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Autore: Mari_Criscuolo    20/01/2020    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano le undici di sera e due dei sei tavoli che le toccava servire quella sera erano ancora occupati da due famiglie. Tutto questo significava solo una cosa: bambini che non aveva fatto altro che correre e giocare a nascondino tra i tavoli e le sedie vuote del locale.
 
«Ma le pile di questi mostri non si scaricano?» chiese a sé stessa, mentre prendeva in cucina le prossime ordinazioni da servire.
 
Sperare che inciampassero sarebbe stato troppo crudele per le proprie orecchie, perché solo l'idea dei lamenti che ne sarebbero derivati le faceva accapponare la pelle, ma probabilmente nemmeno quello avrebbe attirato l'attenzione di quei genitori incapaci.
 
Ella sapeva che se si agitavano come palline impazzite in un flipper era solo per attirare l'attenzione. Ne avevano così tanto bisogno che avrebbero apprezzato anche un rimprovero o una punizione, eppure gli adulti se ne stavano comodamente appollaiati sulle sedie e tutto il loro interesse era rivolto o sul cibo o su una conversazione assolutamente inutile sui propri figli.
 
Quella scena fu una delle più patetiche a cui Ella avesse avuto il dispiacere di assistere.
 
Il lieve trillo del campanello, che dava il segnale per poter servire le comande, catturò l'attenzione di Ella.
 
Posizionò nel miglior modo possibile i due taglieri di carne tra le mani e si diresse al tavolo più sfortunato della serata, quello che si trovava di fianco all'inferno terrestre.
 
Ci mise tutto il suo impegno e concentrazione per evitare quei piccoli selvaggi, eppure uno sfuggi al suo sguardo e, andandosi a schiantare sul suo fianco sinistro, le fece perdere l'equilibrio.
 
Mentre la sua mente aveva già elaborato immagini di lei stesa sul pavimento con tutta la carne spiaccicata sulla divisa, due mani afferrarono prontamente i taglieri.
 
Senza più il loro peso e la preoccupazione per un eventuale disastro, Ella riuscì a riprendere l'equilibrio.
 
«Grazie Sara. Hai salvato la mia dignità e la mia fedina penale in un solo colpo.»
 
«Tutto bene?» chiese, rivolgendole un sorriso che illuminò i suoi occhi scuri.
 
«Se per bene intendi che non devo temere di finire in galera per omicidio plurimo, allora sì. Sto bene» rispose, controllando se i capelli fossero ancora legati e in ordine nel suo chignon.
 
«Queste a quale tavolo vanno?»
 
«Il numero 7»
 
«Dai, vieni con me. Andiamo a prendere un po' d'aria» Dopo che ebbe consegnato gli ordini, Sara le avvolse delicatamente il braccio con una mano, strappandola dal caos che regnava in quella sala.
 
«Max, Ella non si sente bene. La accompagno negli spogliatoi.»
 
Massimiliano alzo lo sguardo dai drink che stava preparando per rivolgerlo alle due ragazze ferme dall'altro lato del bancone.
 
«Che cos'hai?» chiese preoccupato.
 
Ella penso di dirgli che ciò che provava erano pulsioni di morte e vendetta, ma fu preceduta da Sara.
 
«Niente di preoccupante. Ha avuto solo un capogiro durante il servizio.»
 
«Tranquilla, prenditi il tempo che ti serve.» Massimiliano era sempre gentile e comprensivo nei confronti di tutti i dipendenti del suo pub e quello era l'unico fattore che la spingeva a non mollare il lavoro e trasferirsi su Marte.
 
«Mi hai salvata appena in tempo» le disse Ella, mentre entravano nei bagni.
 
«Conoscendoti, gli avresti detto che, se non ti avesse dato il tempo per calmare i nervi, avresti dato fuoco a quei bambini.» Sara soffocò una risata, magari ripensando a tutte le fantasiose risposte che aveva rifilato a Massimiliano ogni volta che era costretta a servire delle famiglie.
 
«Forza siediti. Ti prendo dell'acqua.»
 
Mentre Ella prendeva posto sulla panca al centro dello spogliatoio, Sara si voltò verso il suo armadietto. I lunghi e biondi capelli, legati in una coda alta, svolazzarono seguendo i movimenti del suo corpo sinuoso.
 
Dopo la prima settimana di lavoro dall'assunzione, Sara aveva notato che condivideva gli stessi turni con una ragazza molto schiva e taciturna.
 
Ella apriva bocca praticamente solo per prendere le ordinazioni e consegnarle in cucina. Aveva suscitato la sua curiosità e parola dopo parola, era riuscita a sciogliere quel muro di diffidenza che la avvolgeva.
 
Magari non del tutto, ma quanto bastava per decidere di condividere tempo con Sara che non fossero i turni al pub e per accettare un passaggio a casa senza sentirsi in colpa per il disturbo, quando Lorenzo non riusciva ad andare a prenderla.
 
«Grazie» disse Ella, prendendo la bottiglina di acqua che Sara le stava porgendo.
 
«Figurati.»
 
«Ti prego dimmi il tuo segreto. Come fai a essere sempre sorridente, persino con quelle bestie di satana. Insomma, li hai visti? Corrono intorno al tavolo come se stessero in un parco giochi e io fossi il pagliaccio che si divertono a far inciampare.»
 
Ella non aveva mai incontrato una ragazza tanto solare come Sara. Sorrideva quando faceva cadere un bicchiere; sorrideva quando un cliente la urtava; sorrideva all'una e mezza di notte mentre puliva i tavoli sporchi e sistemava le sedie.
 
Aveva un temperamento così caldo e gioioso da riuscire ad avvolgere chiunque la circondasse con la sua tranquillità, persino Ella.
 
Su di lei aveva l'effetto di un sedativo, assorbiva il suo nervosismo e lo trasformava in qualcosa di buono e innocuo, facendole capire quanto essere arrabbiati con il mondo fosse un'inutile spreco di energie.
 
«Ella, sono dei bambini» rispose, scuotendo la testa divertita dal suo esaurimento.
 
«Sara, questo non li giustifica a farmi volare le cose da mano. I piatti già sono pesanti e in precario equilibrio, e loro cosa fanno? Scorrazzano attorno come se fossi un birillo e loro la palla da bowling Quegli animali godono nel vedermi soffrire, l'ho letto nei loro occhi piccoli e iniettati di sangue, ho visto come mi guardavano.»
 
Era così difficile per Sara non piangere dalle risate di fronte alla serietà con cui Ella aveva dato sfogo alla frustrazione.
 
«Come ti avrebbero guardato?» chiese curiosa di sapere fin dove si sarebbe spinta con i suoi vaneggiamenti.
 
«Come se fossi una volpe e loro dei cani da caccia pronti a sbranarmi. In Italia la volpe è un selvatico protetto, sono troppo preziosa per farmi atterrare. Qualcuno li dovrebbe denunciare» piagnucolò Ella, avendo davanti agli occhi l'immagine di quel vispo e rossiccio animale morso e calpestato da dei cafoni cani rabbiosi.
 
«Ella la tua fantasia è decisamente fuori dal comune» Sara esplose in una risata che non riusciva più a trattenere.
 
Ella la guardò contrariata, non capendo il motivo per cui solo lei riuscisse a vedere quei bambini per ciò che erano realmente.
 
Demoni assetati di sangue.
 
«L'idea di Thanos in questo momento non mi sembra poi così malvagia. Altro che Avengers, era lui il difensore dell'umanità. Devo mettermi anche io alla ricerca delle gemme dell'infinito, in questo modo con un schiocco potrò eliminare sia quei piccoli demoni con il 666 dietro le orecchie che i genitori che hanno messo al mondo esserini così fastidiosi e scostumati. Se mi fossi comportata io così, mia madre mi avrebbe legata alla sedia con del filo spinato pur di non farmi muovere e poi a casa mi avrebbe dato il resto per rendere il ricordo di quella serata indelebile. Così si crescono i figli, non come quegli animali.»
 
Ella ricordava perfettamente tutte le volte in cui Adele aveva impresso nella sua memoria tutti i comportamenti sbagliati che mai avrebbe dovuto mettere in atto.
 
Certo, questo le aveva poi provocato seri problemi di ansia nei confronti della vita e delle persone, costringendosi a porsi ventimila domande prima di fare o dire qualcosa con il terrore di sbagliare comunque, però almeno poteva vantare di non essere stata scostumata da bambina.
 
Con il senno di poi non avrebbe cambiato nulla dell'educazione che le era stata imposta, perché sebbene rigida e soffocante, quantomeno era cresciuta piuttosto bene e con i giusti valori al proprio posto.
 
«Se li sterminassi tutti rimarresti sola.»
 
Sara non la conosceva ancora abbastanza bene da sapere che queste per Ella non erano minacce, bensì promesse di speranza.
 
«Anche tu però, non incoraggiare le mie idee con queste proposte allettanti, a meno che tu non voglia vedermi dietro le sbarre, perché se quei cosi continuano così, i genitori dovranno chiamare sicuramente la polizia.» Ella si sciolse i capelli, che ricaddero disordinati e schiacciati sulla schiena.
 
Si massaggio delicatamente le tempie per poi passare all'attaccatura dei capelli, per lenire il dolore e il mal di testa, che si palesava ogni volta che li portava legati per troppo tempo.
 
Il respiro di Sara risuonava sconnesso e strozzato dalle risate.
 
«Smettila di ridere. Non è divertente» la riprese Ella, puntando gli occhi su di lei.
 
«Invece sì. Dovresti vedere la tua faccia, sei devastata.»
 
Ella si alzò e si diresse verso un piccolo specchio appeso sul muro, alla destra della porta.
 
Un verso scocciato nacque e morì nella sua gola, mentre constatava i postumi della stanchezza tutti riversati sulla sua faccia.
 
La massima espressione di un quadro cubista, probabilmente Picasso prendeva ispirazione dai visi dei lavoratori al termine della loro giornata.
 
«Se non ti fossi trovata vicino a me, a quest'ora sarei in ospedale con tutte le ossa rotte, quindi diciamo che mi è andata bene» rispose, mentre raccoglieva nuovamente i capelli in una coda più morbida e bassa, per non calcare il doloroso punto in cui si trovava prima lo chignon.
 
«I miei turni di lavoro non sarebbero gli stessi se non ci fossi tu a rallegrarmi le serate.»
 
«Mi fa piacere che le mie disgrazie portino delle gioie a qualcuno» commentò sarcastica, osservando Sara attraverso lo specchio, mentre si sistemava alcuni riccioli troppo corti perché potessero essere legati.
 
«Che ne pensi se ci scambiamo i tavoli da servire per questa sera? Cosi tu non rischi di farti seppellire con la pala da quei demonietti e salviamo le loro vite dalla tua vendetta da fantasma.»
 
La proposta di Sara fece voltare Ella di scatto per la sorpresa.
 
L'aria aveva ripreso a circolare nei vuoi polmoni solo al suon di quelle parole soavi.
 
«Tu sei un angelo mandato sulla terra per salvarmi dalla morte.» Ella le si avvicino, abbracciandola con immensa gratitudine.
 
Almeno per quella sera aveva evitato un tracollo mentale.
 
«E dalla galera» la prese in giro Sara.
 
«Forza, torniamo di là, prima che Massimiliano chiami un'ambulanza» disse Ella, uscendo dallo spogliatoio.
 
Esorcizzati quei demoni dal suo corpo, il resto della serata fu abbastanza tranquillo. Fu solo mentre puliva l'ultimo, con uno strofinaccio umido e disinfettante, che si ricordò di Gabriele.
 
Era stata così impegnata tra un servizio e l'altro da essersi completamente dimenticata che sarebbe stato lui ad accompagnarla a casa quella sera. Un senso di agitazione le pervase lo stomaco, inducendola a respirare lentamente e profondamente per calmare il nervosismo.
 
Non capiva il motivo di quella sua involontaria reazione, in fondo era solo Gabriele non un completo sconosciuto, ma, considerando che il suo mondo ruotava in senso opposto a quello di tutti gli altri, poteva ben immaginare che il problema risiedesse proprio nelle aspettative che la lunga conversazione del giorno prima aveva creato in entrambi.
 
Aspettative che forse non avrebbero mai visto la luce del sole.
 
Sbloccando il cellulare per controllare l'ora, vide un messaggio da parte di Gabriele.
 
"So che starai ancora lavorando e probabilmente non leggerai il messaggio, ma volevo avvisarti che sono arrivato e ti aspetto fuori, vicino alla macchina. Ho preferito anticiparmi, così, in caso avessi finito prima, non avresti dovuto aspettare sola."
 
Non poté fare a meno di sorridere leggendo quelle poche righe. La sua gentilezza e la sua premura non erano cambiate di una virgola negli ultimi cinque anni.
 
Ella sospirò, togliendosi il grembiule nero allacciato in vita per infilarlo nella borsa. Era giunto il momento di fargli fare un giro nella lavatrice.
 
«Buonanotte Sara. Ciao Max, ci vediamo domani» salutò Ella, avviandosi verso l'uscita.
 
«Divertiti» rispose Sara, seguita subito da Max. «A domani Ella. Mi raccomando riposati.»
 
Uscita dal pub, respirò l'aria fredda di quella notte da poco iniziata, stringendosi nel suo cappotto nero alla ricerca di maggior calore.
 
Prima che potesse cambiare idea e fuggire di corsa, si incamminò in direzione dell'unico ragazzo in piedi vicino alla fila di macchina parcheggiate.
 
Le luci dei lampioni erano fioche e non riuscì a riconoscere i tratti del suo volto fino a quando non fu a pochi passi di distanza dalla sua figura.
 
«Eccomi. Ce l'ho fatta. Non sono troppo viva, ma ancora mi reggo in piedi.»
 
Gabriele non aveva distolto lo sguardo dall'ingresso del locale nemmeno un secondo da quando era arrivato. Era riuscito persino a vedere di sfuggita il profilo di Ella, mentre sistemava le sedie sui tavoli in prossimità delle vetrate che davano la visuale sull'interno del pub.
 
Adesso era di fronte a lei, avvolta nella sua sciarpa nera per riparare il viso dal leggero vento fastidioso.
 
«Posso salutarti?» Avrebbe potuto sicuramente farlo senza chiederle il permesso, ma con Ella era impossibile prevedere i suoi pensieri e le sue reazioni.
 
Non sapeva se fosse già pentita di essersi confidata con lui; non sapeva quale atteggiamento avrebbe adottato nei suoi confronti.
 
Questa era la sua ultima occasione e non poteva concedersi il lusso di sbagliare, doveva essere cauto e lasciare che fosse lei a dettare le regole e tracciare i limiti.
 
«Certo. Perché non potre... Oh!» Ella non aveva compreso appieno il significato di quella richiesta, tanto da rimanere sorpresa quando le labbra di Gabriele si posarono leggere sulla sua guancia. Quel tocco fu così lieve, da avere l'impressione di essere stata sfiorata dal petalo di un fiore.
 
Anche quando si allontanò, Ella rimase immobile con ancora la sensazione di calore che le bruciava la porzione di pelle che era stata baciata.
 
Mentre lei rimaneva in silenzio fissando il vuoto con la mente sgombra da ogni pensiero, Gabriele la guardava attentamente con l'intenzione di assorbire ogni sua più piccola reazione.
 
Il profumo deciso della pelle di Ella riempiva ancora le sue narici e la morbidezza della sua guancia era ormai una stampa indelebile sulle sue labbra.
 
Ella si schiarì la gola, riportando entrambi alla realtà.
 
«Mi dispiace che tua abbia dovuto aspettare fuori al freddo, potevi entrare dentro o rimanere in macchina. Se non fossi riuscita a trovarti ti avrei chiamato.»
 
«Ella, non crearti problemi. Se sono qui è perché mi rende felice vederti, anche solo per pochi minuti.»
 
«Va bene, niente problemi. Adesso però entriamo in macchina, perché tu portai anche non soffrire il freddo, ma io sto congelando» disse, aprendo lo sportello anteriore della Fiat Panda rossa.
 
Gabriele entrò in macchina e, dopo aver messo la cintura e avviato il motore, accese il riscaldamento per scongelare il pupazzo di neve seduto al suo fianco.
 
«Grazie» disse in un lungo sospiro, sprofondando nel sediolino
 
«Stanca?» chiese, osservandola con la coda dell'occhio.
 
«Molto. Questa sera il mio nervosismo ha raggiunto le stelle» rispose, trattenendo a stento uno sbadiglio. «A quanto pare il mio stato d'animo sta rallegrando la vita di parecchie persone» continuò seccata, mentre osservava il sorriso da ebete stampato sulle labbra di Gabriele.
 
«Scusami, hai ragione. Mi chiedevo solo quando riuscirai a stupirmi dicendo che sei tranquilla e rilassata» si giustificò, scrollando le spalle.
 
«Se lo dicessi ti dovresti preoccupare che qualche alieno abbia clonato il mio DNA e creato un automa con le mie sembianze.»
 
«Adesso si spiega tutta la tua dolcezza dove è andata a finire. Te l'hanno tolta con una siringa appena nata.»
 
Gabriele si stava sinceramente impegnando nel provare a strapparle un sorriso fugace, ma era talmente stanca che avrebbe voluto solo chiudere gli occhi e dormire.
 
Ella doveva dare a quella serata una possibilità, doveva provare ad accantonare quella parte assonnata che la rendeva intrattabile.
 
«Sei simpatico come una malattia venerea» rispose, raddrizzando la schiena e battendo le palpebre velocemente per darsi una svegliata.
 
«Avanti. Qual è la causa di quella piccola ruga tra le sopracciglia?»
 
«Non ho nessuna ruga» mormorò convinta e, per assicurarsi che aveva appena detto fosse vero, si sfiorò la fronte con i polpastrelli, percependo, effettivamente, una piccola piega.
 
«Invece sì» ribatté sicuro di sé.
 
«Come fai a dirlo se è buio e sei concentrato sulla strada?» chiese voltandosi con il busto verso di lui e incrociando le braccia per sfidarlo.
 
Gabriele ricordava molto bene ogni singola variazione delle sue espressioni. Le aveva riviste nella sua mente per anni, come immagini di un vecchio film in bianco e nero, solo per non dimenticare la dolorosa bellezza a cui aveva voltato le spalle.
 
Al loro primo incontro, dopo tutto quel tempo trascorso lontani, si era reso conto che niente di ciò che aveva ricordato era cambiato.
 
Quando lo voleva sfidare, incrociava le braccia, come in quell'esatto momento; quando era in imbarazzo, spostava i voluminosi capelli in avanti per nascondere il viso; quando era felice, il suo sguardo appariva otticamente più grande e l'azzurro delle iridi diventava più chiaro e luminoso.
 
«Perché compare ogni volta che sei triste, pensierosa o arrabbiata e più queste emozioni aumentano di intensità più la ruga si espande. Se continuerai così a venticinque anni sarai già una vecchietta con il bastone.»
 
Ella rimase in silenzio ad assaporare quelle parole che erano la dichiarazione più bella che un ragazzo le avesse mai rivolto. Si chiese quanti minuti avesse trascorso ad osservarla per riconoscere il suo stato d'animo senza nemmeno il bisogno che aprisse la bocca e scommetteva che ci sarebbe riuscito anche se fosse stato bendato, ascoltando semplicemente il suo silenzio.
 
Gabriele avrebbe voluto girarsi per godere della sua espressione sorpresa, ma dovette limitarsi ad uno sguardo fugace.
 
Anche le ragazze diffidenti e controverse come Ella potevano essere stupite, ma solo se lo si faceva con una dolcezza autentica e mai scontata. Una dolcezza che non avrebbero mai potuto prevedere, perché era qualcosa che non avevano mai creduto possibile ricevere.
 
«Sono sempre arrabbiata, quindi ce l'ho perennemente stampata in faccia.»
 
«Si e devo ammettere che ci sono affezionato. Mi dispiacerebbe molto non vederla più.»
 
Gabriele non avrebbe mai potuto combattere il fuoco con il fuoco. La sua acqua non l'avrebbe né spenta né domata, si sarebbe preoccupato solo di lenire il dolore delle bruciature, anche quando sarebbe stata troppo orgogliosa e testarda per chiederglielo.
 
«Tranquillo, non credo sparirà mai.»
 
«Allora? Sto aspettando il tuo sproloquio» la spronò Gabriele, credendo che lo avrebbe deliziato con qualche fantasiosa e stravagante congettura sulle stranezze umane a lei inconcepibili.
 
«Ho sfogato abbastanza per questa sera e la mia collega mi ha salvata prima che commettessi un genocidio di bambini o prima che loro commettessero il mio omicidio.»
 
Ella e i bambini, specialmente se ingestibili, appartenevano a mondi diametralmente opposti. Considerava simpatici solo quelli che dormivano a qualsiasi ora del giorno e della notte e quelli che obbedivano ancora prima che si desse loro un ordine, praticamente due in tutta la popolazione mondiale.
 
«Cosa ti hanno fatto quelle povere creature?»
 
«Non risponderò alla tua provocazione.»
 
Ella preferiva non pensarci più, per evitare che un altro moto di nervosismo intossicasse anche quel momento di tranquillità.
 
«Vuoi ascoltare un po' di musica?» propose Gabriele.
 
«No, preferisco questo silenzio di sottofondo.»
 
Gabriele vagò nell'incertezza su cosa dire per distrarla per qualche minuto, mentre Ella sembrava completamente persa ad osservare il mondo attraverso il vetro del finestrino, un mondo che era diventato solo una proiezione dei suoi pensieri e delle sue emozioni.
 
Doveva fare qualcosa prima che si chiudesse di nuovo in sé stessa, perché nel silenzio che regnava tra loro percepiva anche una mancanza di comunicazione.
 
Non la sentiva più, la stava perdendo.
 
«Cosa frulla in quella bella testolina?»
 
«Mamma diceva sempre: devi gettare il passato dietro di te prima di andare avanti» rispose, rimanendo nella medesima posizione, con lo sguardo fisso di fronte a sé, limitandosi a sbattere le palpebre.
 
Ella percepiva lo sguardo preoccupato di Gabriele su di sé, alla ricerca di una crepa, di un segno di cedimento. Aveva paura che sarebbe svanita da un momento all'altro e lei non gli avrebbe mai potuto promettere che ciò di cui non era certa non sarebbe accaduto, perché ancora non sapeva i suoi pensieri dove l'avrebbero condotta, eppure doveva dare a sé stessa una occasione.
 
«La mamma di Forrest era saggia.»
 
«Forse dovrei mettere in pratica queste parole» disse voltandosi per guardarlo. Con la mascella contratta, esposto alla luce intermittente dei lampioni che scorrevano ignari al di fuori del loro piccolo mondo, Gabriele attendeva paziente il continuo di quella storia. «Sai, è tutta una questione di fiducia. Dai te stessa a un'altra persona, sperando che non ti ferisca. Diventi vulnerabile. È come cospargersi di miele tutto il corpo e andare a spasso vicino ad un alveare, sei un bersaglio facile con tutti i segreti in bella vista pronti per essere usati contro di te. Non ti resta che sperare e pregare che tu possa rientrare in quella schiera di pochi che riescono a non essere calpestati dall'egoismo altrui. Ogni giorno troppe persone vengono rimpicciolite di qualche centimetro, proprio da coloro in cui avevano riposto la loro fiducia. In tutta la mia vita ho concesso la mia più completa fiducia solo a tre persone e due di esse mi hanno ferita.»
 
Ella desiderava, più di ogni altra cosa, combattere la paura con il coraggio e vincere contro di essa. Sarebbe stato l'ultimo grande salto nel vuoto, prima di poter voltare le spalle ai fantasmi che ancora venivano a farle visita durante il giorno.
 
Si nutrivano della luce del sole e della sua felicità, privandola di ogni emozione positiva.
 
Forse quando avesse smesso di farsi divorare dalla paura avrebbe avuto la forza di prendere quei provvedimenti contro Matteo che aveva sempre scartato.
 
Forse doveva lasciarsi aiutare, perché da sola ci aveva provato e aveva fallito.
 
Stringere la mano di chi gliela porgeva non significava essere debole, piuttosto ammettere i propri limiti e riconoscere quando fosse giunto il momento di deporre le armi era un segno di maturità e coraggio.
 
«Una di queste sono io, immagino.»
 
Il tono di amara rassegnazione racchiudeva tutto il suo pentimento. Aveva colto la prima occasione per fuggire e, per quanto si fosse illuso che sarebbe stato un bene anche per Ella, la verità era che era stato un egoista e non meritava più la sua fiducia.
 
«Si e l'altra è il mio ex, Matteo.»
 
Pronunciare il suo nome fu una liberazione. Le corde che rinchiudevano i suoi polsi e le stringevano la trachea si erano allentate, permettendo all'aria di circolare con più facilità.
 
«Perché mi stai dicendo questo?» Gabriele fu colto alla sprovvista.
 
Non avrebbe mai creduto che Ella gli avrebbe rivelato l'identità dell'altra persona. Si rese conto dell'enorme atto di fiducia che aveva compiuto. Una prova sia per lui, per fargli capire che non era sua intenzione fuggire, sia per sé stessa, per dimostrare che il passato non aveva condannato anche il suo futuro.
 
«Ci sto provando. Mi sto riscoprendo masochista e voglio farmi male fidandomi di nuovo, ma non posso darti la certezza di nulla. Devi essere consapevole dei rischi che corri. Non sono più la ragazzina che ricordi. Io... te l'ho detto, posso fare veramente male alle persone.»
 
Non aveva compiuto un passo solo per tornare indietro di altri cinque. Era ancora convinta della sua scelta e non se ne pentiva. Le sue decisioni erano sempre ponderate a lungo e valutate da ogni punto di vista, cosicché quando l'avesse presa, era convinta che non sarebbe ritornata sui propri passi.
 
Sicuramente non era infallibile, perché era umana, ma le dava un buon margine di sicurezza e stabilità.
 
Il giorno precedente era stata solo lei a parlare e, sebbene fosse a conoscenza delle intenzioni di Gabriele e dei suoi desideri, non gli aveva dato abbastanza voce per poter esprimere i suoi pensieri. Prima di fare qualunque passo nella sua direzione, avrebbe dovuto mostrarle quanto fosse realmente convinto di ciò che insieme avrebbero potuto innescare.
 
«Ella tutti siamo capaci di provocare dolore in modo più o meno consapevole, ma decidere di non correre dei rischi solo per paura di essere feriti, non è vivere. Non ho intenzione di rinchiudermi in una prigione di vetro e limitarmi a guardare le altre persone che piangono, ridono e amano. Io voglio te, e non lo dico per metterti pressioni, ma solo perché voglio essere il più sincero e trasparente possibile. Sarai tu a parlarmi con i tuoi tempi e non ti forzerò a fare nulla, desidero solo vederti serena e sorridente.»
 
La risposta di Gabriele e la totale assenza di dubbi nel suo tono di voce rassicurante fecero sospirare Ella di sollievo.
 
Era abbastanza sicura di ciò che le avrebbe detto, però le sue certezze erano ancora in precario equilibrio, sarebbe bastata una piccola folata di vento a farle crollare e lei si sarebbe rotta, di nuovo.
 
Ella, in un moto di audacia e sicurezza, allungo la mano sinistra posandola delicatamente su quella che Gabriele aveva lasciato sul cambio manuale.
 
Sorpreso da quel tocco freddo, Gabriele abbassò, per un'istante, lo sguardo dove i loro corpi si toccavano.
 
La mano pallida dalle dita sottili e affusolate spiccava sulla sua pelle calda e di un paio di tonalità più scura.
 
Era così ironico il fatto che la sua mano fosse quasi più fredda di un cubetto di ghiaccio, mentre dentro di lei divampava un incendio indomabile.
 
«Tu riesci a capire i miei stati d'animo prima ancora che io li elabori, quindi promettimi una cosa: se dovessi capire che la paura stia avendo il sopravvento su di me, tu aiutami a sconfiggerla. Schiaffeggiami, trascinami sotto un getto di acqua ghiacciata, legami a una sedia e fammi il lavaggio del cervello, ti do carta bianca sulle modalità. Resta anche quando io proverò a voltarti le spalle.»
 
Ella sapeva di comportarsi da perfetta egoista nell'avanzare una richiesta del genere. Se Gabriele un giorno avesse deciso che non ne sarebbe più valsa la pena Ella non lo avrebbe trattenuto, perché non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, a meno che non glielo avesse chiesto esplicitamente come stava facendo lei in quel momento.
 
Lei aveva lasciato Matteo e lui stava insistendo, utilizzando ogni modo per trattenerla, ma la differenza con Gabriele era che lei non gli aveva mai implorato di restare.
 
«Te lo prometto. Questa volta non ti lascio sola.» Gabriele mosse il braccio, lasciando che la mano di Ella ricadesse sul cambio per poi ricoprirla con la sua e riscaldarla.
 
Quel movimento fu così rapido che Ella non realizzò subito cosa fosse accaduto, solo dopo qualche istante sentì il freddo abbandonare le sue dita, lasciando spazio ad una piacevole sensazione di calore.
 
«Sicuramente sbaglieremo anche adesso, con me che sono sempre nervosa e testarda e diffidente.»
 
«La lista sarebbe troppo lunga» la stuzzicò Gabriele, mentre stringeva la presa sulla sua mano per scalare la marcia.
 
Era un'emozione nuova quella che sentiva germogliare dentro di sé. Non sapeva ancora come classificarla, perché i suoi tratti erano tutt'altro che definiti. Sicurezza, fiducia, eccitazione, pace e si avvicinava molto ad una felicità diversa e ad un senso di completezza che solo nei sogni era stata capace di provare.
 
«E tu che sei cocciuto e irritante, ma abbiamo una maggiore consapevolezza. Ora che sappiamo chi siamo stati e quali sentimenti ci legavano, proviamo a conoscere chi siamo diventati e chi vorremmo essere.»
 
«E quali sentimenti ci legano.»
 
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose, spostando la mano per posarla sulla propria gamba.
 
«Sei proprio una strega.»
 
«Se lo fossi, a quest'ora, ti avrei già trasformato in un rospo e nessun bacio avrebbe potuto restituirti sembianze umane» lo provocò, rivolgendogli un subdolo sorriso.
 
«Magari non un bacio qualunque, ma se fosse quello della strega che ha lanciato il maleficio probabilmente funzionerebbe.»
 
«Illuso. Perché mai una strega dovrebbe baciare un rospetto viscido?» chiese ingenuamente, pensando di metterlo alle strette, ma aveva dimenticato quanto Gabriele fosse bravo nel rispondere, rivoltandole contro le domande che lei stessa aveva posto.
 
«Beh, sarai tu a dovermi dare la risposta quando succederà.»
 
Ella sposto lo sguardo sulla strada, sperando con tutto il cuore che le sue parole cadessero nel vuoto. Era appena stata zittita e non aveva voglia di continuare una conversazione che, stando ai fatti, l'avrebbe messa sicuramente in imbarazzo.
 
Fortunatamente per lei, Gabriele si limitò a sorridere soddisfatto, avendo intuito il suo stato d'animo.
 
«Uh, guarda! Siamo arrivati.» esclamò Ella, entusiasta all'idea di poter respirare aria fredda e scrollarsi di dosso l'ultima affermazione di Gabriele.
 
Sapeva che se lei non avesse voluto, non si sarebbe azzardato a provarci, quindi non era questo ciò che la preoccupava.
 
Il problema era capire se sarebbe mai stata in grado di affrontare un'altra relazione.
 
Ecco che la paura di poterlo ferire un giorno si impossessava nuovamente di lei, l'immagine del suo sguardo deluso già tormentava la sua mente impedendole di ragionare lucidamente.
 
Per quanto potesse dirle che non si aspettava nulla da lei, entrambi sapevano che non erano esattamente così che stavano le cose.
 
Mentre quei pensieri disturbavano la quiete che aveva pervaso la sua mente fino a quel momento, il suo corpo si trovava già fuori dall'auto.
 
«Aspetta, ti accompagno» le disse Gabriele prima che potesse chiudere la portiera.
 
«Non è necessario. Anche se in questi 50 metri ci fosse qualcuno appostato dietro un albero, non ci sarebbe nessuna virtù da rubare.» Ella provò a dissuaderlo, quando ormai si trovava già a pochi passi di distanza da lei.
 
«Non credo che uno stupratore chieda dell'integrità della virtù prima di violentare le sue vittime.»
 
Gabriele scosse la testa, incapace di credere all'assurda conversazione che, era sicuro, Ella avrebbe portato avanti fino a quando lui non le avrebbe dato ragione.
 
Sfiorò la parte bassa della sua schiena, cosicché la reazione sorpresa, per quel tocco inaspettato e sicuramente indesiderato perché troppo audace, l'avrebbe fatta scattare in avanti, iniziando ad incamminarsi senza brontolare cose ridicole.
 
«Magari ha dei gusti singolari, rimarrebbe deluso.»
 
«Sei impossibile. Non dovresti scherzare su questi argomenti. È buio e pericoloso e, per quanto tu possa pensare di essere forte, devi far attenzione a non confondere il coraggio con la stupidità.»
 
A Gabriele non piaceva l'idea di rimproverarla, perché non era nessuno per poterle dire cosa dovesse o non dovesse fare, eppure la preoccupazione per quella sua sconsideratezza, anche se finta, era difficile da tenere a freno.
 
«È pericoloso anche per te visto che dopo devi tornare da solo. E in genere sono gli uomini che, sentendosi un gradino più in alto di noi donne, pensano di essere invincibili. Quel tipo di confusione perseguita più voi che noi poveri esserini indifesi.»
 
Ella aveva delle ottime argomentazioni dalla sua parte e Gabriele sapeva che il complesso edipico negli uomini era catastrofico per il loro ego, perché così che nasceva la loro onnipotenza narcisistica e sgradevole possessività.
 
«Lo so, il testosterone è una brutta faccenda, ma mi sento più tranquillo lasciandoti vicino alla porta di casa.»
 
«Non sapevo che tra le tue aspirazioni ci fosse quella di diventare corriere. È un carico prezioso quello che devi scortare?» chiese, prendendolo in giro.
 
Sapeva che Gabriele non la considerava un pacco postale, eppure quel termine "lasciare" l'aveva indotta inevitabilmente a storcere il naso. Magari, scortare sarebbe stato più appropriato.
 
«Una bertuccia piuttosto fastidiosa» rispose posando lo sguardo su di lei.
 
Con un po' di fantasia, Ella e quella scimmietta non erano immagini così distanti tra loro. Entrambe piccole e fastidiose.
 
«Devi fare molta attenzione, è un animale estremamente irritabile e aggressivo se non la tratti con molto affetto.»
 
Gabriele mantenne aperta la porta dell'ascensore, lasciando che fosse Ella ad entrare per prima.
 
Adesso si ritrovavano nuovamente in un piccolo spazio circoscritto, la differenza era la forte illuminazione che rendeva inevitabile nascondere i pensieri ben visibili sui loro volti.
 
«Penso che mi morderebbe le dita fino a staccarmele se provassi ad accarezzarla.»
 
Comprendeva il timore di Gabriele e, anche se in quel momento lo stava amplificando per fare dell'ironia, non poteva biasimarlo, visti i suoi recenti comportamenti.
 
Carezze c'erano state, ma erano state sempre incerte e a volte addirittura così delicate da essere impercettibili. Forse quando Ella avrebbe smesso di avere paura, anche lui lo avrebbe fatto.
 
«Probabilmente non hai trovato ancora il metodo giusto per renderla docile. Magari se capisce che non hai intenzione di arrenderti inizierà a mostrarti, a modo suo, il proprio affetto.»
 
Ella non sapeva esattamente cosa stesse dicendo. Le sue parole sembravano essere trascinate più dalle emozioni che dalla logica, per quel motivo Gabriele era pericoloso per lei come lei lo era per lui.
 
Accendeva il suo lato emotivo e impulsivo, che teneva costantemente sotto il controllo della ragione.
 
Lui la rendeva vulnerabile e non sentiva la necessità di pensare ad una frase venti volte prima di pronunciarla, mentre lei lo rendeva coraggioso, con la sua forza di volontà che avrebbe dato vita persino ad un sasso.
 
«Non ho intenzione di lasciarla. Fortunatamente ho molta più pazienza di quanta ne abbia questa bertuccia.»
 
Avrebbero potuto allontanarsi, litigare, non parlarsi, eppure, alla fine, avrebbero fatto la pace, perché loro erano l'uno l'equilibrio dell'altro.
 
Le erano sempre stati, anche quando non ci credevano.
 
«Hai un futuro assicurato. Il carico prezioso è arrivato sano e salvo» disse Ella, uscendo dall'ascensore.
 
«Sicura parlassi di te?» chiese, inarcando un sopracciglio.
 
«Ho abbastanza arroganza e autostima da crederlo, ma, se invece fosse un'illusione, allora lascia che mi illuda.»
 
«Non ho intenzione di distruggere la tua sicurezza.»
 
Ella pensò che tra tutti i momenti imbarazzanti, forse quello li superava di gran lunga.
 
I saluti.
 
Appoggiandosi con le spalle alla porta di casa, Ella alzò il viso per immergere i suoi occhi in quelli di Gabriele.
 
«Grazie» disse, caricando il suo sguardo di tutte le emozioni che gli aveva regalato quella sera.
 
«È stato un piacere» rispose, rivolgendole un sorriso dolce.
 
Lo spazio tra i loro corpi non era molto, ma abbastanza per non mandare il cervello di Ella in sovraccarico per il panico.
 
Forse tra qualche giorno, l'effetto che le provocava la sua vicinanza e il profumo di muschio del suo bagnoschiuma non l'avrebbero più scombussolata.
 
«Dico sul serio, apprezzo davvero il tuo gesto. Non mi piace camminare da sola di notte e non mi piace nemmeno l'idea che lo faccia tu, quindi, se non sono troppo invadente e non ti infastidisce, mandami un messaggio quando arrivi a casa.»
 
Non voleva dare l'impressione di essere una sanguisuga o una ragazza asfissiante, però come lui poteva essere preoccupato per lei, anche lei poteva provare questo genere di sentimento.
 
Il sorriso di Gabriele si allargò e per Ella fu inevitabile ricambiare quell'espressione che trasudava una genuina felicità, nemmeno avesse vinto alla lotteria.
 
I piccoli gesti erano i più significativi ed entrambi attribuivano loro un valore immenso e tutta quella gioia incontenibile ne era la prova.
 
«Non disturberesti nemmeno se mi chiamassi alle tre di notte.»
 
Per Ella era difficile gestire quelle sottili dichiarazioni e l'unico modo che le consentiva di scacciare l'imbarazzo era il sarcasmo.
 
«Beh io si, quindi non provarci se ci tieni alla tua vita.»
 
Gabriele non riuscì a trattenere una risata, perché era evidente che non fosse più abituata a ricevere determinate attenzioni.
 
«Allora, a giovedì?» chiese, facendo un passo in avanti.
 
«A giovedì.» Ella non distolse lo sguardo dal suo quando rispose.
 
Quella era una piccola promessa e lui sapeva quanto valore avesse per lei e quanto di conseguenza ne acquistasse per lui.
 
Ella osservò Gabriele chinare il viso verso di lei. Mentre lui si avvicinava con infinita lentezza per darle la possibilità di spostarsi, lei rimaneva perfettamente immobile.
 
Il suo cervello annebbiato era incapace di comprendere quali fossero le sue intenzioni.
 
Fu solo quando le labbra calde e morbide sfiorarono la sua fronte, che riprese a respirare.
 
L'espirazione fu così rumorosa che Ella percepì, sulla sua pelle, le labbra di Gabriele incurvarsi in un sorriso, contagiando anche lei senza che lui potesse vederla.
 
Entrambi riempirono i propri polmoni con il profumo dell'altro, prima che quel tocco delicato svanisse.
 
Le stava augurando la buonanotte
 
«Fai bei sogni, piccola strega.»
 
Ella lo guardò allontanarsi sempre di più, fino a quando non scomparve dalla sua vista. Solo allora si risveglio dallo stato ipnotico in cui era precipitata, vedendosi costretta liberarsi del profumo di Gabriele che ancora aleggiava nell'aria.
 
Un passo alla volta, un respiro alla volta, una battaglia alla volta.
   
 
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