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Autore: Moriko_    18/01/2020    2 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [Glomerulo, QJ0076]
"Per quanto si sforzasse di immaginare cosa accadeva in quel corpo, ricordandosi dei vari racconti che aveva udito dai globuli rossi in visita nel nefrone, la Glomerulo avrebbe voluto vedere con i propri occhi quei fantastici luoghi, scenari di tutte quelle avventure che i globuli rossi vivevano ogni giorno."
[Spoiler! Arco narrativo capitoli 11-19 del manga di Cells at Work! BLACK] [What if?]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Sommario: Un missing moment alternativo su Cells at Work! BLACK, che non tiene conto dei fatti avvenuti dal capitolo 20 in poi.
In un ambiente di lavoro nel quale è stata scongiurata una crisi, una dei Glomeruli inizia a riflettere sulla possibilità - per loro impossibile - di vedere il resto del corpo umano. In questa situazione, un globulo rosso cercherà di aiutarla...
[Piccoli spoiler che riguardano la presenza di nuovi personaggi e le varie situazioni presenti dal capitolo 11 al capitolo 19.]






A whole new world.



Tutti i giorni la stessa, identica storia.
Il nefrone, il luogo di lavoro dei glomeruli, era sempre affollato di globuli rossi. Ogni giorno i glomeruli - dalle sembianze di dolci ragazze obbedienti alle rigide regole che il loro luogo di lavoro, un maestoso tempio, imponeva - assolvevano i loro compiti di ripulitura del sangue, quasi senza fermarsi mai.
Lo facevano in modo inflessibile, senza lamentarsi né - apparentemente – mostrando segni di stanchezza.
Tra le lavoranti, una in particolare si distingueva per la sua dedizione al lavoro. Non che le altre non lo fossero, ma questa ragazza era in grado di celare i suoi sentimenti dietro ad uno sguardo di totale distacco e indifferenza.
Uno sguardo quasi privo di vita.
I suoi occhi erano opachi, le sue guance pallide; i suoi stessi movimenti sembravano essere meccanici, come se al posto suo ci fosse stato un freddo robot e non una vibrante cellula di un corpo umano.
Tutti i giorni la stessa routine: prendeva il soffione della doccia, apriva l'acqua e con essa ripuliva i globuli rossi che, via via, si alternavano. In silenzio, ascoltava le loro voci, i loro commenti che, spesso, erano più lamentele che racconti delle loro esperienze di vita...
«Presta attenzione mentre ci lavi!»
«Siamo esausti per aver corso tutto il giorno!»

Nonostante lei si impegnasse nel suo lavoro, era costretta ad ascoltare tutto questo in silenzio. Ogni volta, senza nemmeno poter replicare. Anzi: se lo faceva, doveva subire il rimprovero della sua signora, un'anziana donna che guidava l'operato di tutti i glomeruli con rigore e disciplina.
E, anche quando lei non era al suo fianco, i cartelli che erano disseminati per tutta l'area di lavoro erano molto chiari sull'argomento.

[Le conversazioni private sono proibite]

Era alquanto soffocante. La ragazza avrebbe voluto parlare con qualcuno, scambiando due parole in pace e tranquillità: in fondo, cosa c'entrava il provare dolore e cercare di restare indifferenti, essendo l'organo silenzioso, con il voler dire qualcosa di diverso dalle solite lamentele?
Ma non le era concesso. Non era concesso a nessuno.
Tutti dovevano continuare a lavorare, senza dire nulla.
In silenzio.


Ad un certo punto, le cose parvero prendere una piega diversa.
L'ultima trasfusione aveva portato con sé dei globuli rossi del tutto particolari, tra cui un giovane che, proprio grazie alle sue parole, con determinazione aveva portato una ventata di novità in quell’ambiente lavorativo.
«Non crede che non ci sia niente di male nel lamentarsi una volta tanto?»
Lamentarsi? Nel nefrone era una parola vietata, dato che i glomeruli avevano il dovere di non lamentarsi, nemmeno quando il dolore fisico, dovuto a qualche danno che riguardava il rene, li colpiva al punto che sembrava che lacerasse le loro stesse carni, trapassandole di parte in parte.
Tuttavia, quell’appello - giunto da un estraneo - aveva avuto l'effetto di cambiare, questa volta in positivo, la loro condizione lavorativa.
Dal giorno in cui l’anziana maestra delle glomerulo era scomparsa, affidando alle sue discepole il dovere di continuare a lavorare nonostante le difficoltà che sarebbero sorte in futuro, il rapporto tra i glomeruli e i globuli rossi era migliorato. Proprio quell’estraneo, un giovanotto con gli occhiali, aveva trascinato i suoi compagni di lavoro con il suo atteggiamento altruista: aveva dimostrato di non essere ingrato come la maggior parte di loro, di interessarsi sinceramente al lavoro instancabile delle glomerulo e, per questo motivo, presto anche gli altri globuli rossi avevano deciso di seguire il suo esempio e, così, a chiedere scusa ed a comportarsi in maniera più gentile con quelle ragazze che ogni giorno si prendevano cura di loro.
Quell'atmosfera pesante dovuta all'assenza di un sereno dialogo tra i due gruppi era svanita, permettendo sia alle glomerulo che ai globuli rossi di scambiare, di tanto in tanto, due parole tra loro.
E, anche se la routine quotidiana della ragazza era sempre la stessa, lei aveva iniziato a pensare che il suo lavoro poteva essere più sopportabile.

«Cosa fai, oggi?»
«Il solito: mille consegne… ma ho uno stacco proprio nell'ora di pranzo; quasi quasi ne approfitto per fare un giro nelle cavità nasali!»
«Mi sa che verrò anch'io! È da molto che non passo da quelle parti… e oggi anch'io ho pausa proprio a quell'ora!»

Quel breve dialogo tra due globuli rossi, avvenuto a poca distanza da lei, l'aveva portata a riflettere sulla sua vita in quel luogo.
A differenza delle cellule del sangue o quelle dell’immunità, i glomeruli come lei erano nati e si erano sviluppati in quei territori, senza mai uscire dai reni, nemmeno quando a loro era concesso di riposarsi per qualche minuto.
Sembravano essere prigionieri del loro stesso mondo, senza poter avere la possibilità di esplorare il resto del corpo.
Se, almeno una volta…
Per quanto si sforzasse di immaginare cosa accadeva in quel corpo, ricordandosi dei vari racconti che aveva udito dai globuli rossi in visita nel nefrone, la Glomerulo avrebbe voluto vedere con i propri occhi quei fantastici luoghi, scenari di tutte quelle avventure che i globuli rossi vivevano ogni giorno.
Sarebbe un sogno…
Con un sospiro, aveva riposto il soffione della doccia e si era diretta verso l'ingresso, pronta ad accogliere altri globuli.






Quasi al termine di una ennesima, ripetitiva, giornata di lavoro, la Glomerulo si trovò sulla soglia dell'entrata del tempio, a pronunciare la solita frase.
«Benvenuti, da questa parte. Prego, entrate e datevi una ripulita.»
Da tutti quei globuli rossi che si trovavano di fronte a sé e alle sue compagne, fece capolino un piccolo gruppo che subito si avvicinò con entusiasmo. Subito ella li riconobbe e li salutò con molto rispetto.
«È un piacere rivedervi. Vi trovo in ottima forma!»
«Anche noi,» rispose il leader di quel gruppo, un giovane con gli occhiali. «Noto che anche qui la situazione è molto tranquilla. Ne sono contento!»
La Glomerulo sorrise: era soprattutto grazie a loro se il loro organismo stava attraversando un periodo di tranquillità e di pace.



Tutto aveva avuto inizio quando proprio quel gruppo di globuli rossi si era offerto di aiutare lei e le sue colleghe di smaltire il glucosio in eccesso.
Ma, a dire il vero, inizialmente nemmeno loro sapevano come fare: sembravano essere giunti in un vicolo cieco, dal quale non era affatto semplice uscirne. Per quanto i reni, tra le altre funzioni, avevano il compito di smaltire il glucosio senza alcun lamento, la generale situazione stava diventando insostenibile: vi era scarsa produzione di insulina, per cui le altre cellule non riuscivano ad assorbirlo del tutto, e per questo il materiale in eccesso finiva sempre nelle mani di quelle ragazze che non facevano altro che correre da un punto all’altro della zona di lavoro per eliminarlo dal corpo il più in fretta possibile.
Per non creare ulteriori problemi a tutte le altre cellule: era questo il “dovere” che i glomeruli si erano impartiti.
Così, dopo un primo momento di smarrimento, all’improvviso era arrivata la soluzione.

«Perché non mangiamo il glucosio?»

La ragazza si era voltata nella direzione della voce e aveva notato la presenza di un altro globulo rosso, alto e possente, che aveva afferrato uno dei panini dalle ceste e lo stava mangiando.
Allegramente.
Senza pensare alle terribili conseguenze di un eccessivo assorbimento.
Lo avrebbe giurato: se avesse avuto un carattere più estroverso e diretto, la Glomerulo avrebbe ceduto volentieri alla tentazione di strapparglielo di mano; tuttavia si limitò a portare avanti le mani, cercando di farlo desistere con l’ausilio delle parole.
Ma quel gesto, così semplice quanto altruista, aveva finito per coinvolgere gli altri globuli rossi, convincendo tutti gli eritrociti a collaborare nell’assorbimento di quanto più glucosio possibile.
Alla fine anche lei aveva finito per cedere e sperare, insieme alle altre sue colleghe, che in quel modo tutto si sarebbe concluso per il meglio. In effetti… i sorrisi dei globuli rossi avevano ridato loro maggiore speranza e fiducia in una risoluzione positiva di quel grande problema.
Nonostante quella soluzione stesse sembrando ancora così lontana, quel gruppo di eritrociti avevano continuato ad aiutarle in qualsiasi modo.
Però, in apparenza, ciò ancora non bastava.
Quando tutto ormai sembrava perduto e lei stessa stava per cedere all’enorme stanchezza che gravava sempre più sulle sue spalle, in quella caotica situazione le era giunto un provvidenziale soccorso.

«Stai… stai bene?!»

Le era stata offerta una mano, decisa ad afferrarla prima di una brusca caduta. Una mano grazie alla quale lei - seppur con fatica - era riuscita a rialzarsi. Una mano, così forte e calda, di un globulo rosso che lei, in realtà, già conosceva.
Era proprio lui: lo stesso eritrocita dal quale era partita quella proposta di smaltimento di glucosio. E, anche quel giorno, nonostante in quel momento anche lui fosse perfettamente a conoscenza dei rischi che stava correndo, si era offerto di aiutarla ancora una volta… perché per lui, così sprezzante del pericolo, si trattava «solo di una piccola cosa che posso fare per alleviare il tuo peso!»
Da allora, la Glomerulo aveva iniziato a guardarlo sotto un’altra luce. Ammirava il suo grande coraggio, il suo profondo e sincero altruismo: una strana qualità che non aveva mai visto in altri globuli rossi…
Per questo motivo, prima di accasciarsi su di lui, in quel momento era riuscita a biascicare una semplice frase.

«Grazie mille…»



E adesso, nel vederlo in mezzo ai suoi compagni, perfettamente in forma, la ragazza gli rivolse un sorriso sincero. In fondo, era anche grazie alla sua idea se tutti loro erano riusciti a salvarsi da un irreparabile epilogo ed a resistere fino all’arrivo dall’esterno dell’insulina.
Ancora una volta.

Prima o poi devo ringraziarlo come si deve, non appena ci concederanno una pausa…

«Già. Prego, entrate pure!»
Dopo averli fatti entrare all'interno del tempio il gruppo si sparpagliò per l'area, mentre lei si preparò per la ripulitura del sangue. Afferrò, per l'ennesima volta, il soffione della doccia e si voltò verso l’eritrocita che aveva di fronte a sé, ritrovandosi una persona che, in realtà, conosceva molto bene…avendola incontrata praticamente cinque minuti prima!
«Oh, misericordia!»
Le sue guance si colorarono di un rosso acceso, e per l’imbarazzo cercò di distogliere leggermente lo sguardo da lui. Vedere proprio quella persona, a torso nudo, non era di sicuro una cosa di tutti i giorni: i reni erano vasti, i globuli rossi erano migliaia e lo erano anche i glomeruli.
In effetti, quante potevano essere le possibilità che si avvicinassero... in una situazione del genere?
«Cia...ciao,» mormorò, abbassando lo sguardo e, con esso, il soffione della doccia. «P-Perché sei qui?»
Il globulo rosso sorrise, com'era solito fare, e le rispose: «Per ripulirmi, no?»
«N-No! Intendo...» aggiunse lei con sempre più crescente imbarazzo. «Intendo… qui, di fronte a me…»
«Ecco, eri l’unica libera in tutta l’area, e così ho pensato… insomma...»
In quel momento anche lui si sentiva un po’ a disagio. Se doveva dire la verità, avrebbe dovuto confessarle che, se si trovava proprio lì, di fronte a lei, era per “colpa” del suo compagno d'infanzia. Nella confusione dell’ingresso era riuscito - per qualche misterioso motivo - a indirizzare tutti i globuli in direzioni diverse, volte a non farli avvicinare alla Glomerulo. Poi, aveva approfittato per spingerlo letteralmente verso di lei, mentre era di spalle.
«Su…» gli aveva sussurrato nell'orecchio, ridacchiando di soppiatto. «È il tuo momento!»
Ed era subito fuggito verso un'altra glomerulo, senza dargli possibilità di replicare e, così, abbandonandolo al suo “destino”.
L'eritrocita, quindi, si era rassegnato e si era tolto la giacca. Aveva pregato in cuor suo che la Glomerulo restasse imperturbabile nel vederlo senza maglietta: la reazione che entrambi avevano avuto l'ultima volta che si erano incontrati era stata fin troppo eloquente. Il rossore dei loro volti e quei secondi di silenzio, quasi interminabili, nei quali la ragazza era crollata su di lui per la fatica e lui che cercava di sorreggerla tra le sue braccia…
In quel momento aveva cercato di non ricordarsi di quei momenti, altrimenti sarebbe stato proprio lui a ritrovarsi a terra - ma non per lo stremo delle sue forze. Sapeva già che non sarebbe stato facile, considerato che la situazione nella quale si trovavano non sarebbe stata priva di fraintendimenti.
Soprattutto per il fatto che lui fosse a torso nudo.

All’inizio non si dissero una singola parola, lasciando che la Glomerulo svolgesse il suo compito. Intorno a loro vi era un molteplice bisbigliare, indistinguibile per la numerosa presenza di cellule in quel luogo ma comunque rispettoso per il luogo nel quale si trovavano.
Con molta probabilità gli unici che erano rimasti in silenzio sembravano essere proprio loro due. Ciononostante, questo non stava contribuendo nell'attenuare il loro imbarazzo: anche se non si stavano guardando negli occhi perché l'uno era di spalle all'altra, i loro volti non accennavano a tornare al loro originale colorito.
Questo fino al momento in cui fu proprio la Glomerulo a rompere quell'assordante silenzio.
«Posso chiederti…»
Quella frase fu pronunciata talmente in modo impercettibile, che l'eritrocita non riuscì a capire cosa la ragazza avesse detto, e se quella frase fosse stata davvero rivolta a lui.
«Hai detto qualcosa?»
La Glomerulo abbassò nuovamente lo sguardo. Aveva volontariamente stroncato quella richiesta sul nascere, perché era incerta se fosse stato giusto chiedere una cosa del genere ad un globulo rosso. Si chiedeva, infatti, se l'avrebbe presa bene oppure lo avrebbe infastidito: non era mai stata brava con le parole per cui, spesso, preferiva tacere.
In particolare se quella domanda che avrebbe voluto porgli riguardasse il suo ambiente lavorativo.
«N-Nulla…» mormorò, riponendo al suo posto il soffione della doccia e posando gli occhi su di esso. Poi aggiunse, con un velo di tristezza nelle sue parole: «Era un pensiero tra me e me…»
Per un attimo l'eritrocita cerco di rispettare il suo silenzio. Tuttavia, presto la sua curiosità sull’argomento prese il sopravvento e disse, cercando di nascondere il suo imbarazzo: «Ti andrebbe di condividerlo… con me?»
La ragazza fece cadere accidentalmente l’asciugamano che stava per porre al globulo rosso. Spalancò gli occhi, quasi entrando in allarme per ciò che le sue orecchie avevano appena udito.
Per il lavoro che svolgeva ogni giorno, mai avrebbe immaginato nella sua vita che qualcuno le avrebbe chiesto di condividere il suo parere su un qualsiasi argomento.
Quella era la prima volta che accadeva una cosa del genere.
«D-Davvero…» iniziò a balbettare, chinandosi per prendere l'asciugamano. «Davvero vorresti… che io…»
«Sì… ti prego.»
La risposta dell'eritrocita, accompagnata da un sorriso, la fece arrossire di nuovo. Restò immobile per qualche secondo, e disse a bassa voce: «Come… com’è il mondo esterno?»
«Il mondo esterno?» domandò l'altro con un po’ di curiosità. A cosa si riferiva la Glomerulo, in particolare?
La ragazza piegò l'asciugamano e glielo porse, facendosi forza per guardarlo negli occhi. Prese coraggio e espresse a parole ciò che aveva sempre pensato, senza averlo mai confidato a qualcuno.
«Io… non so cosa ci sia oltre queste mura. A noi non ci è mai stato permesso di uscire, perciò vorrei sapere… c’è qualcosa di bello? Noi non facciamo altro che ripulire il sangue, a tutte le ore, dalla nostra nascita… senza poter uscire da qui e fare una passeggiata, anche solo intorno a questo tempio…»
Egli prese l’asciugamano e la guardò con tristezza. Nelle parole della ragazza aveva intuito il suo più grande desiderio, dopo una vita fatta di azioni ripetitive e apparentemente senza divertimento.
Comprese che non era facile per lei sopportare tutto questo, nonostante l'importanza del suo lavoro. Quale sarebbe stato il premio per il suo impegno? Ma… lo avrebbe avuto, un giorno?
Almeno per loro, globuli rossi, c'era la possibilità di vedere diversi luoghi e di stringere amicizia con altre cellule di diverso genere. Per i glomeruli, invece, sembrava una sorta di punizione l'essere relegati in una specifica zona del corpo, senza fuoriuscire da essa.
Per la prima volta, l’eritrocita si stava chiedendo se a loro, davvero, andasse bene una condizione del genere.
In silenzio si asciugò e si rivestì, senza dare una risposta a quella richiesta. Guardò la cima del tempio, pensieroso, e fu proprio in quel momento che ebbe un'idea.
«Dopo di me non devi continuare a lavorare, vero?»
La Glomerulo spalancò gli occhi per la sorpresa. Non capiva cosa c'entrasse con il discorso che gli aveva fatto, ma decise di rispondere a quella domanda. «S-Sì… Perché?»
L’eritrocita sorrise di nuovo. Poi le si avvicinò e, con uno slancio di coraggio, ruppe la distanza prendendola per mano.
La ragazza tornò ad arrossire vistosamente, inizialmente non comprendendo la ragione del suo gesto. Cosa c’entra questo con il lavoro?
«A-Aspetta! C-Che succede?»
Lui la guardò e le sorrise fiducioso. «Visto che dopo di me il tuo turno è finito… ti andrebbe di venire con me, e vedere una piccola parte del mondo esterno?»
La ragazza rimase spiazzata da quella domanda, e rispose: «L-Lo sai che… non posso uscire di qui… È impossibile!»
Ma l’altro continuò a sorriderle. «Tranquilla: fidati di me!»

Dopo tanto girovagare per i corridoi del tempio - e seguendo le indicazioni della ragazza che, a differenza sua, ben conosceva quei luoghi - i due giunsero nel punto più alto del palazzo: un piccolo balcone che dava sul vasto spiazzale, luogo di ingresso del nefrone.
E non solo.
Da quel punto si riusciva a vedere l’intero ambiente circostante, composto da mille palazzi e piazze diverse tra loro, intervallati da luoghi di rigoglioso verde e stradine che si intrecciavano come dedali. Molti di quei racconti che aveva ascoltato dai vari globuli rossi che si alternavano nel nefrone sembravano aver preso vita: le luci soffuse provenienti dalle case delle cellule comuni, alcune delle quali - poteva giurare - aveva visto passeggiare per le vie illuminate vivacemente dai lampioni; le cellule dell’immunità che, all’improvviso, correvano da un punto all’altro della cittadina per inseguire alcuni batteri che erano entrati all’interno del corpo; accanto agli alberi secolari, dimora delle cellule dendritiche, le panchine sulle quali alcuni globuli rossi si stavano rilassando dopo una faticosa giornata di lavoro con il loro amato glucosio, sottoforma di bevanda o gelato.
La ragazza poté quasi toccare con mano tutto ciò che i globuli rossi avevano raccontato: la vita al di fuori del nefrone era totalmente diversa, e tutte quelle apparenti disarmonie, dovute alla differente vita di migliaia di cellule che convivevano al di fuori dei reni, riuscivano a fondersi in un’unica armonia costituita da borgate, vicoli, anfratti e case.
Il corpo umano.
Fu meravigliata da tutto questo: per lei, che non era mai uscita dal suo luogo di lavoro, era semplicemente stupendo. Il suo sguardo non smetteva di correre tra i marciapiedi di quei quartieri, quasi come se fosse stata lei a camminarci, senza sapere dove quelle strade l’avrebbero portata e godendo di quella piccola magia fatta di cose semplici che la stava cullando e sorprendendo sempre più.
«È molto bello…» sussurrò, con gli occhi che divennero sempre più lucidi per l’emozione. «Sembra essere un piccolo paradiso…»
«Già.»
Nel vederla così felice, l’eritrocita ne restò incantato. «Non è così male… E da qui non hai ancora visto niente: il corpo umano è molto, molto più grande, con tanti altri posti pazzeschi!»
«D-Davvero?! Tipo?»
Gli occhi della fanciulla divennero sempre più colmi di curiosità. L’eritrocita, dopo essersi portato un dito sotto il mento, pensieroso, le rispose: «Le cavità nasali, per esempio! È l’ideale per una piacevole sosta dopo il lavoro: ci sono degli ambienti termali e tanto glucosio da mangiare!»
«Vorrei tanto vederle anch’io, un giorno…»
Sospirando, la ragazza si appoggiò sulla ringhiera del balcone. «Sai, dal giorno in cui sono nata non ci è mai stato consentito uscire da questo luogo… Un po’ ti invidio per questo!»
«Davvero?»
«Sì! Deve essere bello andare in giro per il corpo a consegnare ossigeno: incontri molte persone e vivi mille avventure!»
«Dici sul serio?!»
«Sì!»
Lo disse quasi euforica. La Glomerulo ripensò al suo di lavoro: alzarsi presto, accogliere i globuli rossi pieni di sporcizia, farli accomodare e ripulirli con l'acqua che usciva dal soffione della doccia. Un ciclo che le era diventato quasi noioso e prevedibile: cosa c'era di divertente nel ripetere queste azioni, tutti i giorni, per il resto della sua vita?
Certo: anche lei aveva incontrato tante persone; tuttavia, a malapena le rivolgevano la parola. Anzi, non le era stato nemmeno concesso il diritto di parlare durante le ore di lavoro, senza potersi lamentare.
Invece… viceversa, il lavoro dei globuli rossi le sembrava pieno di vitalità e di dinamismo. Non doveva essere un lavoro noioso come il suo, dato che potevano scambiare due chiacchiere con le altre cellule, senza essere rimproverati da nessuno.
Il loro lavoro sembrava più gratificante del suo.
«… Ti prego, dimmi di più.»
Quella frase le sfuggì di bocca, ma lei non si sorprese. Aveva bisogno di saperne di più, di avere una conferma: voleva sapere come vivevano le altre cellule del corpo, se avessero una vita meno noiosa della sua e colma di felicità.
Almeno loro.
Allo stesso tempo, l'eritrocita spalancò gli occhi. Al di fuori di quella ragazza, fino ad allora nessuno gli aveva mai chiesto informazioni sul suo luogo di lavoro, l'intero corpo. Tutte le persone con le quali aveva avuto dei contatti, compresi i suoi compagni d'infanzia, conoscevano molto bene il corpo umano, proprio perché era il suo stesso luogo di lavoro: lo conoscevano a menadito, per cui sarebbe stato molto difficile imbattersi in quel genere di domanda.
Almeno, lo aveva pensato fino a quel momento.
Si massaggiò la nuca, quasi imbarazzandosi mentre lei lo guardava con occhi sempre più lucidi.
«Cosa?»
Dopo qualche minuto di silenzio, la ragazza sussurrò: «Ho bisogno di sapere. Com’è... il corpo umano?»
«Davvero vuoi saperlo?» le chiese l'eritrocita.
La Glomerulo annuì, appoggiando la mano su quella dell'altro. Quest’ultimo sussurrò e arrossì per il contatto; nel guardarlo, lei sorrise e decise di prendergliela, non curandosi del fatto che egli stava quasi infuocandosi di imbarazzo.
Anzi: in realtà la stava divertendo molto.
E, in fondo, dentro di sé amava quel contatto: la faceva sentire così viva, così parte di un microcosmo energico che la stava aiutando a farla uscire da quella stasi dovuta al suo quotidiano lavoro.
Strinse ancora più forte quella mano, inconsapevole di trasmettere i suoi sentimenti all’eritrocita che, a poco a poco, iniziava ad abituarsi a quella strana sensazione di benessere.
«Sì. Voglio saperne di più,» affermò con un dolce sorriso.




A/N [Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Innanzitutto, con un po’ di ritardo… auguri di buon anno a tutti! E quale modo migliore per iniziare il 2020 se non pubblicando una ff che, in realtà, è stata scritta qualche mese fa? E che riguarda sempre il mondo di Cells At Work! BLACK?
… Ecco, appunto. XD
La storia che avete letto è una versione alternativa dei fatti avvenuti dopo il Capitolo 19. Insomma: avete presente il diabete che impazza e che miete vittime tra i globuli rossi? Ebbene: per chi sta seguendo la storia, avete notato che in questa sede qualcuno di nostra conoscenza si salva, con tanto di “E vissero per sempre felici e contenti” tipico dei film Disney. E, a proposito di film Disney… il titolo della fanfiction è stato suggerito dalla sempre presente (anche se, ultimamente, presente quanto me qui) stellaskia che, accortasi del finale che richiama molto “Aladdin”, ha pensato di comunicarmi questa sua impressione che ha avuto nel corso della lettura. I precedenti quattrocentosessanta titoli pensati da me e subito scartati ringraziano. XD Colgo l’occasione per ringraziarla anche per essere stata la beta reader di questa storia.
Un’ultima nota che riguarda la fanfiction. Anche se non si tratta di una song-fic, in effetti c’è una canzone che mi ha ispirato per la stesura… e non è “A whole new world”. Si tratta di “Fireflies” del progetto musicale Owl City, in questa versione chill. Il testo della canzone non c’entra granché ma, a mio parere, la melodia così rilassante e meravigliosa sembra essere un tema di sottofondo molto adatto ai due protagonisti. <3

Nuovo anno, nuova disposizione delle note! Da quest’anno ho deciso di compiere delle modifiche, per cui al posto di avere due blocchi di note autore all’inizio e alla fine della storia, ho “semplificato” quelle iniziali aggiungendo un sommario della storia, per lasciare spazio ad un ampio papiro solo a fine lettura.
Una cosa simile a AO3, insomma.
Mi sembra un modo più pulito ed elegante per presentare una storia, senza creare confusione tra il testo che si presenta ai lettori e i commenti dell’autore.
Alla prossima!
--- Moriko
   
 
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