Anime & Manga > D.Gray Man
Ricorda la storia  |      
Autore: My Pride    04/08/2009    11 recensioni
Ricordalo, tu sei un Akuma Maledetto. Un servitore del Conte del Millennio. E, allo stesso tempo, il mio schiavo... per l’eternità
Un rauco sussurro nella notte che imperversava sul mondo.
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Tyki Mikk | Coppie: Tyki/Allen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nightmare [Shadow of the moon] Titolo: Nightmare [ Shadow of the Moon ]
Autore: My Pride
Fandom: D.Gray Man

Tipologia: One-shot
Genere: Generale, Malinconico, Sovrannaturale
Characters: Allen Walker, Tyki Mikk
Pairing: Tyki/Allen [ Poker Pair ]
Rating: Giallo / Arancione
Avvertimenti: Vagamente nonsense, Shounen ai, Spoiler!, What if?
Prompt: 2° Argomento: Opposti Oscurità


D. GRAY MAN© 2004Katsura Hoshiro. All Rights Reserved.



Se sono un angelo
non dipingetemi con le ali nere.
- Amadeo, da “Armand il vampiro” -

    L’oscurità mi avvolgeva senza che io potessi diradarla. Era pesante, opprimente. Sembrava strisciare lenta come un serpente infido nel mio animo, mostrandomi volti di persone sconosciute, sussurrarmi all’orecchio parole enigmatiche e spente. Il dolore mi artigliava lo stomaco in una morsa d’acciaio, costringendomi più e più volte a serrare le palpebre nel tentativo di contenerlo. Ma più ci provavo, più esso aumentava. Sempre più pressante, quell’oscurità aveva cominciato a divenir più densa, ovattata e calda come una carezza.
    Un gemito sfuggì dalle mie labbra, sebbene non capissi dove esse si trovassero. Ci misi un po’ per riprendere il pieno possesso del mio corpo. E quando lo feci, credetti di morire. Aprendo gli occhi, ciò che vidi fu l’Omega che mi trafiggeva. Li spalancai maggiormente, sentendo la calda consistenza del sangue scorrere via a fiotti dalla bocca e dal punto leso. L’odore di ruggine fu così forte da farmi venire un capogiro. Intorno a me l’oscurità sembrava essersi attenuata, mostrandomi a poco a poco le forme d’una città in declino, distrutta da una qualche catastrofe. Null’altro c’era, se non morte e solitudine.
    Provai a parlare per chiedere aiuto, ma dalle mia labbra non uscì alcun suono. Solo altro sangue. Preso dal panico, feci saettare gli occhi ovunque, vedendo da ogni parte lo stesso identico scenario triste e pietoso. Fui scosso da un conato di vomito e richiusi gli occhi, tremando. Tutto ciò che ricordavo era il volto di Kanda prima che distruggessimo quell’Akuma. Poi, soltanto un enorme vuoto sconquassato di dolore.
    Pian piano un piacevole calore si stava facendo sempre più strada nel mio corpo, e lasciai che i miei occhi stanchi trovassero il loro riposo in quel mondo fatto nuovamente d’ombre. Quasi non sentivo più dolore. Quasi non sentivo più sconforto. Tutto era divenuto più semplice mentre mi avvicinavo pian piano al mio destino. Mentre mi avvicinavo alla morte che ben presto mi avrebbe accolto.
    “Allen”.
    Un semplice richiamo. La voce di qualcuno che proveniva da molto lontano. Con lentezza estenuante riaprii gli occhi, cercando quel qualcuno con la vista ormai debole. Non vedevo nessuno, proprio come pochi attimi prima.
    “Allen
    Eppure quella voce continuava a chiamarmi. A cercarmi. Provai a voltare di poco la testa, ignorando la fitta di dolore che subito mi trafisse. Un odore un po’ più denso del sangue mi giunse pian piano alle narici, facendo spostare la mia attenzione in un punto lontano oltre le macerie. Sembrava... cerone. Come quello che veniva usato dai Pierrot. Non capii esattamente da dove arrivasse, ma continuai a cercarlo come se fosse l’unica cosa che mi permettesse di non impazzire in quel mondo bianco e nero tinto di sangue.
    “Allen”.
    La voce si faceva sempre più vicina. E anche quell’odore molto più pesante. Mi ritrovai a poggiare una mano insanguinata sulla lama dell’alabarda, boccheggiando. Non avevo quasi più fiato per respirare. La vista scemava a poco a poco nonostante avessi gli occhi socchiusi. Inspirai a fondo quel profumo, lasciando che fosse il mio olfatto a guidarmi, e infine eccolo lì, stagliato contro il bianco del cielo. La figura che con insistenza mi chiamava, quel solito sorriso dipinto in volto.
    “Allen”.
    Il viso truccato esprimeva gioia. Gli occhi dagli angoli allungati sembravano divertiti. Allungò una mano verso di me con un gesto aggraziato, quasi volesse invitarmi a seguirlo. Continuava a sorridere rassicurante, come se non si fosse accorto della spada che mi trafiggeva. Io, però, rimasi stupito nell’osservarlo. Non poteva essere lui. Sentii qualcosa bruciarmi agli angoli degli occhi senza che potessi evitarlo, mentre con lentezza alzavo a mia volta una mano per catturare la sua.
    Fu doloroso, ma mi sforzai anch’io di stirare le labbra in un sorriso.
Era impossibile. Ma era bello. Quello era un sogno travestito da incubo, o forse l’esatto opposto.
    “Mana.



    «Noah». Un rauco sussurro nella notte che imperversava sul mondo. Qualcuno, in lontananza, stava piangendo.
    I contorni sfocati dei palazzi venivano inondati a poco a poco dalla pallida e argentata luce della luna che sorgeva lentamente per gettarsi in cielo.
Guardavo lontano, oltre i tetti di quella città in cui mi trovavo. Sentivo il vento che soffiava carezzarmi con dolcezza i capelli, scompigliandomeli come dita affusolate ed esperte prima di attorcigliarsi qualche ciocca fra le mani fatte d’ombra. Era simile a quel tocco leggero che avevo cominciato ad imparare ormai da parecchio tempo. Lasciavo che quella piacevole brezza autunnale mi sfiorasse il viso e i lunghi fili argentati che componevano la mia chioma, socchiudendo nuovamente gli occhi per nascondere alla vista le fioche luci dei sobborghi. Alla cieca mi sedetti sul cornicione, beandomi di quel piacevole venticello. Il fruscio delle fronde degli alberi che venivano smossi era una piacevole nenia che mi cullava con dolcezza, come se cercasse di farmi nuovamente sprofondare in quel sonno dal quale mi ero da poco risvegliato.
    Rialzai le palpebre puntando lo sguardo verso il manto oscuro del cielo, osservando quel lenzuolo di seta trapunto di stelle.
I raggi della luna mi bagnavano sempre più, creando riflessi strabilianti nei miei capelli che sembravano esser rievocati persino dai miei occhi. Era la sensazione più bella che avessi mai provato. Immerso com’ero in quel torpore, nemmeno davo più peso all’agile figura seduta accanto a me. Si trovava lì dal momento in cui avevo aperto gli occhi, ma non aveva ancora fiatato. Forse, come me, stava godendo di quel paesaggio mozzafiato. Era una cosa assolutamente meravigliosa. Mi sentivo come se non avessi catene, come se non avessi restrizioni. Come se, da un momento all’altro, potessi spiccare un balzo e volare su, verso quel cielo nero fino a toccare con la punta delle dita la pallida luna.
    Mi diedi dello sciocco per il mio stesso pensiero, tornando ad accomodarmi vicino alla figura che pazientemente mi aveva atteso. Quei suoi occhi dorati infine mi osservarono, quasi non mi vedessero da tanto. La sigaretta che di solito gli pendeva dalle labbra stavolta non c’era, ma l’espressione un po’ vuota che il suo volto esprimeva non era scomparsa. Le cicatrici che si intravedevano sul suo corpo grazie al candore della luna che gli illuminava la pelle diafana erano lente a guarire, proprio come le mie. Seguii con lo sguardo il lento movimento d’una delle sue mani, vedendolo avvicinarla al mio volto per ravvivarmi dietro alle orecchie i capelli, scostandomi poi di poco il colletto della camicia che, a differenza sua che era a petto nudo, indossavo.
    «A cosa stai pensando?» mi chiese d’un tratto, continuando ad accarezzarmi la pelle con il tocco delle sue mani esperte, facendole vagare con lentezza estenuante.
    Gliele scansai con un gesto di stizza, volgendo nuovamente lo sguardo al cielo. «A nulla», risposi mio malgrado, sentendolo muoversi brevemente come per provare ad avvicinarsi maggiormente a me. Un gesto aggraziato, il tiepido tocco delle ali d’una farfalla. Portando lo sguardo nuovamente su di lui, lo vidi con entrambe le mani aperte, riverse a coppa come se cercasse di catturare la candida luce della luna che si rifletteva su Tease. Era poggiata lì sulla punta delle dita, immobile come fosse di cristallo e argento.
    «Ah... a nulla», commentò vagamente divertito, agitando appena l’indice per portare la sua farfalla nera al viso e socchiudere gli occhi dorati, come se stesse inspirando il suo odore. Il suo viso era rilassato come non mai, quasi in contrasto con il resto del suo corpo che io stesso avevo precedentemente martoriato. Baciò appena un’ala di Tease, facendola sparire poi nel palmo della sua mano. «Anche il nulla è in grado di possedere qualcosa», disse infine, schiudendo le palpebre per liberare quelle due gemme preziose che erano i suoi occhi ed osservarmi. «Ma gli esseri umani spesso non riescono a comprenderlo».
    Scossi la testa distogliendo da lui lo sguardo, decidendo di concentrare la mia attenzione solo e unicamente a quella luna lontana. «Sono stanco d’ascoltare i tuoi vaneggiamenti», replicai secco, facendogli chiaramente intendere che la conversazione per me era chiusa. Lo vidi solo fare spallucce prima che, imitandomi, portasse a sua volta le iridi su quel pallido astro notturno che riluceva in quel manto di tenebra. Come si era arrivati a quel punto, non lo ricordavo bene nemmeno io. Rammentavo solo vagamente le parole degli altri miei compagni, quelle dei semi-akuma creati dalla Sede Nord America, persino ciò che io stesso avevo pronunziato.

Finché continueremo a camminare verso ciò in cui crediamo, andrà tutto bene...
Quando giungeremo alla fine di tutto questo, sorrideremo tutti
.

    Era ciò che avevo detto e sostenuto con tutto il cuore. Ciò che avevo continuato a ripetermi come se potessi in quel modo convincere più me stesso che i miei compagni.  Allora perché nulla era andato come credevo? Perché mi trovavo lì, insieme al mio nemico, ad assistere all’inizio della fine del mondo? Era questo ciò che non comprendevo e che non riuscivo ad accettare.
    Fu una lieve carezza che mi sfiorò i capelli a riportarmi alla realtà, una carezza così lenta e dolce che fu appena percettibile. Mi voltai con lo sguardo ancora parzialmente offuscato dai miei ricordi, quasi faticando a mettere a fuoco quella figura che con cotanta delicatezza mi aveva toccato. Un sorriso che esprimeva allegria. Capelli sbarazzini d’un colore ramato che danzavano nella brezza notturna.
    «Cosa c’è che non va, Allen?» mi chiese con la sua voce di sempre, lasciando però in questo modo che il sorriso sparisse, quasi sostituito da un ghigno. Allora ritornai in me e scansai per l’ennesima volta quella mano che non aveva rinunciato a carezzarmi, rivolgendogli uno sguardo carico d’odio. Ci guadagnai solo una sua grossa e divertita risata.
    «Ti rendi ancor più detestabile di quanto tu non sia già, così facendo», gli volli tener presente in un moto di stizza e amarezza, serrando una mano sul bordo di quel tetto.

    Riuscii solo a farlo ridere più forte e a farlo distendere all’indietro, con lo sguardo rivolto ancora una volta sulla falce argentata. Parve non prestarmi più attenzione mentre riabbassava le palpebre, lasciando che la mia solitudine tornasse dolorosamente a cullarmi. Quel gelo che investiva il mio cuore s’intensificò, rivestendolo d’acuminate spine che non facevano altro che farlo sanguinare. Sanguinava gocciolando con lentezza e pigrizia dagli angoli smussati della mia anima, scivolando lungo il mio corpo straziato dalla sofferenza come il vino in una coppa. E non potevo far nulla per chiudere quella mia ferita. L’avrei portata fin quando non si sarebbe compiuto il mio destino, per l’eternità.
    «Rimugini ancora, piccolo baro?» mormorò d’un tratto lui, distraendomi. Era ancora nella stessa identica posizione, con l’unica differenza che i suoi occhi dorati erano nuovamente puntati su di me. Sembravano quelli d’un serpente che osservava la sua preda. Freddi e inespressivi, senza la benché minima scintilla di vitalità.
    «Ciò che faccio è solo affar mio», replicai rassettandomi con non curanza le mie vesti, come se in quel modo potessi cercare di distrarmi e illudermi di non essere lì. Ma era solo una soluzione come un’altra per scappare a quella realtà, e lo sapevo troppo bene. Non c’era nessun modo per cambiarla. Nessuno.
    «Non la pensavi così quando sei venuto qui, Allen Walker».
    Quelle sue parole furono capaci d’incendiarmi d’ira, tanto che mi ritrovai ad osservarlo con lo sguardo assottigliato. Scattai verso di lui, alzandolo di peso senza badare alla sua espressione vagamente sorpresa. Gli artigliai la gola con la sinistra, stringendo quasi fino a strangolarlo. Smise di respirare, ma non mosse un dito per provare a farmi allentare la presa né fece una piega. Il suo volto era rimasto inespressivo come suo solito, con quelle cicatrici che lo segnavano e che scendevano anche a circondargli il collo. Gli occhi dorati mi osservavano, immobili e silenti come quelli d’una statua.
    «Ebbene?» mi chiese infine, riuscendo perfettamente a parlare nonostante gli stessi serrando la gola in una morsa impedendogli di respirare regolarmente. Non serviva a nulla quel che stavo facendo. Lo sapevo, lo sapevo... lo sapevo. Ma mi ostinavo comunque a stringere, sempre di più. Volevo vedere la sofferenza dipinta sul suo volto. La stessa sofferenza che aveva fatto provare a me e ai miei compagni. Quello che agiva non ero io. Nay, non potevo essere io.

Ricordalo, tu sei un Akuma Maledetto. Un servitore del Conte del Millennio.
E, allo stesso tempo... il mio schiavo, per l’eternità”.

    Lo lasciai andare immediatamente alle parole che mi riecheggiarono nella mente, ritrovandomi ad indietreggiare con il disgusto dipinto in volto. Guardavo lui, che a sua volta mi osservava con quel viso immoto. Sorrideva velatamente, in un modo che sarebbe voluto apparire in qualche modo sensuale.
    «Presto giungerà la fine». Mosse appena le labbra, rendendo il tono basso e sibillino, quasi un sussurro trasportato via dal vento che si diffuse nel cielo, come un’allarmante nota definitiva sul mondo degli uomini. Quei pozzi dorati continuavano ad osservarmi mentre mi traevo sempre più indietro, con il guizzo d’un qualcosa nelle loro profondità che non riuscii a comprendere. «Ciò che accadrà è scritto». Senza interrompere il contatto dei suoi occhi con i miei, si alzò con un unico movimento fluido e aggraziato, quasi fosse stata la vela d’una nave sospinta dal vento. Pochi passi leggeri e mi fu accanto, afferrandomi delicatamente con entrambe le mani il volto per osservarmi con più attenzione. Avvicinò il viso al mio, dando vita ad un sorriso che fu come l’Inferno.
    «Welcome back ♥».




Questo è soltanto un incubo.
Presto ti sveglierai.


Noah.








Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
  
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: My Pride