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Autore: Soly_D    25/01/2020    2 recensioni
C’erano alcuni posti vuoti anche nelle ultime file, ma da lì Momo non sarebbe riuscita a vedere nulla, per cui fu con passo da automa e sguardo basso che raggiunse silenziosamente (più o meno, dato che i suoi tacchi risuonavano in modo fastidiosissimo nel silenzio generale del santuario) il posto accanto a Todoroki e si sedette stando ben attenta a non spiegazzare il vestito elegante che aveva indossato per l’occasione. Indirizzò un sorriso di scuse a Kyōka, bellissima nel suo tradizionale kimono bianco, la quale le sorrise di rimando per tranquillizzarla per poi rivolgere l’attenzione al suo futuro sposo, letteralmente elettrizzato per l’occasione, come dimostravano le piccole scariche elettriche che il suo corpo emanava.
[TodoMomo♥, accenni a KamiJirō e altre coppie] [future!fic]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaminari Denki, Kyoka Jiro, Momo Yaoyorozu, Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Burning like ice


#01. Meet again

Shōto camminava per le strade della città con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo basso e la visiera del berretto calata sulla fronte per nascondere l’inconfondibile capigliatura per metà bianca e per metà rossa, capace di attirare un fan desideroso di foto e autografo almeno ogni cento metri. Non che la cosa gli desse particolarmente fastidio – quello che sbraitava contro i fan troppo accaniti era Bakugō – ma dopo una giornata lunga ed estenuante in cui si era dedicato anima e corpo al suo lavoro, Shōto desiderava solo tornare a casa, farsi un lungo bagno caldo, mettere qualcosa sotto i denti e infilarsi sotto le coperte per riposare le membra stanche e indolenzite.
Tuttavia, ad un certo punto del tragitto, avvertendo delle urla provenienti da un vicolo cieco, Shōto si rese conto che i suoi piani per la serata avrebbero dovuto aspettare ancora un po’. Addentrandosi nel vicolo, infatti, trovò un gigantesco ammasso d’acqua dalla forma antropomorfa girato di spalle: aveva bloccato una persona contro il muro e minacciava di farla affogare con la stessa consistenza del suo corpo se non gli avesse consegnato tutti i suoi soldi e oggetti di valore.
Con un sospiro frustrato per quella giornata che sembrava non voler mai giungere al termine, Shōto raccolse gli ultimi residui di eroismo che gli erano rimasti in corpo e batté il piede destro per terra congelando il tratto di strada che lo separava dal villain, il quale, non essendosi accorto di nulla, diventò in pochi attimi una statua di ghiaccio. La scelta di utilizzare il suo lato destro anziché quello sinistro non aveva nulla a che fare con la storia di suo padre – Shōto l’aveva ormai superata da parecchio tempo, soprattutto grazie all’aiuto di Midoriya, ed ora utilizzava tranquillamente l’uno e l’altro potere, insieme o singolarmente a seconda del caso. L’unico motivo per cui aveva preferito fermare quel villain con il ghiaccio e non con il fuoco era il fatto che probabilmente, se fatto evaporare, il mostro avrebbe ripreso in poco tempo la sua forma liquida originaria. Congelandolo, invece, non gli avrebbe lasciato alcuna via di scampo.
Una volta fatto il suo dovere, Shōto si preparò ad essere sommerso dai ringraziamenti della persona che aveva salvato, ma ciò che gli arrivò all’orecchio fu invece l’eco del proprio nome pronunciato da una voce femminile decisamente familiare (e piacevole).
«Todoroki-kun!».
Tutto si sarebbe aspettato, Shōto, tranne che di veder spuntare la figura slanciata di Yaoyorozu Momo da dietro l’imponente statua di ghiaccio.
«Yaoyorozu…».
L’eroina gli veniva incontro con un sorriso stampato sul volto e un braccio sollevato in segno di saluto, e Shōto non poté fare a meno di squadrarla più del dovuto: era cresciuta in altezza e anche le sue curve, già generose ai tempi della scuola, sembravano essersi fatte ancora più sinuose e mature, messe in evidenza dall’attillato corpetto rosso aperto sul davanti affinché l’eroina potesse facilmente creare dal busto tutto ciò di cui avesse bisogno per combattere. La voluminosa coda nera, ora, le arrivava praticamente ai fianchi danzando morbidamente sulla sua schiena ad ogni passo, ma gli occhi erano rimasti gli stessi: grandi occhi neri dalla punta leggermente allungata, occhi dolci e allo stesso tempo determinati, umili e privi di arroganza nonostante lo sfarzo al quale Yaoyorozu, essendo di famiglia benestante, fosse da sempre abituata. A Shōto erano sempre piaciuti i suoi occhi – più dei seni grossi e tondi che varie volte, a scuola, aveva intravisto (forse) per sbaglio durante gli allenamenti o gli scontri, più dei fianchi morbidi e delle gambe lunghe e snelle lasciate costantemente scoperte dalla cortissima gonna gialla per la felicità di tutto il pubblico maschile (e non).
Negli ultimi tempi, infatti, Yaoyorozu sembrava apparire più spesso nelle vesti di fotomodella per gli spot televisivi che nelle vesti di eroina per le strade della città, segno che era ormai scesa a patti con il fatto che la sua bellezza l’avrebbe condotta tanto lontano quanto il suo Quirk o forse anche di più. Era, insomma, la degna erede di Uwabami, l’avvenente Snake Hero presso la quale Yaoyorozu aveva svolto il tirocinio ai tempi della scuola e che l’aveva assunta nella sua agenzia subito dopo il diploma.
«Ti ringrazio per l’aiuto», disse Yaoyorozu a Shōto, non appena gli arrivò di fronte. «In effetti, ero parecchio in difficoltà con quel villain: ho provato a creare un’aspirapolvere per risucchiare via tutta quell’acqua, ma la pressione non era abbastanza forte».
«Non c’è bisogno che mi ringrazi», rispose Shōto con tono neutro. «Semplicemente, in questo caso, il mio Quirk era più adatto del tuo». E lo pensava davvero: in più occasioni, Yaoyorozu si era dimostrata tanto forte quanto intelligente e Shōto l’aveva sempre ammirata per questo.
«Non fare il modesto», lo rimproverò scherzosamente l’eroina. «Il tuo Quirk è sempre più adatto di qualunque altro Quirk».
A quel punto Shōto si rese conto che quella era la prima volta che lui e Yaoyorozu si rivolgevano la parola dalla fine della scuola. Dopo il diploma, infatti, un po’ perché indaffarati a farsi un nome in qualità di eroi e un po’ perché non avevano mai stretto un’amicizia veramente forte, si erano completamente persi di vista limitandosi a salutarsi di striscio le rare volte in cui si incrociavano per le strade della città, ma ora che Yaoyorozu era lì di fronte a lui, così bella e genuina, Shōto pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affatto riprendere e mantenere i contatti con lei così come li manteneva con Midoriya, Bakugō e pochi altri.
E forse Shōto avrebbe approfittato della situazione per scambiare due chiacchiere con la sua ex compagna di scuola, se solo non avesse avvertito in lontananza il suono delle sirene della polizia.
«Ti lascio il merito dello scontro, va bene? Ho fretta di tornare a casa», disse sbrigativamente a Yaoyorozu desiderando dileguarsi il prima possibile, dato che non aveva assolutamente voglia di fare rapporto ai poliziotti né tantomeno di essere portato al pronto soccorso per controlli medici di cui non aveva affatto bisogno.
«…Cosa?! No, aspetta! Non è affatto giusto, il merito è solo tuo!», esclamò l’eroina con gli occhi infiammati di senso della giustizia. «E poi come gliela spiego alla polizia quella statua di ghiaccio?!».
«Sono sicuro che troverai una soluzione. Ci vediamo, Yaoyorozu».
Shōto si voltò riabbassandosi la visiera del berretto sulla fronte e mosse appena qualche passo in direzione dell’uscita del vicolo, quando la voce dell’eroina gli riempì nuovamente le orecchie.
«Todoroki-kun!».
Shōto si bloccò sul posto e ruotò solo il busto per sentire cosa avesse da dirgli Yaoyorozu di tanto importante.
«Permettimi di offrirti almeno un caffè per sdebitarmi», propose Yaoyorozu riaccorciando la distanza che li separava fino a pararsi nuovamente di fronte a lui.
«Non ce n’è bisogno, Yaoyorozu, davvero. Devo andare». Shōto marcò le ultime due parole con la speranza che la conversazione terminasse lì – si sarebbe volentieri attardato con lei se solo la polizia non fosse stata così vicina.
«Domani sera al bar che ha appena aperto di fronte al parco», insistette Yaoyorozu. «Ti va bene alle nove?».
Shōto non trovò alcun motivo per rifiutare: in fondo, era stato lui stesso a pensare che fosse davvero un peccato aver smesso di frequentare Yaoyorozu e quale occasione migliore per recuperare il loro rapporto se non quella di prendersi un caffè insieme?
«Alle nove», ripeté Shōto piegando un angolo della bocca in un sorriso, poco prima di voltarsi nuovamente e raggiungere in poche falcate l’uscita del vicolo.
L’ultima cosa che sentì svoltando l’angolo fu un forte e chiaro «Ci conto, Todoroki-kun!», in parte sovrastato dal suono delle sirene della polizia giunta in soccorso della bella Creati.

***

Immersa sotto il getto dell’acqua calda che lavava via la stanchezza e il sudore dal suo corpo, Momo non faceva altro che ripensare all’incontro con Todoroki Shōto avuto giusto un paio d’ore prima. L’aveva trovato decisamente più alto e più robusto di quanto ricordasse, ma al di là delle spalle ampie e dei muscoli guizzanti al di sotto della stoffa blu del costume da eroe, il cambiamento principale era il suo nuovo taglio di capelli: mentre ai tempi della scuola gli ricadevano lunghi e lisci sopra la fronte, ora Todoroki li teneva corti e leggermente rivolti all’insù sopra la testa, cosicché il suo volto ora appariva molto più aperto e luminoso di prima, con la cicatrice dell’ustione in bella vista. Momo non aveva mai pensato che quella macchia rossastra – ricordo di un passato non propriamente felice – deturpasse il viso di Todoroki, anzi, gli dava un’aria vissuta capace di renderlo ancora più affascinante.
Un po’ perché gli era veramente grata per averla aiutata con Wateri* – così diceva di chiamarsi il villain d’acqua – e un po’ perché aveva una cotta per Todoroki dai tempi della scuola, alla fine Momo aveva trovato l’occasione e il coraggio di strappargli una sorta di mezzo appuntamento dopo ben cinque anni passati a guardarlo da lontano e a chiedersi con che scusa avrebbe potuto rompere il ghiaccio (letteralmente, perché non avrebbe potuto esserci metafora più adeguata per descrivere l’apparente corazza fredda dietro la quale Todoroki nascondeva le proprie emozioni).
Con sommo piacere di Momo, l’eroe aveva accettato il suo invito, dandole conferma di non essergli affatto indifferente. L’aveva notato, Momo, il modo in cui Todoroki la guardava: era sì attratto da lei fisicamente al pari di tanti altri uomini, ma il suo sguardo era sempre stato diverso, più sincero e meno lascivo, capace di andare oltre l’apparenza alla ricerca di ciò che aveva dentro. O almeno era questo che Momo percepiva sperando davvero di non sbagliarsi. Magari, con un po’ di fortuna, quell’incontro tra loro due avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di più…
Momo si sentì arrossire al pensiero di come sarebbe stato bello lasciarsi stringere dalle braccia forti e muscolose di Todoroki, accarezzargli con una mano i ciuffi rossi e con l’altra quelli bianchi, tastare la pelle sensibile della cicatrice, scoprire che sapore avessero le sue labbra sottili.
Sentendosi improvvisamente più accaldata del dovuto, Momo regolò il getto della doccia ad una temperatura più bassa per placare gli ormoni in subbuglio e si impose di rimanere con i piedi per terra, di non correre troppo finché non avesse avuto la certezza che Todoroki provasse per lei qualcosa di più della pura attrazione fisica.
Dopo la doccia, Momo si concesse una cena veloce e poi si infilò nel letto, ma in realtà non riuscì a dormire molto, agitata al pensiero che la sera successiva avrebbe passato del tempo con Todoroki in vesti diverse da quelle di eroe o collega.
Il giorno dopo trascorse velocemente: dopo un book fotografico che le occupò l’intera mattinata, Momo si dedicò ad un allenamento intensivo per potenziare il suo Quirk ed essere pronta ad intervenire in caso di crimini o incidenti. La professione di fotomodella, tutto sommato, le piaceva e le forniva uno stipendio piuttosto ingente che, sommandosi al patrimonio ereditato dalla sua famiglia, le permetteva di condurre una vita decisamente agiata, ma non per questo Momo era disposta ad abbandonare il suo sogno di fare l’eroina: il privilegio di poter indossare un bel vestito elegante, cenare in un ristorante di lusso ed essere continuamente corteggiata e riverita, era totalmente insignificante se paragonato alla soddisfazione di salvare quante più vite possibili.
Quel giorno, comunque, Momo non ricevette nessuna chiamata urgente – le strade della città erano insolitamente tranquille – quindi, dopo il consueto giro di ronda serale, si ritirò a casa, ansiosa di prepararsi in vista del suo quasi appuntamento con Todoroki a cui, sperava, ne sarebbero seguiti molti altri.





*Wateri: dall’inglese water (acqua), l’ho inventato di sana pianta XD





  
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