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Autore: FairyCleo    24/01/2020    2 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come sei veramente
 
Aveva fatto finta di niente, dopo quell’episodio, cercando di far sì che le loro umili vite continuassero senza scalpore alcuno. Doveva essere prudente. Se lo era ripetuto sin dall’istante in cui le cose erano precipitate, ma mai come allora aveva avuto paura.
Le difficoltà che avevano dovuto affrontare erano state innumerevoli: tante volte aveva pensato di essere giunto al capolinea o, peggio ancora, di gettare la spugna, ma alla fine non l’aveva mai fatto. C’era troppo, in ballo, e non poteva perdere gli unici tesori che gli fossero rimasti.
Da quella fatidica sera, a ogni modo, Vegeta non li aveva più visti litigare. A dire il vero, non li aveva visti neanche più rivolgersi la parola. I due bambini si comportavano come degli estranei, e se qualcuno che li aveva conosciuti in precedenza li avesse visti in quel preciso istante, non avrebbe mai potuto neanche lontanamente pensare che non fossero più uniti come due fratelli.
Trunks era così scostante e adirato con Goten da aver deciso di non dormire più accanto a lui. Testardo come un mulo e noncurante del gelo, aveva letteralmente requisito una vecchia coperta, un cuscino sgualcito che tenevano sulla sedia di paglia che stava davanti al camino e aveva cominciato a dormire sul pavimento, sistemandosi come un bruco nel suo bozzolo. Vegeta aveva provato a dirgli qualcosa, a farlo riflettere, aveva persino provato a imporgli di dormire nel letto perché si sarebbe ammalato e perché quello che stava facendo era veramente stupido, ma alla fine aveva desistito, lasciando che suo figlio facesse ciò che aveva deciso.
“Non puoi costringermi a dormire dove vuoi tu, papà. Almeno questo, non puoi costringermi a farlo”.
Se gli avessero chiesto qual era, secondo lui, il momento esatto in cui aveva fallito come genitore, Vegeta avrebbe sicuramente indicato quello in cui suo figlio gli aveva rivolto quelle parole così taglienti e dure.
Non era più stato in grado di addormentarsi immediatamente, la sera, dopo quello che era accaduto.
Tornare a casa sfinito e dolorante non era più sufficiente a conciliare il sonno, arrivati a quel punto.
Suo figlio era perduto? Forse sì. E non era stato capace di accorgersene prima. Il ragazzino spensierato e allegro che prendeva la vita alla leggera non esisteva più da un pezzo, ormai, ma Vegeta, prima che accadesse quello spiacevole episodio, si era rifiutato di vedere come stessero realmente le cose.
Ma come si potrebbe biasimarlo? Aveva fatto del suo meglio per cercare di far vivere a quelle due pesti una vita il più possibile normale, dandogli un tetto, delle regole, iscrivendoli a scuola, lavorando e portando il pane a casa con fatica, cercando di fargli pesare il meno possibile quella nuova e difficile condizione, quella nuova sistemazione così assurda e inimmaginabile, ed era proprio certo di esserci riuscito. Era certo che i bambini si fossero adattati, e che quel loro inspiegabile rapporto fraterno avesse reso le cose più semplici e accettabili.
Invece, si era sbagliato di grosso. Il principe dei saiyan, così preso a far funzionare le cose, così oberato di lavoro, di faccende umane, aveva smesso di ascoltare, di vedere, di sentire, aveva smesso, paradossalmente, di esse umano, rintanandosi in un mondo fatto di problemi da adulti sfruttati e infelici, tagliando fuori le uniche persone che gli erano rimaste accanto, le persone che componevano quella bizzarra, anomala famiglia.
Quando era successo? Quando era capitato che quei due marmocchi iniziassero a disprezzarsi?
A essere precisi, tuttavia, era stato Trunks a esprimere sentimenti di avversione verso Goten. Il modo in cui lo guardava, con gli occhi che sembravano incupirsi dall’odio, era quasi impossibile da associate a un bambino come suo figlio.
Gli ricordava il se stesso di un tempo, e continuava a riportarlo a quando aveva odiato con ogni singola fibra del suo corpo il suo antagonista principale, il suo unico vero nemico, la ragione della sua vergogna, l’unico che mai lo avesse veramente umiliato. Era paradossale sapere che questo individuo fosse proprio il padre biologico di Goten. L’odio che aveva provato verso di lui, verso Kaharot, era… Naturale. Sì, per uno come lui, per il guerriero spietato che era stato, per l’orgoglio che gli aveva fatto gonfiare il petto come un pollo nell’aia, quei sentimenti erano la naturale conseguenza all’affronto che una misera terza classe aveva osato perpetrare ai suoi danni.
Ma su Trunks… Su Trunks, l’ombra di quel sentimento che incupiva il suo sguardo lo rendeva… Brutto. E si era chiesto, Vegeta, se anche lui fosse stato così brutto, all’epoca, quando nella sua vita c’era spazio per sciocchezze come l’odio o l’invidia dettata dalla consapevolezza di non essere più il primo. Di che cosa volesse essere il primo, poi, neanche se lo ricordava più, ormai.
Ricordava distintamente due cose, invece, al mattino, quando apriva gli occhi stanchi e cerchiati di nero a causa dell’insonnia, e le portava con sé per tutto il giorno, per quello successivo, per quello dopo ancora, e via discorrendo… Quando lavorava la terra, quando chiudeva i sacchi, quando si feriva le mani, Vegeta non solo viveva con il ricordo di quei fantasmi, ma li aveva fissi davanti a sé, come se fossero stati lì presenti, e a nulla valevano i tentativi di soffocarli, anche solo per cinque minuti, anche solo per prendersi il tempo necessario per respirare e provare a sopravvivere ancora un giorno. Nessun pensiero positivo avrebbe potuto scacciarli via. Nessun tentativo di rivalsa.
Loro erano lì, i fantasmi, e lo avrebbero accompagnato finché non fosse riuscito a trovare una soluzione.
Per quanto ancora avrebbe dovuto vedere l’odio negli occhi di suo figlio e le lacrime in quelli di Goten?
Temeva che non avrebbe mai ottenuto una risposta.

Ieri…

Continuava a parlare come se fosse tutto normale. Continuava a ridere, a incalzare una sillaba dietro l’altra come se il tempo non fosse mai passato, come se fossero stati ancora lì, su quella montagna, in compagnia degli altri, in attesa della prossima mossa di Cell, come se non si fosse mai teletrasportato sul pianeta di re Kaioh con quel mostro rivoltante in procinto di esplodere, come se non fosse mai saltato in aria, come se non fosse mai andato via.
Era lì, Goku, ma non era lì per davvero. Nonostante respirasse come qualunque essere vivente, nonostante il suo cuore battesse, l’aureola che portava sul capo dichiarava costantemente la sua non appartenenza al mondo dei vivi. Quando sarebbe tornato indietro? Quando avrebbe raggiunto il Paradiso, lasciando i suoi cari nella desolazione dell’Inferno in Terra?
Forse tra un minuto, forse tra un mese, forse il giorno dopo, perché il mai, in quella circostanza, non poteva essere contemplato.
Stava di fatto che lui non apparteneva più a quel mondo e qualsiasi cosa facesse era una cosa contro natura. Mai come allora, Vegeta avrebbe voluto vederlo sparire. Eppure, glielo aveva detto! Aveva detto a quelle due donne scellerate che la sua presenza avrebbe potuto generare confusione, dolore e tormento! Perché non avevano voluto ascoltarlo? Perché?
“Allora? Che mi mostrerai, di nuovo, Vegeta?”.
Continuava a sorridergli, quella sottospecie di debosciato. Ma il suo era un sorriso nervoso, non del tutto sincero.
“Che hai in mente, Kaharot? Che cosa vuoi da me?”.
“Bene” – era intervenuta Bulma, interrompendo il monologo di Goku – “Io vi lascio soli… Se avete bisogno di me, sono in laboratorio… Devo mettere a punto una macchina, sapete… Le consegne… Il lavoro… ADDIO”.
Era sgattaiolata via farfugliando il resto della frase, agendo da codarda nei riguardi dell’uomo che amava e anche nei confronti di quello a cui voleva più bene al mondo. Cielo, non avrebbe retto un altro minuto, davanti a quella porta, schiacciata da un lato dallo sguardo accusatorio di suo marito e dall’altro da quello ingenuo e imbarazzato del suo migliore amico.
E poi aveva fatto di peggio, perché dopo essersi nascosta dietro l’angolo, nel corridoio, e aver lasciato che il suo cuore in tumulto si calmasse, si era collegata con il suo smartphone alla stanza, facendo una cosa che si era ripromessa di non fare mai più in vita sua: spiare Vegeta.
“Sei una vigliacca, Bulma Brief… Una vera vigliacca!”.
Rimproverarsi non avrebbe comunque fatto sì che Bulma cambiasse idea. Ormai, la turchina si era recata nel suo laboratorio, si era chiusa dentro a chiave, aveva indossato i suoi microscopici auricolari wireless e si era messa comoda davanti allo schermo del suo telefono di ultimissima generazione, attenta a non perdersi neanche un istante del discorso che stava per avere luogo lì, nella Gravity Room.
“Mi raccomando, Vegeta, non essere troppo duro con Goku… E mi raccomando, Goku… tu non fare l’idiota”.
Sapeva perfettamente che quelle raccomandazioni, anche se fossero state pronunciate, non sarebbero servite a niente. Chissà se ripetendole dentro la sua testa, come un mantra, sarebbero giunte a una qualche divinità che li osservava silenziosamente dall’alto.
“Oh, re Kaioh… Vorrei che le cose si risolvessero, per una volta… Per Gohan, per Goten, per Chichi… E anche per Vegeta”.

 
*

Il principe di tutti i saiyan aveva continuato a squadrarlo dall’alto al basso, rimanendo nel più totale silenzio.
“Cavolo, Vegeta, perché devi guardarmi così? Mi fai sentire così… Così…”.
“Sarebbe opportuno che tu dicessi qualcosa, adesso”.
Lo aveva colto di sorpresa, soprattutto perché aveva cominciato a parlare mentre si era girato di nuovo verso la consolle su cui aveva adagiato i robottini, continuando a digitare sulle tastierine interne le sequenze di combattimento che aveva deciso per il prossimo allenamento dei bambini.
Però – tanto per cambiare – Vegeta aveva ragione: avrebbe dovuto dire qualcosa. E qualcosa di sbrigativo e sensato, possibilmente, non una sciocchezza delle sue.
“Urca che nervosismo… Perché devi essere sempre così rude, Vegeta?”.
“Tsk! Ti muovi o no? Non ho tutta l’eternità, davanti, a differenza tua”.
Touché. Ed erano solo al primo round. Ne sarebbe uscito vivo? Forse, sì, forse no. Se fosse sopravvissuto, ciò sarebbe avvenuto solo per il bene di Goten.
“Che cosa stai facendo?” – aveva detto, avvicinandosi a lui con circospezione. Era chiaro che stesse armeggiando con dei robot, ma perché?
“Tsk. Preparo l’allenamento per i ragazzi”.
I ragazzi. Non si era rivolto a Trunks chiamandolo mio figlio e a Goten con l’appellativo di tuo figlio, ma aveva chiamato entrambi i ragazzi, e non c’era stato bisogno che sottolineasse che fossero suoi, per farglielo capire. Era veramente strano sentirlo dire da lui, così attento alle differenze di classe, così predisposto a diversificare titoli e ruoli.
Ora che lo guardava bene, Vegeta era così… Così diverso. Era pacato, alla fine dei conti, estremamente controllato. Il suo sguardo sembrava meno accigliato del solito nonostante la sua presenza. Cosa poteva essere successo di così straordinario da determinare quel cambiamento così radicale? Lo avvertiva nel profondo della sua aura, oltre che dal suo comportamento. Questo, nonostante Vegeta stesse cercando di celarla, di trattenerla. Per Goku, quella era una novità assoluta. Il principe dei saiyan aveva sempre cercato di mostrarsi per quello che era, non aveva mai nascosto la sua forza o la sua natura. Eppure, se ne stava lì, seduto su uno sgabello girevole, a trafficare con dei marchingegni che servivano per far diventare più forti i loro figli, due bambini che si volevano bene come due fratelli, che stavano crescendo insieme come guerrieri e come persone, un po’ come era successo a lui e a Crilin tanto tempo fa, forse in un’altra vita, alla fine dei conti. Ma perché, poi, uno come Vegeta stava usando dei robot per allenare i bambini? Perché non stava provvedendo lui stesso a mostrare come usare il proprio Ki e le proprie abilità?
“Mi stai alitando addosso, Kaharot. E mi stai irritando”.
Poteva vedere la vena sulla sua fronte pulsare. La giugulare del principe sembrava fosse sul punto di esplodere, a dispetto della calma che palesava. Se lui fosse stato un vampiro, Vegeta sarebbe stato una preda perfetta, un pasto molto invitante. Ma Goku non era un vampiro: Goku era un saiyan (morto) cresciuto sulla Terra, un saiyan che aveva mantenuto il suo corpo anche nell’Aldilà e che aveva ottenuto un permesso speciale per trascorrere un po’ di tempo sul pianeta che gli aveva fatto da casa in modo da stare accanto ai suoi cari e che, adesso, stava cercando di comunicare con l’unico saiyan purosangue rimasto ancora in vita per capire come comportarsi con il suo secondogenito. Niente di anormale, no?
“Urca… Scusami…”.
“Tsk. Sei irritante anche da morto, Kaharot. Che diavolo vuoi?”.
Ancora quel tono così sprezzante. Continuava a odiarlo dopo tutti quegli anni? Allora non era davvero cambiato così tanto, Vegeta.
“Ecco… Sì, insomma… Vorrei parlarti di Goten”.
Le spalle di Vegeta avevano fatto come uno scatto e il suo volto sembrava essersi scurito.
“Mpf” – si era limitato a bofonchiare, evitando lo sguardo di Goku e continuando a inserire codici apparentemente incomprensibili in quei mini-computer.
“È fantastico… È un bambino ubbidiente e molto educato… Ma è sempre così… Così scontroso… Ed è distante. Sembra quasi che la mia presenza gli dia fastidio…”.
“Sembra, razza di cretino?”.
Si era morso la lingua quasi a sangue pur di non dire niente. Non voleva mostrarsi interessato. Non voleva che Goku sapesse quello che avrebbe voluto dirgli veramente, perché lo avrebbe fatto tornare di corsa nel suo fantastico Paradiso con la coda tra le gambe, e anche se questo gli avrebbe generato un piacere infinito, sapeva che non sarebbe stato compito suo.
“E poi, parla sempre di te e… Bè, mi sono convinto che vorrebbe che ti somigliassi, Vegeta!”.
Lo aveva detto con una tale spontaneità da non essersi neppure reso conto che la sua lingua aveva galoppato molto più velocemente del suo cervello.
A quel punto, gli occhi di Vegeta, due pozze nere di sentimenti indecifrabili, si erano incatenati a quelli di Goku, facendolo sentire violato, quasi, di certo, indagato sin dentro l’anima.
Non aveva retto. Senza rendersene conto, si era girato dall’altra parte, incapace di affrontare ancora quelle ossidiane. Forse, era quello lo sguardo del monarca, del principe condottiero che ammoniva un soldato macchiatosi di insubordinazione. E, in effetti, lo erano. Ma erano anche quelli di un padre ferito. Solo che Goku non lo aveva capito.
“A volte parlo troppo” – aveva ammesso, guardando imbarazzato le punte dei suoi piedi.
“Forse”.
Ancora silenzio. Cielo, le cose non dovevano andare in quel modo. Affatto.
“Porca miseria, Goku. Che caspita ti aspettavi?”.
A quanto sembrava, anche Vegeta, a volte, parlava senza pensare.
Lo aveva spiazzato. Il principe aveva sollevato il capo di scatto, poggiando con forza entrambe le mani sul tavolo di lavoro, facendo cadere a terra tutto quello che c’era sopra. Il lavoro di un intero pomeriggio, forse, era andato in frantumi, proprio come la sua pazienza. Era evidente che avesse preso Goku alla sprovvista. Il suo sguardo stupefatto diceva tutto, anche troppo, ma ormai l’argine si era rotto, e un fiume in piena stava per investire il saiyan più giovane.
“Davvero credevate che le cose sarebbero andate come avevate pensato? Davvero pensavate che Goten ti sarebbe saltato al collo chiamandoti papà? Bè, dovete essere dei perfetti idioti per aver pensato una cazzata simile! E io sono stato più idiota di voi a non aver fatto niente per impedirvelo!”.
“Vegeta… Dai…”.
“Dai un bel niente, razza di cretino!” – gli si era parato davanti, afferrandolo per il bavero e tirandolo così vicino a sé da avergli permesso di sentire l’odore della mentina che aveva mangiato poco prima, di vedere le piccole rughe formatesi attorno agli angoli della bocca e degli occhi. Ed erano proprio gli occhi a essere cambiati repentinamente, a essersi accessi in più punti di azzurro, mentre un altro argine, più radicato e profondo, faticava a stare in piedi, faticava a proteggere quella parte di sé che non voleva più mostrare, quella parte di sé che aveva tenuto sepolta tanto a lungo.
“Ca-calmati…”.
“Mi calmerò quando questa farsa sarà finita” – aveva detto – “Non puoi giocare con le persone, Kaharot. Non puoi andare e venire a tuo piacimento! Non puoi fare le visite di cortesia, le vacanze sulla Terra, e poi pensare di andare via come se niente fosse!”.
“Ma… Io… Io…”.
“Hai mai chiesto di Goten a re Kaioh, Kaharot? Hai mai chiesto al tuo mentore se la tua famiglia stava bene? Se avevano freddo, fame, se erano in pericolo? Ti sei mai chiesto se i tuoi figli se la stessero cavando? Hai mai chiesto se Bulma fosse ancora viva? RISPONDI!”.
Ma lui non aveva risposto. Goku era rimasto in silenzio, attonito, incapace di proferire parola, di tentare di giustificarsi, di provare a spiegarsi.
“Tsk! Per l’appunto!” – aveva tuonato, stringendo ancora più forte quella dannata stoffa arancione, quel simbolo di odio e disprezzo estremi – “Tu non sai cosa significhi essere padre. TU NON SAI COSA SIGNIFCHI ESSERE UMANO”.
E, per la prima volta da quando lo aveva incontrato, Vegeta aveva creduto di aver visto gli occhi del suo rivale diventare lucidi.
Prendendo un lungo respiro, il principe dei saiyan si era placato, lasciando che il suo respiro e il colore dei suoi occhi tornassero alla normalità.
“Torna ai tuoi allenamenti, Kaharot. Torna alle tue sfide, ai tuoi maestri, ai tuoi guerrieri. La Terra non è più la tua casa… Quella non è più la tua famiglia. E Goten non sarà mai davvero tuo figlio. Sono cambiate troppe cose da quando sei andato via, e tu non ti sei mai preoccupato di conoscerle. Altrimenti, non saresti venuto qui. Tornatene da dove sei venuto, e restaci”.
Avanzando come un zombie, con la coda tra le gambe e l’orgoglio ferito, Goku si era diretto verso la porta, incapace di aggiungere altro. Aveva sbagliato tutto, tutto. Aveva commesso un errore dietro l’altro, aveva frainteso ogni cosa. E cosa poteva fare, adesso, Goku? Cosa?
“Su una cosa avevi ragione” – lo aveva intercettato Vegeta, evidentemente ancora non pienamente soddisfatto di quello che aveva vomitato addosso alla sua nemesi. Goku si era fermato ma non aveva osato girarsi nella sua direzione. I due saiyan se ne stavano così, schiena a schiena, ma non per difendere le spalle l’uno dell’altro – “Stiamo meglio senza di te”.
Forse, aveva ragione. Stavano meglio senza di lui.

Continua…


Ciao ragazze/i!
Voi non avete la benché minima idea della settimana d’inferno che ho appena trascorso. Sono stata a letto tutto il tempo per colpa dell’influenza. Assurdo! Non mi era mai capitata una cosa del genere, prima!
Orbene, tutto questo tempo trascorso a deprimermi mi ha dato modo di continuare a ragionare su questo mio scritto, ed ecco qui il nuovo capitolo, pronto per voi che, ancora, siete in attesa di sapere come diamine sono finiti in questo posto tormentato a cui voi stessi avete dato un nome.
Però, in questo caso, mi concentrerei di più sul passato, nello specifico su Goku e Vegeta. Che cosa si aspettava, il primo? Veramente pensava che Vegeta avesse elargito perle e consigli? È veramente così idiota?
Ai posteri l’ardua sentenza!
A presto!
Un bacino
Cleo
 Ps: ovviamente, il titolo del capitolo è ispirato al brano di Giovanni Allevi!
   
 
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