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Autore: Ksyl    21/01/2020    5 recensioni
Dopo il week end negli Hamptons, Kate Beckett rimane incinta a sorpresa: la loro coppia recentemente formata riuscirà a superare lo sconvolgimento delle loro vite? Seguito di "Un colpo di testa"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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1. Beckett

Ho deciso di rivedere e ripubblicare le prime ff scritte, perché erano state create per gioco in un contesto molto più ristretto e in un formato diverso. Non cambierò nulla di sostanziale, controllerò i refusi, rivedrò la divisione dei capitoli e modificherò ciò che non poteva essere comprensibile a un pubblico più ampio, al quale non avevo nemmeno osato sperare, a quei tempi, stiamo parlando del 2015, una vita fa! Sono diverse, semplici, molto più istintive e meno mediate (adesso le scriverei lunghe il doppio :D), ma mi fa tenerezza rileggerle e calarmi di nuovo in quell'atmosfera leggera e spensierata. Questa ff è il seguito di "Un colpo di testa", che verrà rivista successivamente. Silvia

Beckett controllò il cellulare per l'ennesima volta da quando era arrivata quel mattino al distretto. Nessuna telefonata, nessun messaggio.

Castle era via ormai da una settimana per promuovere il suo ultimo romanzo e sarebbe dovuto tornare solo il giorno dopo, ma non era da lui non farsi sentire per ore. Troppe. Appoggiò il telefono capovolto sulla scrivania per non cadere in tentazione e, con uno sforzo di volontà, si impose di tornare al lavoro.
Per qualche minuto le sembrò di riuscire a concentrarsi sui documenti che aveva davanti, ma poi qualcosa la distrasse e fu così che si ricordò di non aver controllato le mail – non negli ultimi cinque minuti. Dicendosi che sarebbe stata l'ultima volta e poi basta, non poteva certo stare a ossessionarsi così, aprì velocemente la sua casella di posta e aspettò speranzosa, fissando l'icona che ruotava. Niente.
Evidentemente Castle era troppo impegnato o non aveva campo. O l'avevano rapito gli alieni, che era l'unico motivo valido per cui avrebbe evitato di fargli una scenata, una volta che fosse riuscita a comunicare con lui.

Si accorse nel frattempo di aver ricevuto un messaggio da parte di Lanie con i risultati che attendeva dal laboratorio, quindi abbandonò il cellulare, compose il numero del suo interno e, finalmente, riuscì a immergersi nel suo lavoro con maggiore presenza mentale.
Sono solo ventiquattro ore, si disse in una pausa, staccando gli occhi dal pc. Non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa per tutta una serie infinita di motivi, ma stare una settimana senza di lui si era rivelato più duro del previsto. Era stata colta di sorpresa e spiacevolmente, non era da lei sentire la mancanza di qualcuno, non qualcuno di sesso maschile, non qualcuno con cui aveva un... legame.

All'inizio era stata contenta di avere più tempo per sé, per una volta poteva andare a letto presto e dedicarsi a tutte quelle cose che aveva trascurato da quando era stata travolta a tempo pieno dall'uragano Castle. Con il passare dei giorni era diventata sempre più irrequieta e annoiata.
Era ormai passata qualche settimana da quando avevano ceduto alla follia e avevano deciso di provarci. Provare a far cosa, non l'aveva ancora capito con certezza, ma intanto si erano susseguiti giorni carichi di adrenalina e felicità assolute, da cui era ancora un po' spaventata e frastornata. Ma poi lui arrivava a rassicurarla e a rendere tutto magico come al solito e lei ricominciava a credere che fosse possibile. Lo era.

Non era mai stanca di stare con lui, dormire nello stesso letto, svegliarsi e sorprenderlo a fissarla, fare colazione insieme. Anche mentre risolvevano i casi, nonostante dovessero tenere un contegno serio e rispettoso, avvertiva sempre quel brivido di eccitazione sotterranea che le derivava dal condividere un segreto con lui. Qualcosa che sapevano solo loro due.
Gli altri non si erano accorti di niente e loro si erano guardati dal mettere al corrente qualcuno del loro mutato rapporto. In primo luogo perché, almeno per il momento, era qualcosa di prezioso che intendevano godersi in solitudine. Ufficialmente, inoltre, la politica del dipartimento non lo avrebbe permesso, e quindi avrebbero dovuto smettere di lavorare insieme. Un'eventualità inconcepibile. E, in ultimo, non le spiaceva evitarsi battutine e prese in giro da parte dei colleghi.

Lo sentì ancora prima di vederlo e il suo cuore fece un salto.
"Quanto mi è mancato questo odore di sangue e casa", proclamò Castle ai quattro venti, eccessivo come al solito, mettendo piede fuori dall'ascensore. Lei alzò la testa e il suo viso si aprì istantaneamente in un sorriso, mostrando apertamente la gioia inaspettata di rivederlo, prima di ricomporsi e tornare seria. Era sicura che nessuno a parte lui lo aveva notato. Notava tutto di lei, era insieme inquietante e gratificante.
Lo vide venire nella sua direzione, dopo aver salutato tutti gli altri.
"Ehi, Beckett, qualche caso bizzarro dei tuoi?", le chiese con tono indifferente a beneficio di chi li stava ascoltando, ma rivolgendole uno sguardo così intenso da farla rimescolare.
"Buongiorno a te, Castle. Non dovevi tornare domani?", si informò fingendosi molto occupata a fare altro e dandogli solo una breve occhiata che bastò a emozionarla.
"Mi sono liberato prima e sono riuscito a prendere un volo questa mattina presto, non ho fatto in tempo ad avvisarti. Avvisarvi", si corresse, guardandosi in giro. "Ho quindi pensato di passare di qui per mettere a disposizione il mio brillante acume...", concluse alzando la voce.
"Molto gentile da parte tua. Dì la verità, hai anticipato la partenza solo perché ti mancavamo noi e gli omicidi", lo prese in giro. Era necessario farlo, per non destare sospetti. Tutto doveva essere uguale a prima, sarcasmo e canzonature compresi.
Lui non rispose e questo la indusse a bloccarsi con un foglio in mano per alzare gli occhi su di lui e capire l'origine di quell'insolito silenzio.
"Beh... tecnicamente, sì, è perché mi mancavi tu", le sussurrò a bassa voce, per non farsi sentire da nessuno, prendendo posto sulla sua sedia e sporgendosi verso di lei.
Gli lanciò uno sguardo di muto rimprovero e tornò ostentatamente a fare il suo lavoro, anche se sapeva che lui stava sorridendo e, da qualche parte, non riusciva a smettere di sorridere neanche lei.

"Allora, detective, che cosa abbiamo? Spero che sia qualcosa di interessante, mi sono già annoiato abbastanza negli ultimi giorni...", le fece l'occhiolino.
Lei si voltò per illustrargli il caso alla lavagna, concentrata a dargli tutti i dettagli possibili e amando quel momento speciale in cui le loro menti, così diverse e all'apparenza incompatibili, si connettevano e, d'improvviso, tutti gli elementi che sembravano slegati e insensati, si univano a formare un quadro di senso compiuto.
"Sicuri che non c'entri la CIA?", chiese Castle dopo qualche minuto di silenzio assorto, in cui aveva analizzato attentamente tutti i dati man mano che venivano in suo possesso.
Forse questo non era proprio il tipo di connessione che aveva in mente lei.
"Avevo dimenticato quanto ci è di aiuto il tuo inarrivabile intuito".
"Ehi, sono appena arrivato. E vedrai che prima o poi la CIA farà un passo falso e io sarò lì pronto a... che cosa c'è Beckett? Stai bene?", si informò preoccupato.
D'un tratto una forte nausea arrivata da chissà dove le aveva fatto fare una smorfia, che a Castle non era sfuggita. Qualche volta avrebbe preferito che fosse un uomo meno attento, soprattutto nei suoi confronti.
"Non è niente. Ho solo lo stomaco sottosopra e sono un po' stanca. Deve essere qualcosa che ho mangiato ieri. O forse è influenza", lo mise al corrente senza dar troppo peso alla cosa.
"Che cosa hai mangiato? Ed è estate, non può essere influenza". Si era allarmato, lo capiva dal tono.
"Non lo so esattamente, ieri sera abbiamo lavorato fino a tardi e abbiamo ordinato cibo d'asporto. Io sono arrivata tardi e ho mangiato quello che era rimasto".
"E stai male solo adesso? Mi sembra tardi perché possa trattarsi di intossicazione alimentare, non credi?"
Ci mancava solo tutta quella premura non necessaria. Lui, poi, non era un medico, che cosa ne sapeva?
"Mi stai facendo il terzo grado? In ogni caso non c'è da preoccuparsi, mi è già passato. Quando finalmente riuscirò a dormire un numero di ore decente in buona compagnia, mi riprenderò completamente", concluse abbassando la voce di un'ottava e lanciandogli un'occhiata provocante.
"E io che avevo in mente folli festeggiamenti notturni e, invece, mi toccherà prepararti un brodo di pollo e metterti a letto per le nove", riprese, per nulla dispiaciuto all'idea.
"Mi piacerebbe sentirti cantare la ninnananna, ma temo che anche stasera farò tardi", lo informò un po' rammaricata.
"Questo significa che non ci vediamo?" si allarmò. "Io ho un appuntamento, ma contavo di passare a prenderti, più tardi, e poi fingere di non accompagnarti a casa, fingere di non baciarti e fingere che non stiamo insieme e non dormiamo insieme".
"Hai ragione, anche io avrei molta voglia di fingere di non fare queste cose, ma... sei tu che sei tornato un giorno prima, avresti dovuto avvisarmi. Ho un sacco di lavoro da sbrigare".
Non poteva fare diversamente, se pure a malincuore.
"D'accordo, faremo così", propose Castle dopo qualche riflessione. "Passerò di qui quando avrò finito e starò con te a guardarti riempire le tue scartoffie e poi, se avrai ancora voglia di trascorrere la notte con un uomo molto, molto affascinante, sarò a tua completa disposizione".

Il programma la allettava, ma non era ancora pronta a lasciarlo andare per rivederlo ore più tardi.
"Perché non facciamo un pezzo di strada insieme? Io devo uscire per andare a parlare con una persona", gli propose.
"Ai suoi ordini, detective". Nemmeno il tempo di dirlo che si era già alzato in piedi ed era corso a chiamare l'ascensore.
Non appena le porte si chiusero, Castle ne approfittò per tirarla verso di sé, infilarle le mani nei capelli e baciarla con passione. "Mi sei mancata moltissimo", le disse a fior di labbra.
"Anche tu, Castle", rispose infilandogli una mano sotto la camicia, con il bisogno urgente di sentire la sua pelle dopo giorni di attesa.
"Non avete messo le telecamere in ascensore durante la mia assenza, vero?", si preoccupò lui, mentre le faceva scorrere la lingua sul labbro inferiore, prima di mordicchiarlo.
"No", rispose lei con un mugolio. "Ma dura sempre troppo poco".
Lui si staccò da lei: "Stiamo sempre parlando di ascensori, giusto? Perché finora non ti sei mai lamentata...".
"Castle!", lo rimproverò senza essere credibile, perché le veniva da ridere. Era un uomo impossibile. "Sì, stavo parlando dei quattro piani di ascensore, non era certo una critica alle tue infinite e durevoli capacità amatorie. Non mi permetterei mai", rispose, rassegnata e insieme divertita, di fronte alla sua vanità.
"Ottimo. È sempre meglio chiarire, prima di imbatterci in qualche problema comunicativo", le rispose, rubandole un ultimo bacio, prima che le porte si aprissero, con perfetto tempismo.

   
 
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