre aria. Com’era possibile? Cercò di rilassarsi, invano, sempre più terrorizzato. Non era morto, altrimenti i suoi organi sarebbero stati inutilizzabili, ma ciò che aveva davanti agli occhi non poteva essere che il Paradiso. Inspirò, tentando di riordinare le idee. Non stava male, non provava dolore e quel profumo di fiori che gli invadeva le narici sembrava in grado di rilassarlo. Pensò che in fondo morire non era stato così tragico e un prato verdeggiante non era il posto peggiore per trascorrere l’eternità, perciò perché angosciarsi? Eppure non riusciva a togliersi dalla mente quel tarlo, come se ci fosse una nota stonata che non riusciva a cogliere. Vi stava ancora meditando quando uno schiaffo lo colpì in pieno viso. Si voltò di scatto, rispondendo con un pugno e si ritrovò a lottare con il fratello.
“Chris?” Domandò preoccupato. Come mai c’era anche lui? Era solo un’immagine nella sua testa o era morto? No, non era possibile, doveva trattarsi di un’allucinazione.
Chris lo prese per i lembi aperti della camicia, stringendo le nocche attorno al tessuto. “Non è un sogno!” Urlò sconvolto. Josh lo strattonò per allontanarlo.
“Certo che no! Sono morto!”
L’altro scosse energicamente la testa. “No… Il libro, io pensavo fosse un incubo, ma… Josh, cosa ci è successo?”
Era evidente che nessuno dei due avesse una risposta sensata, d’altronde non c’era nulla di razionale in quel momento. Il maggiore fece spallucce, in fondo non gli importava, qualsiasi cosa era meglio di una bara a tre metri sotto terra. “Non lo so, forse stiamo solo avendo delle allucinazioni, magari, boh, ci risvegliamo da qualche parte ubriachi fradici, non mi importa. Adesso siamo qui, perché non diamo un’occhiata in giro?” Si incamminò senza una meta precisa, calpestando le erbacce che gli intralciavano il passaggio. Il minore lo afferrò per il braccio, strattonandolo con forza.
“Dove pensi di andare? Dobbiamo tornare a casa, subito. Non so che posto sia questo, ma non promette nulla di buono.”
Josh si voltò quel tanto che bastava per guardare con sufficienza suo fratello negli occhi e disse: “Che idea meravigliosa!” Alzò le braccia al cielo. “Torniamo a casa, così almeno posso scegliere il mio vestito per il funerale.” Con freddezza riprese a camminare, tallonato dall’altro.
“Josh? Dai, scusami… Non volevo…” Provò a farsi perdonare, senza successo. Persa la pazienza decise di tentare con le maniere forti. “Josh, smettila di fare il bambino! Siamo persi nel nulla più assoluto senza sapere nemmeno il perché e tu vuoi andare in esplorazione? Cos’è vuoi andare in cerca del Bianconiglio e prendere un thè con il Cappellaio Matto?” Ad ogni parola il suo tono di voce diventava più rabbioso e acido mentre Josh continuava ad ignorarlo. Presi dal loro diverbio non si accorsero immediatamente della nera figura che si nascondeva all’ombra dei lunghi steli d’erba e quando la videro era ormai a pochi metri da loro. Colti di sorpresa, sarebbero rimasti immobili, paralizzati dalla paura, se il loro istinto di sopravvivenza non avesse avuto la meglio. Corsero come mai in vita loro, i passi sempre troppi corti e le gambe che parevano di piombo. Sebbene Chris fosse un ottimo giocatore di football la sua resistenza fu messa a dura prova dall’emozione: il cuore sembrava sul punto di esplodere, ogni battito risuonava nella sua testa. Solo dopo diversi scatti in avanti si accorse di non sentire più il rumore della bestia che avanzava verso di lui, perciò si fermò, accorgendosi all’improvviso che Josh non si trovava accanto a lui.
Il maggiore sentì una goccia di sudore colargli lungo lo zigomo pronunciato, mentre la schiena era percorsa da brividi di paura. Sentì il fratello chiamare il suo nome e gli urlò di scappare, in fondo non si era arreso per nulla: voleva concedergli il tempo necessario a trovare un riparo sicuro. Si asciugò la fronte con la manica della camicia, i muscoli delle braccia tese come corde di violino. L’animale, se così poteva essere definito, lo squadrava con gli occhi iniettati di sangue. Dalle fauci spalancate colava un rivolo di bava. Le enormi zampe si muovevano con grazia mentre gli ruotava intorno come per gustarsi il momento. Josh non aveva mai visto una creatura simile, ma sapeva che ogni secondo poteva decretare il destino si Chris. Si frugò in tasca e percepì la fredda lama del coltellino svizzero: non era molto, eppure non si sarebbe fatto dilaniare senza prima combattere. Brandì l’arma senza sapere bene come utilizzarla. La bestia, forse attirata dal luccichio del metallo si avvicinò guardinga e Josh colse l’occasione per affondare il coltello nella carne. Nonostante un fiotto di sangue uscisse dalla ferita inferta, la belva non si spaventò e scelse quel momento per attaccare. In un attimo il ragazzo si ritrovò a terra. L’animale si alzò su due zampe per poi ricadere sul suo corpo, affondando gli artigli nel torace. Si trovavano a pochi centimetri di distanza e poteva sentire l’alito fetido della bestia. Chiuse gli occhi, in attesa della sua fine.
“Vattene! Lascialo stare!” Urlò Chris con tutto il fiato che aveva in corpo. Era troppo distante per attaccare quel mostro, ma sperava almeno di ritardare l’inevitabile, invece l’animale, incurante delle sue grida, affondò le zanne nella pelle pallida del collo della sua vittima. Il giovane avrebbe voluto agire, ma rimase paralizzato dall’orrore. Non riusciva a staccare gli occhi da quella massa nera, una fredda macchina di morte, e si si stupì non poco quando quella si accasciò di colpo. Il corpo cadde a terra, schiacciando Josh. Nessuno dei due fratelli riusciva a spiegarsi quell’evento, poi comparve lei. Aveva una folta chioma rossa e un portamento che ne indicava la disinvoltura. Indossava degli strani vestiti e una tracolla colma di erbe. In mano teneva una spada, già sporca di sangue. Con abili mosse riuscì a disarcionare il mostro, quindi lo decapitò con un colpo deciso. Aveva ancora le mani macchiate di rosso quando ne tese una a Josh. Lui provò a rialzarsi, ma il dolore al collo era lancinante e tutto introno a lui sembrava ruotare. Si accorse a malapena di Chris, che con gesti poco capaci gli tamponò la ferita. Non rispose alle sue domande, troppo stordito per comprenderle e ad un tratto tutto divenne nero.
 
Qualche settimana dopo
 
“Spostate quelle botti di vino! Quante volte ve lo devo ripetere?” La voce imperiosa di Charlton fece sobbalzare i pochi avventori che ancora si attardavano alla taverna. L’uomo, un vecchio scorbutico dalle grosse mani sudate, strofinava il bancone con una pezza che nemmeno un anno prima sarebbe stata nuova, impartendo ordini ai due nuovi aiutanti. Li aveva assunti a poco prezzo in cambio di una stanza e qualche spicciolo, ma nonostante il loro aspetto vigoroso non erano abituati al duro lavoro. Scosse la testa e versò dell’acquavite al giovane marinaio. Alle sue spalle uno dei garzoni prese la botte con un lieve gemito, ancora debilitato dalla ferita nascosta dalle bende. L’altro ragazzo si avvicinò e gli prese l’oggetto dalle mani. “Sai che non puoi ancora fare sforzi.”
Josh guardò suo fratello con disappunto. “Certo, perché me lo ha ordinato una vecchia guaritrice pazza mentre inviava una lettere a chissà chi tramite il suo grasso corvo nero.” Riprese la botte e si fece largo per raggiungere la cantina. Ovviamente Chris lo seguì ignorando le occhiate severe del suo nuovo capo.
“Quella donna ti ha salvato la vita!” Sbottò, incapace di credere che il maggiore fosse così scettico. “Eri quasi morto! Ti ho trasportato tra le braccia mentre tu eri svenuto, vuoi che accada di nuovo?”
L’altro chiuse la porta della cantina, sperando che la conversazione fosse sul punto di terminare.
Chris lo seguì come un cane fedele, dicendogli: “Siamo bloccati in questo assurdo mondo che sembra uscito da un capitolo di storia e tu dubiti ancora che qualcosa sia possibile?”
Josh sollevò le spalle e mise in una cassa dei boccali che a fine serata avrebbero lavato in quella pozza d’acqua non troppo pulita dietro al locale.
“So che non vuoi farti false speranze, ma se riuscissimo a trovare il fiore di giada…” Aveva tentato in tutti i modi di convincere il fratello a partire per quella ricerca, eppure lui continuava a non mostrarsi per nulla interessato. Entrambi capivano che reperire un oggetto a detta di tutti leggendario era una probabilità remota, ma Chris non era disposto a perdere Josh e continuava caparbiamente ad insistere da quando ne aveva scoperto l’esistenza. Il maggiore si voltò di scatto, rabbioso. “Smettila! Non mi interessa sprecare il tempo per qualcosa che non esiste.” Prima che l’altro potesse ribattere continuò: “Sì, lo ha detto quella guaritrice, ma persino lei crede si tratti di un mito, qualcosa che si tramanda di generazione in generazione, una storiella da raccontare davanti al fuoco! Non me ne frega nulla, voglio solo vivere il tempo che mi resta come mi va. Sono stufo di stanze asettiche di ospedali e speranze vane che si infrangono.” Continuò a strofinare lo straccio su un tavolo ormai pulito per non dover guardare negli occhi il fratello.
“La ferita guarirà, il tempo lenisce tutte le ferite.” Aveva annunciato solo qualche settimana prima la guaritrice a Chris. Josh si era appena svegliato su un tavolo in una casa sconosciuta, ma prima che qualcuno si accorgesse della sua ripresa aveva colto quelle parole, che ancora lo tormentavano, nonostante cercasse di non darlo a vedere. “Ma per il suo cuore…” La donna si era pulita le mani sul grembiule macchiandolo con il verde delle erbe che aveva spezzettato nel mortaio. “Si tratta di un male brutto, non ho nulla per lui. Posso preparare una medicina per rallentare il processo, ma prima o poi cederà, solo il fiore di giada potrebbe salvarlo.” Il minore aveva chiesto delucidazioni al riguardo, e lei aveva detto: “Secondo la leggenda, il fiore di giada nacque dalla tomba di Kristàl, prima regina di Greenhills, per curare uno solo tra i suoi sudditi, da un male inguaribile. In molti lo hanno cercato senza successo, nei secoli è diventata solo una leggenda.”
La porta si chiuse con un tonfo, riportando Josh alla realtà. Gli avventori della taverna erano scomparsi e Charlton sbarrò l’uscio con una vecchia asse di legno, quindi gettò il grembiule sudicio dietro al bancone e si sedette ad un tavolo con una bottiglia di Whiskey e un paio di boccali di birra; quello era il segnale, i due fratelli ormai lo avevano compreso, che il vecchio oste si sarebbe rilassato raccontando storie a dir poco assurde, ma che loro ascoltavano rapiti come bambini in attesa della favola della buonanotte. Si sistemarono uno vicino all’altro, cercando di trarre calore dalle braci non ancora del tutto spente del camino. L’uomo amava ricevere delle attenzioni e provava un piacere indescrivibile nel vedere quei due “mocciosi”, come li chiamava lui, con gli occhi spalancati e il fiato sospeso. Attese ancora qualche secondo per godersi il momento, tracannando il liquore e digerendo la sua lauta cena con un rutto, quindi iniziò il suo racconto.
“Vi ho mai parlato di quando recuperai il tesoro della principessa Ambra?”
I ragazzi scossero la testa, la birra ancora intatta nei loro bicchieri.
“Era un inverno freddo e gli animali erano irrequieti. Il vecchio re, che la Dea lo abbia in gloria, era molto malato e i folletti chiacchieroni già spargevano la voce che presto vi sarebbe stata una successione al trono. Una notta, me lo ricordo come se fosse ieri, un forestiero entrò nella locanda. Teneva in mano una lettera con lo stemma reale, anche se non si trattava di un messaggero. Mi mostrò il foglio su cui erano scritte lettere in caratteri precisi ed ordinata come noi, gente del popolo, non riusciremo mai ad imitare, era chiaramente un messaggio di corte. Si chiedeva a me, Charlton il cacciatore di tesori di reperire il diadema della principessa Ambra per donarlo al primogenito del re, prossima al trono. All’epoca ero conosciuto in tutto il Paese per la mia abilità a scovare di tutto, anche ciò che pareva perduto per sempre, ma mi inorgoglii ugualmente al pensiero che il sovrano in persona avesse pensato a me, un suo umile suddito, perciò accettai ingenuamente l’incarico. In quel tempo un giovane, poco più anziano rispetto a voi, alloggiava in un’osteria poco fuori dal paese. Non lo conoscevo bene, era schivo e parlava raramente della sua vita, ma mi aveva aiutato a trovare un genio blu e il mantello di Cappuccetto Rosso…” Si accorse che il suo pubblico lo osservava curioso, ma scacciò le loro domande con un gesto della mano, non era di quel pezzo di stoffa rosso di cui voleva parlare, perciò proseguì il suo racconto. “Perciò, data l’importanza della missione, gli chiesi di aiutarmi. Accettò senza esitazioni, sapevo che raccoglieva oggetti di importanza minore, probabilmente per rivenderli al mercato nero, ma non avevo nessuna intenzione di denunciarlo: non rubava mai nulla di prezioso e immaginavo che i soldi gli servissero per mandarli alla sua famiglia, quindi pensai che, se lo avesse fatto anche quella volta avrei chiuso un occhio.”
“Alla sua famiglia? Aveva dei figli?” Domandò Chris, ottenendo una gomitata da parte di Josh, che lo invitava a tacere. Charlton si carezzò la barbetta ispida, portandosi il bicchiere alle labbra. “Non lo so, qualche volta avevo tentato di farmi raccontare la sua storia, la sua provenienza, ma con quel suo sorriso sghembo cambiava discorso oppure se ne andava, ricordandosi all’improvviso di un impegno. Quello che ricordo era il suo accento, era diverso dal mio o di chiunque io conoscessi, pensandosi, somigliava un po’ al vostro.”
Il minore si voltò di scatto cercando di comunicare telepaticamente al fratello i suoi pensieri: quindi forse quel tizio aveva usato il portale, dovevano solo trovarlo e sarebbero potuti tornare a casa! Immaginando ciò che frullava nella testa di Chris, Josh chiese: “E adesso dove si trova?”
Charlton lo osservò con irritazione: detestava essere interrotto, ma per il bene della storia ignorò la domanda e continuò a parlare. “Fu una spedizione sfortunata, perdemmo il nostro bagaglio con le provviste per sfuggire ad una strega, per poco non restai intrappolato in una grotta a causa della malìa di una fata e un branco di lupi affamati ci circondò nella notte più buia dell’anno sperando di trovare del cibo. Avremmo dovuto abbandonare la ricerca, era evidente che la Dea non era favorevole al nostro viaggio, ma decidemmo di proseguire e dopo qualche mese trovammo il tesoro: la corona della principessa Ambra, ciò che però non immaginavamo erano gli effetti che essa aveva sulle persone. Quando tornammo a casa portammo subito il prezioso oggetto al re, che lo posò sul capo del primogenito che morì in poche ore in preda alle più atroci sofferenze. Scoprii solo molti anni dopo che quella corona era maledetta: si diceva che la stessa Ambra, per non avere rivali, l’avesse fatta forgiare con un incantesimo di una strega, rendendola nociva per chiunque avesse tentato di indossarla. Il re, straziato per il dolore e già provato dalla sua malattia non resse la morte del figlio. Lo piangemmo per un giorno solo, dopo di che il suo secondogenito salì al trono. Affermò che voleva vendicare i suoi familiari e ordinò che io e l’altro cacciatore venissimo giustiziati sulla pubblica piazza. Non riuscirono a trovare Jeff, così si faceva chiamare, ma mi catturarono proprio qui, dove facevo il garzone per guadagnare in periodi di magra. Accettai il mio destino, era stato un mio errore, non avrei dovuto partire alla ricerca dell’oggetto senza saperne gli effetti, ma quando mi trovai di fronte al nuovo re lo riconobbi: certo, era molto più elegante e sicuro di sé, eppure i suoi occhi, i suoi occhi gelidi erano gli stessi del messaggero che mi aveva recapitato la lettera. Capii che era stato lui ad orchestrare il tutto e decisi di scappare, pensando che forse qualcuno avrebbe creduto alla mia innocenza. Nella fuga una lancia mi trafisse il polpaccio. Nonostante le cure della guaritrice persi la gamba.” Sollevò il pantalone, mostrando una rudimentale protesi di legno. Sospirò, forse ancora perso nei suoi pensieri. Fece per alzarsi, aveva terminato il racconto, ma secondo i due fratelli c’erano ancora delle questioni da chiarire.
“Che fine fece il cacciatore? E il re? Come hai fatto a sopravvivere? Ti hanno creduto?” Il vecchio sbuffò, accasciandosi nuovamente sulla sedia.
“Oh, beh, ciò che vi sto per raccontare mi è stato a sua volta narrato perché per mesi restai in uno stato di incoscienza, in bilico tra la vita e la morte. Jeff era scomparso e nessuno lo rivide mai più; qualcuno dice sia stato catturato, altri pensano che abbia raggiunto una di quelle isole praticamente disabitare, ma io credo sia tornato dal posto in cui era venuto. Nello stesso periodo il nuovo re aveva abolito tutto ciò che vi era di festoso a Geenhills e se si passava dalla piazza si potevano osservare i cadaveri cianotici e gonfi di chi osava opporsi a lui che dondolavano dalla gogna. La principessa Diana era scomparsa, si temeva che fosse rinchiusa in una torre segreta, eppure in qualche modo riuscì a ritornare, parecchi anni dopo, per salvare il suo regno ed esiliare il fratello. Faticai a riprendermi, ma Gwen...” Si interruppe e parve che sul volto fosse comparso un certo rossore. “Ehm, la guaritrice, mi restò accanto e grazie alle sue cure mi ripresi. Per colpa di questa dannata gamba dovetti smettere di andare a caccia di tesori. Quando il proprietario di questa bettola decise di trasferirsi comprai il locale ed ora eccomi qui…” Si massaggiò un ginocchio, quindi raccolse i boccali e si alzò.
“Beh, tutto è finito per il meglio.” Decretò Chris.
Charlton rise, guardandolo dall’alto al basso. “Siete proprio due mocciosi con il latte al naso! Credete ancora al lieto fine? Siete proprio degli stolti! La vita scorre, a volte va bene, a volte va male, ma non esiste il tutti felici e contenti. E adesso toglietevi dalle scatole e andatevene a letto!”
I ragazzi obbedirono, storditi da quella strana storia. Si chiedevano chi fosse lo straniero, giudicandolo un codardo, anche se non sapevano nemmeno la metà della verità. E poi questo fratello cattivo dove era finito? Perché nessuno lo aveva più visto? E la regina Diana dove era stata in tutto quel tempo? Non credevano assolutamente alla prigionia nella torre e nemmeno il loro capo sembrava appoggiare quella teoria.




Ciao a tutti, chiedo scusa per il ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma purtroppo a causa di problemi personali ho avuto la mente presa da altro e non me la sentivo di rendere edito un capitolo mediocre. Spero che le avventure di queste due fratelli continuino a catturarvi :) 
A presto (o almeno lo spero!)

 
  
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