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Autore: _itsnickymine    19/01/2020    2 recensioni
“Elizabeth, so che non ne vuoi parlare ma devo chiedertelo. Non posso non farlo” cominciò.
Quasi non mi strozzai con il caffè sapendo a cosa la nostra conversazione si stava avvicinando.
“Perché questa decisione?” mi chiese velocemente e senza peli sulla lingua.
Mia madre era sempre stata così. Quando doveva dirti una cosa non usava mezzi termini né giri di parole, andava dritto al punto.
“Quale decisione?” le chiesi poggiando il bicchierino sul vassoio facendo finta di niente.
“Perché sei tornata qui a Los Angeles? Perché così improvvisamente? Sei tornata da lui? O per lui? L’hai sentito in questi anni?” mi chiese.
Scossi la testa velocemente.
“No, assolutamente. Non lo vedo e non lo sento da quel giorno, mamma” ammisi pensierosa.
“E perché la decisione di tornare in un posto che ti ha causato così tanta sofferenza? Ti ho vista ieri sera quando sei tornata, sembrava avessi visto un fantasma. Hai saputo?” chiese guardandomi dritta negli occhi.
“Cosa?” chiesi curiosa
“Non sai nulla?” mi chiese
“No, cosa?” ripetei
“Dovresti parlarne con Sam, quello che so io potrebbero essere solo voci”
Aveva un viso affranto. A cosa si riferiva?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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AWAY


POV LIZ.

Adoravo osservare il paesaggio dal finestrino di un aereo. Sia in decollo che in discesa. Era una cosa che non mi perdevo mai di ogni volo che prendevo.
Mi piaceva guardare il paesaggio rimpicciolirsi e aumentare sempre di più.
Nei voli privati poi era ancora più bello.
L’aereo atterò quindi raggruppai le mie cose sparse su tavolino buttando tutto nella borsa e mi alzai prendendo la mia 24 ore e trascinandola via.
L’hostess mi sorrise e io mi diressi verso l’uscita.
“Grazie Signorina Evans, alla prossima” mi disse sorridendo.
Io le sorrisi a mio volta.
“Credo che non ci vedremo per un bel po’, Kyle” le dissi “E ti ho detto già mille volte di chiamarmi Elizabeth”
“Non tornerete a New York nemmeno per Natale?”
“Non credo” le sorrisi.
“Beh allora a presto”
Le sorrisi e scesi dall’aereo.
Il caldo di Agosto si faceva sentire. Anche fin troppo. Misi il cappello scendendo le scalinate della scala mobile dell’aereo.
Un uomo che era appoggiato ad una grande macchina nera si accorse di me e si avvicinò.
“Buongiorno Signorina Evans e bentornata a Los Angeles. Io sono Tom, piacere di conoscerla”
“Ciao Tom, il piacere è tutto mio. Sei stato incaricato di venirmi a prendere?” chiesi “avevo detto a mia madre che potevo tornare da sola”
“Beh… vostra madre non ve lo avrebbe mai permesso. Aspetta questo giorno con ansia da tre mesi” mi disse ridendo e avvicinandosi a me “Volete darmi le borse? Dobbiamo aspettare qualche minuto. Il tempo che caricano tutte le vostre valigie in auto”
Prese automaticamente le due borse che avevo in mano e gli sorrisi.
Sarei riuscita a gestire le manie di controllo di mia madre?
“Beh non potrebbero mai essere peggio di quelle della tua matrigna” rispose una vocina dentro di me.
Il telefono di Tom cominciò a squillare e lo vidi goffamente cercarlo tra le tasche della sua giacca.
Era buffo. Doveva avere più o meno 50 anni, capelli neri, leggermente paffuto ma aveva un bel sorriso. Mi trasmetteva solarità.
Mi sistemai la gonna di jeans e mi avvicinai alla macchina.
“Signora Budd. Si certo, è qui con me, sana come un pesce. Ha un colorito leggermente chiaro. Un po’ di sole di Los Angeles le farà bene” lo sentii dire.
Stava parlando con mia madre e sorrisi tra me e me ripensando al colorito della mia pelle.
Ero bianca come un cadere, era vero.
Non mi piaceva molto prendere il sole a New York. E poi lì le mie giornate erano piene e pur volendo non avrei mai trovato il tempo di farlo.
“Certo. Non vi preoccupate. Dovremmo essere lì tra 40 minuti circa” concluse per poi riposare il telefono nella tasca e lui mi guardò.
“Vostra madre è così felice di riavervi a casa. Non potete capire il suo entusiasmo” Sorrisi.
Mia madre non mi aveva mai perdonato per quello che avevo deciso quel giorno di 4 anni fa. Aveva finto di averlo accettato per 4 lunghissimi anni e credevo ad ogni singola parola che mi aveva detto Tom.
Quando l’avevo chiamata 3 mesi prima dicendole che avevo ricevuto una proposta di lavoro importante a Los Angeles e ciò significava la possibilità di tornare lì, un silenzio tombale aveva attraversato la cornetta del telefono.
Non sapeva se fingere di essere triste o ammettere che il mio ritorno lì l’avrebbe resa la persona più felice al mondo.
Si, fingere di essere triste perché sapeva benissimo che tornare lì significava affrontare tutto quello che avevo lasciato 4 anni prima. Non sapevo se ero pronta, forse non lo sarei mai stata ma un’occasione del genere non ti si presenta davanti tante volte nella vita (neanche se sei la figlia di un famoso imprenditore newyorkese) quindi non avrei mai potuto rifiutare una cosa del genere.
Il mio futuro, il mio lavoro, il mio studio era più importante di qualsiasi altra cosa.
“Ha preparato un pranzo davvero delizioso” mi disse Tom aprendomi la portiera dell’auto.
Sorrisi
“Ci sarà anche suo marito?” chiesi
“No. Lui ha il turno in ospedale il Venerdì” mi rispose
I miei genitori erano separati da 15 anni, non ricordo nemmeno le loro figure insieme a dir la verità.
Si erano sposati.
Troppo giovani secondo mio padre.
Troppo imprudenti secondo mia madre.
Erano stati insieme 10 anni, studiando e cercando di capire se potevano mettere da parte le loro vite per me. Per non farmi soffrire. Quando festeggiai il mio compleanno di 10 anni mi dissero che le cose sarebbero cambiate, che papà doveva tornare a New York per lavoro, così lui partì e anno dopo anno crescendo capii la verità.
Non ce l’ho con loro, in primis perché sono stati presenti entrambi nella mia vita pur separati e poi perché so che loro due insieme non erano pienamente felici. Lo so perché vedo adesso mio padre con la sua nuova compagnia e viceversa. Adesso è diverso, entrambi sono felici e spensierati.
Non sono mai stati quel tipo di genitori divorziati che si facevano la guerra. Anzi vanno più d’accordo da separati che da marito e moglie.
Fatto sta che a 10 anni la mia vita cambiò perché mio padre si trasferì a New York mentre io e mia mamma rimanemmo a Los Angeles e ho vissuto qui fino ai 19 anni, fino a quella notte di 4 anni fa.
Non potevo ancora saperlo ma quella notte di 4 anni fa cambiò la mia vita, le mie scelte, il mio percorso. Ha cambiato me. 4 anni fa decisi di andare a vivere con mio padre a New York.
Non lo avevo nemmeno informato. Gli avevo solo scritto un messaggio (che lui lesse dopo 6 ore poiché era su un volo verso Manchester).
“Sto venendo da te.” Gli avevo scritto.
Ricordo ancora quando mi chiamò sconvolto una volta atterrato a Manchester.
Io ero nella suo appartamento e lui dall’altra parte del mondo.
“Ho tanta fame infatti. Mi è mancata la cucina di mia madre” dissi salendo in auto.
Lui mi seguì e dopo 5 minuti eravamo già verso casa.
Mia madre viveva a Beverly Hills da perfetta Californiana e viveva con il terzo marito.  Dopo mio padre era stata per qualche anno con un Tedesco.
Un’esperienza che non auguro a nessuno. Un patrigno tedesco è davvero la cosa peggiore che possa capitare ad una ragazza di 15 anni nel pieno della sua fase da teenager.
Certe notti ho ancora gli incubi per quelle sue regole strambe e assurde.
Ad ogni modo dopo la fine della sua storia con il tedesco, aveva conosciuto un medico all’ospedale quando mi ero già trasferita a New York e lei si era letteralmente innamorata di lui. A sentirla parlare sembrava l’uomo perfetto e io non l’avevo ancora conosciuto.
Si chiamava David ed era un pediatra. Lavorava all’ospedale di Los Angeles e a quanto diceva mia madre adorava i bambini. Mi terrorizzava infatti l’idea di mia madre incinta. Immaginavo già la scena: amore, sei felice di avere un fratellino?
Non so se l’avrei presa bene, ormai ero contenta delle premure che una figlia unica poteva avere.
“Vi è mancata Los Angeles?” mi chiese Tom
“Si” risposi solamente.
Dire sì era riduttivo.  Quello che era Los Angeles per me non era possibile spiegarlo a parole. Andare via da lì mi era costato molto. In primis perché tutte la mia vita era lì. Scuola, amici, università. E secondo perché era la città perfetta.
Mentre Tom guidava ed io guardavo dal finestrino tutti i posti che conoscevo a memoria, non potei non ripensare a lui e mi venne da ridere.
Non era nemmeno passata un’ora e già lo pensavo, non immaginavo come sarei stata tra una settimana.
Tutto sembrava riportarmi in mente lui.
L’aeroporto.
Il parco.
Il mare.
Sembrava fatto apposta ma in qualsiasi posto della città c’ero stata con lui.
In qualsiasi posto della città avevamo lasciato un po’ di noi.
E chissà se i graffiti dietro al campo di basket c’erano ancora.
Sospirai.
Forse stavo sbagliando di nuovo.
Forse tornare qui era ancora una volta uno sbaglio.
Ma ormai ne avevo fatti talmente tanti che uno in più o in meno non sarebbe cambiato nulla.
Mi appoggiai allo schienale del sediolino, sospirando.
No, non era uno sbaglio.
Los Angeles era la mia città. Avevo già sacrificato tante cose per quello che era successo. Non potevo rinunciare alla possibilità che mi era stata offerta.
 
 
 
 
 
 
 
 
“Allora? Ti piace?” chiese mia madre ansiosa.
Mi guardai attorno.
La stanza era abbastanza grande con un’enorme finestra che portava ad un balcone, un letto ad una piazza e mezza, una grandissima libreria vuota, una porta che portava alla cabina armadio ed una scrivania altrettanto vuota.
Aveva fatto ridipingere la stanza di un rosa chiaro e dovevo ammettere che era molto carina.
“Ho fatto dei lavori lo scorso anno quindi adesso hai un bagno in camera solo per te” mi sorrise “E tutti i tuoi libri, giochi, quadri e decori sono in garage. Deciderai tu cosa tenere”
“È davvero bella, mamma” dissi sorridendo avvicinandomi alla finestra per poi uscire sul piccolo balcone.
Il forte sole di Agosto brillava in cielo, mi alzai i capelli in una coda disordinata guardandomi attorno.
Era tutto uguale.
Sembrava che tutto si fosse bloccato e fosse rimasto uguale a come l’avevo lasciato cinque anni fa, anche i fiori messi da mia madre mi sembravano gli stessi.
“Sembra tutto uguale, vero?” mi chiese mia madre accarezzandomi la schiena e avvicinandosi a me.
“Già” ammisi
“Sono cambiate molte cose però” mi informò
“Io sono cambiata” dissi più a me stessa che a lei.
“Sei vuoi andare a farti un giro per la città, non preoccuparti, Tom è a tua completa disposizione” disse sorridendo.
“Mamma” la richiamai “ne avevamo già parlato. Non voglio un autista. Non siamo a New York. Questa è Los Angeles, posso muovermi con l’auto tranquillamente.”
A New York non avevo un auto. Usavo l’autista di mio padre o spesso il taxi ma a Los Angeles la macchina era d’obbligo.
Mi sorrise. Capendo che con me era guerra persa ormai.
“D’accordo” mi disse sorridendo per poi venirmi vicino e abbracciarmi per la millesima volta da quando ero arrivata.
“Mi sei mancata così tanto, Elizabeth”
“Anche tu mamma” le dissi ricambiando l’abbraccio
“Spero tanto che non ti pentirai di questa scelta” mi disse “non voglio vederti soffrire” continuò.
Io non risposi.
Anche io speravo di non pentirmi mai di quello che stavo facendo.
Si allontanò da me e mi sorrise.
“Su. Andiamo a mangiare! Sarai affamata”
“Sto morendo di fame” dissi
Scendemmo al piano terra e andammo in cucina dove mi accorsi delle mille prelibatezze che mia madre aveva preparato.
Sembrava il pranzo di Natale.
“Sai vero che non mangerò nemmeno un quinto di quello che hai preparato?” chiesi guardandola
Scoppiò a ridere ed io la seguii a ruota.
“Beh mi hanno detto che la fidanzata di tuo padre non è un gran cuoca”
“Ti hanno detto bene. Ma non ti hanno detto che avevamo una cuoca veramente molto brava che era molto attenta ai miei gusti” dissi ridendo
Ci sedemmo e mangiammo tranquillamente mentre cercavo di rispondere a tutte le sue mille domande.
Notavo il suo cercare di non fare domande che si potessero collegare a lui.
Non volevo questo.
Lui ormai era un capitolo chiuso.
Erano passati 4 lunghissimi anni. Credo che se lo avessi incontrato non lo avrei mai riconosciuto. Ne lui avrebbe riconosciuto me.
Certo, ma cosa diavolo dicevo?
Avrei potuto riconoscerlo di spalle tra mille.
Avrei potuto riconoscere i suoi ricci da 3 km di lontananza.
Avrei potuto riconoscere il suo profumo, la sua risata, il suo sguardo, il suo modo di parlare, il suo modo di chiedere.
“Hey, mi stai ascoltando?”
Mia madre mi risvegliò ed io la guardai.
“Scusami. Mi sono persa al cosa ti ha regalato la nonna per la tua laurea?” dissi ridendo.
Finimmo di mangiare e dopo aver sistemato la cucina, tornai in camera dove notai che le cameriere di mia madre avevano sistemato già tutte le mie valige. Presi la mia borsa e controllai il telefono. C’erano 4 messaggi.
“Già mi manchi” mio padre.
“Sappi che tra un mese verrò a trovarti” Alison, mia compagna di università
“New York non sarà la stessa senza le nostre colazioni” Simon, il mio migliore amico.
“Hai dimenticato un po’ di cose tue qui” Jack, figlio della fidanzata di mio padre.
Risposi solo a quello di mio padre e scesi al piano di sotto.
“Hey” cercai mia madre
“So già quello che mi stai per chiedere” disse sorridendo “certo. Ma non fare tardi”
Aveva già capito tutto. Le sorrisi mandandole un bacio.
Uscii di casa.
Respirai a pieni polmoni e mi avvicinai alla macchina dove Tom era intento a pulire i fari.
“Hey, Miss Evans” mi sorrise
“Puoi accompagnarmi in un posto?” chiesi
Non me lo fece chiedere due volte che si fiondò in macchina ed io lo seguii a ruota.
Dopo avergli detto dove volevo andare, mi misi a fissare il paesaggio fuori dal finestrino.
Era vero, ero tornata a Los Angeles.
E Los Angeles mi sembrava esattamente la stessa di 4 anni fa.
Ogni cosa sembrava non essere cambiata di una virgola.
Arrivammo al cimitero e solo una volta scesa dall’auto realizzai che non ci ero mai stata.
Nemmeno 4 anni prima. Ero partita senza nemmeno venire qui.
Comprai delle orchidee ed entrai dal cancello principale.
Tom non mi seguì ma rimase fuori appoggiato alla macchina mentre fumava uno strano sigaro marrone.
Non sapevo dove era sepolto quindi mi avvicinai ad un uomo che doveva essere il guardiano.
“Salve, sto cercando la lapide di Lucas O’Neill” dissi guardandomi i piedi.
Non so perché ma aveva una certa ansia, non riuscivo a guardarlo negli occhi.
“Lucas O’Neill?” mi chiese.
“Si” risposi decidendo poi finalmente di alzare lo sguardo.
Mi indicò la strada e dopo 2 minuti di cammino arrivai alla lapide.
Tremando, mi avvicinai alla foto e mi venne da sorridere, rivedendolo.
Quella foto era stata scattata al matrimonio della sorella di Lucas ed io e Nicholas avevamo speso un’intera giornata a convincerlo a indossare lo smoking.
Nicholas.
Si, era la prima volta che nominavo il suo nome dopo anni.
Guardai la tomba e notai che era molto curata, c’erano fiori freschi.
 
Lucas O’Neill. 
 
11 Gennaio 1995 – 25 Agosto 2014
 
Sospirai per poi appoggiare le orchidee accanto ai fiori che già c’erano.
Sì sono proprio io, Lucas dissi a me stessa.
Lo so che sei arrabbiato con me. Lo so benissimo, non pretendo infatti che mi perdoni per tutto quello che ho fatto o forse che non ho fatto. Lo so, Lucas. Ma dovevo farlo e lo sai. Mi manchi così tanto. No, non sto cambiando discorso. Io dovevo andare via, stava andando tutto in frantumi, me compresa.
Mi venne quasi da sorridere, sembrava che lui fosse accanto a me. Mi sembrava di vederlo con il suo sguardo arrabbiato di quando facevo qualcosa che a lui non piaceva.
Lui sta bene, vero?  Viene sempre a trovarti, lo so. Cioè, in realtà non lo so ma spero sia così. Deve essere così perché lui era il tuo migliore amico, anzi lo è.
Non sai quante cose sono cambiate in questi anni. Io sono cambiata. Vorrei tanto che tu fossi qui per vedere chi sono diventata. Ricordi la ragazza timida? Quella che si nascondeva dietro Nicholas e te? Beh, non esiste più. Ricordi quella che chiedeva a voi di ordinare al posto mio? solo perché aveva vergogna di avere lo sguardo fisso dei camerieri al ristorante quando volevo ordinare solo torte al cioccolato? Beh non l’ho più fatto. Ricordi Elizabeth Evans? La biondina dagli occhi azzurri, rappresentante d’istituto e sempre pronta ad aiutare chiunque mi chiedesse un favore? Beh non esiste più. Vorrei tanto poter tornare a quella sera, vorrei essermi resa conto prima di quello che stavi facendo.
Vorrei… Vorrei non stare così a distanza di tempo. Vorrei poterti abbracciare, dirti che se solo ne avessi parlato io ti avrei aiutata. Nicholas ti avrebbe aiutata. Se solo penso a quanto lui abbia sofferto, sto male.
Tutti mi hanno sempre chiesto come facessi a distanza di anni a non avercela con lui? “Come fai a non odiarlo per come ti ha trattata?” Mi chiedevano.
Non rispondevo. Non rispondevo semplicemente perché tutto quello che ho fatto è stato scappare. Scappare da te, da lui, da chiunque provasse ad avvicinarsi a me, scappare dai messaggi di Sam, scappare dalle sue chiamate. Lo so, sono una codarda ma è stato tutto così brutto ed è successo tutto così velocemente che forse in realtà non mi sono resa conto di nulla. Come sta lui? Bene, vero? Tu sei il suo angelo custode e sono sicura che sta bene perché ci sei tu a proteggerlo. Lui sta con qualcuno? Si è innamorato di qualcun’altra? La ama? Come amava me? Perché lo so che mi amava, anche se non ce lo siamo mai detti…Ti sto riempiendo di domande al quale non puoi rispondermi, che stupida che sono… Sei il suo migliore amico, non potrai mai dirmi queste cose...
Adesso vado, ti verrò a trovare più spesso… Non preoccuparti… ah un’ultima cosa: mi manchi.’
Mi diressi verso la macchina sospirando. Tom mi vide arrivare e prese posto alla guida.
Io salii lottando contro le lacrime che minacciavano di scendere.
Se avessi cominciato a piangere, non avrei mai più finito.
“Andiamo da Starbucks, quello vicino all’Hollywood High School” dissi a Tom.
 
 
 
 
 
 
“Un milk-shake a fragola, grazie” dissi al barman distrattamente.
“Ma …tu sei… Elizabeth Evans, non è vero?” mi disse
Io alzai lo sguardo verso il suo viso cercando di trovarci qualcosa di familiare, ma non ricordavo assolutamente nulla di quel ragazzo.
“Non ti ricordi di me? Frequentavamo lo stesso corso di inglese al liceo? Sono John”
Solo allora collegai.
“Oh mio dio, certo che mi ricordo. E ricordo che eri una frana in letteratura” dissi ridendo e lui mi sorrise
 “Quando sei tornata?” mi chiese guardandomi
“Ti sei accorto che sono andata via?” chiesi
“Tutta la scuola se n’è accorta… dopo..quello che è successo…” disse il ragazzo in imbarazzo
 “Sono tornata da poco” dissi poi cambiando discorso.
“Los Angeles manca a tutti quelli che vanno via. Per questo tornano sempre” mi disse
“Però… sono cambiate parecchie cose da quando sei andata via” finì porgendomi il milk-shake
 “Ah sì?” chiesi curiosa
“Già, se vieni a cena con me te le racconto” mi propose ridendo.
Una cosa però non era cambiata per niente.
Lui. Ricordo quante volte ci aveva provato con me durante le interminabili ora di letteratura.
Stavo per rispondere quando venni letteralmente travolta da una ragazza dai capelli rossi, alta, magra e soprattutto vestita come se fosse appena uscita da una palestra.
Sam.
“Tua madre mi aveva detto che saresti tornata oggi, ma non credevo così presto” urlò abbracciandomi “sei una stronza, perché non me l’hai detto?” continuò continuando a stringermi
“Beh…volevo farti una sorpresa?” chiesi
“Guarda che non ci casco, adesso ti rapisco per minimo due settimane” mi disse stringendomi per poi allontanarsi e guardarmi negli occhi.
Era da così tanto tempo che non la vedevo.
Mi sembrava un sogno.
Sam era la mia migliore amica fin dalla prima elementare.
“Wow… sei davvero cambiata, sai? Sei un po’ più alta e i tuoi capelli sono più biondi” mi disse squadrandomi
“Sono cresciuta, Sam” ammisi sorridendo
“Lui è John, ti ricordi?” mi chiese poi indicando il ragazzo
“Sì, stavamo parlando prima che tu mi travolgessi” dissi ridendo
“Scusami John, ma la mia migliore amica è tornata e devo assolutamente sapere tutto” disse per poi trascinarmi ad un tavolo all’ombra.
Ci sedemmo e mi guardò.
“Voglio sapere tutto” ammise guardandomi negli occhi.
 
 
 

 
SPOILER
“E perché la decisione di tornare in un posto che ti ha causato così tanta sofferenza? Ti ho vista ieri sera quando sei tornata, sembrava avessi visto un fantasma. Hai saputo?” chiese guardandomi dritta negli occhi.
“Cosa?” chiesi curiosa
 “Non sai nulla?” mi chiese
“No, cosa?” ripetei
“Dovresti parlarne con Sam, quello che so io potrebbero essere solo voci”
Aveva un viso affranto.
A cosa si riferiva?
“Di chi stai parlando?” chiesi
“Di lui” disse con molta difficoltà
“Gli è successo qualcosa?” chiesi preoccupata
  
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