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Autore: CHAOSevangeline    19/01/2020    2 recensioni
{ Orione/Artemide }
"Non c’era ragione di preoccuparsi dell’amore, perché Artemide non gli avrebbe mai permesso di ferirla.
Ma ormai anche se correva fra le file di alberi, nel fitto della foresta e attraversava un terreno sterrato più rapida del suono non c’era angolo di quell’isola dove le sue ansie non la trovassero. Per la prima volta i suoi pensieri erano veloci quanto lei e correre, rotolarsi nell’erba e porre sul loro cammino ostacoli come tronchi d’albero che lei scavalcava rapida come una cerbiatta non gli impediva di raggiungerla."
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Apollo, Artemide, Orione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IV.
Luna calante
 


 
Artemide credeva che ciò che aveva detto e ciò che non aveva osato dire sarebbe stato un monito sufficiente, se accompagnato dalla sua rabbia: una dea in collera è un temibile nemico. Nemmeno il più stolto fra gli uomini accetterebbe di crearsi un simile avversario dopo essere stato avvertito.
Ma questa leggenda non parla di come Artemide incontrò sul proprio cammino il più stolto fra gli uomini, né di come una dea scelse di dimostrarsi un nemico spaventoso.
Artemide era, allora, solo una ragazza distrutta. Poteri e discendenza non significavano nulla; non avevano mai significato nulla in momenti simili, per nessuno degli olimpi.
Era sola, circondata solo dalle proprie cacciatrici che però non lasciava avvicinare. Le aveva intorno, le ascoltava e mentre le guardava domandarsi cosa passasse per la testa della loro guida, Artemide si scostava. Di un passo, poi di un altro.
Non aveva pianto giorni addietro, quando aveva salutato Orione. Gli aveva solo chiesto di starle lontano, glielo aveva ordinato, ma si era trattato di un addio: non voleva romantiche trame a cui dedicarsi, non voleva incontrarlo sulla propria strada o sulla spiaggia. Non voleva si mettesse sulle tracce dell’accampamento delle Pleiadi, che narrasse le sue gesta accompagnato dallo stridore di una lira che era incapace di suonare né tantomeno che tentasse di tornare nelle sue grazie con un dono di cui era in grado come la pelle del più maestoso degli orsi. Non voleva provasse a vincere il suo amore.
Artemide non voleva nulla: non voleva compagnia, non voleva parlare e non voleva pensare.
Da cacciatrice era divenuta preda di tante angosce e paure che per anni non aveva sentito proprie. Le vedeva negli altri e lei, fiera, si era costruita uno scudo più formidabile di quello vantato da Atena dopo avervi incastonato la testa di Medusa.
Non c’era ragione di preoccuparsi dell’amore, perché Artemide non gli avrebbe mai permesso di ferirla.
Ma ormai anche se correva fra le file di alberi nel fitto della foresta e attraversava un terreno sterrato più rapida del suono non c’era angolo di quell’isola dove le sue ansie non la trovassero. Per la prima volta i suoi pensieri erano veloci quanto lei e correre, rotolarsi nell’erba e porre sul loro cammino ostacoli come tronchi d’albero che lei scavalcava rapida come una cerbiatta non impediva loro di raggiungerla.
Artemide non voleva nulla, perché l’unica cosa che desiderava non poteva ottenerla: la pace, sé stessa prima di quei terribili giorni.
Evitava le Pleiadi e non voleva incontrare Orione.
Né Eos.
Né Afrodite, che come dea dell’amore avrebbe potuto credere di poterci mettere del proprio per aiutarla.
Non voleva incontrare nemmeno Apollo.
E non per orgoglio, perché non volesse rivelargli che sì, aveva avuto ragione fin dal primo momento ed era stata terribilmente sciocca e ingrata nel non volergli credere: Artemide non voleva incontrare nemmeno il gemello perché preferiva stare sola, essere sola. Abbandonarsi nel proprio crogiuolo di rabbia e dolore finché non fossero passati entrambi. Perché sarebbero passati, si aggrappava a questo. Non sapeva quando, non sapeva come, ma sarebbe successo. Doveva crederlo.
Quel giorno, ecco, andava meglio anche se solo di poco. Si trovava un gradino più in alto su quella scalinata che partiva dal baratro di ciò che Artemide non avrebbe mai voluto essere, di come non avrebbe mai voluto sentirsi.
Durò finché non udì un grido.
Acuto, spaventato.
Era vicina all’accampamento.
Subito fece fumare la terra sotto i propri piedi in una corsa sfrenata verso la radura. Quando fu lì vide le tende lacerate, i tizzoni del fuoco spento da quel mattino sparsi fra i fili d’erba e la selvaggina scempiata.
Non c’era nessuno.
Solo Merope.
Gli occhi di Artemide videro una figura scura, un’ombra, ma si trattò di un’illusione senza significato persa negli alberi.
«Che cos’è successo?»
Non era stato un gioco della sua mente, quell’ombra: era stato l’istinto a fargliela registrare. Una convinzione.
Merope era accasciata a terra e Artemide fu su di lei. La prese fra le braccia.
Merope era una cacciatrice, come Artemide e le sue sorelle. Sapeva difendersi e delle frecce giacevano conficcate nel suolo, senza un lembo di stoffa o tracce di sangue sui loro steli di legno esile: l’aggressore non era ferito.
Merope era una cacciatrice, ma fra le più vulnerabili. Con i suoi lunghi capelli biondi, ammorbiditi dai bagni nel fiume e dalle ore trascorse a spazzolarli, Artemide mai avrebbe creduto potesse divenire una compagna fidata come invece aveva fatto.
«Artemide…»
La giovane gemette fra le sue braccia, aggrappandosi a lei.
«Calma, va tutto bene, sono qui», sussurrò, tentando di prenderle il viso fra le dita. «Dimmi cos’è successo.»
Quando le alzò il capo, Artemide notò con orrore la guancia gonfia di Merope, arrossata e lucida.
«È stato lui», mormorò. «È stato Orione.»
Tremò mentre diceva quel nome.
Artemide non provò angoscia, non provò paura. Provò solo disgusto, rabbia. Lei che era responsabile delle sue sorelle aveva lasciato le raggiungesse fin lì.
«Non mi ha toccata, te lo giuro», sussurrò lei. «Ma ti cercava.»
Artemide capì cosa intendeva Merope e ne fu sollevata.
Dunque quell’ombra era vera. Quella che come il vento si era celata fra gli alberi.
«Schifoso codardo», sibilò fra i denti la dea.
«Sembrava impazzito, Artemide», mormorò.
Fu come se allora avesse ripreso a vedere Merope, esile come un fiore spezzato fra le sue braccia. La strinse a sé e annuì.
«Nessun pazzo viene su quest’isola a seminare caos e resta impunito», mormorò. «Lo scaccerò da casa nostra, fosse l’ultima cosa che faccio.»
 
 
Artemide era abbastanza paziente da amare preparare le proprie armi: acuminava le frecce, affilava i coltelli.
Efesto le aveva insegnato i fondamenti alla base della forgiatura e seppur incapace di creare armi prodigiose e formidabili quanto le sue, Artemide aveva fatto proprie quelle tecniche.
Si accucciò sull’erba e posò le dita a terra. Uno scorpione corse giù dalla sua spalla, lungo la pelle del braccio. Nemmeno le diede la pelle d’oca. L’animale giunse alle dita e si nascose fra i fili d’erba.
Artemide lo guardò sparire, poi uscì dalla cornice buia degli alberi e mise piede sulla spiaggia.
Il mare era calmo nelle ore oscure poco prima dell’alba. A qualche metro stava un focolare in procinto di spegnersi.
Orione era lì, dormiva. Sirio al suo fianco.
Fu lui ad alzare il muso per primo e Artemide lo guardò negli occhi. Il segugio non ringhiò né si mosse.
Gli occhi grigi di Artemide brillarono di un bagliore lunare e Sirio si mise in piedi.
«Va da Eos, avrà bisogno di un compagno fidato come sei tu.»
Sirio corse lungo la striscia di spiaggia, in direzione del palazzo di Eos.
Quella notte chiunque avesse vita si allontanava da Artemide. Chiunque a cui lei concedesse il diritto di farlo.
Sulla spiaggia c’era l’arco di Orione, il suo coltello e la pelle su cui più volte si erano sdraiati a guardare le stelle, a chiedersi quanto tempo sarebbe trascorso prima di vedere un nuovo eroe con il suo mito a brillare sulla coperta scura del cielo notturno.
Non calciò via una sola delle armi del cacciatore, ma avrebbe dato fuoco a quella pelle.
Un arco che si tende, per un cacciatore, produce un suono di pura adrenalina; l’orecchio è allenato al punto da percepire la flessione del legno, il rumore della corda che promette di vibrare rapida quando la freccia sarà fuggita dalla cocca insieme al respiro dell’arciere.
Un cacciatore respira con il suo arco e smette di respirare con esso fra le dita, se il destino vuole graziarlo. Un cacciatore respira con la preda perché non lo scopra.
Artemide respirava con il respiro di Orione, lento e pesante. Non un ripensamento nelle dita piegate a mantenere la freccia.
Gli schiacciò il petto con un piede e lo vide svegliarsi di soprassalto.
Orione la guardò. Non c’era il sorriso bonario di quando era tornato sull’isola: c’era solo sfida. Scherno. Superbia.
«Non voglio le tue ultime parole, non ti salveranno», sibilò Artemide. «Voglio solo che tu sia cosciente mentre muori. E che sappia che sono stata io.»
Orione aprì la bocca per parlare. Artemide esalò il respiro per lui e la freccia si conficcò nel suo petto, dove prima l’aveva pressato con il piede.
L’uomo sgranò gli occhi e sbiancò. Il sudore prese a scivolare copioso sul volto, la luce sinistra dei suoi occhi celesti che si scuoteva.
La freccia di Artemide aveva la punta ricurva. Era il pungiglione dello scorpione che aveva liberato. Il suo colpo poteva non aver centrato il cuore, ma il veleno l’avrebbe raggiunto presto.
Arretrò di un passo e lo fissò in silenzio. Lui la sentiva, ma non poteva parlare.
«Non avresti dovuto toccare Merope», gli disse. «So che avresti voluto sporcarla, l’avrei dovuta cacciare.» Tacque un istante, come se avesse tutto il tempo per farlo e fosse lei a decidere quando tagliare il filo della vita di Orione, privando di quell’onore le Moire. «Ma il tuo errore più grande è stato credere che non sarei stata capace di questo.»
Assottigliò gli occhi.
«L’unica persona a cui sarò sempre fedele sono io stessa.»
Gli ultimi convulsi movimenti di Orione, Artemide nemmeno li guardò. Ravvivò il fuoco e ci buttò in cima la pelle d’orso, poi le sue armi.
Finse di dimenticare che il corpo del cacciatore fosse lì e si avvicinò al bagnasciuga. Si sedette al confine tra la sabbia asciutta e quella bagnata; se avesse steso le gambe il sale le avrebbe impregnato la pelle.
Il sole iniziò a crescere all’orizzonte. Inghiottiva ogni cosa.
Dei passi smossero la sabbia accanto a lei, mentre Artemide guardava il mondo nascere ancora un giorno. I passi si fermarono, immaginò qualcuno guardare il focolare che divampava alle sue spalle.
Poi il nuovo arrivato si sedette.
«Avevi ragione.»
Fu la prima cosa che Artemide disse. Non per giustificarsi, ma come se fosse un peso troppo grande per trascinarlo ancora.
«Non volevo avere ragione.» Apollo era accanto a lei. «Volevo solo che stessi bene.»
«Lo so.»
«E volevo risparmiarti questo.»
Artemide non era certa di cosa avrebbe fatto se una notte avesse sognato l’animo del gemello andare in pezzi, o se in un momento di pace l’avesse visto costretto a combattere i propri sentimenti compiendo un gesto tanto disperato. Si sarebbe sentita disorientata, confusa. Forse avrebbe provato il suo stesso dolore.
«Ha ferito Merope.»
«Sono passato a controllare. Mi hanno detto loro dove fossi», rispose Apollo. «L’ho guarita. Sta bene ora.»
Artemide si voltò, le labbra schiuse. Sembrava non aspettarsi una simile gentilezza.
«Grazie.»
Tacquero di nuovo qualche istante e Artemide guardò ancora il mare. Non la calmava affatto.
«È tornato da me, il giorno dopo che mi hai raggiunta», mormorò. «Ma ormai è morto, cosa importa?»
Apollo sapeva molte cose, ma non sapeva tutto.
Sentì la collera rimontare dentro di sé, perché non contava che Orione fosse morto, ma cosa avesse osato fare prima.
«Che cosa ti ha fatto, Artemide?»
«Tutto ciò che non ho mai permesso ad alcun uomo di farmi», rispose secca.
Apollo la guardava e lei guardava il sole. A costo di bruciarsi.
Artemide si voltò verso di lui. Aveva un sorriso sulle labbra, ma il viso inondato di lacrime. Aveva iniziato a piangere tanto piano che Apollo nemmeno se n’era accorto.
«Mi ha fatta a pezzi.» Singhiozzò. «Ma è strano… un bacio non dovrebbe farti sentire felice?»
Apollo sentì il cuore spezzarsi.
Artemide non aveva pianto una lacrima mentre affrontava tutto questo da sola, e se le stava piangendo ora era solo perché non poteva fare altrimenti: il suo corpo, seppur divino, era allo stremo, un contenitore troppo angusto per tutto quel dolore.
«Oh, sorellina…»
Apollo gemette come se sentisse i singhiozzi di lei nella gola e il cuore nel baratro dove Orione aveva gettato quello di Artemide.
Apollo la strinse fra le braccia o forse fu Artemide a rifugiarsi per prima contro il suo petto.
Singhiozzò forte come credeva di non aver mai fatto, forse gridò mentre Apollo cercava quasi di farla scomparire contro di sé, l’unico luogo dove Artemide stesse riuscendo a trovare del calore dopo essersi convinta non esistesse più. Mentre un fuoco divampava dietro di loro.
Apollo le sussurrava che sarebbe passato. Artemide piangeva perché non aveva esitato un secondo.
Si placava e poi singhiozzava ancora, pensando adesso che non avrebbe voluto essere costretta a tanto.
Quando le sue lacrime finirono, Apollo doveva averne raccolte tante da poter chiedere a Poseidone di creare un nuovo oceano.
Apollo le scostò i capelli dal viso, Artemide finalmente alzò il capo. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, provati dal pianto. Guardò il cielo.
«Papà lo metterà fra le stelle, ne sono sicura.»
«Sarebbe crudele se lo facesse», rispose Apollo.
«Siamo dei», sussurrò. «Siamo crudeli.»
«Tu non lo sei stata.» Apollo sentì il bisogno di dirlo. «Artemide, non pensarlo un istante. Non sei stata crudele.»
La dea si voltò e gli sorrise.
«Non per averlo ucciso», confermò. «Ma per amare gli umani sì, siamo crudeli. Verso noi stessi. Restiamo qui quando loro se ne vanno e ci ostiniamo a non dimenticarli. Con una costellazione, o con un fiore.»
La costellazione di Orione sarebbe stata come sale su una ferita ma anche un monito per lei, per il futuro.
Si alzò in piedi e tese la mano ad Apollo. Lui la prese e si alzò con lei.
«E i più crudeli fra gli uomini ci assomigliano come non mai.»
Apollo le arruffò i capelli.
«Se non amassimo qualcuno tanto quanto noi la nostra vita sarebbe vuota.»
Pensò di doverla distrarre, ma fu lei a prendere la parola.
«Andiamo a caccia?»
«Sarebbe fantastico.»
Artemide si voltò un ultimo istante verso l’orizzonte.
Il sole pendeva poco più in alto del mare.
Il mondo nasceva un altro giorno, e lei con lui



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Eccomi giunta all'ultimo capitolo di questa storia.
Ho deciso di continuare a pubblicare nonostante purtroppo la storia sia stata un po' un flop in fatto di commenti, ma ho visto che qualcuno la stava seguendo e mi son detta che mi piace troppo portare a termine i progetti per attendere, siccome comunque la pubblicazione è iniziata lo scorso mese.
Se a qualcuno andasse di lasciarmi un parere globale al racconto ne sarei davvero felice!
Tengo molto a questa storia, è nata in un periodo nero per la scrittura e riuscire a iniziarla e a terminarla in poco tempo per me ha significato davvero molto: pur avendola ricorretta ora, non ci ho messo mano quasi per nulla.
Essendo ormai alla fine posso rivelare, per chi non lo conoscesse, il significato di Asulòs: è uno degli epiteti di Artemide, che significa "inviolabile". Ho pensato subito fosse accurato considerando l'andamento della storia e la sua conclusione.
Se vi andasse di rimanere aggiornati con mie eventuali pubblicazioni e qualche chicca sulle mie storie vi rimando alla mia pagina FB, dove vorrei riuscire a spiegare anche i significati dietro ai titoli dei singoli capitoli <3
Ringrazio chiunque sia giunto a leggere fin qui e spero davvero di sentire qualche vostra opinione!
Alla prossima ~
   
 
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