僕は孤独さ – No Signal
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Parte settima: Il caso
Re.
Quando
Arima era arrivato al Corniliculum
era stato perquisito. L’avevano privato del cellulare, del cappotto e della
quinque. Gli avevano permesso di tenere con sé solo un registratore, impedendogli
persino di portare nella cella una penna e un blocco per appunti. Lui, che non
avrebbe inciso su nastro nulla di sconveniente, si sentì un po’ amareggiato da
quella procedura. Non avevano mai trattato un altro agente con così tanto
sospetto, che fosse esso lo Shinigami Bianco o
qualcuno degli affari interni. Marude doveva avere
qualche aggancio importante lì, per metterli tanto ai ferri corti.
Venne
condotto alla cella, una di quelle sotterranee, negli ultimi livelli. Una cella
degna del Gufo con il Sekigan. Di nuovo, Arima si congratulò con Marude
per la propaganda terroristica che aveva attuato nei confronti del suo agente.
Se lo doveva aspettare, dal momento che Aiko aveva quasi ucciso la madre di suo
figlio illegittimo. Marude era considerato da Arima un uomo d’onore, retto e giusto, eppure come ogni
uomo sa difendere coloro che ama, a prescindere dal resto. Non lo biasimava, né
lo compativa. Piuttosto si chiedeva come si sarebbe comportato al suo posto.
«Ha
venti minuti, classe Speciale», gli disse uno degli agenti addetti alla
guardia.
«Ci
metterò il tempo che ci vorrà», fu la risposta apatica dell’agente in bianco,
mentre gli porgeva un foglio firmato dal presidente Washuu
in persona.
Si
chiuse la porta della cella alle spalle, avanzando nella semi oscurità fino al
vetro protettivo. Al contrario di quello della Cochlea,
anch’esso antisfondamento e a prova di kagune, arrivava fino al pavimento. Non
vi erano tavoli nella stanza che fungeva da anticamera alla cella, solo un
pavimento liscio con delle cupe piastrelle color cobalto. Dentro, aldilà della
barriera trasparente, c’era un gabinetto posto in angolo, un letto piccolo
senza cuscino e una ragazza, seduta di spalle rispetto a lui, rannicchiata a
terra. La camicia di forza le costringeva gli arti e una solida placca di
acciaio quinque all’altezza del kakuho le impediva di
attivare le cellule rc. Con il capo appoggiato
fiaccamente al bordo del materasso e i capelli sparsi attorno a sé, Aiko Masa
non diede segno di averlo sentito arrivare.
Lo
Shinigami guardò la telecamera, consapevole che non
aveva l’audio. Prese quindi una sedia dalla parete vicino all’ingresso e la
pose in posizione obliqua, così che nel parlare, non avrebbero potuto leggere
il suo labiale. Poi si sedette, con un sospirò.
«Hai
mangiato?», le domandò con la stessa premura di sempre.
La
mora storse un sorriso poco convinto, ma non si voltò a guardarlo. «Ha
importanza se mangio la brodaglia che mi danno qui?»
«Non
ti avranno dato il cibo che di solito diamo ai Ghoul, spero.»
«La
guardia sostiene che tutto ciò che avevano. Mi ha dato quasi più il volta
stomaco quella dell’intera situazione.»
Arima si aggiustò gli occhiali sul
naso. Barbaro, certo, ma ottimo per loro. Poteva aggiungere l’abuso di ufficio
alla lista di potenziali capi d’accusa contro il CCG.
«Perché
sei qui, capo? Pensavo di non poter ricevere visite, se non quella del mio
difensore d’ufficio.»
«Ho
licenziato il rappresentante del sindacato stamattina», le fece sapere. Lei si
voltò a guardarlo, stupita. «Sono io che ti rappresento, adesso.»
«Non
sei un avvocato.»
«Non
devo esserlo. Questa è un’udienza preliminare, Aiko. Non è un processo. Devono
solo stabilire se è necessario iniziarne uno. Tu sei qui, ora, perché hai usato
la kagune contro un altro essere umano, non perché sei sotto processo. Dobbiamo
fare qualsiasi cosa per convincere il presidente che non ne hai bisogno. Che è
stato un incidente e che tu stai bene.»
Masa
socchiuse le labbra, lo sguardo di Arima la fece
desistere dal parlare. Con un guizzo delle iridi, lui indicò alla sua destra,
dove era collocata la telecamera. Lei capì al volo e, sulle ginocchia senza
alzarsi, si avvicinò al vetro, appoggiandosi ad esso con la spalla, in modo da
avere l’obiettivo puntato sulla nuca. Così vedeva male il volto del classe Speciale, ma non aveva buone argomentazioni da
sottoporgli. «Mi condanneranno a morte.»
«Non
è un processo, Aiko. È una riunione della disciplinare. Hanno convocato un
gruppo di agenti che non ha contatti con te e quindi potrà essere imparziale.
Sarà nostra premura far capire loro che non sei pericolosa.»
«Mentre
sarà premura di Marude convincerli del contrario»,
rilanciò lei. Arima annuì e Aiko sospirò, cercando di
dilatare i polmoni nella costrizione della camicia di forza. Era una bella gatta
da pelare quella. Marude aveva una grande influenza
sui suoi colleghi, ma Arima…. Era Arima.
Era una sfida col destino. «Chi è stato convocato dal direttore?»
«Non
dovresti saperlo, ma non importa, te li troverai comunque di fronte
all’udienza», disse lo Shinigami, sfilandosi gli
occhiali e pulendoli con un panetto morbido. «Dovrebbero essere il classe speciale Tanakamaru,
il classe speciale e direttore della Cochlea Shimne Haisaki, lo speciale Kenta Isai e il prima classe Hirokazu Tainaka. Il capo della
commissione di inchiesta sarà il classe Speciale Hoiji. Ti faranno delle domande e valuteranno la veridicità
delle risposte.»
«Hoiji e Mougan sono molto amici
di Marude, a quanto ricordo.»
«Vero,
ma sono anche adulti consapevoli del peso che avrà la tua sentenza. Saranno
giusti e imparziali. Il direttore Tsuneyoshi Washuu sarà presente in qualità di intermediario fra me e Marude, mentre il presidente deciderà se il verdetto sarà
giusto o meno.»
«E
questo tu non lo chiami un processo?»
«Se
tu non avessi deciso di tentare l’omicidio della dottoressa Noriko saremmo
tutti a casa nostra, più felici.»
Masa
si strinse su se stessa, accartocciandosi fino a farsi
piccola. I capelli le ricadevano in avanti, mentre il suo corpo tremava. Aveva
paura. Aveva paura delle ripercussioni.
Aveva
paura che non sarebbe più uscita di lì, proprio quando era libera di vivere una
vita piena, senza Eto a sussurrarle ordini. Aveva
paura di non rivedere più Urie, Take, Hige e tutti
gli altri.
Ma
più di tutto, Aiko aveva per la prima volta dopo tanti anni, paura di rimanere
sola. L’ombra della morte aveva sempre aleggiato su di lei,dopo quella notte nella ventesima, ma sapeva che
se fosse stata scoperta, le sarebbe bastato scappare e unirsi ai ranghi di
Aogiri.
Ora
non aveva nessun luogo in cui scappare, immobilizzata da una camicia di forza.
Era
riuscita a rovinarsi da sola.
«Aiko,
ascoltami bene. Ora tu mi racconterai tutta la verità. Ci sono delle
incongruenze sulla tua storia, le prove non sono riconducibili alla
testimonianza. Devi dirmi cosa hai fatto o non saprò difenderti.»
Lei
rimase in silenzio per qualche secondo, riordinando i pensieri, poi alzò il
capo verso Arima, appoggiando la tempia al vetro.
«Va
bene. Ti dirò tutto.»
Lui
sistemò di nuovo gli occhiali. «Ottimo. Iniziamo dalla domanda principale:
perché hai aggredito Noriko?»
Le
labbra della ragazza si strinsero, prima di sputare la verità.
«Perché
volevo che stesse zitta.»
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«Quello
che tu mi stai chiedendo, dopo esserti presentato in casa mia senza nemmeno
avvisarmi, è di eseguire come un cane gli ordini di un superiore non diretto?»
‘La sta prendendo
bene’, fu il
solo pensiero che attraversò la mente di Take, mentre portava la tazza ricolma
di profumato tea alle rose alle labbra. Era sicuro che quell’infuso facesse
parte delle scorte private di Aiko, per questo aveva domandato di potere avere
quello nello specifico. Con calma, riappoggiò l’oggetto sul suo piattino,
unendo le mani sul tavolo e preparandosi a ripetere tutto, come si fa con un
bambino cocciuto.
«Primo
livello Urie, converrai con me che la situazione è molto, molto critica»,
iniziò, cercando di non trattarlo come uno stupido, ma al tempo stesso sapendo
di fallire. Perché così lo stava giudicando, in quel momento. «Le azioni di
Masa avranno delle serie ripercussioni non solo su di lei, ma anche sulla
squadra. La tua squadra. Lei è, prima di tutto, un Quinx. Un Quinx che ha
attaccato quella che su carta è una civile.»
Kuki
si prese la radice del naso fra indice e pollice, stringendo piano. Ormai erano
passati due giorni dall’incidente e né a lui né a nessun altro era stato
permesso di andare al Corniliculum a verificare che Aiko stesse bene. Che
non la stessero trattando come si trattano in Ghoul in attesa di processo. «Tu
dovresti conoscerla», sussurrò a denti stretti il leader della squadra ibrida,
stringendo la mano guantata che poggiava sul tavolo. «Aiko non è violenta.
Magari è un po’ pazza, ma tu la dovresti conoscere. Dovresti sapere cosa le è
successo.»
«Forse
so più cose di quante ne sappia tu, primo livello Urie.»
Di
fronte a quella provocazione passivo aggressiva, Kuki non fece una piega. Si
limitò a guardarlo. «Allora sai che deve esserci una ragione se Aiko l’ha
attaccata.»
«Aiko
sostiene di essere stata chiusa dentro alla stanza, per questo motivo non è
riuscita a controllarsi.»
«Visto?
Si è sentita braccata.»
«Ma
ha comunque quasi ucciso Noriko. Possiamo giustificare un attacco d’ira tanto
potente da sfondare una porta e sbattere una donna disarmata contro una
ringhiera al punto da piegarne i pali di metallo?», gli chiese Take, gettando
un’occhiata alla porta. Era piuttosto sicuro che il resto dei Quinx fosse
dietro di essa, ad origliare. «Penso sia solo un caso che Noriko sia
sopravvissuta.»
«Ma
tu da che parte stai, Hirako?!»
Di
fronte a quel quesito, ringhiato con lo stesso ardore di una minaccia, Take non
riuscì a rimanere impassibile. Sospirò, terminò il suo tea e si alzò. «Dalla
parte di Aiko», gli rispose, con ovvietà. «Ma lei sta mentendo, troppe
incongruenze. È a un passo dalla pena di morte e due da rimanere rinchiusa
nella Cochlea per sempre. Nella migliore delle
ipotesi, se la giudicheranno colpevole, verrà licenziata. Poi che vita farebbe,
con quella cosa dentro di lei?» Infilò lentamente la giacca, mentre guardava
Urie prendere coscienza secondo dopo secondo del fatto che aveva ragione lui.
Era incontrovertibile il suo pensiero. «Non ci sono mezze vie: o verrà
condannata severamente o assolta in formula piena. Sappiamo entrambi che è così
e nessuno di noi due può fare niente per lei. Che debba pagare per il male che
ha fatto o meno non importa adesso. Le questioni etiche rimandiamole a chi
dovrà giudicarla. Ciò che mi sta a cuore al momento è darle la miglior difesa
possibile e sia io che Arima abbiamo concordato che
se tu ti offri come testimone della difesa, Marude ti
affosserà. Ti chiederà del vostro coinvolgimento sentimentale e tu sarai
rovinato. Ma lei sarà morta.»
Come
sopra, incontrovertibile.
Urie
si appoggiò contro lo schienale della sedia, mentre l’altro lo fissava
insistente, in attesa. «Va bene, non verrò. Questo non desterà più sospetti?»
«A
quello ci penserà Arima.»
Take
chinò il capo in segno di rispetto, prima di avviarsi alla porta. Si sentiva
come dopo un litigio con un figlio capriccioso. Nemmeno i Bambini del Giardino
gli davano tanto da fare.
Urie
invece non aveva finito. «Ti deve pesare parecchio», gli disse, insolente. «Ti
deve davvero pesare il fatto che lei abbia scelto me, se ti sei voluto prendere
la soddisfazione di venirmi a dire tu che non posso vederla fino alla fine del
processo, mentre voi della S3 tramate sul suo futuro.»
Hirako
rimase fermo davanti alla porta, dietro la quale sentì qualcuno sussurrare e
inciampare, mentre si scostava. Non rispose subito, si prese il suo tempo. Quando
lo fece, però, riuscì a essere più letale del suo mentore.
«Quando
ho visto per la prima volta Aiko, seduta al tavolo della mia vecchia squadra,
ho pensato solo una cosa.» Si voltò a guardarlo, con gli occhi sottili a
tagliare l’aria. «Avrei voluto vederla felice, sollevata dal peso che portava
sulle spalle e sul cuore, più di qualsiasi altra cosa. Lo voglio ancora. Non
c’è niente al mondo che io desideri di più della felicità di Aiko Masa. Se lei
l’ha trovata qui, per me va bene. Sono un uomo che si accontenta con poco, ma
tu invece?»
Non
ci fu una risposta e quando Take lasciò lo Chateau,
un piccolo sorriso di rivalsa gli curvava il lato del labbro.
Pensava
davvero ciò che aveva detto, ma poterlo esprimere ad alta voce…
L’aveva
reso felice.
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Quello
a Masa sembrava proprio un processo.
Certo,
non c’erano i banchi dell’accusa e della difesa, ma solo una scomoda sedia alla
quale era stata incatenata non appena arrivata, prima che i suoi colleghi
confluissero nella stanza, ancora chiusa nella camicia di forza. Non c’era una
giuria, solo alcuni uomini, fra cui il Direttore e il Presidente, seduti di
fronte al resto della piccola platea straripante. Non c’erano nemmeno un
giudice e un pubblico ministero, anche se Yoshitoki Washuu e Itzuki Marude sembravano nati per ricoprire quella carica, mentre
parlavano in disparte, testa contro testa e una mano a coprire le labbra
sottili del Direttore del dipartimento.
Per
non parlare di Arima, a cui mancava solo una
valigetta per essere un perfetto rappresentante di ufficio. Aveva spostato una
sedia accanto alla sua, proprio di fronte al tavolo del comitato organizzato
per giudicare il suo comportamento.
Sarà
anche stata un’indagine disciplinare, ma puzzava maledettamente di processo,
che a sua volta aveva l’amaro sapore di una condanna preannunciata.
«Andrà
bene, cerca di non essere nervosa», continuava a ripetere lo Shinigami Bianco, con leggerezza, ed ogni volta la sua mano
saliva a risistemare gli occhiali sul naso.
Non
c’erano nemmeno state arringhe iniziali. Semplicemente, uno alla volta, alcuni
suoi colleghi si erano alzati dalla loro posizione e portati in avanti, chi più
e chi meno vicino a lei e avevano testimoniato in qualità di garanti.
Apparentemente,
nessuno voleva andarle contro, almeno all’inizio.
Aveva
iniziato Fura, con pacatezza, dopo aver ripiegato una gomma da masticare in un
fazzolettino di carta che aveva infilato in tasca. «Ci sono volte in cui non
siamo responsabili delle nostre azioni. Tutti noi dovremmo riflettere sul peso
etico che ha avuto la trasformazione di una povera ragazza in un’arma da
combattimento diretto, prima di puntare il dito», aveva detto il vecchio amico
di Arima, con le mani bene infilate nelle tasche del
completo grigio fumo. «La conosco da anni, dice di essersi sentita minacciata
quindi le credo. La minaccia può avere molti volti, non solo quello di un’arma
puntata in viso. Alle volte l’assenza di vie di uscita rende gli uomini delle
bestie», aveva proseguito Kuramoto, tenendole una mano sulla spalla costretta
dal pesante tessuto bianco della camicia di forza, non mostrando alcuna paura
nel mettersi così vicino a lei mentre a spada tratta metteva più di una buona
parola per lei. «Mai una volta ha mostrato segni di aggressività nel periodo
nel quale abbiamo non solo operato, ma anche convissuto», aveva garantito Nakarai, ritto come un soldato di fronte a un superiore
durante una battaglia, così serio da sembrare inconfutabile. «Ha subito una
sorte terribile, scontrandosi non una ma ben due volte col raiting
SS Tatara, dovremmo tenere conto non solo dei danni fisici, ma anche di quelli
morali», l’aveva difesa Furuta, susseguendosi in modo
più realistico alla testimonianza di Naoki, il quale
invece l’aveva definita «Un animo tormentato da troppe sconfitte.»
Ui
stava finendo di elencare una serie di successi che il dipartimento aveva
ottenuto dopo averla assunta, quando Aiko sentì le pesanti porte di metallo
aprirsi, seguite da un cigolio continuo e un mormorio basso ma vivace. Non
poteva voltarsi a causa della sedia che la teneva ben rivolta verso i suoi giudici, ma non
le servì. Pochi secondi e Noriko apparve nel suo campo visivo, su di una sedia a rotelle
spinta da un ragazzo giovane dai capelli castani che assomigliava in modo
impressionante al classe Speciale Marude. Lì, nello
spiazzo di fronte alla grande tavolata, per consentire alla sua gamba rotta di
rimanere stesa sul sostegno della carrozzina. Aiko sgranò gli occhi quando la
vite. Noriko era distrutta, sotto
ogni punto di vista. Arima le aveva accennato ai
danni riportati dalla donna, ma Aiko non avrebbe mai potuto ipotizzare che un
singolo colpo di kagune avrebbe mai potuto causare tutti quei danni, visto
quante volte lei si allenava in una settimana e prendeva colpi qua e la. Ma Noriko non era lei. Noriko era una donna di mezza
età, umana, che aveva impattato in velocità un parapetto in acciaio.
Koori
attese di vederla sistemarsi, con il figlio accanto nel suo odio rivolto alla
ragazza trattenuta alla sedia. Quando riprese, lo speciale Ui, sembrava
incollerito. Aiko non lo sapeva, ma era riuscito a litigare con Noriko qualche
ora prima, in ospedale, mentre le chiedeva di non prendere parte a quella
riunione. Ci tenne anche a sottolinearlo, senza paura. «Chiedo ai nostri
colleghi che in sede di revisione della documentazione e delle nostre
dichiarazioni, non tengano conto delle condizioni fisiche della dottoressa
Noriko, in quanto questa è un’indagine disciplinare sulle azioni compiute da
Aiko Masa in quanto agente di primo livello. Se lo riterrà opportuno, la dottoressa
le potrà fare causa penalmente. Oggi non siamo qui per cercare una vendetta o
per punire un atto, ma per verificare che l’agente Masa sia ancora operativa e
non una minaccia.»
«Tu
non la ritieni una minaccia, Koori?», aveva chiesto Marude,
seduto alla scrivania quasi come se fosse egli stesso un persecutore. Ne aveva
tutta la faccia.
Il
ragazzo dal caschetto aveva scosso il capo. «No, non lo è. È una persona che
sta male e va aiutata. Senza contare che le provocazioni hanno un peso molto
forte su una mente stabile, figurarci su di una persona ancora convalescente
dopo uno scontro che le è costato quasi la vita.»
«Mi
stai accusando di essermela cercata?», domandò Noriko, senza paura di aver
preso parola da sé, senza chiederla.
«Sì,
lo sto facendo.»
«Inaccettabile»,
aveva sussurrato qualcuno dalla platea, mentre di nuovo il chiacchiericcio si
alzava. Sembravano tutti pronti ad elargire sentenze, ma Yoshitoki
non avrebbe perso il controllo della situazione. Alzò una mano, facendo
ripiombare la sala nel silenzio, prima di rivolgersi di nuovo a Ui, non
particolarmente felice della sua partecipazione all’inchiesta. «Hai qualcosa da
aggiungere, classe speciale?»
Koori
sembrava determinato a tenere il timone in mano e non cedere terreno. Portò
addirittura una mano al petto, mentre abbassava il capo. «Quando abbiamo perso il prima classe Ihei, mi sono
incolpato di tante cose, ma la peggiore di tutte è stata la consapevolezza di
non essere arrivato in tempo. Aiko invece è riuscita laddove io ho fallito,
salvato le vite di Higemaru Touma
e di Aura Shinsapei da una morte certa e orribile.
Fino a tre giorni fa tutti sembravano pronti a investirla di qualche
onorificenza. Ora sembrate tutti solo inclini a farvi giustizia per quello che
altro non è se non uno spiacevole incidente.»
«Io
sono viva per miracolo, Koori!», lo interruppe nuovamente Noriko, con vigore,
pentendosi immediatamente di avere dato un piccolo pugno al bracciolo della
sedia a rotelle, quando un dolore lancinante le si irradiò dal polso al petto.
«Posso parlare io, ora? Non so per quanto gli antidolorifici faranno effetto.»
Ui
la guardò con disprezzo misto a pena, prima voltarsi verso Aiko, guardandola
con rassicurazione nelle iridi violacee. Fece un cenno ad Arima
e scomparve dal campo visivo della mora, che in quel momento, dopo aver sentito
i loro nomi uscire dalla bocca dell’amico fedele, realizzò che nessuno dei
Quinx si era presentato. Sapeva che Urie non lo avrebbe fatto, ma gli altri?
Toshi spinse la madre più avanti e lei
non fece molto, se non farsi passare un foglio dal quale lesse velocemente
qualche appunto sparso, non componendo un discorso completo. «Rottura del
malleolo laterale, della tibia e del perone in più punti nella gamba sinistra.
Distorsione della spalla destra. Stiramento del bicipite e rottura del
legamento crociato grama sinistra. Rottura delle costole da cinque a nove
destre e inclinazione della quarta toracica. Schiacciamento del corpo
vertebrale in più punti sulla dorsale cervicale e toracica. Un’orbita sfondata
con espulsione parziale del bulbo dell’occhio sinistro. Sfondamento dell’osso
parietale e occipitale sul lato sinistro del cranio. Lacerazioni multiple alla
milza, al fianco, al braccio e alla gamba, sempre sulla parte sinistra del
corpo.»
Un
silenzio assordante si diffuse nella stanza ad ogni punto che toccava di quel
macabro elenco. Aiko teneva gli occhi sgranati su una mattonella, vedendo ogni
speranza che si era montata in capo durante le belle parole dei suoi amici
sfumare sempre di più. Chi avrebbe mai potuto giudicarla ancora idonea al
lavoro nel dipartimento dopo aver sentito Noriko? Quale essere umano poteva
ignorare ciò?
«Io
non camminerò più come prima», aveva proseguito la donna, imperterrita, «Avrò
danni permanenti sia alla schiena che all’anca, ma non è per questo che sono
qui. Sono qui perché nessuno merita di fare questa fine durante lo svolgimento
del suo lavoro. Quella ragazza è instabile, è malata. Lo dico da anni, dalla
prima volta che mi ha minacciata, dalla prima volta che ci siamo scontrate,
eppure tutti mi hanno ignorata. È diventato un gioco all’interno del bureau. Una
scommessa su chi delle due avrebbe alzato le mani. Ora che avete una risposta
conviveteci e pensate seriamente alle mie parole. Io sono la psicologa del
dipartimento e io l’ho giudicata inadatta a un sacco di cose, nel corso degli
ultimi cinque anni. Non era pronta a tornare al lavoro dopo lo scontro nella
ventesima circoscrizione. Non era pronta a lavorare in prima linea con Hirako,
ma comunque l’avete affidata a lui. Non era abbastanza stabile per avere dentro
di sé una tale potenza, ma voi l’avete armata di una kagune rendendola un
pericolo per se stessa e per gli altri. Ora fatevi un
esame di coscienza, tutti voi, e per una dannata volta ascoltatemi!»
Ironicamente,
sembrava quasi che Noriko stesse incolpando più le alte sfere di lei. Aiko
trovò il coraggio di guardare verso la commissione, trovandoli tutti molto a
disagio. Anche e soprattutto coloro che non aveva mai visto in vita sua e che
quindi non erano a capo delle sue squadre.
«Eppure
hai deciso di non denunciarla personalmente», disse Arima
e no, non era una domanda.
A
fatica, ruotando il capo piano da dentro il colletto protettivo, Noriko lo
guardò straboccante di risentimento. Masa capì che doveva aver discusso anche
con lui. «Ho deciso di non denunciarla perché so già che verrà rilasciata. Ho
deciso di non denunciarla perché qualsiasi cosa Aiko Masa trami nel buio, io
non voglio diventare una martire.»
«Una
martire? Sta per caso accusando il primo livello Masa di qualcosa, dottoressa?»
Noriko
assottigliò gli occhi, per quanto possibile a causa dei lividi, guardando lo Shinigami Bianco. «Penso che si vendicherebbe o manderebbe
qualcun altro a farlo? Cerco che sì. Penso che tu stesso renderesti il mio
lavoro più complesso di quanto già non fai, Kishou?
Penso anche questo.»
«Non
servirà una denuncia penale se verrà sbattuta in Cochlea»,
si intromise Marude, prima di guardare verso Noriko.
Sembrava che qualcosa si fosse spezzato nei suoi occhi in qual momento. A un
uomo si può toccare tutto, ma non la famiglia…
«C’è
qualcos’altro che vorresti venisse messo agli atti?»
«No
Chika, ho parlato anche troppo. Sono curiosa di
sentire cosa ha lei da dire, ora.»
«Prima
io vorrei sentire il parere della sola persona in questa stanza che ha davvero
autorità in merito», disse rispettoso, ma tagliente, Arima.
«Il dottor Shiba.»
«Giusto»,
ricordò Yoshitoki, mentre il medico avanzava nella
stanza, andando verso Noriko per sussurrarle qualcosa che sembrava una
terribile scusa. Le toccò anche la mano, ma lei la ritrasse, in un gesto pieno
di orgoglio. «Il dottor Shiba ieri mi ha detto che
può giustificare ciò che è successo, dico bene, dottore?»
«Decisamente
sì. Se c’è un colpevole in questa stanza per la terribile fatalità accaduta a
Noriko, sono io.» Senza attendere oltre, Shiba prese
a distribuire sul tavolo della commissione dei fogli. Ne porse anche uno ad Arima, che accettò con un cenno del capo.
«La
conta rc è molto fuori scala», commentò il prima classe Tainaka, leggendo
frettolosamente quel foglio e lasciandolo ricadere come se fosse un pezzo di
carta straccia. «Ma parliamo dei Quinx, non è normale?»
Shiba portò le mani dietro al busto,
sospirando mesto. «Il massimale di un Quinx non dovrebbe mai superare le
novecento parti. Aiko, al momento attuale, supera le tremila abbondantemente.»
Persino
il Presidente sembrò impressionato. Tanto che prese la parola per la prima
volta dall’inizio dell’udienza. «Livelli tali da doverla per forza
categorizzare come Ghoul.»
«Per
la legge sì», disse il dottore, «Però come ho convenuto insieme al dottor
Aizawa che oggi non poteva venire perché aveva un turno da coprire, non è un
ghoul sotto molti aspetti. Grazie al nostro tempestivo intervento riesce ancora
a mangiare cibo umano, non ha sviluppato particolari manie, se fatta eccezione
per la perdita di lucidità dell’altra sera.»
«Un’eccezione
che è quasi costata una vita», gli fece notare Marude,
tamburellando le dita sul documento, infastidito da tutti quei numeri e tutte
quelle statistiche. «Non possiamo passarci sopra solo perché è quasi morta in
uno scontro contro Tatara, anche se tutti coloro che hanno parlato fino ad ora
lo hanno sottolineato con fervore. Poteva capitare a chiunque di trovarsi di
fronte a lei in quel momento.»
«Non
è vero», lo contraddisse immediatamente Arima. «Aiko
ha dichiarato di essere stata chiusa nella stanza contro la sua volontà.»
Proseguì, nonostante lo spergiuro lanciato da Noriko verso di lui. «Tutti
coloro che hanno parlato la conoscono e conoscono la sua faida con la dottoressa.
Se non si fosse sentita in pericolo, non sarebbe scattata. Non è un caso che
sia successo proprio in quel momento e con quella specifica persona, classe
Speciale Marude e lei lo sa benissimo.»
«Non
ci sono prove che la porta fosse chiusa a chiave.»
«Non
è stato rinvenuta bloccata?»
Itzuki fece una piccola pausa, mentre
un sorrisetto vittorioso gli si disegnava sulle labbra. «Non c’erano striature
sullo stipite, però.»
«Stai
suggerendo che uno di noi ha volutamente girato la chiave per avvalorare la tesi
di Aiko? Questa è una accusa molto pesante, classe Speciale.»
«Eppure io la supporto, classe Speciale Arima.
Non mi importa se è la tua pupilla o la futura stella brillante della CCG. Un
tentato omicidio è un tentato omicidio. Tu gireresti mai la tua quinque contro
un tuo collega in un attacco d’ira?»
«Non
sono nelle condizioni in cui versa Aiko, non posso essere usato come metro di
paragone.»
«Basta,
voglio silenzio ora», disse con fervore Yoshitoki,
tirandosi in piedi. Si rivolse di nuovo al dottore, guardando prima sia Marude che Arima con
un’espressione di ammonimento. Li avrebbe sbattuti fuori entrambi senza remore.
«Un’ultima domanda, molto specifica, poi abbiamo concluso con lei, dottor Shiba», gli disse, irradiando autorità. Ormai tutto pareva
un complotto. Aiko non si capacitava del fatto che loro fossero così oscurati
dal loro legame con Noriko da anche solo ipotizzare
che Shiba la stesse coprendo. «Lei pensa o no che la conta rc di Aiko Masa l’abbia portata a non essere consapevole di
ciò che stava facendo?»
«Ne
sono più che certo. Non sono stato bravo a calcolare quanti inibitori
somministrarle e questo è il risultato. La colpa è mia, se dovete sospendere o
licenziare o rinchiudere qualcuno sono io. Non i miei ragazzi.» C’era qualcosa
di molto triste nell’ultima frase dell’uomo. I suoi ragazzi, i suoi
esperimenti. I suoi potenziali fallimenti. Giovanissimi che lui poteva avere
rovinato per sempre.
Aiko
rimase come stordita da quell’ultima dichiarazione. Tutte quelle persone che si
stavano assumendo la colpa delle sue azioni, come se in qualche maniera lei
fosse un loro problema. Koori, Kuramoto, lo speciale Arima,
il dottor Shiba…. Indirettamente anche Aizawa. Non
c’erano, a quella procedura, ma se fossero stati presenti anche i Quinx, ognuno
di loro avrebbe parlato per lei. Schiacciata dalla consapevolezza di essere
quasi un peso, una bestia da amministrare, Aiko abbassò il capo.
«L’accusata
vuole dire qualcosa a sua discolpa?»
Ed
era arrivato anche il suo momento. Aiko stava per venire interrogata da Marude e non era pronta. Non sapeva se dire ciò che aveva
concordato con Arima o se dire la verità e finalmente
assumersi la responsabilità delle sue colpe.
«No,
il primo livello Masa ha già dichiarato tutto ciò che doveva. Ha rilasciato una
dichiarazione accurata che vi abbiamo fatto pervenire e certa della sua
innocenza, non ha altro da aggiungere.»
Sorprendentemente,
Arima le impedì di parlare. Aiko lo guardò, con la
bocca socchiusa e le iridi sgranate, mentre lui la privava della libertà di alleggerirsi
l’anima. Non erano questi i patti. Non era così che doveva andare, ma lo Shinigami non era un folle e Aiko lo sapeva. Non le avrebbe
concesso di minare la reputazione dell’intera squadra per uno scrupolo di
coscienza. Così ritrovò la lucidità, guardando Yoshitoki
e annuendo. «Nulla da dichiarare, signore.»
«Si
può fare?», chiese Marude, inferocito. «Mi viene
negata la possibilità di interrogare direttamente l’agente Masa in questo
modo?!»
«Non
essendo un processo, come già ribadito milioni di volte, il primo livello ha il
diritto di non rilasciare dichiarazioni.» Houji
incrociò le mani sulla scrivania, guardando verso il collega che non si dava
pace. «Questa è una procedura standard, Maru. Devi
concederle il beneficio del dubbio-»
«Beneficio
del dubbio un corno!», Marude non si trattenne oltre,
battendo entrambi i pugni sulle ginocchia. Una vena prese a pulsargli sulla
tempia, mentre passava gli occhi da Aiko a Noriko, a come aveva ridotto la
donna con cui aveva condiviso metà della sua vita. E così anche Yoshitoki, nonostante questi non dicesse nulla. «Aiko Masa
ha intenzionalmente attaccato la dottoressa Noriko durante un loro colloquio-»
«Queste
sono speculazioni», gli parlò sopra Arima, ma Marude non si fermò.
«-Poi
ha utilizzato le sue conoscenze criminologiche girando la chiave della porta
prima dell’arrivo dello speciale Ui. Per questo non abbiamo trovato impronte
sulla chiave né i segni di rigatura del chiavistello sullo stipite. Ora sta
sfruttando una condizione medica a suo favore e tutti voi ve ne state zitti,
peccando di omertà, solo perché non volete vedere che dietro a ‘occhi da Bambi’ c’è una folle, pazza
scatenata!»
Tainaka sospirò pesantemente, rompendo
il gelido silenzio che si era creato nell’aula. Passò in rassegna i fogli, trovando
ciò che cercava dopo qualche minuto. «Lo speciale Ui però è intervenuto subito.
Se l’avesse vista alterare la scena girando la chiave l’avrebbe detto,
sbaglio?»
Koori
si alzò in piedi, diritto con la schiena, guardando il presidente con fermezza.
«Assolutamente. Non avrebbe avuto il tempo di mettere mano a nulla, poiché ero
su di lei con la mia quinque in mano pochi secondi dopo aver sentito lo
schianto. Senza contare che Aiko era come assente, in quel momento, aveva gli
occhi persi. Non era in sé, come ho sottolineato nel mio report. Si è
lasciata mettere la camicia di forza docilmente e mi ha seguito senza
resistenze. Lei non è una minaccia.» Calcò così tanto sull’ultima frase da far
rimbombare la sua voce di norma sottile e affilata.
Marude non disse niente, non volendo
mettere in dubbio l’autorità dell’altro classe speciale,
ma era tutto terribilmente sbagliato ai suoi occhi.
Così
come agli occhi di Aiko, che non ebbe il coraggio di guardare Koori negli
occhi. Aveva ragione, si era come estraniata dopo aver fatto ciò che aveva
fatto, ma ricordava di aver visto l’amico prendere dalla tasca un fazzoletto e
poi girare la chiave della porta scardinata, guardandola poi con gli occhi
viola affilati. Lui le aveva fornito il più solido degli alibi, facendo passare
Noriko come una rapitrice.
Era
vero.
Aveva
ragione Marude.
Fra
colleghi che si coprono le spalle a vicenda c’era troppa omertà.
«Se
abbiamo finito, la commissione più ritirarsi per deliberare», asserì il
direttore Washuu, mentre Ui riprendeva posto. «Qualcuno
ha domande o osservazioni?»
Non
si sollevò nessuna obiezione per diversi secondi, poi una voce irruppe nel
silenzio solenne. Suzuya non si alzò nemmeno in
piedi, mentre parlava, giocherellando con una delle pantofole. «Tutto questo
dimostra che il progetto Quinx è un fallimento, quindi?»
Yoshitoki, l’architetto della CCG e del
progetto Quinx, rimase silenzioso. Ammettere che Aiko era incapace di
proseguire nello svolgimento delle sue mansioni equivaleva ad ammettere che
avevano investito un capitale in qualcosa che non stava funzionando. Equivaleva
ad ammettere che era tutto un gigantesco fallimento.
Arima sapeva che non potevano
permetterselo, soprattutto il direttore.
Per
questo chiuse gli occhi per un istante, mentre un angolo delle labbra si arricciava
di soddisfazione.
Suzuya non poteva saperlo, ma con
quella domanda irrisposta aveva appena salvato capre
e cavoli.
La
commissione disciplinare ci impiegò esattamente due ore e dieci minuti per
arrivare ad un verdetto. Due ore per decidere se rimettere in libertà o meno
Aiko, la quale spese quel tempo in silenzio, seduta accanto ad Arima, impossibilitata a ringraziare i suoi amici, con lo
sguardo di Marude perennemente addosso come l’ascia
di un boia sul collo.
Stretta
nella camicia di forza si sentiva esattamente come era stata descritta: una
pazza scriteriata. Avevano ragione loro, forse tutto ciò che le era successo
l’aveva rovinata fino al punto di non ritorno. Aogiri, Osaki,
Orihara, Tatara, Eto,
Labbra Cucite stessa l’avevano portata a diventare qualcosa che non era più
definibile. Viveva letteralmente per difendersi da accuse, sperando di non
venire condannata da umana o uccisa da Uta. Viveva nell’ombra di se stessa, aggrappandosi alla sola cosa bella che aveva
avuto in quegli anni: Urie. Lui non era nemmeno potuto andare a quel processo, Arima l’aveva detto e ridetto che sarebbe stato
compromettente e dopotutto qualcuno in servizio doveva pur rimanere.
Eppure avrebbe tanto voluto incontrare
i suoi occhi serpentini, fra la folla, mentre la commissione e il Presidente
rientravano, riprendendo posto. Si ritrovò invece impelagata nelle iridi
piccole di Take, che non le fece nemmeno un cenno, limitandosi a ricambiare lo
sguardo. Lei non smise di rimanere focalizzata su di lui, anche mentre Hoiji leggeva il verdetto.
«In
data odierna, la commissione disciplinare diretta da me, classe speciale Hoiji Kousuke, per giudicare le
condizioni psicologiche del primo livello Aiko Masa ha stabilito all’unanimità
quanto segue: in relazione all’aggressione ai danni della dottoressa Noriko, le
azioni compiute dal primo livello sono imperdonabili, ma giustificate.» Il classe speciale fece una
pausa, umettandosi le labbra, con una decisione in netto disaccordo con quanto
stava di fatto dicendo. «Lo stato di salute di Masa Aiko non era ottimale al
momento dell’aggressione, per tanto non è possibile sostenere la tesi riportata
dallo speciale Marude sulla sua inadeguatezza allo
svolgimento delle mansioni di investigatrice del pool anti-ghoul. La
commissione accoglie invece la richiesta dello speciale Arima
e ritira tutte le accuse, decidendo che non sia necessario arrivare a un
processo penale né perseguire il primo livello per le sue colpe. Nonostante
questo, la commissione stabilisce che da oggi fino alla guarigione totale, Aiko
Masa sarà diretta responsabilità del suo superiore diretto, Kishou
Arima. Saranno predisposte delle sedute obbligatorie
con uno psichiatra esterno al dipartimento e più controlli medici da parte del
dottor Shiba. Con questa sentenza si dichiara concluso
il provvedimento disciplinare al primo livello Aiko Masa, con l’assoluzione
totale da tutte le accuse, ma l’obbligo sia lavorativo che morale di ritrovare
la sua stabilità emotiva o ritirarsi di propria volontà dal servizio. Le prove
presentate, di fatto, non sono sufficienti ad instaurare un ragionevole dubbio
e a privare l’agente del suo grado.»
Aiko
si ritrovò catapultata in una realtà alternativa al termine di quella sentenza.
Una realtà in cui in vero Hoiji le diceva quanto
deprecabili fossero le sue azioni la imprigionava a vita nelle viscere della Cochlea. Una realtà tenebrosa, ma karmatica,
giusta. Non come quella che stava vivendo, così rosea da rivoltarle lo stomaco.
Un agente di custodia sganciò la camicia di forza e lei sentì i polmoni irrorarsi
di ossigeno. Scambiò uno sguardo con Arima,
comprendendo che lui aveva vinto di nuovo.
Vinceva
sempre.
Voleva
dirgli qualcosa, magari ringraziarlo o dirgli che stava sbagliando tutto, con
lei, ma lui fu più veloce. «Ti ho portato un cambio. Vai in bagno e preparati,
dobbiamo tornare subito al lavoro. Non abbiamo ancora trovato Hakatori.»
La
lasciò sulla sedia, a liberarsi dalla costrizione, ancora scombussolata dalla
sentenza. Ui e Hirako andarono da lei per primi e il moro la strinse così forte
da quasi sollevarla da terra. Lei si aggrappò alle spalle del giovane, ma non
disse nulla. Non lo ringraziò per aver insabbiato tutto, né proferì altre
parole. Si limitò a stringerlo, mentre Naoki
cinguettava allegro con Furuta un ‘è bene ciò che
finisce bene’, mentre lei guardava Take che guardava il punto in cui Arima era sparito, fra la folla di colleghi.
Nessuno,
però, osò dire niente a Noriko, mentre lasciava la stanza.
☼
Aiko
rimise piede allo chateau quella sera stessa.
Nella
sua mente, la giovane si augurava solo che tutto tornasse esattamente come
prima. Come se non avesse mai attaccato nessuno, come se non fosse mai stata
imprigionata al Corniliculm.
Sapeva però che non sarebbe stato così semplice. Aveva passato il pomeriggio a
lavorare, sentendo gli occhi dei colleghi su di lei, senza però avere il
coraggio di dire nulla. Aveva saputo da Aizawa che i pareri su di lei erano
molto discordanti; alcuni lo incolpavano direttamente di essere una minaccia,
avevano paura di ciò che potevano diventare i Quinx. Altri invece la
incoraggiavano, sostenendo che lei non era altro che una vittima di un sistema
più grande, di un’operazione disumana, fatta da un medico folle quanto Frankenstein.
Lei
non lo credeva, difendendo Shiba con tutta se stessa, ma non proferendo però parola direttamente. Era
ancora troppo presto per lei per dare pareri, era ancora vista come qualcosa di
strano o come un nemico diventa tuo amico, come un'ingiustizia in un sistema
perfetto e questo non lo poteva accettare. Aveva quindi lavorato a testa bassa
senza lamentarsi nemmeno quando Arima le aveva
chiesto di rimanere oltre l'orario stabilito. Aveva chinato il capo e fatto ciò
che le veniva detto, in quel modo mansueto che proprio non la rappresentava.
Lo
aveva fatto in funzione di poter tornare finalmente a casa.
Ne
era valsa la pena, questo si disse quando finalmente rimise piede in quel luogo
nel quale sentiva di appartenere, più che in qualsiasi altro. Ad accoglierla,
in salotto, c'erano tutti con l'eccezione di Tooru e
Aura, ma si aspettava anche questo.
Urie
fu il primo a parlare, quando lei si era già chiusa la porta alle spalle da
diversi secondi. Mandò tutti quanti in cucina per preparare la cena e con lei
rimase solo, guardandola attentamente, quasi temesse di non riconoscerla. Eppure quella figura con il volto smagrito e l'espressione a
pezzi di chi sa di avere sbagliato lo smossero. Lo interpretò così; come
rimorso, consapevolezza di aver sbagliato, e tanto gli bastò per muoversi nell’atrio
e stringerla fra le braccia, senza parlare. Le parole erano inutili in quel
momento. Era grato che lei fosse tornata e sollevato che fosse pentita per
avere utilizzato la kagune contro un'altra persona o almeno di questo pensiero
si sta convincendo, negando la possibilità che Aiko avesse agito per uccidere
una persona. Di nuovo voltò il capo e non riconobbe gli errori della giovane.
Lei,
per risposta, si strinse a lui come se fosse la sua ancora. Non pianse, non gli
raccontò frottole, ma lo baciò sollevata di poterlo fare, seppure in modo
egoista perché non aveva pagato per i crimini che avevo commesso. Eppure poter stare di nuovo con lui era molto più importante
di qualsiasi altra cosa.
«Devi
essere stanca», le sussurrò, passando la mano sul suo braccio, come per
confortarla. «Vai a farti una doccia, sei uno schifo da vedere. Preparati per la cena e poi per una sana dormita,
non sembri farne una da mesi.»
«Sei
proprio un acuto investigatore, Cookie», acconsentì Masa senza obiettare, ma
non rinunciando al suo solito sarcasmo, tirando nel contempo
un sorriso pallido come raggi della luna. Non si mosse, se non prima di averlo
baciato sulle labbra un’altra volta, sentendo le sue screpolate. Si avviò verso
le scale, credendo fermamente che avrebbe potuto rimediare a tutto, chiarendo
anche col resto della squadra, quando lui la fermò nuovamente. «Questa mattina
è arrivato un pacco per te, l'ho appoggiato sul letto. Comunque sia, se dopo
vorrai parlarne, sai che io sono qui. » Non aggiunse
altro, se non questa premura legata a un sorriso. Lei annuiì,
non preoccupandosi della posta quando di quel volto che aveva sognato mentre
era lontana.
La
doccia fu un toccasana; l’acqua calda la rinfrancò, lavando via ogni brutto
pensiero e ogni azione denigrante. Portando via lo sguardo di Marude e l'espressione di Arima
durante la seduta della commissione di inchiesta. Si avvolse in un asciugamano che
le parve così tanto morbido da non sembrare nemmeno il suo. Tre giorni da
reclusa e si sentiva già come se fosse rimasta la dentro degli anni.
Come
aveva potuto anche solo pensare di confessare? Non avrebbe retto un mese, in
prigione. Il senso di colpa l'avrebbe schiacciata. Sarebbe definitivamente
impazzita, abbandonata a se stessa, con la mente in
fiamme per il senso di colpa di ciò che aveva fatto non alla
psicologa, ma nel corso dei cinque anni precedenti. Tremò al pensiero di
perdere tutto ciò che aveva costruito per aggrapparsi alla realtà alla quale
Aogiri l’aveva strappata senza rimorsi. Urie, la squadra, le amicizie che
l'avevano difesa a spada tratta, persino la sua libertà, un bene che non stava
sfruttando affatto bene, nonostante fosse sopravvissuta abbastanza per poterla
assaggiare. E quello già di per sé era miracoloso.
Si
sedette di fronte allo specchio, prendendo la spazzola e spostando i capelli su
una spalla. Lì, mentre era concentrata sulla sua immagine riflessa, notò nell’angolo
della specchiera la piccola scatola appoggiata sul letto. Così come il ragazzo
aveva detto, qualcuno lo aveva spedito qualcosa. Si sentì irrequieta al riguardo.
Non
poteva essere sua madre. Eccetto lei, chi altri poteva prendersi la briga?
Perché non consegnarla a mano? Praticamente tutte le persone che conosceva
erano colleghi. Forse qualcosa da Midori? Incuriosita,
ma scettica, si avvicinò, notando che non vi era indirizzo del mittente. La girò
fra le mani prima di aprirla, trovando al suo interno una chiavetta USB e una
cassetta registrata. Su di essa, impresso con un pennarello rosso, c'era il suo
nome. Aiko Masa. Qualcuno si era
anche preso la briga si segnare quali fossero il lato A e il lato B. Né un
biglietto, né una indicazione. L’ombra di Eto fece
capolino nella sua mente e Aiko si convinse che sì, era qualcosa che il Gufo
avrebbe potuto fare. E se fosse stata tutta una menzogna? Se quella libertà
tanto ambita in realtà fosse stata concessa per scherzo?
Non
poteva far nulla per la cassetta, non avevano mangianastri in casa. Però poteva
guardare la pennetta USB. Decise di non farlo subito, nonostante l’angoscia la
logorasse. Si alzò e mise tutto di nuovo nella scatola, che finì nel suo
armadio. Poi si vestì, indossando qualcosa di comodo, e scese le scale,
arrivando giusto in tempo per vedere tutti sedersi al tavolo. Hige le sorrise, con una naturalezza tale da spezzarle il
cuore. «Stavo per salire a chiamarti, Aiko-san!», disse, prendendola a
braccetto.
Aiko
si avvicinò al tavolo con lui, prendendo posto accanto a Urie, di fronte a Saiko. Urtò inavvertitamente le bacchette, appoggiate sopra
alla ciotola ricolma di quella che sembrava una zuppa di pollo e verdure, ma
sistemò di nuovo tutto, prima di unire la mano di fronte al viso. Il tutto
sotto lo sguardo attento di Urie. Fu il caposquadra a rompere il silenzio. «Itadakimasu»,
sussurrò, imitato da tutti gli altri.
Masa
prese le bacchette fra le mani, scostando gli spaghetti di riso, senza però
iniziare a ingozzarsi come invece stava facendo la ragazza bassa di fronte a
lei. Fu quest’ultima a rompere il silenzio, mentre Hsiao
le levava un pezzettino di bietola dal mento usando in modo prodigioso le bacchetta.
«Macchan, non hai fame?»
«In
effetti sì», ammise la mora, con non poco disagio.
«Però, se penso agli ultimi pasti che ho avuto, vedere la carne mi stomaca.» Si
zittì, mordendosi le labbra. «Scusami Kuki, tu cucini ogni sera e io mi lamento
che-»
«No,
va tutto bene. So cosa c’è sul menù del Corniculum»,
la interruppe lui, alzandosi. «Ti preparo qualcos’altro. Uova?»
«Non
c’è bisogno, non preoccuparti.»
«Uova?»
Aiko
sospirò rassegnata, appoggiando un piattino sulla ciotola del ragazzo, per cercare
quanto meno di non far freddare la sua cena. «Ti do una mano.»
«Posso
preparare un’insalata da solo, rimani seduta. Non stressarti.»
Il
fatto divertente fu notare che Urie sembrava il più stressato di tutti, in quel
momento. Masa non poteva biasimarlo, indirettamente aveva lanciato i Quinx
sotto il mirino del mondo, grazie alla sua impresa. Si chiese addirittura se
Kuki fosse arrabbiato per questo, ma non lo chiese. Si limitò a rimanere in
silenzio, ubbidendo.
Sollevando
così la preoccupazione popolare.
«Ora
non iniziate a bisticciare?», domandò stranito Higemaru,
passando gli occhi sul viso incorniciato di capelli corvini della ragazza fino
alla schiena del caposquadra. «Niente ‘no lo faccio
io’, ‘non sai fare niente’, ‘tu non sai fare niente’?»
«Sembra
il copione di una soap opera», commentò pensierosa Saiko,
continuando a mangiare indisturbata.
«Cosa
ti hanno fatto là dentro, Masa-san?»
Gli
occhi gialli di Aiko si spostarono sulla taiwanita,
notando una preoccupazione autentica, come se davvero le importasse. Perché non
la odiava? Perché non era andata a dire a tutti che sapeva di Labbra Cucite? Aiko
non meritava tutta quell’apprensione, non meritava di avere intorno delle
persone così genuine. Non aveva meritato nemmeno quella difesa estenuante da
parte dei loro colleghi.
«Non
mi hanno fatto niente che non meritassi», le rispose con un sorriso spento. «Io
sono una persona orribile.»
Hige sgranò gli occhi a quella
dichiarazione, mentre Ginny si ritirava appena,
appoggiandosi con la schiena alla sedia. Saiko,
indignata, stava iniziando uno sproloquio su come Aiko non doveva permettersi
di dire certe cose, ma a concludere il discorso ci pensò Urie.
Sbatté
così forte una padella sul suo capo da piegare il manico. Se la pelle di Masa
non fosse stata quel che era, rinforzata dalla sua natura di Quinx, le avrebbe
aperto il cranio in due come una delle uova che stava friggendo. «Tu sei solo
un’incosciente», disse severo, mentre Aiko portava le mani alla zona colpita,
con una lacrimuccia di dolore a lato dell’occhio. «Sei tornata al lavoro troppo
presto, eri ancora convalescente. Non ti riposi mai, non ti fermi mai. Non
segui le normali visite che ogni Quinx dovrebbe effettuare. Non solo quelle
fisiche, ma anche quelle psicologiche. Non eri in te, quando hai attaccato
Noriko e a quanto so è stato detto anche in sede ufficiale. Quindi smettila di
vittimizzarti e fare quella faccia! Noi ti aiuteremo a guarire e appena
succedere l’ennesima tragedia, tutti si dimenticheranno di questa storia. Come
sempre.»
Masa
sapeva che doveva essergli grata per quelle parole. Sapeva che doveva essere
grata per i sorrisi confortanti dei suoi coinquilini. Però sapeva soprattutto
che iniziare a lasciarsi alle spalle quel senso di disagio, insieme a molti
altri pensieri che albergavano la sua mente su Uta, Eto
e Nagachika, sarebbe sicuramente risultato il modo
più intelligente di far fronte alla situazione.
«Sei
un idiota! Cosa cazzo mi colpisci alle spalle?!»
«Dici
delle fesserie, questo è il premio!»
«Tu
sei un pazzo! Chi diavolo ti ha nominato capo squadra? Una capra ubriaca!?»
Higemaru li guardò sospirando sollevato,
appoggiando il mento alle mani. «Tutto è bene quel che finisce bene.»
«Quindi
da oggi sei vegetariana? Devo apportare delle modifiche al menù settimanale?»
Aiko
sorrise leggermente, tenendo gli occhi socchiusi rivolti verso il faretto
stradale che si intravedeva luminoso oltre le veneziane. Non trovava quella
finestra particolarmente interessante, ma si sentiva così sopraffatta dalla
stanchezza da fissarsi sul nulla, mentre cercava di rimanere mentalmente
connessa con ciò che la circondava. Certo, la pancia piena e le dita di Urie
che passavano con lentezza ritmica fra le ciocche dei suoi capelli non la
stavano aiutando. «Giusto il tempo di farmi passare la nausea. Quella sbobba è
stomachevole. Non voglio nemmeno pensarci.»
«Non
ha alcun senso che non ti abbiamo portato del cibo umano. Non sei un ghoul.»
«Lo
sono stata fino a giudizio contrario. La vera tortura però è stata quella
maledetta camicia di forza. Non puoi nemmeno immaginare quante volte possa
pruderti il naso quando sai di non poterlo grattare.»
Il
capo squadra dei Quinx sbuffò piano, prima di pizzicarle il fianco con la mano
libera. Aiko ridacchio, infilando il viso nell’incavo del collo dell’altro,
stringendosi al suo corpo sotto alle coperte. Rimase ferma così, abbozzolata su
di lui, continuando a godere di quelle carezze confortanti. Poi lo morse piano,
alla base del collo, mettendo un po’ di distanza fra loro al fine di poterlo
guardare negli occhi. «Mi dispiace tanto per quello che ho fatto a Noriko»,
sussurrò, sentendo improvvisamente di provare quel sentimento. Non le era
importato della dottoressa fino a che non aveva visto ciò che le aveva fatto.
Fino a che non si era ritrovata di fronte la prova tangibile della potenza
distruttiva della sua kagune. «Spero che possa riprendersi al meglio, vista la
sua età.»
«Non
speri anche che possa perdonarti?»
«Che
ce ne facciamo del perdono? Lei non eviterà i reumatismi se me lo concede e io
non cancellerò dalla mente l’immagine del suo volto se lo ricevo.»
Kuki
sbuffò di nuovo, dandole una pacca sul capo, seppur delicata. «Sei così cinica.
Magari il perdono ti aiuterebbe ad agitarti meno nel sonno, è fastidioso.»
Aiko
roteo gli occhi, rassegnata. «Immagino sia stato bellissimo per te avere il
letto libero per quattro noti di fila, allora.»
«In
realtà è stato parecchio deprimente.»
Qualcosa
di caldo le si sciolse nel petto mentre lo sentiva pronunciare queste parole. Non
era molto da lui lasciarsi andare ai sentimentalismi, ma effettivamente era
bello. Sapeva di casa. Le dava una prospettiva per un futuro nel quale poter
essere felice. Vivere e non sopravvivere.
«Anche
tu mi sei mancato al Corniliculum. Ti saresti divertito
un casino. C’era un secondino simpaticissimo, che faceva costantemente
apprezzamenti su come mi donasse la camicia dei pazzi.»
«Se
il secondino ha un nome, penso che si meriti un premio. Un richiamo formale è sufficiente,
forse.»
«Adoro
quando fai il geloso…»
Sussurrò
piano sulle sue labbra, allacciando le braccia dietro al suo collo. Il bacio si
infiammò e il ragazzo prese l’iniziativa. Portò una mano sulla sua coscia,
sollevando la leggera camicia da notte.
Per
la prima volta, però, lei lo fermò. Appoggiò la mano sulla sua e si staccò, con
dolcezza, passando la mano sulla sua tempia e poi sul mento. «Avevi detto che
potevamo parlare? Vorrei parlare, in effetti. »
Lui
non si scompose. Fu sorpreso dal fatto che avesse fermato quello che sarebbe
degenerato in un rapporto. Lei era sempre la prima a saltargli addosso, perché con
entusiasmo, palesava ogni sua emozione, mentre era lui a contenersi sempre, ad
essere introverso e insicuro.
«Va
bene», le baciò piano la fronte, prima di sporgersi per riaccendere la lampada
da comodino. «Cosa ti fa così male? Non è Noriko, non è vero?»
Lei
prese un respiro profondo. Quella era una delle tante occasioni in cui avrebbe
potuto parlargli, così come in ospedale. Così come quando, per la prima volta,
si era resa conto che quella era la sua vera famiglia, la sua casa. Però non
poteva semplicemente dirglielo. Lui non poteva comprendere né perdonarla. Aogiri,
il Gufo col Sekigan, i ghoul in senso generico, erano
quella che per Urie era una sorta di valvola di sfogo. Un qualcosa da odiare
per andare avanti e raggiungere obiettivi.
Su
questo aveva meditato tanto, mentre dietro a quel vetro spesso fissava il vuoto.
Tutti avevano il diritto di odiare qualcosa. Masa aveva realizzato che non
aveva uno sfogo perché non odiava niente e nessuno. Aveva pensato di uccidere
Noriko molti mesi prima, ma poi vederla così, spezzata, assieme al figlio Toshi, le aveva fatto cambiare idea. Si sentiva
sinceramente in colpa? Non poteva dirlo. Poteva scoprirlo col tempo. La ferita
bruciava ancora.
Doveva
capire cosa odiare, cosa amare, in cosa valesse la pena di investire tutta se stessa.
«Io
ho fatto delle cose orribili, Kuki», gli sussurrò, dopo che entrambi si erano
seduti sul letto, a gambe incrociate, uno di fronte all’altra. Lui non aveva detto
nulla. Le aveva stretto la mano quando lei l’aveva cercata, mantenendosi in un
silenzio quasi religioso. «Mi sono davvero macchiata di atti imperdonabili…. Io
sono davvero una persona orribile.»
«Hai
salvato Hige e Shinsapei»,
sussurrò Urie, cercando il suo sguardo, ma non trovandolo. «Ti sei messa contro
un nemico aldilà delle tue possibilità consapevole che non sarebbe venuto
nessuno a salvarti. Questo non basta per farti sentire in pace con te stessa
almeno un po’.»
«No»,
sputò fuori lei, senza pietà per se stessa. In quel
momento, sotto la luce soffusa, Urie si ritrovò a guardare una persona che non
riconosceva. Aiko, aveva sempre riscosso ogni merito, si era sempre ritrovata
sulla difensiva. In quel momento non sembrava lei. Non sembrava importarle
niente di se stessa. «Una buona azione non seppellisce
una vita di…. Non so nemmeno come definirle.»
«Allora
descrivile, no? Parlami e dimmi perché ti senti così male. Cosa ti è successo
al Cornilicum da portati a pensare questo di te
stessa? Ti hanno torturato? Cosa ti hanno fatto credere?!»
Ogni
frase di Urie andava a riempire un vallo di silenzio teso. «Mi hanno solo tenuto
in una cella e fatto mangiare quello schifo», proseguì Aiko. «Dopo anni mi sono
fermata e ho pensato. Ho pensato tanto e io non posso dirti perché mi sento
così. Non posso o tu nella migliore delle ipotesi smetterai di volermi bene.»
Non
sembrava una buona premessa. Una persona normale, a questo punto, avrebbe
insistito. Le avrebbe estorto tutto, perché lei era così vulnerabile da essere
facilmente convincibile. Ma lui non fece nulla del genere. Rimase zitto e
proseguì con la sua politica di seppellire i problemi sotto chili di belle
parole. Seppellire la testa sotto la sabbia, per non vedere.
«Io
non voglio perdere più nessuno, Aiko», le disse, senza peli sulla lingua, senza
soste ne pause. Non poteva permetterselo. Sarebbe stato
troppo per lui, troppo da tollerare. Fin da bambino non aveva avuto altro che
perdite e perdite. Si era visto portare via tutti coloro che aveva amato. Aveva
schermato il suo cuore dietro muri di cemento armato, prima di entrare in
quella squadra che gli era arrivata nell’anima. Saiko,
Mutsuki, Shirazu e Sasaki erano stati i primi esseri umani a vederlo nella sua
vulnerabilità, ad accettarlo e a volegli bene nonostante
fosse una persona orribile. Con ingenuità, pensò che Aiko si sentisse in quel
modo per gli stessi motivi. Non aveva mai avuto una famiglia prima, aveva avuto
una condotta scorretta. Non lo pensava, se ne convinceva. Lo voleva credere
davvero perché non ce la faceva ad ipottizzare altro.
Anche se la sua mente, per un attimo, tornò a quella sera nella diciannovesima,
lo esorcizzò immediatamente. Aiko non era abituata a essere parte di una
famiglia, così come non lo era lui. Se non si sentiva
all’altezza, sarebbe stato lui a dargliela. «Sarò sempre qui per te», proseguì
con decisione, sfrontato, «Così come Saiko, Hige, Ginny, Tooru
e Shinsapei. Hai tante persone che ti amano anche se
tu ti senti orribile. Oggi non mi è stato permesso di venire. Hirako è venuto
qui a dirmi che nessuno dei Quinx sarebbe dovuto venire. Io in prima istanza,
per evitare domande scomode. Però so che c’erano comunque moltissimi agenti che
hanno garantito per te. sai cosa significa, garantire per un’altra persona? Dichiarare
senza nessun dubbio che ti fidi di lei, che se facesse una cazzata, allora tu
saresti persino perseguibile.» Si fermò un istante, perché finalmente lei lo guardava,
come folgorata da questa consapevolezza. «Se ti senti così male. Se ti senti
così uno schifo…. Da domani inizia a fare tutto ciò che è in tuo potere per
seppellire ciò che hai fatto, grave o meno che sia. La vita è anche questo, no?
Tutti meritano una seconda possibilità.»
Aiko
rimase in silenzio, mentre una lacrima le rigava la guancia. Poi annuì, piano. Sembrava
quasi che Urie avesse capito. Per un istante lei credette di averlo percepito. Il
modo in cui la guardava, pareva urlare ‘so cosa hai fatto’. Eppure, se così
fosse stato, allora sarebbe stato troppo semplice.
E
la sua situazione era tutto meno che semplice.
Erano
morte troppe persone a causa della sua doppia vita. Da entrambe le parti.
Nessuno
avrebbe mai potuto perdonarle quello.
Però
una cosa era vera….
Poteva
impegnarsi per essere una persona migliore.
Così
dimenticò la cassetta e la pennetta.
Concentrata
su un futuro nel quale, grazie alla sua libertà, avrebbe potuto dimostrare che
tutti potevano avere una redenzione.
Una
pazzia pensata in un momento di puro idealismo.
☼
La
macchina di Aizawa puzzava di alcool. Era disgustosa, ma abbastanza vintage da
avere un mangianastri. Purtroppo si era ricordata di
quella cassetta e di quella chiavetta la mattina successiva, quando nell’armadio
aveva cercato una canottiera da mettere sotto alla camicia. Aveva portato al
lavoro quei due oggetti, ma non l’avrebbe mai fatto se avesse saputo che cosa contenevano per davvero.
Eppure in quel momento, seduta accanto
al medico, sotto alla sua casa, prese coraggio e decise di far quel che andava
fatto: sentire cosa volevano da lei. E chi.
«Pensi
sia Aogiri?», le chiese il biondo, stringendosi nella giacca.
Lei
non rispose subito. Era ancora pallida e sciupata, nonostante avesse dormito
bene e mangiato abbastanza. Arima l’aveva messa a
lavorare su delle planimetrie di Tokyo, quindi era anche rimasta tutto il
giorno in ufficio a calcolare percorsi possibili. Eppure, nonostante questo, si
sentiva ancora debole.
«I
Clown? Aogiri? Tsubasa? Chi può dirlo. Qui dentro c’è
di certo un ricatto», disse senza remore, prima di premere play. Fu come
strappare un cerotto.
Ascoltò
il lato A, che conteneva una canzone.
«Questa
è Kagome?», domandò stranito Aizawa. «Odio questa
canzoncina, è inquietantissima.»
Lei
annuì stupita. La ascoltarono tutta, intonata da diverse voci di bambini, senza
nessun’altra inflessione di voce o musica di fondo.
«Una
canzone su dei bambini rinchiusi in una stanza per tanto tempo», valutò la
mora, assente. «Felici di ricevere visite.»
«Una
canzone su dei fantasmi. Hai presente la strofa del ritornello dove c’è la
minaccia di non scappare via dai bambini, no? Che ansia, peggio di così non può
andare.»
Il
biondo voltò la casetta, premendo di nuovo play.
E
se l’era cercata, perché stava andando decisamente peggio.
La
voce che sentirono. Le parole che disse.
L’incubo
che ricominciava e il mondo che le gridava che Aogiri non era la sola a impedirle
di essere libera.
Non
lo sarebbe mai stata.
Continua
…
☼Nda☼
Lo so, è passato più di un anno dal mio ultimo aggiornamento, ma
io questa storia non riesco a lasciarla. Tokyo Ghoul è stato molto importante
per me, ma gli studi e altre piccole cose mi hanno portata a metterci tutto
questo tempo.
Non ho mai smesso però.
Mese dopo mese, frase dopo frase, ho aggiunto un altro tassello.
Questa storia la finirò, anche se dubito avrò mai un seguito a
causa della mia incostanza di cui mi dispiaccio molto. Se ci saranno ancora
persone interessate, però, ne sarò molto felice. Questo capitolo è dedicato a
tutti coloro che, leggendo il post di aggiornamento, penseranno ‘allora non è
ancora finita’.
No. È appena iniziata.