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Autore: futacookies    19/01/2020    1 recensioni
{One Shot • Ginny/Neville}
La verità era che la stava evitando, e l’aveva già evitata per un paio di anni a questo punto, e l’aveva fatto in maniera plateale e con la stessa evidente consapevolezza con cui un condannato al Bacio avrebbe evitato il suo Dissennatore – ecco, la faceva sentire come un Dissennatore che voleva baciarlo. Il problema era che lei l’avrebbe baciato davvero. Se solo-. Se Harry-.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Luna Lovegood, Neville Paciock | Coppie: Ginny/Neville, Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Tramonto di un sorriso
 
 
  • 1. Una crocetta sul livello del mio dolore.
 
La faccia di Neville era sempre stata tonda e gentile, con un’espressione tranquilla e un sorriso gigante tutte le volte che la vedeva – in quel momento, però, la fissava corrucciato, come se stesse per dirle qualcosa che già sapeva non le sarebbe piaciuto.

E già lo sapeva pure Ginny, sia quello che stava per dirle, sia che non le sarebbe piaciuto per niente. Ma tant’era. Ormai era l’unica cosa di cui le parlava, quelle rare volte che accettava l’invito per un’amichevole Burrobirra – quelle rare volte in cui non fuggiva a gambe levate perché, “Ehi, guarda, ci sono Harry e Ginny”.

La verità era che la stava evitando, e l’aveva già evitata per un paio di anni a questo punto, e l’aveva fatto in maniera plateale e con la stessa evidente consapevolezza con cui un condannato al Bacio avrebbe evitato il suo Dissennatore – ecco, la faceva sentire come un Dissennatore che voleva baciarlo. Il problema era che lei l’avrebbe baciato davvero. Se solo-. Se Harry-.

«Penso che dovresti dirglielo.», disse infine e Ginny aveva alzato gli occhi al cielo, li aveva abbassati sulla sua Burrobirra e aveva emesso un verso di stizza prima ancora che lui riuscisse a terminare la frase.

No che non devo dirglielo, ruggì internamente, limitandosi a rivolgergli uno sguardo seccato. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Certo Neville, glielo dirò, gli dirò che quello che lui considera il grande amore della sua vita ha avuto una relazione mentre lui era impegnato a salvare il mondo e che quella relazione è stata interrotta perché-. Non volle nemmeno concludere il suo pensiero, stritolando nervosamente tra le dita un fazzoletto. Continuò a guardarlo seccata, sperando che cogliesse l’antifona e cambiasse argomento.

Neville però non cambiava mai argomento. Soprattutto se credeva che quella fosse la cosa giusta da fare perché secondo lui Harry aveva il diritto di sapere. Perché secondo lui stavano costringendo i loro ex compagni di corso – compagni di Resistenza? – a mentire spudoratamente. Benedetti Grifondoro. Come se Harry andasse in giro a chiedere se loro avessero avuto una relazione.

Harry non chiedeva mai nulla. Per discrezione? Per rispettare le sue scelte e non fargliele pesare? Perché non gli interessava o non aveva nemmeno il tempo di ascoltare? Il grande Harry Potter, sempre al Ministero, ancora intrappolato in una caccia al Mangiamorte che probabilmente lo avrebbe logorato per anni.

«Come vanno le ricerche con la Sprite?», gli chiese a bruciapelo, nel disperato tentativo di chiudere quella conversazione e possibilmente di non riaprirla mai più.

«Ginny.», la rimproverò, mettendo su uno sguardo da paternale che le faceva venire voglia di sprofondare nel pavimento e restare lì.

Strinse il boccale e l’osservò attentamente.

«Come vanno le ricerche con la Sprite?», ripeté con furiosa insistenza, un ginocchio che martellava il bordo del tavolo e i piedi che le bruciavano dal desiderio di allontanarsi – eppure lo sapeva benissimo, che non si sarebbe mai liberata di quella conversazione. Lo sapeva eppure tutte le volte come un’allocca continuava a invitare Neville. Perché sperava che-. Perché credeva-. Perché-.

Perché era stupida, probabilmente.

Neville lesse il suo evidente disagio – non che ci fosse qualcuno in tutto il Paiolo Magico che non sarebbe riuscito ad accorgersene – e dopo avere sbuffato sonoramente, segno che quell’argomento era tutt’altro che abbandonato, si lanciò in una dettagliata descrizione delle piante su cui stava lavorando e di come stessero rispondendo ai suoi trattamenti.
 

***

 
Harry non era a casa. Non che fosse una novità, non che non se l’aspettasse o che lo volesse – ma Harry non c’era mai. E continuava a lasciarla indietro, lanciatissimo nella sua carriera e sicurissimo, per qualche straordinario motivo, che lei sarebbe sempre rimasta lì. E la cosa peggiore era che lei ci restava pure – come quando-. Eppure non avrebbe dovuto, non c’era nessuno che la costringeva. Tranne Harry. Harry che quelle poche volte che la guardava lo faceva con occhi grandi e verdi e strabordanti d’amore e al solo pensiero di lasciarlo le si chiudeva lo stomaco.

Si era convinta di non potersene liberare, come se stesse per commettere un crimine contro lo Stato, come se facesse torto a tutte le vite che Harry aveva salvato o che avrebbe ancora potuto salvare – l’unico torto che stava facendo in realtà era a stessa, con la violenza con cui si immobilizzava per ricevere un bacio o una carezza, con lo sforzo disumano con cui ricambiava quei gesti quando l’unica cosa a cui riusciva a pensare era che-. Ma non poteva pensarlo, non doveva e se fosse stata un’attrice migliore avrebbe anche potuto credere che non voleva.

Ma lei voleva. Voleva disperatamente che il tocco di Harry svanisse e si tramutasse in quello di qualcun altro, voleva poterlo pensare e voleva poterlo dire senza preoccuparsi di quanto ci avrebbe sofferto Harry o quanto avrebbe deluso la sua famiglia o, peggio, di quanto tutto ciò l’avrebbe allontanata da Neville.

«’fanculo Harry.», masticò tra i denti, un attimo prima che il suono fragoroso della smaterializzazione le annunciasse l’arrivo del ragazzo.

«Oh, Ginny, sei qui, sono così contento di vederti!», esclamò sorpreso ma sinceramente felice, precipitandosi verso di lei e abbracciandola. Va’ via, scostati, smettila di toccarmi. Avrebbe voluto staccarselo da dosso, ma il senso di colpa per aver anche solo formulato quel pensiero prese il sopravvento e gli sorrise accondiscendente, mentre si irrigidiva tra le sue braccia.

Non riusciva in nessuno modo a sopportarlo e faceva male, fisicamente e psicologicamente, faceva male sapere che un tempo questo era tutto ciò che avrebbe chiesto se ne avesse avuto la possibilità e adesso che lo aveva – davvero, per sempre, perché se fosse dipeso da Harry non l’avrebbe mai lasciata e lei semplicemente non ne aveva il coraggio – lo odiava con tutta la sua forza. E si odiava per odiarlo, perché Harry l’amava e lei aveva amato Harry e forse sarebbero entrambi stati davvero felici se solo si fossero amati nello stesso momento.

Sapeva che avrebbero potuto essere felici, lo erano stati, anche se per poco. Ma Harry aveva il bisogno impellente di obbedire agli ordini di Silente anche se questi venivano dalla sua tomba e il vizio ancora peggiore di agire senza chiedere – Harry non le aveva mai chiesto niente. Perché se solo l’avesse fatto, se solo-.

Appena si allontanò un po’ da lei, iniziò a raccontarle della sua giornata, del suo ultimo incarico, di scartoffie che non sempre capiva e tantomeno le interessavano – Harry parlava, parlava, parlava, diceva un sacco di cose inutili che lei non si sarebbe ricordata nemmeno nell’ora successiva, la riempiva di parole a cui non prestava davvero attenzione e continuava a vomitare sciocchezze finché nella sua testa non c’era altro che lui. Allora si fermava e la guardava, come se le stesse silenziosamente chiedendo di dirgli qualcosa – ma Harry non le chiedeva mai niente.

Non le aveva chiesto se intendeva fermarsi per cena, aveva semplicemente apparecchiato per due quando le aveva detto di aver fame – non le aveva chiesto se intendeva fermarsi per la notte, l’aveva abbracciata e baciata e aveva preso quello che voleva e le aveva dato quello che lei sicuramente non avrebbe voluto.
 

***

 
«Hai mai pensato-», Luna fece una pausa e la guardò come se stesse cercando le parole adatte per evitare di ferirla.

«Hai mai pensato», riprese, «di lasciare Harry?»

Ginny si strozzò con il tè bollente e cacciò un risolino isterico. Luna era una cara ragazza, un’amica sincera e solitamente una compagnia abbastanza spassosa da rendere più che accettabili le sue stranezze. Il problema era che ultimamente aveva sviluppato il terribile vizio di leggere le persone e quello ancora più grave di dare consigli alle sue vittime basandosi su personali e accuratissime deduzioni.

Se ci fosse stata sua madre, si sarebbe convinta ancora di più del fatto che le mancasse qualche rotella e Hermione l’avrebbe guardata come se le fosse spuntato un terzo occhio. L’unico che l’avrebbe presa sul serio probabilmente sarebbe stato Harry – e Neville, forse, ma Neville l’avrebbe ignorata perché era-.

«Come, scusa?», le rispose, pregando che la sua incredulità risultasse autentica.

Luna le rivolse uno sguardo accondiscendente, come un’infermiera che accudisce un malato terminale e amorevolmente si sottopone all’ascolto delle sue ultime follie.

«Non sei felice con Harry.», le spiegò lentamente. «Quando vi vedo insieme sei sempre tesa e anche adesso, appena l’ho nominato, hai smesso di sorridere.», aggiunse, malinconica. Ginny lo sapeva, era qualcosa che accadeva spesso e ma su cui non aveva alcun potere. Semplicemente, ogni volta che appariva Harry, ogni traccia di felicità defluiva da lei rapidamente.

«Certo che sono felice con Harry!», sbottò irritata.

«Ma con Ne-», tentò l’altra, ma Ginny la bloccò prima che potesse fare ancora più danni.

«Certo che sono felice con Harry.»

«Forse», iniziò, e Ginny dovette sforzarsi per non strangolarla, «dovresti vedere un Medimago. Magari qualche nargillo ti sta infestando il cervello. Sono infidi e ti possono attaccare in qualunque momento.», affermò tutta seria.
 

***

 
«Nargilli, eh?», il sorriso di Neville, affettuoso ma non stupito da quelle parole, non era rivolto a lei – era rivolto ai suoi piedi e aveva il capo così chino che a stento riusciva a vederlo, nonostante fosse più alto di lei.

Gli aveva chiesto di prestarle qualche libro sulle piante più utili da crescere in casa e si era presentato dopo pochi giorni con un’accurata selezione e un’espressione tirata che tradiva quanto gli costasse anche solo essere nella sua stessa stanza.

Ginny batté per un po’ un dito sulla copertina del libro più voluminoso, poi si decise a parlare.

«Forse dovrei dirlo a Harry.», buttò lì, una bestemmia quasi sussurrata. Perché lei non lo provava, il bisogno di rivelargli qualcosa che sentiva in maniera così intima e personale e ancora viva, un sentimento che aveva tentato in tutti i modi di soffocare con l’unico risultato che quella a cui mancava l’aria era lei.

Neville annuì, quasi sollevato, il volto un po’ grave ma in ogni caso grato che gli avesse dato ascolto.

«E dovrei lasciarlo.», aggiunse, alzando la voce più per farsi coraggio che per farsi sentire – che Neville l’avrebbe sentita in ogni caso, anche se non avesse aperto bocca perché l’a-.

Il ragazzo si passò stancamente una mano sulla faccia, come se in fondo se lo aspettasse, ma aveva probabilmente sperato che gli fosse risparmiata quell’ulteriore discussione.

«Ginny.», la richiamò, fermo e spazientito, continuando a guardare ovunque tranne che nella sua direzione. «Cosa otterresti così?», le domandò malinconico, scuotendo appena il capo, ribadendo la sua posizione sulla questione.

«Magari mi libererei dei nargilli. E di Harry.», commentò amaramente, lasciando lo sguardo vagare sul profilo del ragazzo.

C’era stato un tempo in cui Neville era l’unico a prenderla sul serio, non con l’oppressiva onnipresenza dei suoi fratelli o il distacco emotivo di Hermione, un tempo in cui aveva potuto essere sincera con lui riguardo ambizioni e passioni e sciocchezze senza preoccuparsi delle conseguenze, un tempo in cui era stato fidato confidente.

Poi era stato amante.

E adesso non era più nulla, e non lo tollerava – non erano più nulla e non avrebbero potuto essere più nulla, perché lei era stata debole e stupida e Harry non le aveva mai chiesto nulla e lei lo aveva accontentato comunque, perché era Harry Potter ed era sempre stata innamorata di lui. Finché-.

Le prudevano le mani dalla necessità di accarezzarlo, la pelle le bruciava dal desiderio di essere toccata e avrebbe letteralmente supplicato purché la guardasse, anche solo per un attimo, quanto bastava per comprendere la verità, ossia che lei lo amava ancora e probabilmente non avrebbe mai smesso di farlo, nonostante Harry.

(Perché era stato un amore che aveva cresciuto, nutrito e curato personalmente, che aveva cercato di proteggere dagli occhi dei curiosi e che in ultima analisi le era stato brutalmente strappato dalle mani senza che potesse fare nulla per opporsi, lasciandola tormentata dal senso di vuoto e d’impotenza.)

Si spinse verso Neville senza nemmeno rendersene conto, gli strinse le braccia intorno al collo e lo baciò, labbra che si schiudevano alla minima pressione e mani che le accarezzavano senza fretta la schiena, gesti dettati dalla memoria muscolare e dalla disperata nostalgia.

Quando trovò la forza di allontanarsi, non sapeva nemmeno dopo quanto, Neville aveva la bocca arrossata e due occhi feriti che la guardavano, sì, ma come se l’avesse appena pugnalato.

Non le parlò, non si scusò, non la salutò, continuò semplicemente a fissarla tradito mentre mormorava l’incantesimo di smaterializzazione.

Quella sera, Harry non le mandò nessun patronus, non la invitò a raggiungerlo per cena, non le chiese perché non si stesse facendo sentire – Harry non le chiedeva mai niente, perché altrimenti-.


 ***

 
Le facevano male le guance. Stava sorridendo ininterrottamente da quasi un’ora: ad amici, parenti, colleghi, conoscenti che si avvicinavano a lei e Harry per fare gli auguri a quest’ultimo, il festeggiato della serata.

Sorrideva a sua madre, tutta affaccendata tra antipasti e pacchi regalo; sorrideva a Hermione, serena e stretta saldamente al braccio di suo fratello; sorrideva a Neville, a cui ogni tanto rubava un’occhiata rapida e colpevole, ma lui non sembrava accorgersene: continuava a tormentarsi le mani e a controllare l’orologio, come se stesse aspettando qualcosa. O qualcuno. Il pensiero le incrinò per un attimo l’immagine smagliante e Harry la guardò interrogativo. Non disse nulla però, distratto dal continuo arrivo di persone.

Non era sicura che la Tana potesse contenere così tante persone – non era nemmeno sicura del perché stessero festeggiando alla Tana, anche se effettivamente i suoi avevano insistito parecchio.

Si era lasciata trascinare in una conversazione sul campionato da alcune compagne delle Holyhead Harpies e perciò non si era resa conto del ragazzo che si sta avvicinando alle sue spalle.

«Ginny, hai un minuto?»

Era sobbalzata sentendo la sua voce e sarebbe inciampata se Neville non l’avesse presa al volo – lui era sempre così imbranato con tutti, tranne che con lei perché lo amav-. Lo guardò circospetta e lo seguì in apnea, trattenendo un respiro che avrebbe finalmente rilasciato molto più tardi in quella serata. La sera prima aveva festeggiato il suo compleanno, un gruppo ristretto di amici e una celebrazione molto più in sordina rispetto a quella di Harry; nonostante l’incidente della settimana precedente – lei lo chiamava così, nella sua testa, anche se non c’era stato nulla di incidentale nel modo in cui lo aveva stretto e in quello in cui lo aveva baciato – avevano mantenuto un rapporto apparentemente civile per tutta la serata: nessuno aveva notato come Neville non la stesse guardando, né qualcuno aveva fatto caso al modo in cui lo guardava lei.

Si fermò all’improvviso e lei andò quasi a sbattere contro la sua schiena: Neville si era spostato appena in tempo per rivelare una ragazza bionda e minuta, che le sembrava straordinariamente familiare, anche se proprio non riusciva a ricordarsi dove l’avesse vista. Lo guardò confusa e in cerca di una spiegazione che era abbastanza sicura di non voler avere.

Il braccio di Neville circondò le spalle della ragazza – un gesto così carico di affetto che Ginny sentì il dovere di distogliere lo sguardo.

«Avrei voluto ufficializzarlo ieri, ma purtroppo Hannah era rimasta bloccata al Paiolo e quindi non abbiamo potuto parlarne come si deve.», spiegò, con un sorriso premuroso che non gli arrivava agli occhi.

Se l’avesse presa a pugni forse avrebbe sofferto di meno. Non che non se lo aspettasse o che non avesse messo in conto una possibilità del genere, ma aveva continuato a sperare che il giorno in cui si fosse lasciata finalmente Harry alle spalle, avrebbe potuto vivere la sua storia d’amore senza ulteriori impicci.

E invece.

E invece ovviamente Neville aveva trovato qualcuno che lo amava, pubblicamente, senza doversi preoccupare di presunti ex che spuntavano all’improvviso dando per scontato che andasse bene riprendere la relazione da dove era stata interrotta. Qualcuno che lo amava quanto lei e forse anche più di lei, che era sicuramente quello che si meritava.

Tese automaticamente la mano verso la ragazza – Hannah Abbott, adesso se la ricordava, aveva fatto parte dell’Esercito di Silente, al quarto anno. E poi tirò una pacca amichevole sul braccio di Neville, parole di circostanza pronunciate amichevolmente e con un sorriso a trentadue denti stampato sulla bocca.

Le facevano male le guance.

Le faceva male tutta la faccia, a furia di tener su un’espressione così fasulla e distante dai suoi veri sentimenti: si era finta allegra per tutta la serata e adesso non avrebbe voluto far altro che piangere e urlare e uccidere Harry con le sue stesse mani, ma continuava imperterrita a mantenere l’immagine che si aspettavano da lei – fidanzata e amica, ma delle persone sbagliate.

Si era scusata e si era allontanata abbastanza per riprendere totale controllo di se stessa. Ormai non c’era più niente in cui sperare, non aveva più motivo per preoccuparsi di quello che avrebbe o non avrebbe potuto fare, o dire. Si era nascosta dietro scuse e aspettative per non affrontare le conseguenze di quello che desiderava e per non perdere quella parvenza di rapporto che Neville le aveva concesso. E aveva perso tutto.

Harry l’avvicinò dopo che il grosso degli invitati se ne era ormai andato – Neville l’aveva salutata distrattamente e si era smaterializzato stringendo la mano della sua fi-. Le rivolse un sorriso stanco mentre si lamentava di come gli facessero male i piedi e si sedava accanto a lei.

«Sembrava non finire più, vero?», le domandò, allungandosi per stringerle la vita.

Ginny si appoggiò a lui, rispondendo all necessità fisica di crollare, almeno per un attimo – ormai non le restava altro che Harry. Socchiuse gli occhi mentre lo ascoltava raccontare dettagli che le erano sfuggiti, lasciando che le svuotasse la testa di tutto ciò che in quel momento la stava facendo soffrire.

«Gin.», la richiamò, dopo aver frugato tra le tasche della sua giacca. Ne trasse una piccola scatolina di velluto blu, che aprì con mani quasi tremanti, mentre emozionato le diceva: «Sposami.»

Harry non le aveva mai chiesto niente.

Piangere fu una reazione istintiva, talmente repentina da essere impossibile da combattere: la frustrazione per tutto ciò che avrebbe potuto avere, se solo Harry le avesse mai chiesto qualcosa, una volta soltanto, se solo gli avesse chiesto di farsi da parte finché ne aveva ancora la possibilità; il senso di impotenza, la sensazione di dover dire sì a qualunque costo, pur calpestando i suoi stessi sentimenti.

Harry dovette pensare che fosse l’emozione, così come lo pensò sua madre, e il capannello di parenti che li circondò per congratularsi della splendida notizia. Mentre singhiozzava disperata, stretta al collo del ragazzo, non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che tutto fosse così irrimediabilmente sbagliato da non poter essere corretto nemmeno nel corso di una vita intera.

 
 
  • 2. Sospeso su una bolla di sapone.

 
«È stato spericolato, rispondere a Piton in quella maniera!»

Neville la stava guardando come se fosse impazzita da quasi mezz’ora, ma queste erano le prime parole che le rivolgeva. Era perfettamente consapevole che opporsi al nuovo preside di Hogwarts – un’orrenda carogna, se proprio ci tenevano alla sua opinione – non fosse la più brillante delle idee, ma era stato un istinto che non era stata capace di ignorare.

E non era rimasto nessuno per fermarla: non Ron, non Hermione, non Harry. Svaniti nel nulla senza lasciare traccia, senza un messaggio, senza possibilità di tornare indietro perché Harry- – perché ancora una volta se l’era lasciata alle spalle. E lei non poteva fare a meno di aspettarlo.

Almeno aveva ancora Neville, che seppure continuava a fissarla corrucciato, in attesa di una scusa o di una spiegazione, almeno sul momento le aveva lasciato fare quello che voleva, le aveva lasciato urlare la sua frustrazione verso un uomo che aveva tradito e abbandonato ciò in cui avrebbe dovuto credere – e gliel’aveva lasciato fare perché sapeva che ne aveva bisogno, aveva bisogno di un capro espiatorio e non ce n’erano altri disponibili.

«Siamo noi contro loro adesso, no? In una scuola infestata da Mangiamorte, non abbiamo altra scelta che fargli capire che non ci piegheremo.»

«Ginny, noi non siamo Harry.»

«’fanculo Harry. Non abbiamo bisogno di lui – io non ho bisogno di lui. Potremmo riesumare l’Esercito di Silente. Pensaci, Neville. Non siamo avvero soli. Né pochi. Dovremmo farlo.»

«Tu ci farai uccidere tutti.», commentò secco Neville, mentre il luccichio nei suoi occhi tradiva l’entusiasmo del suo suggerimento.
 

***

 
Era pericoloso, su questo non aveva dubbi. Era pericoloso e sconsiderato e probabilmente la cosa migliore che avesse fatto fino a quel momento – era così che si sentiva Harry, quando strepitava contro la Umbridge? Sentiva la stessa scarica di adrenalina? Il desiderio di fare sempre di più, ancora di più?

I Carrow li avevano beccati di striscio: lei e Neville erano appena riusciti a rientrare nel dormitorio, ma uno Schiantesimo l’aveva colta di striscio e adesso aveva uno squarcio sulla spalla che le faceva un male cane.

«Attento!», soffiò contro Neville, che stava esaminando la ferita. Nonostante il dolore, però, non riusciva a smettere di sorridere. L’avevano fatto davvero, l’Esercito di Silente era in moto e sembrava star facendo ammattire i Carrow: non era molto, contro l’ombra sempre più lunga di Voldemort, non bastava a far finire una guerra, ma era qualcosa, era meglio che aspettare Harry.

(Era come muoversi. Lontano da lui. Ogni azione era un passo, sempre più distante, così distante che adesso Harry le sembrava irraggiungibile e le sembrava giusto, che fosse così. Perché Harry non le avrebbe permesso di muoversi – le avrebbe chiesto- no, le avrebbe detto di restare al sicuro. E si sarebbe buttato in prima linea, ci sarebbe stato lui a prendere le maledizioni dei Carrow. Invece adesso le prendeva lei. Ed era giusto così.)

«A volte credo che sia l’idea peggiore che ti sia mai venuta.», borbottò Neville, puntando la bacchetta alla sua ferita e mormorando un incantesimo. Il dolore passò e Ginny era sicura che all’indomani non avrebbe trovato alcuna traccia. Quasi le dispiaceva.

«Non ho intenzione di farmi male tutte le volte!», protestò.

Stava per scendere dal tavolo su cui si era appollaiata, ma si fermò quando vide Neville in piedi di fronte a lei. Sul suo volto c’era una gravità che andava oltre il semplice timore che qualcuno si ferisse – c’era una malinconica rassegnazione che le era dolorosamente familiare, che aveva osservato allo specchio innumerevoli occasioni.

«Non credo di essere adatto a questo ruolo. Non dovrei essere io il leader: l’idea è stata tua, e tu sei molto più carismatica e capace e spericolata di quanto io possa essere. Non posso ispirare fiducia ai nostri compagni. Non posso chiedere che rischino di essere feriti, non-»

Le mani di Ginny si erano mosse prima che riuscisse ad accorgersene: gli aveva stretto le guance – non più quelle rotonde del ragazzino che era stato, ma comunque morbide sotto il tuo tocco – e aveva poggiato la fronte contro la sua.

C’era una vulnerabilità e un’intimità che in certi momenti era disposta a concedersi – a notte fonda, nella Sala Comune deserta, quando tutti dormivano il sonno dei giusti e loro erano colpevoli di essere svegli.

«Sì che sei adatto. Ovviamente vai bene. Ti vedono tutti come un punto di riferimento. Non sei Harry: non sparirai all’improvviso perché chiamato da una missione atavica, resterai con noi fino alla fine. Io credo in te. Mi fido di te.»

Neville era rimasto in silenzio, c’erano stati attimi interminabili in cui aveva ascoltato il suo respiro farmi sempre più regolare e poi l’aveva lasciato andare, riluttante – Neville non era Harry. Ci credeva davvero. Neville le avrebbe permesso di fare quello che voleva e le avrebbe medicato le ferite con un sorriso stanco ma sincero. Solo a pensarlo le stringeva il cuore.
 

***

 
La prima volta che aveva baciato Neville era stato un errore – non un errore, piuttosto un impulso, un gesto dettato dal momento ma di cui, ad esser sincera, non si era pentita. Si stavano nascondendo dai Serpeverde impegnati a pattugliare i corridoi e l’angolo in cui si erano rintanati era così angusto che il contatto fisico era l’unica opzione possibile.

Ma aveva questa sensazione, questo istinto, come se la vicinanza di Neville – di quel corpo in quel momento – fosse la prima cosa sensata da molte settimane. Cercare la sua bocca, chiudere gli occhi e riaprirli sulla sua espressione sorpresa, sorridergli e stringersi a lui le sembrò così naturale che l’idea che per qualcuno – per lui – avrebbe potuto essere sbagliato non la sfiorò nemmeno.

La seconda volta era stata intenzionale, pianificata a tratti. L’aveva colto da solo, si era avvicinata, gli aveva concesso tutto il tempo del mondo per scappare o tirarsi indietro, e poi aveva iniziato a baciarlo. Non era stato rapido e rigido come la volta precedente, c’erano mani che si intrecciavano alle sue e braccia che la stringevano; non sapeva nemmeno lei dopo quanto si erano separati, ma sapeva di essere felice e di sentirsi libera.

(Tutto questo gliel’aveva poi confessato, perché ogni volta che era con lui non riusciva a frenare i suoi pensieri, le sue parole, le sue azioni, perché sentiva di poter essere sincera e di essere amata per quella spontaneità un po’ infantile che spesso aveva cercato di reprimere. Neville era l’unica solida certezza che aveva in quel momento, immancabilmente al suo fianco.)

 
***

 
Era una felicità estatica e sconosciuta, una relazione diversa da quella con Harry: non era la convenzione di aver raggiunto un traguardo, ma la consapevolezza di nuove mete che le si prospettavano davanti – era baci rubati tra una lezione e l’altra, ore passate a discutere della loro prossima mossa, strette di mano che sarebbero sfuggite ai più.

E questa felicità così preziosa, che sembrava dover durare per sempre, stonava con il futuro sempre più aspro che li stava aspettando: riuscire a tornare tutti interno al dormitorio Grifondoro, senza aver dovuto sopportare torture e violenze, era un miracolo. Ogni giorno qualcuno aveva bisogno di essere curato un graffio, di ricevere una parola di conforto, un incoraggiamento, speranza – speranza che Harry da qualche parte stesse facendo il suo dover e non li avesse abbandonati ad un triste destino.

(In momenti come quelli, non sentirsi in colpa era difficile: c’era una parte di lei che sapeva che Harry voleva soltanto proteggerla perché l’amava, e un’altra che non tollerava in nessun modo un simile comportamento. C’era una parte di lei che voleva restare immobile e infelice e un’altra che non riusciva a smettere di muoversi e sorridere.)

La prima, grande sconfitta venne al ritorno dalle vacanze di Natale: non vedere Luna scendere dal treno era stato un colpo che ancora non riusciva a digerire – il primo, grande momento in cui aveva dovuto realizzare che c’era una guerra vera, fuori dalle mura di Hogwarts, che mieteva vittime con metodi molto meno sottili delle punizioni e delle torture. Una guerra che presto o tardi sarebbe toccato anche a lei combattere.

Eppure sorrideva mentre rientrava nel suo dormitorio, sorrideva mentre dava indicazioni tramite i galeoni di Hermione, sorrideva mentre Neville la baciata anche se sapeva di essere poggiata su una bolla di sapone, anche se sapeva che tutto sarebbe potuto crollare intorno ai suoi piedi da un momento all’altro.
 

***

 
«Sei davvero felice con me?»

«Sì, certo. Come ti viene una domanda del genere!?»

«Sei sempre stata così innamorata di Harry… All’inizio credevo di essere una specie di rimpiazzo. È un po’ il mio ruolo qui, no? Stringere i denti e aspettare che Harry torni. Ma vorrei- vorrei che stessi con me perché lo vuoi. Perché mi ami. Non sarebbe giusto altrimenti.»

«Idiota. Non starei con te se non volessi. Non ho bisogno di Harry o di un suo sostituto. Ho solo bisogno di stare con te.»

Neville la guardava sempre con un’espressione dolcissima, ma in quel momento il suo sguardo le trasmise un affetto così immenso e sincero che quasi le faceva male guardarlo. Non poté fare altro che buttarsi tra le sue braccia, baciarlo e lasciarsi baciare, stringerlo e sperare che questo bastasse, a tramettergli tutto il suo amore.

Quando si separarono, all’alba delle vacanze di Pasqua, Ginny sapeva che non si sarebbero rivisti per molto tempo. Una separazione sopportabile, sperava, perché se da un lato capiva che era giusto restare al fianco della sua famiglia, dall’altro le sembrava sbagliato abbandonare Neville, abbandonare tutti i compagni che stavano resistendo ai soprusi e alle pressioni dei Mangiamorte che pascolavano ad Hogwarts.

(Ginny non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto baciarlo liberamente, che avrebbe potuto essere totalmente sincere, che non avrebbe dovuto condividere con i suoi rimpianti. Che era l’ultima volta in cui il suo sorriso sarebbe stato sincero.)
 

***

 
La sua bolla di sapone scoppiò in un istante. Harry l’aveva cercata qualche giorno dopo la fine della guerra: era un ragazzo diverso da quello che aveva lasciato il giorno del matrimonio di suo fratello, con centinaia di cicatrici profonde e invisibili, con un dolore sulle spalle che non sarebbe mai riuscita a condividere – né tantomeno voleva farlo, anche se non poteva non sentirsi una persona orribile per questo motivo.

«La guerra è finta, Ginny.», le aveva detto con aria stanca, aveva afferrato la sua mano e l’aveva stretta mentre la guardava negli occhi. Indeciso su quali parole utilizzare, le ricordava un cucciolo smarrito. Le faceva quasi tenerezza. Prese un profondo respiro e poi parlò: «Torniamo insieme.»

Le sembrò quasi di udirla, la sua bolla che scoppiava. Si irrigidì e fissò un punto all’orizzonte, cercando un modo rapido e indolore per liberarsi di lui – scoprì sgomenta che non ci riusciva. In un solo momento venne assalita dai dubbi, dai sensi di colpa, dalla sensazione di essere sbagliata per Harry – ma di non poter tornare da Neville. Perché adesso che si era sentita colpevole, adesso che non riusciva a negarsi ad Harry, non avrebbe più potuto essere la stessa ragazza che Neville aveva amato.

Mentre ricambiava a disagio la stretta di Harry, provò a sorridere. Non ci riusciva.
 

******

 
«Sai, Ginny, ultimamente non sorridi mai.»

«Ma che dici Harry, io sorrido sempre.»

 
 
 
 
 
 
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NdA: penso sia abbastanza chiaro, ma la prima parte della storia è il presente di Ginny, mentre la seconda parte è un gigantesco flashback di ciò che è successo in passato e che non viene mai spiegato esplicitamente nella prima. Il titolo della fic così come i sottotitoli delle due parti vengono da questa canzone. Spero che la caratterizzazione dei personaggi sia riuscita bene, ho avuto dubbi fino alla fine su alcuni gesti di Harry, ma ho deciso di lasciarlo com’era per praticità di trama. Per quanto riguarda gli avvenimenti dei flashback, confesso che è da un po’ che non rispolvero i libri ma se non erro c’è un punto in cui Neville racconta brevemente quello che è successo a Hogwarts mentre Harry, Ron ed Hermione erano in missione: nel caso dovessi aver cozzato, non me ne vogliate.
Fede ♥

 
  
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