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Autore: Kaitei no Ruiji    25/01/2020    0 recensioni
Questa storia parla del viaggio di un personaggio da me inventato attraverso le varie regioni Pokèmon. Si ispira agli eventi dei videogiochi della serie principale ma con elementi dell'anime. Sarà questo nuovo personaggio a vivere le avventure dei vari protagonisti dei giochi pur incontrando questi come personaggi importanti. Potete vederla come un AU.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
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CAPITOLO 1: SISTEMAZIONI


“RUIJI!! Sono qui!” mi grida salutandomi con il braccio. Quello davanti a me è un uomo sulla sessantina, mediamente alto con dei capelli grigi ma con una sfumatura leggermente castana, memoria di un po’ di anni fa. Il volto squadrato mi guarda sorridente. Una polo marrone con jeans blu ed un camice bianco completano il tutto rendendo quel signore l’uomo più famoso del mondo Pokèmon.

“Buongiorno Professor Oak!” lo saluto di rimando guardandolo con ammirazione mista a rispetto.

“Allora, hai fatto un buon volo?” mi chiede.

“Abbastanza, ho dormito tutto il tempo” dico ridendo. Ride anche lui

“Bene! Almeno sei in forze per affrontare il prossimo viaggio!” mi paralizzo. Come un altro? Ho appena trascorso 15 ore in aereo e devo ancora viaggiare? Decido di dare voce ai miei pensieri:

“Ma come? Il suo laboratorio non si trova qui in città?”

“Oh no no no” dice lui senza mai perdere quell’aura di sapienza “Noi ora ci troviamo a Plumbeopoli mentre il mio laboratorio si trova a Biancavilla. Ci vogliono un paio di ore di macchina per raggiungerla”

Cavolo, ci mancava solo questa… vabbè vedrò di parlare il più possibile con il Professore E così è stato. Parlammo per un paio di ore filate. Lui mi chiedeva un po’ di tutto sulla mia vita, per quanto un ragazzino di dodici anni possa raccontare.

Giustamente ora vi starete chiedendo cosa diamine ci faccia un bambino con il più famoso professore Pokèmon al mondo. Vedete circa un anno fa, finita la scuola per allenatori, il mio insegnante mi propose di provare a contattare il prof. Oak in quanto si trovava nella mia regione sia per la pubblicazione di un nuovo libro scientifico, sia per cercare un giovane che decidesse di diventare suo allievo (ovviamente il professore doveva approvare) e così una mattina mi trovai nel salotto del mio maestro con lui ed il prof. Oak, il quale mi chiese molte cose dalle semplici conoscenze di base che avevo acquisito, a quanto sapevo in materia Pokèmon. Raccontandogli tutto lui rimase colpito, si mise in piedi, e mi strinse la mano congratulandosi con me. Aveva approvato a prendermi come apprendista. Andammo subito dai miei genitori ai quali venne esposto il programma.

L’apprendistato sarebbe durato sei anni, al termine dei quali avrei avuto modo di ambire al titolo di Prof Pokèmon, il quale viene riconosciuto solo dopo quattro anni di ricerca. Era ciò che volevo per raggiungere il mio sogno: diventare un Esperto Pokèmon, una persona che non solo viene considerata un allenatore di livello pari a quello dei Campioni ma che possiede una conoscenza totale dei Pokèmon. Le persone ad aver raggiunto quel titolo si contano sulle dita delle mani, anche se il primo fu proprio il prof. Oak. Ho sentito storie che dicevano che quando era giovane, riuscì a diventare Campione della Lega di Kanto ma dopo alcuni anni, smise di lottare per dedicarsi allo studio dei Pokèmon.

La chiaccherata mi ha coinvolse così tanto che non mi resi conto di dove ci trovassimo, finchè il professore non mi disse:

“Eccoci Ruiji, ti presento Biancavilla” quello che si parava davanti a me era un paesaggio incredibilmente diverso da quello a cui ero abituato a casa mia. Il paese dove vivevo io era situato sulle pendici del Monte Corona e vi era davvero poca erba, eccezion fatta per i campi. Questo posto invece era completamente diverso. Dolci collinette ricoperte di erba si alzavano qua e là, rendendo questo posto molto pittoresco. Le case non erano tutte raggruppate, bensì erano sparse, quasi come se ogni famiglia volesse la sua collinetta personale, ma vi erano anche altri edifici. Bambini che giocavano con il loro Pokèmon chiudevano la cornice di questo stupendo quadro che era Biancavilla.

“E questo invece è il mio laboratorio”

Il laboratorio era completamente diverso da come me lo ero immaginato. Cominciamo dicendo che si trovava su una collinetta tutta sua; un muretto alto circa 2 metri cingeva l’intero rilievo e un vialetto di sassi si protendeva dal cancello fino al laboratorio. La struttura era molto particolare: un complesso centrale in mattoni color sabbia con una bassa cupola verde bottiglia mentre ai lati vi erano due torri, alte il doppio del resto dell’edificio, di colore grigio-azzurrine con, anche loro, una piccola cupola del medesimo colore di quella centrale. La metà occidentale della collina era occupata da un boschetto mentre il resto era solo ed esclusivamente erba.

Ma la cosa inaspettata era la miriade di Pokèmon presenti al suo interno. Innumerevoli Butterfree volavano bassi vicino ai fiori mentre un piccolo branco di Rattata correva da una parte all’altra del giardino. Sopra gli alberi vedevo volare dei Pidgey e qualche Pidgeotto, mentre dal bosco uscivano degli Exeggcute. Sembrava un posto magico.

Entrammo nel laboratorio e ne rimasi incantato. Macchinari all’avanguardia per lo studio dei Pokèmon, incubatori per uova ma soprattutto libri. Libri come se non ci fosse un domani. Cavolo questo posto è davvero fantastico. Chissà quanti ne ha scritti il Professore…

Mi fece fare un tour del laboratorio. Vidi la sala ristoro, la biblioteca, la Nursery Pokèmon e molto altro ma la stanza che mi colpì di più fu una particolare. Ci passammo solo di sfuggita ma mi colpì incredibilmente. Sarà stata grande come un’aula di scuola, aveva il pavimento e i muri completamente diversi dagli altri. Dentro vi erano solo qualche libreria, alte appena un metro e mezzo, qualche scrivania con sopra due computer e parecchi fogli sparsi e un tavolo singolo, senza sedie, con sopra una Pokè Ball.

Guardammo le stalle dove i Pokèmon come Tauros potevano riposare nel caso non volessero tronare nella propria Ball e il deposito dove venivano custoditi (dentro la propria sfera) tutti i Pokèmon del laboratorio.

Una volta tornati all’ingresso il professore si girò verso di me dicendo:

“Allora, cosa ne pensi?”

“È tutto stupendo Professore, non vedo l’ora di iniziare!” dissi. Cavolo se ero eccitato, però non mi tornava qualcosa.

“Bene, sono contento che di vedere che stai scoppiando dall’entusiasmo. Ora però devo salutarti, questa sera ho un’intervista per la Radio di Fiordoropoli e devo essere puntuale. Ci vedremo domani qui e-”

“Professore, io dove dovrò dormire? Non mi è sembrato di vedere stanze da letto oltre a quella nei suoi appartamenti” dissi confuso.

“Oh, è vero! Me ne stavo quasi dimenticando. No Ruiji, non dormirai qui nel laboratorio. Per un ragazzo giovane come te sarebbe controproducente non distinguere l’ambiente di riposo da quello lavorativo.”

“Quindi sta dicendo che non dormirò qui?” chiesi. Quindi dove cavolo dormo io?

“Già, ma una signora mia amica ha acconsentito ad accoglierti ed ospitarti per tutto il tempo che starai qui. Tra l’altro credo che la tua presenza qui possa aiutare pure lei” Disse lui facendomi l’occhiolino. Non capivo ma annuii comunque.

“Bene” disse prendendo un foglietto dalla tasca del camice e passandomelo “Qui sopra ti ho scritto come arrivare a casa sua. Si chiama Dalia. Ci vediamo domani mattina qui va bene?” presi con un attimo di dubbio il foglietto che il prof. Oak mi aveva dato e lo guardai. Da una parte c’erano delle indicazioni scritte sulle varie strade da percorrere mentre sul lato opposto vi era un disegno incredibilmente dettagliato del piccolo paese con una freccia che percorreva la strada dal laboratorio fino alla mia destinazione. Lo misi in tasca.

“Va bene, allora a domani professor Oak. La ringrazio ancora per essermi venuto a prendere all’aeroporto” dissi facendo un leggero inchino. Lui mi diede un buffetto sulla spalla dicendo:

“Figurati ragazzo mio, era il minimo. Mica potevo lasciarti alla ricerca di un passaggio fino a qui” e rise. Lo guardai e gli sorrisi. Salutai con la mano, mi girai ed uscii dal laboratorio.

Solo allora mi resi conto di quanto fosse passato il tempo. La chiara luce del giorno aveva lasciato spazio ad una più calda e morbida luce del tramonto la quale donava a tutto il paesino, un’aria ancora più calma ed accogliente. Mi incamminai verso la mia destinazione, distraendomi ogni tanto a guardare il paesaggio e fu in quel momento che la notai. Ad ovest, oltre l’orizzonte, da dietro una fila di montagne ne spuntava fuori una decisamente diversa. Era altissima, l’unica ad essere coperta dalla neve. E non di poco. Ma quanto è alta? Sarà almeno 3000 metri! Quindi deve essere per forza il Monte Argento. Chissà che Pokèmon ci sono lassù. E fu questo pensiero ad accompagnarmi fin davanti ad una casa dall’aspetto incredibilmente comune.

L’esterno era in travi bianche, con qualche finestra qua e là. Un tetto spiovente in tegole rosse completava il tutto. Mi avvicinai alla porta e bussai. Attesi per una trentina di secondi senza che succedesse nulla. Riprovai a bussare ma la mia mano si fermò a mezz’aria quando la porta si aprì.

La donna che mi comparì davanti avrà avuto quasi la stessa età di mia madre, ad occhio tra i 35 ed i 40 anni. Indossava un vestito di una strana tonalità di rosso, sembrava porpora e sopra vi indossava un grembiule da cucina bianco. I capelli, che le arrivavano alle spalle erano lisci ed ondulati, di un nero intensissimo, che con i riflessi della luce diventavano di un blu scuro stranamente bello. Poi guardai il volto. Era strano, spento. Quasi come se avesse perso la felicità. Mi guardò con quello stesso sguardo e mi disse debolmente:

“Si?” sembrava distaccata e distratta, come se fosse persa nei suoi pensieri.

“Salve signora, m-mi chiamo Ruiji e sono l’apprendista del prof. Oak. Mi ha detto che da oggi vivrò qui. È-è lei Dalia?” chiesi un po’ titubante. Quella signora non mi convinceva. Mi guardò con una faccia sorpresa facendo una ‘o’ con la bocca. Poi sembrò guardarmi effettivamente in volto e si scosse.

“Oh caspita, sei già qui! Ed io non ho preparato niente! Ma come faccio ad occuparmi di qualcuno se non lo riconosco nemmeno dopo che me lo hanno descritto. E dire che il professore si era attardato tanto per farmi una tua descrizione. Come sono stata sciocca. Ma come si fa a reagire in questo modo quando qualcuno è alla porta…” e continuò a parlare tra sé e sé come un battitore d’asta, quasi dimentica del fatto che fossi lì con lei. Dopo poco mi schiarii la voce per attirare la sua attenzione.

“Signora Dalia, non sarebbe il caso che entrassi?” chiesi titubante Oh cavolo, ma cos’ha questa? Un attimo prima sembrava depressa ed un attimo dopo pare sul punto di prendersi a schiaffi da sola…

“AH! Giusto giusto giusto! Scusami tanto caro, mi sono persa nei miei pensieri. Prego entra” e mi aprì la porta.

La casa era molto semplice ma di buon gusto. Anche se c’era troppo rosso. Mi tolsi le scarpe e tirai su la valigia per non sporcare il pavimento in legno.

“Allora la tua camera si trova al piano di sopra a sinistra. Mentre preparo da mangiare sistemati le tue cose, metti la valigia nell’armadio che trovi in camera e poi vai a lavarti. Credo che ti serva. Il bagno si trova davanti alle scale.”

Oh già ho proprio bisogno di lavarmi… CAVOLO DEVO CHIAMARE MAMMA. Oh no… è già notte da loro. Vabbè la chiamerò domani.

“Sì, vado.” e mi diressi al piano di sopra. Aprii la porta, accesi la luce e notai che la camera era già arredata. Tutta a tema Pokèmon ed anche qui, il colore dominante era il rosso Ma cos’ha questa signora con il rosso? Non diedi importanza alla faccenda. Mi svestii ed andai in bagno. Piccolo ma dotato di tutto ciò che serviva. Guardai la vasca desideroso ma il buon senso prevalse Se mi faccio ora il bagno, farò tardi a cena ed entrai nella doccia. La sensazione dell’acqua calda sulla pelle mi revitalizzò, sembrava quasi togliermi di dosso la stanchezza di tutte quelle ore di viaggio. Una volta finito, tronai in camera e sistemai le mie cose. Non avevo portato molto, quindi feci in fretta e scesi le scale.

Appena arrivai in salotto la signora Dalia si girò e mi disse:

“Ti stavo per chiamare, è pronto” ed io, con lo stomaco che brontolava a causa della fame, mi diressi di gran fretta al tavolo. All’inizio fu una cena abbastanza silenziosa quando poi

“Allora Ruiji, parlami un po’ di te” mi disse. Sembrava come una persona che cerca di fare qualcosa che non le viene normale. Provava ad essere cordiale ma notavo sempre una certa malinconia nella sua voce. Feci come mi aveva chiesto. Le parlai di me, del come mai avevo scelto di seguire il professore e della mia vita in generale.

“… e tutto per realizzare il mio sogno: diventare il miglior Esperto Pokèmon al mondo!” a quelle parole si rattristò subito, dando uno sguardo fugace a destra.
Spinto dalla curiosità mi voltai anche io e vidi delle foto. Ritraevano tutte probabilmente la stessa persona: un neonato con una Pokè Ball peluche, un bambino dai capelli corvini che correva con un Poliwag, un ragazzo poco più piccolo di me, con una giacca rossa in posa ad una festa. Feci una domanda inopportuna

“Signora Dalia, chi è il bambino nella foto?” lei sobbalzò e si mise la mano alla bocca. Aveva gli occhi lucidi.

“Sai, lui è mio figlio, dovrebbe avere un paio di anni in più di te. È partito per la sua avventura quasi quattro anni fa. Anche lui aveva un sogno come il tuo sai?” Aveva? Perché?

“Signora Dalia tutto bene?” chiesi cercando di capire cosa avesse. Ripensandoci ora ero proprio stupido all’epoca.

“S-si… n-non chiamarmi signora… c-chiamami… solo D-Dalia…”

“Va bene signo-” mi corressi “… Dalia”

Finimmo di mangiare, la aiutai a sparecchiare ma nessuno dei due disse una parola. Dopo un po’ mi alzai dalla sedia e le dissi

“Ora io vado a dormire, domani mattina devo trovarmi al laboratorio quindi è meglio che vada. Buonanotte Dalia” dissi. Lei non si girò nemmeno. Continuava a guardare le foto del figlio.

“S-si… ciao…” mi disse e salii le scale stavo per chiudere la porta quando sentii la porta di casa aprirsi.

“Ciao Dalia, scusa il ritardo ma Pidgeot ha fatto più in fretta possibile”

Qualcuno era entrato dalla porta salutando Dalia come se la conoscesse. La voce non sembrava appartenere a qualcuno di adulto quindi chi era? Scesi le scale il più piano possibile per non farmi sentire e mi sporsi dal muro per sbirciare. La voce apparteneva ad un ragazzo poco più grande di me, aveva i capelli castani quasi arancioni che salivano dritti sulla testa. Indossava una polo nera e dei pantaloni viola. Un marsupio bianco tenuto a tre quarti completava il tutto. Aveva uno sguardo… rassegnato?

“Oh Blu, vieni caro” e lo fece accomodare sul divano davanti a lei. Lo guardò speranzosa, come se stesse cercando nello sguardo del giovane una sicurezza che lui non aveva.

“Allora?” chiese Dalia

Il ragazzo guardò in basso sconsolato e poi fece lievemente cenno di diniego con la testa. Il volto di Dalia si rattristò istantaneamente, era sull’orlo del pianto

“L’ho cercato per tutta Johto e Kanto… non è da nessuna parte. Anche sul Monte Argento, dove Gold dice di averlo visto, non c’è nessuna traccia di lui; eppure gli abitanti dei villaggi limitrofi e le infermiere Joey dei vari Centri Pokèmon della zona dicono di non aver visto nessuno corrispondere alla descrizione. Sembra quasi che si sia volatilizzato… oltretutto i Pokèmon del Monte non sono per niente collaborativi.”

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Dalia scoppiò in preda ad un pianto disperato con Blu affianco che non sapeva minimamente cosa fare per risollevarla.

Dopo un paio di minuti lei sembrò tranquillizzarsi un poco, Blue si alzò e disse:

“Non devi preoccuparti Dalia. Vedi che sta bene. È solo bloccato da qualche parte. Vedrai che troverò Rosso, ci puoi giurare” e detto ciò, uscì dalla casa.

Ecco perché Dalia è così strana! Suo figlio Rosso è disperso e non lo si trova. Poverina… vorrei poter fare qualcosa per le-!!!! Tutt’un tratto mi vennero in mente le parole che mi aveva detto il Professore qualche ora prima […] Tra l’altro penso che la tua presenza qui possa aiutare pure lei. Quindi vuole che le stia vicino per non farle pensare il figlio! Va bene professore, ci proverò. E con questo pensiero andai a dormire.


La mattina dopo sentii Dalia bussarmi alla porta Qual è il problema ora…?

“Ruiji, non devi… andare al laboratorio stamattina? Se sì… alzati…”

Porca paletta! Basta dormire! In quel momento penso di aver sbarrato gli occhi ed essermi lanciato giù dal letto. Corsi in bagno per darmi una lavata e poi mi ri-fiondai in camera per vestirmi. Mentre mi sistemavo la maglia notai una cosa che mi era sfuggita la sera prima; sul comodino, dietro alla lampada, c’era un cappello. Era rosso Guarda caso con la fronte bianca. Era un bel cappello ma incredibilmente usato, avrà avuto almeno cinque o sei anni. Decisi di metterlo Sicuramente era del figlio di Dalia, Rosso. Beh, lui non lo sta usando, penso che me lo lascerebbe in prestito Pensai calcandomelo sulla fronte. Presi il mio zaino con dentro il necessario per prendere appunti e scesi al piano di sotto.

“Buongiorno Dalia” esordii io

“Buongiorno R-Ruiji. Ho preparato la colazione mentre tu…” si bloccò a guardarmi. Fissava prima me, poi il cappello. Si avvicinò a passi molto lenti

“R-r…” diceva. Poi corse verso di me tutt’un tratto. Io, spaventato chiusi gli occhi, ma ciò che successe mi lasciò stupito. Mi stava abbracciando e piangeva, ma non come la sera prima; piangeva davvero tanto, sembrava come se si stesse lasciando andare per sfogarsi. Mi stringeva a lei tenendo la mia testa premuta contro la spalla.

Non sapevo bene cosa dire, ma feci ciò che pensai fosse giusto: ricambiai l’abbraccio senza dire niente. Continuò per cinque minuti buoni, poi si staccò

“S-sc-scusa Ruiji… non volevo farlo…” disse lei ed io, con le parole del professore stampate in mente risposi:

“Non preoccuparti…” lei sorrise, poi si asciugò gli occhi e disse

“Sai, stai bene con quel cappello. Tienilo tu. Rosso ne aveva due e quello non lo metteva più in quanto si era rovinato. So che non è granchè però-”

“È bello” la bloccai e sorrisi. Ci sedemmo a fare colazione. Nessuno dei due disse una parola. Una volta che ebbi finito mi alzai, presi lo zaino, mi avvicinai alla porta e girandomi dissi:

“Ciao Dalia, a sta sera!”

“Ciao Ruiji, a sta sera” e chiusi la porta.

C’era davvero una bella giornata, la quale mi mise di buon umore. Iniziai a fantasticare su cosa avrei fatto ed in men che non si dica arrivai al laboratorio. Entrando vidi il professore

“Buongiorno Professore” dissi

“Oh Ruiji, buongiorno a te. Come è andata? Oh il vecchio cappello di Rosso! Ti sta bene sai?”

“La ringrazio signore”

“Bene, oggi inizierà un periodo di studio intenso per te ok? Un periodo di sei anni. Sei consapevole di ciò a cui stai andando incontro?” mi chiese lui. In tutta risposta mi misi sull’attenti e dissi

“Sì signore, me ne rendo conto e mi affido a lei per insegnarmi tutto ciò che sa” lui sorrise.

“Molto bene, allora… Iniziamo!”


 
 
 
NDA: Ciao a tutti. Nello scorso capitolo non mi sono presentato. Mi chiamo Ruiji e questa è la prima volta che scrivo qualcosa a tema pokèmon. Se avete domande, dubbi o perplessità scrivetemele pure nelle recensioni. Allora questo capitolo originariamente doveva essere unito al precedente per formare un prologo più ampio ma separarli in questo modo mi convinceva di più. Dal prossimo capitolo il tempo andrà avanti di 6 anni, vedremo come è cambiato il protagonista e quindi l’inizio del suo viaggio tra le regioni. Grazie di aver letto e alla prossima!
  
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