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Autore: LaraBennet    18/01/2020    1 recensioni
"L’umidità e il freddo mi fanno compagnia, mentre aspetto che la mia fragile mente scivoli via dalla realtà, riportandomi finalmente a casa, dove l’aria era sempre pervasa dal profumo di pane cotto e sidro di mele".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La tosse mi percuote il petto senza tregua, mentre sento le costole chiudersi e spremere fuori l’ultimo briciolo di aria stantia che abita i miei polmoni. Mi porto una mano alla bocca per pulire via la saliva dalla barba ispida, e mi accorgo solo adesso di tremare. L’umidità e il freddo mi fanno compagnia, mentre aspetto che la mia fragile mente scivoli via dalla realtà, riportandomi finalmente a casa, dove l’aria era sempre pervasa dal profumo di pane cotto e sidro di mele. 
 
È buio, ma i miei occhi si sono da tempo abituati a vedervi oltre, ed è per questo che scorgo tra la coltre nera che mi circonda una figura minuta e stante che la squarcia, e anche lei sembra aspettare qualcosa, lì all’angolo della parete. Non so perché ma la invito ad avvicinarsi. Non ho paura, non la temo. La figura si avvicina, ma non sento l’eco dei suoi passi. Si avvicina, ma non sento le sue vesti frusciare ad ogni suo movimento. Si avvicina, e io chiudo gli occhi, in attesa di una sua parola.
 
Chiudo gli occhi, ma percepisco la luce calda di una candela insinuarsi sotto le ciglia, e il tocco leggero di dita sottili scostarmi i capelli dalla fronte, mentre il profumo di biancospino selvatico mi svela l’identità della mia visita. Gli occhi sono chiusi, non li voglio aprire, ma inizio a piangere, mentre lei mi bacia e mi accarezza e si prende finalmente cura di me. Sospiro il suo nome e lei si stende su di me, così da sentire i nostri corpi combaciare, incavo dopo incavo, donandoci a vicenda il calore di cui siamo stati a lungo privati. Le sue mani si insinuano sotto la mia camicia e io tremo, mentre sento la sua pelle morbida venire a contatto con la mia. Gli occhi sono ancora chiusi, e lei me li bacia e lecca via le lacrime e prende le mie mani tra le sue e si stringe forte a me, ed io continuo a tremare perché lei mi ha trovato, perché lei mi salverà. Incerto, saggio con la bocca la sua pelle, dopo tanto tempo, e ne riconosco il sapore di latte, e come un disperato me ne impossesso, mentre il suo respiro eccitato mi solletica il collo. Gli occhi ancora sono chiusi, perché non ho bisogno di vederla mentre le mie dita affondano nella sua carne, si insinuano dentro le pieghe del suo corpo, sfiorano ogni curva, e le nostre labbra si respirano, e le nostre voci si confondono. Non ho bisogno di osservare come sotto le mie carezze il suo essere si plasma, e cambia, e si trasforma, e diventa mio. Lei mi bacia ancora e io mi abbandono a lei, tremante, mentre per un’ultima volta, per quest’ultima volta, lei mi dona la vita, e piango, invocando il suo nome, chiamandola a me, ancora una volta, perché non è mai abbastanza, perché non è mai troppo, perché non è mai per sempre. E lei mi salva, mi guarisce ancora, amandomi. E io tremo, tremo forte e do libero sfogo alla voglia che ho di lei, e perdo me stesso e me ne dimentico, per poi ritrovarmi in lei, mentre per un’ultima volta esisto.
 
Tremo, ma non ho più freddo. Tremo, ma non provo più dolore, e mentre ci respiriamo addosso, con il petto di uno che si scontra con quello dell’altra, piano lascio entrare la luce e il suo volto e il suo sguardo dentro il mio, e lei è ancora lì, che mi guarda stravolta e vinta dal sentimento che in questa notte di morte l’ha portata da me, dopo lungo tempo. Sono sveglio e la guardo, e mentre la sento svanire tra le mie braccia, sorrido. Mentre percepisco ancora il suo sapore nell’aria, io sorrido, e mi lascio prendere, e mi lascio condurre via dal mio giaciglio, verso la mia condanna.
 
 
 
L’aria è fresca e pungente, e il bagliore dell’alba è troppo debole per vincere il cielo. Le fiamme delle torce disegnano volti indistinti davanti a me, mentre una voce iraconda grida con fermezza il giudizio che sto per subire. Un attimo dopo, il capestro tira forte e mi serra il respiro ormai annaspante, e versi strozzati mi liberano dell’ultima aria la gola impiccata. E mentre le pupille ormai cieche abbandonano per sempre la vista del cielo infinito albeggiante, io penso a lei e tremo, perché non la scorgo tra l’oceano di facce sconosciute, e chiudo gli occhi, mentre aspetto che la mia fragile mente scivoli per sempre via dalla realtà. E tutto adesso è perfetto. E tutto adesso è finito, e mi lascio andare al vento che soffia da nord, e che porta con sé il suo profumo intenso di biancospino selvatico, nel quale lieve si disperde il mio addio, e io con lui.
   
 
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