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Autore: hollien    18/01/2020    5 recensioni
«Davvero non hai la più pallida idea di chi possa averci fatto questo, Ryuzaki?» azzardò nuovamente Light, assumendo l’espressione più intimorita che fosse in grado di esibire.
L fece scivolare lo sguardo su di lui. «Le possibilità sono molteplici, Light-kun. Dopotutto sono in molti a volermi togliere di mezzo.»
-
Dopo esser stati entrambi storditi e sequestrati dal Quartier Generale da un'entità misteriosa, L e Light si troveranno costretti a mettere momentaneamente in stallo la loro partita per affrontare una situazione che nessuno dei due aveva messo in preventivo.
[Death Note – Lawlight]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Beyond Birthday, L, Light/Raito | Coppie: L/Light
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Scleri pre-capitolo: Okay, questo capitolo è stato ufficialmente un parto. Mi auguro davvero che non sia venuto fuori una schifezza perché non lo sopporterei. (?) No scherzo, però giuro che è stato difficile scriverlo. L’ostacolo maggiore è stato senza dubbio gestire L e Light che iniziano a dirsi la verità su certi aspetti. Con loro bisogna andarci con i piedi di piombo, decidere i tempi giusti, ponderare le loro parole…una faticaccia, in sostanza; ma non voglio scocciarvi con i miei problemi esistenziali, perciò vi lascio procedere con la lettura nella speranza che possiate gradire e che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Intanto i miei ringraziamenti vanno a Relie_Diadamant e Marlena_Libby per aver recensito il capitolo precedente. Grazie di cuore. <3 E un grazie va anche a coloro che hanno inserito questa storia nelle preferite/seguite/ricordate. 
See you next time!
P.s: Ho creato la mia pagina su Facebook. Non so se sia stata una buona idea, ma intanto vi lascio qua l’indirizzo: 
https://www.facebook.com/96hollienefp/?modal=admin_todo_tour
Disclaimer: I personaggi di Death Note non mi appartengono, ma se mi appartenessero quei componenti ingrati della Task Force avrebbero ricevuto la mia giustizia divina - *strizza un occhio a Light* - per aver snobbato L e aver dato bado a Near. Tzè.  
 


Prisoners


Capitolo III





«Spiegami chi diavolo è B.»
Ad essere onesti, Light non avrebbe voluto che uscisse come un imperativo, per di più così irruento. Non era il tipo di persona che si faceva sopraffare dall’ansia, ma quella situazione si stava rivelando più snervante di quanto avesse messo in preventivo.
Si era trovato un coltello alla gola, maledizione.
Non si era mai sentito così vicino all’altro mondo come in quel frangente, nemmeno stando incatenato ventiquattro ore su ventiquattro per ben due mesi alla persona che aveva giurato di scovarlo e che aveva la piena autorità di condannarlo alla pena di morte.
Era paradossale che stando vicino ad L, invece di percepirsi in pericolo costante, Light si sentisse quasi al sicuro. Probabilmente era dato dal fatto che il Detective fosse un elemento totalmente imprevedibile e che, di conseguenza, averlo sotto il suo occhio vigile gli permetteva di avere un controllo che gli sarebbe stato impossibile avere se fossero stati distanti.
Non avrebbe pensato la stessa cosa tempo prima. Di sicuro non quando L si era presentato improvvisamente all’Università, dichiarando di essere l'investigatore che gli stava dando la caccia.
Ricordava ancora i tripli salti carpiati che gli aveva fatto il cuore nel petto e l’immensa fatica che aveva fatto nel rimanere impassibile sebbene il suo acerrimo nemico gli fosse seduto di fianco, pronto a scrutare ogni minima avvisaglia che avesse lasciato intuire della colpevolezza.
Avrebbe meritato un premio per come se l’era giocata magistralmente nonostante i nervi a fior di pelle.  
Scacciò lontano quei pensieri tramite un impercepibile scrollo delle spalle.
Per quanto lo facesse sentire meglio, non era il momento di autoelogiarsi per le sue innate doti attoriali. Aveva bisogno di tutta la sua concentrazione sulla situazione attuale per cercare di capire come scampare ad un’eventuale morte precoce.  
Ciò che era certo era che Light non poteva permettersi di morire. Il suo lavoro sarebbe rimasto incompiuto e nessuno sarebbe stato all’altezza di prendere in mano la sua eredità.
Come se non fosse tutto già abbastanza critico, l’unica persona che avrebbe avuto le redini del potere di Kira dopo la sua dipartita sarebbe stata Misa.
Non solo lei”, gli suggerì una vocina remota nella sua mente. “Anche B.” 
Per l’amore del cielo, rifletté Light con il muscolo cardiaco che gli galoppava come un cavallo imbizzarrito nel torace. Se già lo preoccupava ciò che avrebbe potuto combinare Misa senza il suo ausilio, chissà cosa avrebbe potuto fare quel folle. 
«È una mia vecchia conoscenza», si decise a rispondere L dopo una lunga pausa di riflessione. Evidentemente non aveva riflettuto abbastanza perché non gli disse nulla di cui non fosse già al corrente.
«È tutto quello che hai da dire?»
L annuì placidamente con il capo. «È tutto ciò che c’è da sapere.»
«Mi prendi in giro?» domandò stralunato. «Se non lo avessi notato, questa tua vecchia conoscenza ha in mente di ammazzarci.»
Il suo interlocutore gli scoccò un’occhiata interrogativa. «E cosa puoi fare tu per cambiare la situazione, Light-kun?» lo incalzò. «Servirti dei tuoi poteri da Kira?»
Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non inveire che , lui era Kira e se solo non fosse stato così cocciuto gli avrebbe detto come si chiamava quel maledetto energumeno.
Optò per rispondere in altro modo, alla fine.
«Non vuoi avere pietà di me nemmeno in questa circostanza?» sussurrò, abbassando lievemente la testa.
Quel tono di voce rammaricato non gli fece ottenere l’effetto sperato, anzi. «Tu ne hai avuta per i criminali che hai ucciso?»
«Io non sono Kira!» esclamò Light con esasperazione, gli occhi che sembravano sputare lingue di fuoco per quanto erano traboccanti di collera. Non riusciva a credere che nonostante la situazione in cui si trovavano quell’idiota insensibile avesse ancora voglia di dibattere sul discorso. «Sono stanco di ripeterlo» proseguì poi, scuotendo il capo con amarezza.
L’altro fece ciondolare la testa corvina su un lato. «B sembra pensarla come me», disse con incuranza.
Se gli sguardi avessero potuto uccidere – sarebbe stato così utile in quell’istante –, L si sarebbe già trovato tre metri sotto il terreno, possibilmente quello più fangoso e putrido.  
«Ti fidi delle illazioni di un pazzo?»  
«Errato. Mi fido delle mie. Se poi vengono avvalorate tanto meglio. Nonostante la sua pazzia, B ha una mente brillante; perciò–»
«Dacci un taglio, L.»
Light non avrebbe ascoltato quelle idiozie un minuto di più.
Come poteva lodare con quella serenità un tizio che aveva minacciato di tagliare ad entrambi la gola una decina di minuti prima?
A lui non si azzardava a fargli un complimento neanche per sbaglio e, quando lo faceva, sembrava più una presa per i fondelli che un apprezzamento.
La giustificazione che L gli aveva fornito quando lo aveva affrontato sul discorso era stata: “Non c’è bisogno di incrementare ulteriormente il tuo ego”, ed era morta lì, perché la fetta di torta alle fragole aveva vinto la sua piena attenzione mentre Light era stato miseramente “cestinato”.
«Ryuzaki» si sentì correggere, ma vide L pentirsene repentinamente, tantoché andò a ghermirsi il labbro inferiore con i denti.
Ormai il danno era stato fatto e Light non perse tempo a rincarare la dose, un sorriso fasullo stampato sulle labbra. «Noto che ci tieni particolarmente a farti chiamare con il nome di un assassino.»
Se l’intenzione di L era quello di svilirlo, lui avrebbe fatto altrettanto, senza farsi alcuno scrupolo.
L, in risposta, incassò il capo nelle spalle come una tartaruga. «È il mio retaggio.»
Light percepì la rabbia che gli aveva avviluppato lo stomaco assopirsi nel suo stomaco, come se gli avessero gettato sopra una secchiata d’acqua. «Il tuo retaggio?» mormorò, cercando di decodificare che cosa potesse voler intendere.
L’altro annuì nuovamente, facendo svettare lo sguardo onice verso il soffitto. «Se B è diventato ciò che vedi è solo perché non sono stato in grado di salvarlo quando avrei dovuto.»
Le labbra di Light si dilatarono per lo sconcerto. O era impazzito definitivamente, o L aveva appena fatto un’ammissione di colpa. Sincera e umana, per di più.
L dovette scrutare con la coda dell’occhio la sua espressione attonita perché gli angoli della sua bocca slittarono appena verso l’alto. «Mi sembri stupito, Light-kun», commentò. 
Light assentì a stento con la testa. «Come potrei non esserlo?» gli chiese, senza pretendere una risposta in cambio. «Hai appena ammesso di aver fallito in qualcosa.»
«È la prima volta che lo ammetto ad alta voce.» Lo osservò far calcare le dita dei piedi sul pavimento, come per scaricare la tensione. «Ti sembrerà impossibile, Light-kun, ma da adolescente ero ancora più distaccato di quanto non sia adesso.» 
Non ci credo.” Erano quelle le parole che dibatterono per fuoriuscire dalle corde vocali di Light, ma si costrinse a rimanere in silenzio.
Qualsiasi sillaba di troppo avrebbe potuto compromettere la possibilità di ottenere delle risposte dal detective, il quale non sembrava più restio come qualche minuto prima a rivelare dei dettagli sul loro sequestratore.
Mentre attendeva che L proseguisse con le delucidazioni, la mente di Light si soffermò a riflettere su una parte della dichiarazione del detective.
Aveva parlato di adolescenza come se fosse una fase della sua vita lontana, il che significava che l’aveva superata, forse anche ampiamente; ma, se era davvero così, significava che gli anni che li dividevano erano più di quanto credesse.
Nel tempo, Light aveva stimato che li distanziassero un paio di anni al massimo. L’aspetto fanciullesco di L, poi, non aveva fatto altro che rafforzare quell’idea. A quanto pareva aveva preso un grosso granchio. 
Come se gli avesse letto nel pensiero, L s’interpose tra i suoi ragionamenti dicendo: «Ho meno di trent’anni, se ti interessa saperlo.»
Lo fece sorridere il modo in cui il Detective si era affannato – per quanto fosse possibile affannarsi per un’ameba come L – a difendere la sua giovane età.
«Eri preoccupato che ti avrei considerato un vecchio?» interrogò Light, ridacchiando sommessamente.
«Converrai anche tu, Light-kun, che esser considerato sia “vecchio” che “pervertito” possa nuocere gravemente alla mia reputazione.»
Avrebbe voluto replicare che la sua apparenza era più che sufficiente a rovinare la sua fama.
Non lo disse. E questa volta, stranamente, non fu perché era una frase che avrebbe potuto aumentare la sua percentuale di essere Kira, ma perché non lo pensava davvero.  
L non era brutto, o meglio: non lo era nel senso comune del termine.
Aveva il colorito di un cadavere, degli occhi che potevano fare concorrenza a quelli di un panda e la schiena incurvata per colpa delle sue pessime abitudini posturali, ma non era brutto.    
Era trasandato ai limiti del legale, quello sì.
Light non sarebbe uscito fuori di casa nemmeno con l’estremità di un’unghia conciato in quel modo sciatto.
Per lui, l’apparenza era il biglietto da visita che gli garantiva di entrare nelle grazie di chiunque lo circondasse. Non aveva bisogno di curarsi eccessivamente visto che la natura gli aveva regalato un aspetto più che avvenente per un giapponese; inoltre, avendo ricevuto un’educazione esemplare, era in grado di comportarsi esattamente come la società si aspettava che si comportasse in qualsiasi situazione.
Aveva ereditato la compostezza di sua madre e il carisma di suo padre, il miscuglio perfetto per ingraziarsi il mondo intero. Già, tutti tranne il giovane uomo che lo stava fissando con le sue iridi profonde ed imperscrutabili come l’acqua torbida di pozzi che non conoscevano fine.
Tra i suoi innumerevoli talenti, Light era in grado di comprendere la psicologia delle persone. Se così non fosse stato non sarebbe mai stato in grado di raggiungere i risultati che aveva ottenuto da quando era entrato in possesso del quaderno; eppure L era così lontano da lui. Dalla sua percezione.
Quando credeva di averlo finalmente capito, spogliato delle sue apparenze – perché era appurato ormai che, come lui, anche L calzava delle maschere a seconda delle occasioni – in realtà era ben distante dall’averci veramente capito qualcosa. 
Lo gettava in un circolo di frustrazione senza fine, ma allo stesso tempo non poteva che essere affascinato dal suo nemico giurato.
Se fosse stato facile, non ci sarebbe stato nemmeno gusto.
Percependo di esser rimasto in silenzio per troppo tempo, Light trasse le sue considerazioni. «È la prima cosa che mi riveli di te.» Avrebbe fatto un gesto espositivo con la mano, ma non gli fu possibile. «La tua età, dico» specificò.
Era vero che non gli aveva svelato la sua età esatta, ma adesso, perlomeno, sapeva dove collocarlo, ovvero tra i ventiquattro e i ventisette anni.
«È incorretto», replicò asciutto L. «Ti ho detto che ho vissuto per cinque anni in Inghilterra.»
«Hai detto che è impossibile risalire all’identità di L partendo da lì.»
«E tu vuoi risalire alla mia identità.»
Non si trattò di una domanda, ma Light fece un cenno affermativo con il capo. «Sì.»
Il dilatamento degli occhi del suo interlocutore fu tutto un programma, oltre che estremamente comico. Coglierlo in fallo lo dilettava, ma non poteva perdere tempo dietro a quelle sciocchezze, perciò proseguì: «ci conosciamo da un anno e mezzo, e mentre tu sai tutto di me, io non so niente di te.» Fece ciondolare il capo su un lato. Era stufo di ripetere gli stessi movimenti, ma d’altronde non aveva ampio spazio per gli spostamenti. «Non trovi che sia iniquo?»
Dopo aver analizzato le sue parole, L scrollò le spalle. «Non è iniquo. Tu sei il mio sospettato.» Fu tutto quello che replicò, come se quella risposta potesse essere sufficiente.
Poteva esserlo, potenzialmente. Ma non per Light.       
«Potremmo essere entrambi morti entro oggi, L.» Quest’ultimo non contestò. Né il suo nome, né tantomeno le sue parole. «Cosa cambierebbe?»
Era ovvio che non avrebbe lasciato che quel folle di B lo uccidesse con quella facilità, ma non c’era bisogno che L venisse a conoscenza delle sue macchinazioni. In più, Light era certo che il loro sequestratore stesse seguendo quello scambio di battute, perciò sarebbe stato da idioti rivelare il suo piano. Un piano di riserva che avrebbe attuato solo se la situazione avesse preso la piega più estrema.
Light intravide il seme del dubbio impiantarsi nella mente del suo rivale, ma non seppe definire fino a che punto.
«Non ti dirò il mio nome, Light-kun.»
Che risposta scontata” pensò, esibendo una smorfia. «Tu non sei solo il tuo nome.»
«È come se lo fossi.»
Non lo disse con sofferenza, anzi. Il tuo tono rimase sprovvisto di ogni emotività, eppure Light percepì ugualmente una fitta di amarezza fendere l’atmosfera.
Fece per aprire bocca, ma L lo anticipò, ammutolendolo.
«Sono un orfano.»      
Non avrebbe dovuto stupirlo, per certi versi. Se non errava, aveva letto da qualche fonte – quando L lo aveva sfidato in diretta nazionale aveva cercato qualsiasi informazione possibile su di lui – che aveva risolto il suo primo caso importante a nove anni.
Nessun genitore avrebbe permesso al proprio figlio di invischiarsi in situazioni rischiose ad un’età simile.
Suo padre ancora faticava ad accettare che fosse coinvolto nel caso Kira, e lui ne aveva quasi diciannove, di anni. Per non parlare del fatto che era lui Kira, e che quindi, fino a prova contraria, non correva il pericolo di essere ucciso da se stesso.
«Mi dispiace» mormorò, e si sorprese della sincerità con cui lo disse. Benché si trattasse del suo nemico, non era così insensibile. Circa.  
«Non ti rammaricare, Light-kun.» Il Detective fece calamitare il suo sguardo plumbeo verso il soffitto sordido. «Non ricordo nemmeno i volti dei miei genitori, ma suppongo sia meglio così visto che sono morti entrambi.»
«Come?» si trovò a chiedere Light ancor prima che se ne rendesse conto. «Se posso chiedere», aggiunse successivamente.
Non era da lui essere così impetuoso, ma gli capitava spesso e malvolentieri di uscire dai suoi schemi quando L era coinvolto.
«Sono stati uccisi» spiegò laconico e neutrale come solo lui sapeva essere quando raccontava un evento spiacevole. «Facevano parte della malavita, e in quel tipo di giri, a meno che tu non sia il capo, non sei destinato a vivere a lungo. E così è stato.» Fece scendere lo sguardo sulle dita dei piedi, le quali subirono una contrazione. «I topi piccoli sono sempre i primi a morire.»
Dire che Light rimase esterrefatto di fronte a quella rivelazione sarebbe stato un eufemismo.
L’investigatore più famoso al mondo, detenente del titolo dei tre detective più rinomati…figlio di due criminali.
Non sarebbe stata una storia piacevole nemmeno se raccontata di fronte ad una tazza di caffè.
«Mi dispiace» ripeté di nuovo, ma stavolta non fu sentito come in precedenza per una ragione ben precisa. Una ragione che L colse istantaneamente. «Dici davvero, Light-kun?» “Dopotutto erano persone malvagie. Quelle che vorresti estirpare dal mondo.
Di fronte a quell’implicazione di fondo, la fronte di Light subì un avvallamento. «Se dicessi di sì, crederesti comunque a ciò che vuoi tu, dico bene?»
«Certamente» affermò L con una faccia su cui avrebbe stampato volentieri un pugno se solo non avesse avuto le mani legate – le corde erano talmente strette che il sangue fluiva a fatica nei vasi.
L’unica cosa che riconosceva al suo “alter-ego” senza ricordi era che avesse trovato il coraggio di far coincidere le sue nocche al volto di L ogni volta che sorpassava il limite – poi se le prendeva di santa ragione anche lui, ma ne valeva assolutamente la pena.
Quando la parola “bastardo” fu sul punto di eludere le sue corde vocali, Light la rispedì nello stomaco per l’ennesima volta da quando aveva fatto la spiacevole conoscenza del Detective.   
«Quindi sei stato adottato, suppongo.»
Fece virare il discorso dove desiderava lui, e incredibilmente il divoratore seriale di dolci continuò a dargli corda.
Benché fosse alquanto sospetto come atteggiamento, decise di non curarsene.
«Esattamente.»
«Da…?»
«Un orfanotrofio.»
Le sue sopracciglia brune cimarono. «Mai da una famiglia?»
Scosse ripetutamente il capo da sinistra a destra. «Se avessi avuto un aspetto promettente come il tuo, Light-kun, sarei stato senz’altro la prima scelta.» Ecco. Erano in momenti come quelli che Light non riusciva a capire se L lo stesse prendendo bellamente per i fondelli o se gli stesse facendo un complimento; ma conoscendo l’elemento, era molto più probabile la prima opzione. «Ero strano. Diverso. E i bambini diversi non piacciono a nessuno.»
Light si obbligò a masticare un “non è vero.”
Su che base poteva affermare che non lo fosse? Lui aveva una famiglia. Una famiglia che lo amava incondizionatamente. Persino i genitori dei suoi cosiddetti amici si recavano dai suoi, di genitori, dicendogli che avrebbero tanto voluto un figlio impeccabile ed educato come lui.
«In ogni caso, io una famiglia ce l’ho» dichiarò L, prendendolo in contropiede. «Senza, non sarei mai diventato il detective che sono oggi.»
Light rimase con la bocca socchiusa per un istante quando colse la breve ombra di un sorriso genuino attraversargli le labbra; dopodiché gli sfuggì una mezza risata nasale che gli fece ottenere un’occhiata disorientata.
«Cos’è che ti fa ridere, Light-kun?»
Scosse brevemente il capo. «Niente, è solo che…» Cercò di pescare dalla sua mente le parole più adatte per esprimere ciò che pensava. «Ti stai rivelando molto più umano di quanto potessi credere.»
«Io sono sempre molto umano», controbatté l’altro quasi indispettito.
«Dipende dai punti di vista», obiettò a sua volta. «Per me è disumano che una persona ti svegli alle tre di mattina perché ha voglia di divorarsi una cheesecake intera.»
Quante volte era stato costretto a sorbirsi l’odore nauseabondo di dolce a quell’orario improponibile. Lo aveva già detto che odiava le cose zuccherate?
L alzò le spalle. «A me sembra perfettamente normale.»
Suo malgrado, Light si trovò ad abbozzare un sorriso. Era piuttosto certo che il se stesso che aveva vissuto quelle circostanze avrebbe tanto voluto che L ci si strozzasse con una fragola. Almeno avrebbe recuperato gli arretrati di sonno che aveva per colpa di quell’insonne. 
«Come ho già detto: punti di vista.»
Non era opinabile, a dire il vero; ma decise di sorvolare perché la conversazione stava andando fuori rotta.
Mentre rifletteva sul come ottenere nuove informazioni su di lui e su B, le parole di quest’ultimo s’incunearono nella mente di Light, così come la reazione che era riuscito a scaturire in un essere apparentemente amorfo come il Detective.
«Dimmi un’altra cosa,» mormorò non appena si convinse ad accantonare momentaneamente i suoi piani originali: «cos’era quella reazione?» 
L sollevò un sopracciglio inesistente. «Temo dovrai essere un po’ più specifico di così, Light-kun.»
Light non seppe dire se stesse interpretando la parte del finto tonto o se davvero non aveva capito a cosa stesse facendo riferimento. Per fugare ogni dubbio, andò dritto al punto. «Sto parlando di quando B mi ha puntato il coltello alla gola.»  
«Oh,» sillabò L, trascinandosi quella vocale per un paio di secondi con fare teatrale, provocandogli un moto di irritazione. Di certo non aveva un futuro come attore. «Perché sei mio amico, Light-kun. Ci tengo alla tua incolumità.»
La fronte di Light venne attraversata da un fremito. Quella storia dell’amico cominciava a dargli sui nervi. «Ma tu credi che io sia Kira» rimarcò, come se quel fatto fosse sufficiente a confutare l’affermazione del Detective.
«Sì.»
«E saresti pronto a mandarmi al patibolo.»
L assentì nuovamente con il capo.
«Come puoi dire che tieni alla mia incolumità, allora?» sbottò, snudando i denti. Era un controsenso unico.
Lo sguardo torbido di L si fece inflessibile. «Te l’ho già detto, Light-kun: non metto davanti i miei sentimenti alla giustizia. Sono un suo servitore, e fintanto che avrò respiro nel petto non smetterò di perseguire il giusto.»
Dopo un momento di silenzio, Light si abbandonò ad una risata priva di gioia. «E io che ho pensato fossi umano» sibilò, e a quanto pareva dovette colpirlo su una ferita già aperta perché le labbra del suo interlocutore si ridussero a due linee sottili. «Non biasimo B per–»
«Non mettere bocca su cose che non ti riguardano, Yagami-kun. Tu non sai niente di me e B.»
L’aperta ostilità di L nei suoi confronti, così come il fatto che tornò a chiamarlo come era solito fare all’inizio della loro conoscenza, fu come ricevere un gancio destro in pieno volto.
«Allora dimmelo» stridette imperioso, i morsi della rabbia che gli stavano tormentando lo stomaco. «Dimmi chi è lui per te.»
L sembrò prendersi una pausa di meditazione prima di reclinare il capo e avere la sfrontatezza di chiedere: «È gelosia quella che avverto, Light-kun?»
Gelosia.
Gelosia.
Gelosia.
Quella parola echeggiò nel suo cervello come un mantra, lasciandolo frastornato.
Lui…geloso? Di cosa? In che senso? Certo, gli faceva accartocciare l’intestino il pensiero che il suo avversario potesse avere un rivale che temesse più di quanto temesse lui, ovvero Kira; ma era ben lontano dall’essere geloso. Lontano anni luce.
Rise, perciò. «Che razza di castelli ti sei costruito nella testa, L?»
«Nessun castello. La mia era mera curiosità.»
«Beh, hai fatto un grosso buco nell’acqua,» fece con una punta di petulanza. «Le tue abilità deduttive cominciano a fare cilecca.»
L scrollò le spalle. «Sarà.»
Le sopracciglia di Light pendettero verso il basso.
Come osava insinuare che non stesse dicendo il vero? Light Yagami aveva sempre ottenuto tutto ciò che desiderava dalla vita ancora prima che sapesse di desiderarlo, perciò non aveva alcun motivo di provare un sentimento tormentoso come la gelosia.   
«Dopotutto non mangio dolci da una quantità indefinita di ore e sono costretto a stare seduto in questa posizione assolutamente inadeguata per la mia persona» proseguì con le sue considerazioni L, «ma da B non potevo che aspettarmi questo.»
Improvvisamente Light venne colto da un’illuminazione che non tardò a palesare.
«Siete cresciuti insieme» dichiarò, senza porlo sottoforma di quesito. L, di fronte alla sua asserzione repentina, indirizzò lo sguardo su di lui, senza tradire alcuna emozione. «Sì, non può essere altrimenti. Entrambi siete cresciuti nello stesso orfanotrofio dove, a quanto pare, hanno l’abitudine di attribuirvi una sola lettera. E ha parlato anche di un certo A...» Era immerso nelle sue analisi e, quando lo era, non c’era niente che potesse frenare quel flusso di ragionamenti. «Non si tratta di un orfanotrofio normale, dico bene? Hai detto che B ha una mente brillante, perciò deduco che accolga solo bambini di una spiccata intellettualità.» Gli sfuggì una breve risata che non voleva essere caustica, ma che uscì come tale. «Cos’è? Un allevamento di piccoli orfani prodigio fatti in serie per farli diventare dei detective come te?»
Il silenzio di L alluse al fatto che avesse fatto centro.
I lembi rosei di Light si divisero.
Dire che quella scoperta non lo allietò era a dir poco riduttivo perché, in buona sostanza, anche se fosse riuscito a sbarazzarsi di L, avrebbe avuto qualcun altro alle calcagna, pronto a mettere i bastoni in mezzo alle ruote del suo impero. 
Ma io non voglio nessun altro che non sia L.”
Per un attimo, Light percepì un battito più energico degli altri tambureggiargli nel petto.
Cos’era stato quel pensiero? Da dove era saltato fuori e con quale autorizzazione si era imposto nella sua mente?
Era pura follia pensare che lui volesse L. O magari poteva volerlo, ma come suo rivale. E lui soltanto. Motivo per il quale non avrebbe permesso a nessun altro di interferire, o di sostituirlo in caso fosse stato lui a vincere; perché non doveva dimenticare che vincere significava l'inevitabile morte di L.
Light chiuse le mani a riccio, conficcandosi le unghie nei palmi. Dopodiché saldò le iridi a quelle plumbee del Detective, immaginandosi per una frazione di secondo come sarebbe cambiata la sua esistenza una volta che quest’ultimo non ci fosse più stato.
Non era che non avesse mai immaginato la sua dipartita, tuttavia quella realtà non gli era mai sembrata così vicina e concreta. 
Venne distolto da quello scenario dall’ingresso di un uomo tarchiato, tatuato in diverse zone del corpo, non troppo alto, calvo e dai lineamenti decisamente europei. Tra le mani nerborute stringeva un vassoio con sopra due piccole ciotole dai ricami orientali, quelle che presumibilmente dovevano contenere qualcosa da mangiare per loro.
B non aveva mentito, dunque; ma, si chiedeva Light, a quale scopo procurargli da mangiare se quello che voleva ottenere era una vendetta su L? Voleva prolungare la loro permanenza in quella sottospecie di sotterraneo in cui li aveva rinchiusi per godersi il loro lento logoramento?
Le possibilità erano infinite e Light, non avendo ancora stilato un prospetto chiaro su B, non era in grado di stabilire quale tra le sue ipotesi fosse quella giusta.
Dannazione. Gli sarebbe bastato così poco per farlo fuori e levarsi da quell’impiccio: un nome e abbastanza spazio per riuscire a mettere mano sul pezzo di Death Note recluso nel suo orologio. 
Era stata una fortuna che non glielo avessero tolto.
L’intruso non spiaccicò una sillaba. Si limitò ad avanzare nella loro direzione per poi depositare sul pavimento, esattamente in mezzo fra lui ed L, ciò che teneva tra gli organi prensili.
Doveva trattarsi di uno scherzo, pensò Light stralunato. Come diamine pensava che sarebbero riusciti ad avvicinarsi alle pietanze legati alle sedie com’erano?
Non fece in tempo a dischiudere le labbra e commentare aspramente le sue azioni che si sentì strizzare improvvisamente il volto nella presa ferrea e callosa dell’uomo.
Sgranò gli occhi mentre quest’ultimo si chinò alla sua altezza, scoprendo i denti giallognoli e acuminati. «E quindi sarebbe questo qui il bel faccino che ha ucciso mio fratello?» alitò, rivelando un forte accento americano. 
«Oh, beh: sarò ben contento di farlo a pezzi.» 
Da quel momento in poi fu una lenta e inesorabile discesa nell’oblio.




 

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Note finali: Il rating potrebbe alzarsi nel prossimo capitolo e potrebbero essere aggiunti dei nuovi "warning".   

 
   
 
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