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Autore: Eliot Nightray    23/01/2020    11 recensioni
Nella lista di cose da fare della tiefling non era presente la nota "fare una frittata con le uova di una viverna"
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Era una serata buia, la pioggia batteva con forza sulle finestre. La stamberga di mastro Danet, un vecchio nano dalle spesse rughe, appariva ai viandanti come una luce nel buio. Se avessero prestato più attenzione o si fossero curati un minimo dell’ambiente circostante, avrebbero scoperto in che razza di topaia di erano cacciati. Attorno al grosso camino erano appesi vecchi trofei di caccia del mastro nano, tanto vecchi che iniziavano a perdere pezzi e nella testa di un coboldo aveva preso a vivere un ratto di discrete dimensioni che chi bazzicava la taverna aveva ribattezzato con il nome Ser Lardo. I tavolini erano luridi, le sedie cigolavano e chiunque fosse avvezzo a quella taverna sembrava in linea con l’ambiente.
 
L’unico punto che in qualche modo pareva non appartenere all’ambiente era il tavolo su cui il nano serviva da bere. Era di una bella pietra lucida che Danet si prestava a levigare di tanto in tanto mettendoci tanto olio di gomito che tutte le volte che il nano prendeva a ripulire la grossa lastra, i presenti facevano partire scommesse sul tempo che il poveraccio avrebbe sprecato. Era una specie di reliquia quella dannata lastra e chiunque, almeno gli avvezzi del posto, si tenevano alla larga dal vomitarci sopra o peggio ammazzarci qualcuno. Il vecchio Danet era un tipo tranquillo, i suoi ganci erano fiacchi, ma nessuno avrebbe mai voluto avere a che fare con il suo martello. Un dannato martello da guerra nanico grosso quanto tutto il suo corpo che teneva nascosto nella cantina. Roba vecchia che si era portato dietro una volta raggiunta la superficie. Era stato costretto a tirarlo fuori una sola volta, quando un coboldo si era permesso di sputare sulla grossa lastra del tavolo. La sua testa era uno dei trofei sopra il camino.
 
Il resto della taverna era un territorio neutrale in cui chiunque si poteva prendere la libertà di fare ciò che più era gradito. Era quindi concesso di ammazzare qualcuno a cazzotti, pisciare contro le pareti e svaccarsi sui tavolini accompagnati da una sinfonia di rutti. Una melodia di certo migliore delle note dolenti che il vecchio mandolino del bardo della taverna riusciva ancora a strimpellare. Il povero bastardo era finito in quel posto in modo misterioso, a chiunque avesse chiesto qualcosa aveva raccontato una storia diversa. Una volta aveva detto che un drago lo aveva inseguito fin lì, un’altra che un orco lo aveva lanciato e che era sopravvissuto per miracolo allo scontro. La verità era che l’umano era lì perché non aveva altri posti dove vivere e comunque alla gente del posto non dispiaceva ascoltare un po' di musica, anche se stonata
 
C’era anche da dire che quella taverna era così nascosta nei vicoli bui della città di Kvatch che di certo nessun individuo sano di mente o con un po' di sale in zucca sarebbero entrati inavvertitamente lì dentro. Dovevano essere altri i motivi a spingere qualcuno ad entrare. Vendetta ad esempio. Era il tipico luogo dove cercare dei tagliagole a buon prezzo o un ladro sufficientemente abile da scassinare lo scrigno di una principessa. Il giusto posto dove cercare il capo banda di un gruppetto di criminali con la scorza dura e le tasche piene d’oro.
 
L’essere in questione era una tiefling dalla pelle rosea e le lentiggini violacee.  Asaaranda Adaar, in arte “Dark willow”. Si presentava come un tiefling di bassa statura, circa un metro e sessanta o poco più. Tra i capelli azzurri, corti e riccioluti spuntavano due grosse corna violacee. Aveva un corpo snello ricoperto di un candido colore roseo. chiunque l’avesse guardata non sarebbe rimasto spaventato dalla grossa coda rosea che la tiefling si divertiva a far svolazzare dietro la testa, quanto piuttosto dagli occhi. Due voragini nere, gigantesche al centro dei quali si stagliavano due sfere azzurre, splendenti quanto due gemme. Nonostante la femminilità di quegli occhi e le suntuose ciglia che li adornavano, restavano pur sempre terrificanti. Asaaranda lo sapeva e si divertiva a fissare di quando in quando i nuovi arrivati nella taverna, attendendo che questi lasciassero il loro posto al banco del taverniere, troppo spaventati. Un trucco con il quale si era guadagnata i primi soldi. Puntava qualcuno, lo fissava abbastanza da spaventarlo e poi faceva scivolare la coda alla cintola dei calzoni per sgraffignare il borsello dell’ignaro passante
 
Essere un tiefling non era facile nemmeno in una città grande come quella, lei lo sapeva bene. Le sorelle della chiesa non aveva mai mancato una volta di presentarsi alla porta di casa sua per vomitare sentenze contro i suoi genitori, tiefling anch’essi. Da piccola aveva persino pensato di aver sbagliato qualcosa, perché tutte quelle pietre che le lanciavano addosso dovevano avere un motivo che non fosse legato al suo solo aspetto fisico, questo almeno sperava all’inizio. Dopo un po' comprese che nonostante tutto il suo buon impegno, nessuno si sarebbe spinto oltre le sue corna e la sua coda e che quindi tanto valeva accontentarli. Volevano un essere malvagio dalle tonalità rosee? Questo avrebbero avuto.
 
In dieci anni era riuscita a convincere un numero sufficiente di uomini a considerarla un capo. Le piaceva dettare legge, avere un proprio schema. L’ordine era per lei uno stato naturale delle cose e ci sguazzava come un maiale nel fango. Le piaceva la gerarchia, avere un piano preciso per qualsiasi occasione che dovessero rapire un mulo o sgozzare un piccolo gruppo armato. 
 
Quella sera, Asaaranda se ne stava tutta gongolante nel suo trono personale: un angolo della taverna vicino al camino. Si era creata un suo spazio, tra la finestra ed il focolare. Sedeva quasi sempre da sola, con i piedi poggiati sulla botte che le faceva da tavola a rimuginare sui propri affari assieme al suo compagno. Sarebbe stato difficile per nessuno, a parte per qualche cieco, non notare la grossa ombra dietro la tiefling.
 
Ad accompagnarla nelle sue incursioni notturne o nei suoi pellegrinaggi in città c’era un grosso rettile dai colori appariscenti. Il rettile in questione era una creatura di taglia media dalle fattezze simili ad un camaleonte. Contava una fitta fila di denti aguzzi, tre corna sul capo, una lunga coda avvolticchiatala su sé stessa ed una folta pelliccia violacea attorno al collo. La buffa creatura si divertiva a far imbestialire il povero taverniere lasciando lunghe scie di bava qua e là, come per marchiare il territorio. La tiefling aveva scovato la creatura che ancora era un uovo, verdognolo per di più. Essendo da sempre un’amante delle creature Asaaranda si era precipitata dal druido della città che le offrì ben dieci pezzi d’oro per l’uovo, ma la tiefling aveva preferito tenere per sé l’animale. Quando si era schiuso il rettile si era da subito incuriosito per la somiglianza con la tiefling, corna, coda, un paio di canini bene evidenti che facevano capolino quando Asaaranda sorrideva. Col passare del tempo era accresciuto tanto di dimensioni che chiunque in città di guardava bene dal turbare la tiflieng, temendo che il rettile avrebbe smesso di masticare mele candite per avventarsi sulle loro facce. La banda di criminali sotto Asaaranda aveva ribattezzato il grosso lucertolone con la sola lettera “G” a detta loro era abbastanza efficace e di impatto. La verità era che la tiefling aveva scelto per l’animale un nome fin troppo umano che le scatenava una pioggia di risate. Il vero nome del rettile era infatti Guaffredo, per essere precisi “Guaffredo dalla lunga coda, campione della scaglia e slinguazzatore di mosche”. Un nome alquanto strano, valutando che gli era stato assegnato da una che si divertiva a mettere in fila teste mozzate
 
«Capo» Asaaranda curvò di poco la testa, rigirandosi tra le labbra violacee una pipa accesa «lo abbiamo trovato»
 
A parlare era stato un grosso orco che la tiefling aveva assoldato da anni. Ulruk sgusciò nella taverna facendosi largo tra i presenti, era zuppo d’acqua e pareva star trascinando un grosso sacco di patate. Era scontato che dal piccolo corpo della tiefling non potesse che uscire una voce stridula simile a quella di un topo
 
«Ah!» con fare entusiasta la tiefling si strusciò freneticamente le mani, il grosso rettile dietro di lei spalancò la bocca sputando una palla di muco verdognolo prima di riaddormentarsi. Per un po' la tiefling dondolò i piedi sotto il tavolo, quasi fosse stata una bambina, senza badare alle lamentale del nano che si era già armato di straccio e pazienza
 
Il povero disgraziato che l’orco stava trascinando era un umano di mezza età che Asaaranda aveva assoldato per controllare un carico di pellicce proveniente da nord. L’ umano in questione, che Ulruk aveva ormai ribattezzato “il verme con i baffi”, si era permesso di fare una soffiata ad una banda rivale facendole perdere il carico e la possibilità di indossare una dannata pelliccia d’orso
 
«Io non volevo» Ulruk aveva trascinato l’umano ai suoi piedi ed ora la tiefling stava facendo svolazzare la coda in ogni dove, troppo entusiasta per contenersi
 
«Perché tanta paura?» la tiefling squittì e l’orco si tappò le orecchie, se c’era una cosa che odiava dannatamente del suo superiore era la sua vocina infantile «Ulruk tappati un’altra volta le orecchie e ti ci verso dentro dell’olio bollente» L’orco scostò le mani e tirò un calcio all’uomo curvo davanti ad Asaaranda, non che ne avesse alcun motivo, ma voleva sfogarsi un po' «Insomma raccontaci perché ci hai tradito»
 
«Parla, verme baffuto» l’umano si sforzò di rizzarsi in piedi, ma scivolò malamente sulla pozza di fango ed acqua che lui stesso si era portato appresso
 
«La solita merda, Asaaranda dovrai ripulire tu questo schifo. La tua bestiaccia ha fatto scappare la mia ultima cameriera, ti rendi conto del danno all’immagine del locale?» il povero taverniere sollevò in alto lo straccio, brandendolo come fosse stato un martello.
 
«Perché l’immagine di questa latrina può essere peggiorata?»
 
«Fintanto che la tua biscia continuerà a sputare ovunque la situazione non farà che peggiorare» Le orecchie della tiefling si drizzarono per ascoltare i borbottii del nano e poi tornò alle sue faccende
 
«Quindi» la voce della tiefling trillò sovrastando il malsano borbottio del nano «come mai ci hai tradito?» l’uomo davanti a lei si ripulì la faccia dal fango, nello scivolare aveva sbattuto il naso ed ora stava colando sangue a fiotti. Danet non gliela avrebbe fatta passare liscia tanto facilmente, gliela avrebbe fatta scontare tassando le birre dei suoi uomini. Valutando il quantitativo di birra che il solo Ulruk era capace di ingurgitare, quella punizione le sarebbe costata un capitale
 
«Avevano preso in ostaggio mia figlia» la bocca della tiefling si tirò in un sorrisetto infantile, l’aveva presa per scema. Aveva smesso da tempo di assoldare uomini sposati, fidanzati o con una famiglia in generale. Erano troppo lenti, troppo preoccupati di tornare a casa, troppo ricattabili
 
«Lo so che non hai figli, non sono stupida» l’uomo davanti a lei impallidì, riuscì a notarlo nonostante lo sporco sulle guance «vuoi dire che tua madre era in pericolo o che c’era un cavallo di mezzo? No, perché ho sentito un sacco di storie e potrei darti qualche suggerimento. Almeno sii sincero, volevi guadagnarci qualcosa» Vendendosi alle strette, l’umano mise su una faccia rabbiosa e pestò un piede a terra
 
«Ci saresti dovuta crepare, sottospecie di demonio» Asaaranda si rese conto che aveva dimenticato un punto importante. Aveva detto infatti che sarebbe stata presente all’arrivo del carico, ma il grosso lucertole aveva impiegato fin troppo tempo per uscire dalla stanza e quindi quella mattina si era ritrovata bloccata. Le aveva accidentalmente evitato un agguato, anche se un po' le dispiaceva. Affettare gli umani era sempre stato un passatempo per lei, molto dinamico.
 
Il piccolo criminale roseo gli sorrise un’ultima volta prima di attorcigliare la coda attorno al collo dell’umano. La strinse piano, quasi fosse stata un serpente, dei presenti alla taverna nessuno mosse un dito, l’orco si limitò ad indicare al taverniere l’ennesima macchia che la lucertola si era portata appresso senza badare alla tiefling. L’osso del collo dell’umano emise un suono secco ed Asaaranda lo lasciò andare a terra. Le piaceva guardare il colorito degli occhi di un uomo che moriva, aveva delle interessanti tonalità grigie. Un interesse che svaniva del tutto non appena il povero disgraziato tirava le cuoia
 
«Dovremmo ordinare della birra per festeggiare» l’orco batté la mano sul barile e si accomodò davanti ad Asaaranda usando il cadavere per pulirsi gli stivali. Danet le lanciò un’occhiata intimidatoria, avrebbe sicuramente rincarato sul prezzo della birra questo era poco ma sicuro
 
«D’accordo, ma solo una. Anche se non vedo cosa ci sia da festeggiare, io non posso avere la mia pelliccia»
 
«Possiamo sempre spellare l’umano»
 
«Ne ricaveremmo soltanto una faretra, scadente e puzzolente»
  
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