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Autore: fantaysytrash    25/01/2020    5 recensioni
[Steve/Bucky | Angst/Introspettivo/Fluff | What If…? | Canon Divergence | Post-Captain America: The Winter Soldier] [Questa storia si è classificata quarta al contest “Citazioni d’amore” indetto da Asia Dreamcatcher sul forum di EFP]
Quando Steve pensa che tutti i suoi sforzi siano vani, Bucky ritorna da lui.
Dal testo:
“È una lenta forma di tortura, un aspetto della sua vita che non vuole condividere con nessuno, ritiene che le sue colpe siano solo sue, non vuole dare la possibilità a nessuno di alleviargli il dolore. Ultimamente – da quando è entrato a far parte degli Avengers, in realtà – il dolore è l’unica cosa che riesce a tenerlo vigile e presente; troppo spesso si ritrova a cadere nell’indifferenza e nell’apatia, come se al suo interno tutto il ghiaccio accumulato negli anni non si sia ancora sciolto definitivamente.”
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’Autrice

Spero che tutti voi siate preparati perché ho un sacco di idee su Steve e Bucky, e questa è solo la prima di una lunga serie di storie che ho intenzione di scrivere su di loro.

Ringrazio Asia Dreamcatcher per l’opportunità di rispolverare le mie capacità di scrittrice e buona fortuna a tutti i partecipanti del contest!

Un bacio,

Federica ♛

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 


 

 

THE THAWING OF THE SOLDIER 
 

 

L’inverno non era mai stata la stagione preferita di Steve. Fin da piccolo l’aveva associata a un’ulteriore ricaduta della sua già scarsa salute, e ricordava ancora perfettamente tutte le volte in cui sua madre lo guardava tanto intensamente come per memorizzare ogni suo dettaglio nel caso in cui il peggio si fosse presentato.

Steve aveva sempre odiato farla preoccupare e, quando i colori caldi dell’autunno lasciavano il passo a un clima meno favorevole, cercava – per quanto la sua natura lo permettesse – di non cacciarsi in troppi guai poiché l’unica cosa che odiava più dei bulli era l’espressione severa e amareggiata che Sarah Rogers gli rivolgeva quando tornava a casa e lo trovava pieno di lividi.

In seguito, dopo il siero e l’entrata in guerra, il freddo paralizzante dell’inverno era diventato più un inconveniente sul campo di battaglia che una vera e propria minaccia per la sua salute. Dopotutto, era diventato praticamente immune a qualunque malattia conosciuta fino ad allora, e la sua unica preoccupazione era il benessere dei suoi uomini.

Ma ora, mentre osserva la neve posarsi placidamente su New York, l’unica cosa che vede è quel maledetto giorno sulle Alpi, il treno, la caduta di Bucky, quel terribile e straziante momento destinato a rimanere congelato per sempre nella sua memoria.

Buffo, come nemmeno la propria pseudo-morte riesca a sopraffare il ricordo della perdita del suo miglior amico. La verità è che a Steve non piace indugiare su quel giorno, non vuole rivivere la sua caduta nell’Artico, non riesce a pensare alla sua ultima conversazione con Peggy… e a tutto ciò che le sue stesse parole hanno tenuto nascosto. Non è ancora pronto ad ammettere di non aver nemmeno provato a trovare un’altra soluzione, pensando solo a come una vita senza Bucky non valesse davvero la pena di essere vissuta.

Al momento, non è nemmeno in grado di ammettere la vera natura del suo rapporto con Bucky, almeno non ad alta voce. Sam e Natasha lo stanno aiutando nella ricerca da mesi, ma Steve non riesce a essere completamente onesto con loro. Sa che in questa nuova epoca l’omosessualità non è più un reato, eppure troppe cose sono cambiate in lui per potersi illudere che l’unico ostacolo sia trovare Bucky. Sa che non è così; sa che le cose non torneranno mai come un tempo, e deve ancora imparare a convivere con questa nozione prima di poter instaurare un nuovo rapporto con l’amico.

Quindi preferisce avvolgersi nel rimorso, in quel senso di colpa che lo tiene sveglio quasi ogni notte, continuando a ripensare a come le cose sarebbero andate diversamente se solo fosse riuscito a salvare Bucky, se solo si fosse impegnato di più. È una lenta forma di tortura, un aspetto della sua vita che non vuole condividere con nessuno, ritiene che le sue colpe siano solo sue, non vuole dare la possibilità a nessuno di alleviargli il dolore. Ultimamente – da quando è entrato a far parte degli Avengers, in realtà – il dolore è l’unica cosa che riesce a tenerlo vigile e presente; troppo spesso si ritrova a cadere nell’indifferenza e nell’apatia, come se al suo interno tutto il ghiaccio accumulato negli anni non si sia ancora sciolto definitivamente. Salvare civili, salvare il mondo, non allevia il senso di colpa per non essere riuscito a salvare l’unica cosa che per lui sia mai davvero contata, l’unica persona per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Probabilmente Steve passerebbe il resto della serata a sguazzare nella propria autocommiserazione, ma un rumore improvviso lo distoglie dai suoi pensieri, portando il suo sguardo sulla finestra spalancata nella notte buia.

E lui è lì, a pochi passi di distanza. Indossa gli stessi vestiti che Steve gli ha visto addosso mesi fa, la tenuta nera da combattimento più logora e sporca che mai. Per un attimo crede che sia un’allucinazione, l’ennesimo tentativo della sua mente di sistemare le cose nel suo subconscio, perché se riuscisse a trovare Bucky, se riuscisse a farsi perdonare per quel giorno, allora…

Ma Bucky fa un passo tentennante nella sua direzione, incontrando i suoi occhi con uno sguardo tormentato, abbattuto, a un passo dal considerarsi distrutto.

“Tu…” La sua voce è roca, come se non l’avesse utilizzata da tempo. A Steve si stringe il cuore al pensiero che probabilmente è proprio così. “Io ti conosco,” riprova, con più sicurezza.

“Sì, Bucky. Mi conosci da sempre,” conferma. “È per questo che mi hai salvato, vero? Sei stato tu a trascinarmi a riva. Io… ti sto cercando da allora.”

“Lo so,” risponde, la voce fievole. “Non ero pronto per essere trovato.”

“E ora lo sei?”

Il suo cenno di assenso è tutto ciò di cui Steve ha bisogno per fiondarsi tra le sue braccia. Lo stringe forte, forse un po’ troppo, cercando di trasmettergli tutti i suoi sentimenti, cercando di non crollare a pezzi nel farlo. Inspira profondamente il suo odore, ritirandosi lievemente quando viene riportato alla realtà dalla puzza dei suoi abiti.

“Forza, hai bisogno di un bagno.”

 

Quando Bucky è sistemato nella vasca, immerso nell’acqua tiepida, Steve vuole lasciargli la sua privacy, ma una mano lo ferma prima che egli riesca a fare un solo passo in direzione della porta.

“Mi aiuti?”

Steve lo guarda, prendendo nota delle sue spalle ricurve, gli occhi stanchi ma allerta, pronti a cogliere un potenziale pericolo. Gli vengono in mente tutte le volte in cui i loro ruoli erano invertiti, quando era Bucky a portarlo di peso in bagno e lavarlo per fargli passare la febbre, o per medicarlo dopo una brutta lotta.

“Certo,” risponde.

Si inginocchia accanto a lui e inizia a passargli una spugna insaponata sulle spalle. Mentre guarda le gocce d’acqua che si rincorrono sulla pelle di Bucky, non può fare a meno di notare le cicatrici che dalla spalla percorrono gran parte del torso. Sono lunghe e profonde, con striature violacee che si diramano per diversi centimetri in direzioni scomposte, brutali e agghiaccianti, l’ennesimo ricordo di quello che ha dovuto subire.

D’un tratto il respiro gli viene a mancare, e deve appoggiarsi al bordo della vasca per non cadere direttamente addosso a Bucky.

“Cosa succede?” chiede preoccupato quest’ultimo.

Steve cerca di forzare un sorriso. “Niente, non preoccuparti.”

“Non osare,” sibila Bucky. “Non con me, Stevie.”

E a quel soprannome, ogni barriera che si era così cautamente costruito cade improvvisamente, perché Bucky è vivo, ed è lì, nel suo appartamento, e l’unica cosa a cui riesce a pensare è come lui non si meriti questa seconda opportunità con l’uomo che ama, l’uomo che ha deluso, l’uomo che ha lasciato cadere nel vuoto come acqua tra le dita.

Bucky lo afferra e lo stringe forte a sé, muovendo entrambe le mani in movimenti circolari per calmare il compagno.

“Mi dispiace.”

“Steve―”

“Sei tu quello che ha sofferto e io sono qui a frignare come se fosse capitato a me. Ma devi saperlo, Bucky, devi sapere quanto mi dispiace. Io farò di tutto per farmi perdonare da te.”

Bucky lo allontana leggermente, posizionando le mani sulle sue guance, guardando i suoi occhi chiari colmi di lacrime. “Di cosa diamine stai parlando?”

“Non so cosa ti abbiano detto riguardo la tua scomparsa, ma la verità è che io ti ho lasciato cadere. La verità è che è stata tutta colpa mia.”

Bucky lo scuote, lo sguardo deciso. “La verità è che avresti potuto salvarmi, e poi saresti potuto morire comunque.” Steve lo guarda di sottecchi, non capendo il tono di voce dell’amico. “Oppure ci saremmo potuti salvare entrambi, e tu avresti potuto sposare Peggy e io un’altra dama altrettanto valida. Oppure saremmo potuti morire entrambi.”

Steve apre la bocca per ribattere, ma le parole gli vengono a mancare. Cosa dovrebbe rispondere, esattamente, a un’affermazione del genere?

“Invece siamo qui,” prosegue Bucky. “Vivi, uniti, in una società dove mi è possibile amarti.”

Oh.

“Non lo pensi davvero.” Steve è basito. “Tutto quello che hai dovuto passare―”

“Mi ha portato qui, da te, esattamente dove sarei sempre dovuto essere.”

Steve pensa che potrebbe esplodere da un momento all’altro, tanto è sopraffatto dai sentimenti che prova per l’altro. Invece si sporge in avanti, lasciando che le labbra di Bucky gli mostrino la via di casa.

 

Quando si sono entrambi ripresi, si siedono sul divano, stretti in una presa che è sull’orlo di essere considerata dolorosa, e Steve si ripromette in silenzio di non lasciarlo andare mai più.

“Non riesco a credere che tu sia reale,” sussurra, accarezzando teneramente la guancia di Bucky. “Dopo tutto quello che è successo… mi domando quasi di che cosa tu sia fatto.”

Bucky sorride e si stringe più vicino a lui, lo sguardo ancora inquieto ma i muscoli rilassati.

“Sono fatto di tutte le cose che ami,” risponde, con lo stesso fascino e voce soave che lo avevano caratterizzato anni prima. Dopo un istante un ghigno compare sul suo volto. “Be’, più un po’ di acciaio,” afferma, muovendo le dita della mano sinistra in un piccolo saluto.

Per la prima volta dopo mesi – anni, forse – Steve scoppia in una risata autentica.

   
 
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