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Autore: itsg4ia    22/01/2020    0 recensioni
La vita se ne frega se sei stanco, sudato o se arranchi nel tentativo di starle dietro. Va per i fatti suoi, al punto che se provi ad afferrarla non ci riesci e ti illudi di poter decidere per la tua vita ma è la vita che decide per te. Allora Galatea si guardava bene dal non tirare mai troppo la corda, di stare sempre attenta a quello che faceva per non rischiare il suo già precario equilibrio. Ma non sempre ci riusciva. Thomas invece era l'opposto. Innanzitutto non è il tipo che si nasconde, affronta la vita a testa alta e sguardo fiero, ha sempre la risposta pronta e sembra non interessarsi di nessuno. Non ha paura di mostrare al mondo chi è, perché lui è così e non desidera essere nient'altro: ha potuto vedere le più belle maschere e anche svelarne gli intrighi, ha lottato con coraggio contro la vita e ha imparato che questa é fatta di momenti più tristi che felici e che non si può controllare, ma si può vivere al meglio. E nel modo più intenso possibile. Perché non si può annientare il dolore, ma ci si può convivere. Ciò che conta è provarci.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Camminavano fianco a fianco, diretti verso il bar dove erano stati entrambi insieme per la prima volta: Thomas teneva le mani nascoste nelle tasche del cappotto nero, proteggendosi dal freddo di quella mattina; Galatea con le mani si aggrappava alla sua borsa, come se fosse l'unico appiglio sicuro per non essere portata via dal vento, e affondava il naso nell'enorme sciarpa che l'avvolgeva. Camminava, mantenendo lo sguardo ben attento davanti a sé, mentre Thomas di tanto in tanto rivolgeva lo sguardo verso di lei, al profilo delicato del suo volto, il naso grazioso, la figura così minuta, lì affianco a lui.

"Siamo arrivati." Sussurrò, guardandolo con la coda dell'occhio e affrettandosi ad entrare nel locale.

Una volta entrati, il calore li investì ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Quell'inverno le temperature erano inclementi, molto più rigide degli anni precedenti, tant'è che vi era la possibilità che venisse a nevicare. Presero posto allo stesso tavolino dell'ultima volta, come se quel giorno lei non se ne fosse andata via, all'improvviso, e fosse rimasta lì con lui.
 

"Sapevo che sareste tornati." Li salutò il proprietario. "D'altronde vi siete dimenticati di pagare la scorsa volta."

"Oh, i-o... sono mortificato, signore!" balbettò imbarazzato Thomas, a disagio, non gli era mai capitato di andar via senza pagare!

"Scherzo, ragazzo." Rise l'uomo. "La signorina era molto più importante!" ammiccò complice, rivolgendo un sorriso divertito alla ragazza.

Galatea immediatamente arrossì: chissà cos'aveva pensato quell'uomo di lei...Che figuraccia!

"Io... non so cosa dire." Sussurrò poi, a disagio, torturandosi le mani.

"Non si preoccupi signorina! I problemi di cuore li capisco!" Galatea strabuzzò gli occhi e se possibile arrossì ancora di più.

"Oh no, ha frainteso, noi non stiamo insieme!" precisò, negando con la testa per dare enfasi alle sue parole.

"Certo, certo." La liquidò con un gesto della mano. "Non ti preoccupare ragazzo, le donne sono così: dicono no ma in realtà è sì." Rise, rivolgendosi a Thomas con sguardo comprensivo.

"Allora, vi porto un caffè?" 

 

Avevano bevuto il loro caffè già da un po', chiacchierato con il proprietario del bar, che avevano scoperto chiamarsi Gionata: era un uomo in gamba, dalla battuta sempre pronta, mai invadente; gestiva il locale da solo da quando la moglie era morta due anni prima, e aveva raccontato loro commosso della sua amata, di suo figlio Nicola che lavorava fuori per lavoro e lo veniva a trovare di rado; infine, aveva spettegolato di alcuni clienti del locale, e la mattina sembrò passare in un soffio. Quando Galatea si rese conto dell'orario, era quasi ora di pranzo!, si scoprì di aver passato delle ore così spensierate con Thomas, una persona che fondamentalmente non conosceva, ma che era piombato all'improvviso nella sua quotidianità.
 

"Ma è tardissimo!" esclamò. "Davvero?" chiese preoccupato Thomas. "Non mi sembrava fosse passato così tanto tempo." Mormorò, controllando il telefono ancora nello zaino.

"Avevi qualcosa da fare?" chiese poi.

"Sì, cioè, devo iniziare a lavorare al copione e altre cose... ma va bene così." Ammise.
 

Ed era sincera, Galatea, mentre lo diceva: infatti per la prima volta non si pentiva di aver perso del tempo o di averne sottratto al suo lavoro. Era stata bene, per qualche ora non aveva pensato a nulla, solo a spettegolare sulla clientela del locale e ad ascoltare le chiacchiere di un simpatico vecchietto. E Thomas vide la sincerità nel suo sguardo e sentì un calore avvolgergli il petto. Temeva che si sarebbe arrabbiata e invece... Si convinse di averci visto giusto, la prima volta che l'aveva conosciuta, a pensare che la sua fosse solo una maschera.

E pensò che forse avrebbe potuto osare.

 

"Ti va di uscire insieme?"

"Cosa?" strabuzzò gli occhi Galatea. "Intendi un appuntamento? Io e te?" continuò incerta, presa alla sprovvista.

"Siamo colleghi...io non lo so, non so nulla di te." Ammise sulla difensiva, appoggiando rigida la schiena sulla sedia e le mani a pugno sul tavolino, come a prendere le distanze.

"Sì... potremmo fare qualcosa, andare da qualche parte." Continuò Thomas, meno sicuro di quello che avrebbe voluto sembrare.

"Thomas, io... Non mi sembra il caso, non lo so..." balbettò Galatea a disagio, scorrendo velocemente lo sguardo, ora fuori la grande vetrata, ora fisso sul cliente seduto al bancone, ora il soffitto; imbarazzata, presa dalla necessità di andar via. E si maledì di mettersi sempre nelle situazioni meno opportune.

Thomas, vedendo lo sguardo sfuggente delle ragazza, e l'agitazione che la invadeva a poco a poco, incassò il colpo.

"Non fa niente, è tutto ok." Mise da parte il tutto, come se non avesse importanza, come se l'avesse detto così, preso dal momento, ci aveva provato e aveva fallito. Ecco tutto. E mentre Thomas con aria strafottente assumeva un finto sguardo sicuro di se, tentando di non mostrare il suo orgoglio ferito, Galatea quasi si offese, sentendosi liquidare così. Ma poi si sentì una sciocca, perché lei l'aveva trovato antipatico ancor prima di conoscerlo, e anche dopo averlo conosciuto, e adesso era stata lei la prima a liquidarlo, non lui, che adesso fingeva indifferenza. Bene, meglio così, pensò Galatea.

"Adesso vado." Disse poi, alzandosi e infilandosi il cappotto. "Domani sei a scuola?"

"Sì, perché?"

"Dobbiamo lavorare al copione, sei stato assunto per un motivo." Disse più acida di quello che avrebbe voluto essere. Ma Galatea capì che avrebbe dovuto prendere le distanze fin dall'inizio con Thomas. E invece... Si era fatta fregare, bene! Ma si ripromise che non sarebbe più ricapitato. 

Thomas rimase in silenzio, arrabbiato con lei e con se stesso. Si malediceva di essere stato troppo precipitoso e accusava lei di essere solo una zitella antipatica, colpito dal suo rifiuto, mentre rimaneva in silenzio, imperturbabile. "Non sei l'unica a saper indossare le maschere", pensò, guardandola con sufficienza.
 

Nascosti dietro quelle maschere fittizie, si guardavano con rabbia, con sfida, mentre tutto il resto perse significato. Testardi, i loro sguardi fiammeggianti si fronteggiavano: in tensione, pronti a scattare, come due felini che lottano per ottenere lo stesso territorio. Ma cosa speravano di ottenere loro?

Si guardavano in cagnesco, mentre Galatea finì di sistemarsi e uscì dal locale, posando una banconota sul tavolo e uscendo senza salutare. E Galatea sentì lo sguardo invadente di Thomas seguirla, attraverso la vetrata del locale, fin quando non girò l'angolo per tornarsene finalmente a casa.


 

Quando Galatea sparì, così com'era sua abitudine, Thomas scostò bruscamente la sedia e si diresse verso il bancone. "Cos'ho sbagliato?" si chiese, appoggiandosi al ripieno e stropicciandosi gli occhi. "Quella donna mi farà venire il mal di testa, non la sopporto!" sbottò arrabbiato, muovendosi irrequieto. Maledì il giorno in cui aveva accettato quel lavoro, per di più sottopagato! La professoressa credeva forse lui fosse contento di quell'incarico?

"Va tutto bene?" intervenne Gionata, appoggiandogli la mano sulla spalla con fare paterno.

"No! È una psicopatica quella! Ma che crede, che non vedo l'ora di uscire con lei?" iniziò a dire, preso dalla rabbia. "Non ci sei solo tu!" si lamentava, sotto lo sguardo sorpreso ma divertito di Gionata.

"Senti un po', ma adesso parli anche da solo?" scherzò.

"E tu non prendermi in giro!" abbaiò nervoso Thomas. Si sentiva in trappola, aveva bisogno di aria. E di capire.

"Ora è meglio che vada, scusami. Ci vediamo presto." Promise frettolosamente, salutandolo. E Gionata sorrise, in silenzio, guardandolo andar via, e pensò alla ragazza fuggita via prima di lui e annuì. Sapeva anche lui che si sarebbero rivisti presto.


 

Camminando per le vie di Satorno, Thomas ripensava a quella strana mattinata trascorsa. Aveva passato con Galatea ore piacevoli, perdendo la cognizione del tempo: era stato così bene che le aveva chiesto di rivedersi di nuovo ma lei aveva rifiutato. Non se l'aspettava di certo, Thomas, il suo rifiuto. E si era sentito ferito. Non aveva certo chissà quali pretese, voleva solo conoscerla meglio. E gli era sembrato di essere sulla strada giusta, per questo aveva tentato chiedendole di uscire, deviando dal percorso prestabilito. Forse era stato avventato da parte sua, chiederglielo così, sicuro di una risposta positiva, senza pensare se era quello che voleva anche lei. Evidentemente no, si disse. Altrimenti non lo avrebbe rifiutato in quel modo. E si innervosì di nuovo mentre ripensava al suo sguardo serio e distaccato mentre gli diceva di no, perché erano solo colleghi, niente di più. Ma lui non la voleva mica sposare! Andava tutto bene, stavano chiacchierando amabilmente, ma poi lui aveva rovinato tutto preso dalla smania di saperne di più di lei! Stupido!, maledì se stesso, stringendosi nel cappotto, hai rovinato tutto.


 

Mentre tornava verso casa, Galatea aveva cercato di non pensare a Thomas Helby, alla mattinata passata insieme, al suo invito ad uscire insieme, il suo sguardo risentito quando lei aveva rifiutato; cercò di distrarsi, liberando la mente di ogni pensiero, ma di fronte al volto rivedeva gli occhi lampeggianti di Thomas quando gli aveva detto di no e il suo sguardo freddo come risposta al suo saluto.

"È meglio così, Tea." Sussurrò a se stessa. "Se non fosse per quello stupido del preside Tondi, lui non sarebbe qui! Resisti, finito lo spettacolo andrà via." Si diceva, dandosi forza, cercando dentro sé il coraggio di affrontarlo il giorno dopo.

Maledetto il giorno in cui ti ho incontrato!

Sbuffò spazientita, irrompendo finalmente nella sua casa, liberandosi dei vestiti ufficiali e indossando il suo amato pigiama; si sciolse i capelli, costretti in acconciature ordinate, che si riversarono morbidi lungo la schiena ed eliminò dal suo volto il trucco, spogliandosi a poco a poco di tutte le sue maschere.

Finalmente se stessa, Galatea inviò un messaggio alla sua amica Christie, chiedendole cosa stesse facendo, e prese il suo computer, sistemandosi sul divano. Aprì la pagina bianca di Word e iniziò a scrivere. Poi cancellò. E iniziò a scrivere di nuovo. Poi eliminava tutto, non soddisfatta, e lo riscriveva con le stesse parole. E così via, adeguandosi al flusso dei suoi pensieri. Quando iniziava a scrivere, non esisteva più niente e nessuno. Non esisteva più la bambina dai codini biondi e i genitori assenti; Tea, la ragazzina studiosa e solitaria; Galatea, la donna ambiziosa, né quella disillusa, né la professoressa Mariani, docente premurosa ma esigente. 
 

Fuori era centomila identità diverse ma lì, da sola, rilassata sul suo divano, al sicuro dentro le mura della sua casa, con i capelli ribelli ad incorniciarle il volto giovane, sentiva di non essere più nessuno. Non aveva gambe, braccia, mani, volto, non sentiva più la superficie ruvida del divano sotto di sé, nel il calore del computer sulle sue gambe, non sentiva quel peso all'altezza del cuore che non le lasciava mai tregua; ma sentì quel dolore accompagnarla da sempre affievolirsi, farle meno male, mentre non esistevano più odori, ne colori, non sentiva più caldo, né freddo, non sentiva il suono dei clacson delle automobili fuori dalla finestra, né la sua vicina far baccano com'era suo solito. Tutto quello che era intorno a lei sembrò sparire e si sentì travolgere da una fiamma travolgente, un torpore diffuso ma piacevole: e scriveva, e scriveva, senza sentire il formicolio alle dita, mentre il sole tramontava e la luna si innalzava nel cielo.
 

E si sentiva viva, mentre metteva per iscritto i suoi pensieri, liberandosi delle sue paure, delle sue angosce, mentre il suo corpo man mano l'abbandonava e la sua mente elaborava. Le dita frenetica scorrevano sulla tastiera, e Galatea non guardava neanche i tasti che premeva, tanto che erano un tutt'uno, lei e il suo computer.
 

Scrivere era sempre stata l'unica cosa che la facesse star bene. Fin da piccola scriveva biglietti con lettere incerte e tremolanti e, una volta diventata più grande, aveva iniziato a scrivere storie fantastiche di cavalieri e fate, come quelle che la sua mamma le raccontava prima di andare a dormire. Galatea aveva poi iniziato a scrivere i suoi pensieri più segreti in un diario, che portava sempre con sé e da cui non si separava mai, in cui raccontava dei suoi sogni, delle sue paure, della rabbia di suo padre, delle lacrime di sua madre e in cui abbozzava le sue storie, che prendevano vita da scene di vita quotidiana.
 

Un giorno, quel diario che sarebbe dovuto rimanere segreto, venne letto da tutta la scuola. Da quel momento la sua vita scolastica divenne un incubo: i pettegolezzi che serpeggiavano tra i ragazzi del paese allarmarono insegnanti e genitori che chiamarono gli assistenti sociali, ma il padre di Galatea era un brav'uomo agli occhi dei cittadini di Satorno, e fu così che la faccenda finì presto nel dimenticatoio. D'altronde, Galatea era sempre stata una bambina fantasiosa, che amava raccontare storie, a volte anche terrificanti, perciò nessuno diede più peso a quella storia, se non fosse stato per le prese in giro e gli scherzi dei suoi compagni. O almeno così era stato fino a quel giorno.
 

Riprese contatto con la realtà quando fuori era ormai buio: osservava la pagina una volta bianca, ora intrisa di parole, e si affrettò a salvare il tutto. Si perse ad osservare il riflesso della luna che entrava dalla finestra del salotto, immersa nel silenzio dell'appartamento.

Controllò l'orario sul computer: erano quasi le nove di sera! Affrettandosi a mettere da parte il suo fedele portatile, sentì lo stomaco borbottare. Quel giorno non aveva mangiato niente! Si diresse di tutta fretta in cucina per prepararsi un sandwich, ma il suono improvviso del cellulare cambiò i suoi piani. Chi diavolo era a quell'ora della sera? Non la cercava mai nessuno...

Recuperò allarmata il cellulare, leggendo la schermata che riportava 'numero sconosciuto' e rispose.

"Pronto?"
 

* * * *

Ciao a tutti! Pian piano entriamo nel vivo della storia... che ve ne pare? Oggi vi presento un nuovo personaggio, che rivedrete spesso: Gionata, un simpatico vecchietto che insomma, sa il fatto suo. E poi abbiamo Galatea, sempre la solita! Ma quando capirai che non serve scappare? Lei infondo vorrebbe pure lasciarsi andare, ma non ci riesce... E Thomas, che ha ricevuto un bel due di picche e ci è rimasto parecchio male... poverino! Ma non temete, presto ne vedrete delle belle. Cosa vi aspettate da questi due? Io prevedo scintille! Ahahaha

Ma bando alle ciance! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e di farmi sapere cosa ne pensate... Secondo voi chi sarà il misterioso sconosciuto? Ahaha

A presto!

 

   
 
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