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Autore: Sarah_lilith    25/01/2020    2 recensioni
C'è una storia diversa per tutti gli amori, nella mente di ognuno di noi. Alcune finiscono bene, altre non così felicemente, ma sono ugualmente importanti, perché insegnano delle morali fondamentali.
Quella di Lan XiChen è dilaniata da sofferenza e passione, varrebbe la pena di conoscerla anche solo per lo scorrere avvincente dei fatti. Eppure lui non è sicuro di aver imparato, dalle sue disgrazie.
Non del tutto, almeno.
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Ho scritto questa AU con il cuore, pensando intensamente ad Athelye, dato che shippiamo la stessa coppia. É stato un progetto strano, ma penso che sia riuscito, in fin dei conti.
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[NieLan]
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lan XiChen/Lan Huan, Nie MingJue
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nota: in questa fan fiction ho dovuto modificare alcune dinamiche, perciò Lan Zhan e Lan XiChen sono fratelli, ma gemelli, non di diversa età. Per di più è la madre a chiamarsi Lan e il padre ad essere un signor nessuno… circa. Tranquilli, capirete presto il perché.

Buona lettura.

 

 

I suoi occhi urlano quello che la sua voce non riesce neppure a sussurrare 

(Anonimo)

 

 

 

Sua madre aveva un potere unico, in quella realtà pieno di stregoni e Congreghe di magia bianca o nera. Un dono speciale che non andava mai usato, se non in estreme emergenze.

Nel loro mondo, gli umani senza capacità mistiche temevano le streghe per i loro poteri, ma le streghe stesse avevano paura di quelle tra loro che possedevano certe particolari abilità, rare e potenti. Per terrore di possibili rappresaglie, le veneravano ed esaltavano a divinità da cui prendere esempio.

La famiglia dei Lan era tra queste dinastie privilegiate. Gli Evocatori, li chiamavano alcuni, ammirando ed invidiandoli. Quasi tutti erano felici di essere importanti. Quasi.

Non era d’accordo sull’importanza del loro dono, sua madre. Glielo ripeteva spesso, a lui e a suo fratello, quand’erano piccoli. Non sprecate fiato per chiamare quando non c’è bisogno, gli diceva con quel tono gracchiante che non usava mai in pubblico, altrimenti non avrete parole per le cose importanti.

Si fingeva muta da anni, e per questo molti la guardavano con pietà e compassione, per strada, umani e non. Una donna il cui potere risiedeva nella voce, costretta al silenzio da un misterioso male.

In realtà, non era vero nulla. Poteva parlare, se si sforzava di articolare le parole e il suo interlocutore aveva la pazienza di decifrare qui suoni gutturali che le raschiavano la gola.

Il punto era che, se avesse aperto bocca, qualcuno le avrebbe sicuramente chiesto come si fosse ridotta le corde vocali in quello stato. Avrebbe dovuto spiegare una storia di un’amore impossibile, affrettata dal tempo che non aspettava nessuno, e non era pronta. 

Forse, non lo sarebbe mai stata davvero.

Consumarsi l’anima per amore, ecco come glielo aveva spiegato, usando una metafora perché non capissero cosa lei intendesse fino al raggiungimento di una certa età. Ci erano arrivati presto, dato il loro acume, ma pensare che la madre avesse perso la propria capacità di cantare per un semplice uomo li aveva semplicemente scoraggiati in riferimento alle relazioni.

Non ne avevano parlato con nessuno, assecondando il desiderio della madre. E poi lei lo faceva anche per altri motivi, nonostante loro non lo sapessero. 

Una notizia così originale non avrebbe avuto bisogno di alcun giornale; come una freccia scoccata da un arco, sarebbe volata veloce di bocca in bocca 1. In un brevissimo periodo tutti avrebbero saputo di chi erano figli lui e suo fratello, e li avrebbero derisi, magari perfino condannati per una colpa non loro.

Neanche la Congrega più potente del mondo avrebbe avuto abbastanza influenza da impedire un processo alla loro famiglia, creando disagi all’intera comunità e al "giusto modo di vivere".

La loro nascita era una macchia che non esisteva, ma che la gente avrebbe visto lo stesso.

Vostro padre, gli ripeteva loro madre fino allo sfinimento, era un bravissimo… era davvero gentile, e mi amava molto, ma non tutti la penserebbero così, quindi non dite nulla a nessuno, mai.

Non gli aveva ancora detto che il loro parente disperso, quello che non avevano mai potuto conoscere, era un demone di un altro mondo, evocato dalla loro genitrice grazie alla magia del suo canto. Come spiegarlo a dei bambini, in effetti?

All’epoca, per di più, Lan XiChen pensava che loro madre fosse solo capace di imporre divieti. Non usare la tua voce, non dire agli altri cosa sei. Non, non, non…

Col tempo, aveva capito che le regole che li costringeva a seguire erano una rete di protezione, non un recinto per intrappolarli. Ma i giovani non ascoltano mai davvero i genitori, quando sono piccoli. 

E neppure da grandi, a volte.

Perciò lui perdeva ore e ore ad esercitarsi con il suo potere, richiamando da altri mondi gli esseri più strani e bizzarri. Un gruppo di amici tutto suo, per passare il tempo mentre suo fratello trascorreva le giornate a studiare.

Bastava cantare, seguite una melodia immaginaria senza parole con le labbra e pensare intensamente a quanto volesse compagnia, che una porta si apriva a suo volere. Un taglio dimensionale, come diceva sua madre, e come ripeteva il suo diligente fratello. 

Non che qualcuno di loro avesse la minima idea di come veramente funzionasse quello strano potere.

Gli era stato insegnato solo che, nelle situazioni in cui era necessario un aiuto, avrebbe potuto liberare la sua voce per evocare da un altro mondo degli esseri che accorressero in suo soccorso. Dei paladini per proteggersi, che seguivano le note delle sue corde vocali come se fossero tamburi da battaglia e ordini da parte di Generali o Re.

Quando intonava una melodia, erano i demoni di Qinghe, l’Altro Inferno, il Mondo di Fuoco, che sarebbero stati vincolati al suo servizio, obbligati a combattere per lui fino a che non avesse finito il canto. Al comando di una legione di guerrieri immortali, gli aveva provato a spiegare sua madre quando glielo aveva chiesto, un sorriso triste congelato sul volto, sarai imbattibile, figlio mio.

Era cresciuto con favole di cavalieri provenienti da mondi diversi dal suo e con amici di altre dimensioni che lo portavano a ballare la notte nei boschi che circondavano casa sua, affascinato da quella realtà così strana e pericolosa.

Non ne aveva mai avuto paura, perché finché cantava, loro gli erano fedeli e, quando smetteva, sparivano come fumo disperso nel vento. Com’è facile comandare la vita, pensava ingenuamente.

Naturalmente, una volta cresciuto, quando dovette scegliere una stanza da usare come studio per lavorare in tranquillità, decise di prendersi quella che dava sul cortile prima del bosco. La grande vetrata che ricopriva la parete rivolta ad ovest gli consentiva di osservare il tramonto ogni sera e, se aperta, permetteva alla brezza fresca che sapeva di pini di scompigliargli i capelli.

Se solo la mia vita fosse anche semplice come una canzone, pensava guardando il sole morire tra gli alberi fitti, il mondo sarebbe molto più limpido di com’è ora.

 

 

Crescendo si era reso conto che, ogni volta che chiudeva e riapriva il portale per rivedere quegli strani esseri provenienti dall’Altro Inferno, i suoi "amici" non c’erano. Tra la folla di creature che fuoriuscivano dal taglio nello spazio trovava sempre facce nuove, non importava quante volte riprovasse l’evocazione.

Un giorno aveva quindi deciso di chiedere spiegazioni a qualcuno di più informato di sua madre. Il Vincolo impediva ai demoni di mentire, anche se nessuno ci aveva mai provato davvero, dato che lui non parlava, e quindi non domandava, per continuare a cantare. 

Quella stessa notte, appena le stelle avevano illuminato abbastanza il bosco da permettergli di addentrarsi nella foresta senza inciampare in rami o pietre, aveva preso a mormorare una soave melodia. Con uno schiocco sinistro, dall’altra parte della radura si era aperta una crepa lungo uno degli alberi della foresta.

Dal portale erano fuoriusciti una decina di creature di varie forme e aspetti, pronti a servirlo in qualunque cosa avesse bisogno. La canzone che riempiva l’aria era tranquilla, quindi nessuno di loro era all’erta, ma i vestiti da battaglia che indossavano facevano presupporre che combattessero molto, dalle loro parti.

Sul foglio che porse a uno degli esseri c’era scritto: Come mai cambiate ogni volta che vi evoco? 

Nessun esitazione e domande dirette a quello che ti interessa sapere. Ecco come aveva imparato a trattare con quelli come loro, leggendo dagli appunti di famiglia che aveva recuperato nella libreria privata di sua madre in cui gli era vietato entrare.

Gli altri demoni si erano dispersi per la boscaglia, alcuni avevano persino usato le loro maestose ali per innalzarsi oltre le fronde e raggiungere le nuvole, respirando l’aria fredda della sera. Quello da lui convocato rimase, alto e ombroso come i pini che li circondavano.

-Noi viviamo in un mondo sempre in guerra che assomiglia vagamente ad uno dei vostri deserti, ma con alcune alture che ci permettono di arrampicarci oltre le nuvole di zolfo ed evitare la pioggia di fuoco e vetro liquido- gli aveva risposto cordialmente con voce cavernosa il demone, l’aspetto molto umano se non si fosse prestata attenzione ai bizzarri occhi bianchi e alle venature nere che gli ricoprivano il viso, oltre che le corna simili a chiodi arrugginiti che gli uscivano dal cranio -I portali che gli stregoni come te aprono nella nostra realtà si spalancano sulla cima di questi monti, e si possono raggiungere solo scalandoli. Per arrivare alla vetta ci vogliono anche cento anni, perché è una specie di competizione, per quelli come noi… quando poi torniamo a casa, finita la canzone, veniamo scagliati dal cielo ai piedi della montagna, e dobbiamo rifare tutto il percorso per tornare ad avere una possibilità di uscire- aveva finito di spiegare.

Lan Huan lo aveva guardato con evidente curiosità, ma aveva evitato di insistere, non potendo distrarsi per non perdere il filo della melodia che ancora intonava. Il demone, in ogni caso, aveva capito cosa volesse chiedere.

-Certo che ne vale la pena, io l’ho fatto cinque volte, per ora- aveva aggiunto con tristezza, osservando il cielo blu illuminato dalle stelle di quella notte senza luna -Per scappare ancora da quel regno oscuro di fiamme e sofferenza, mi impegnerei in mille scalate come quella che ho concluso oggi- aveva detto aprendo la bocca e mostrandone l’interno rosso ad uno sconvolto Lan XiChen.

Non aveva la lingua, mozzata da un colpo di spada dato il moncherino che gli si intravedeva in fondo alla gola, eppure riusciva a parlare perfettamente, quasi la voce gli nascesse da dentro e non dalle labbra.

Se quella era la norma, nel loro mondo, allora lo stregone non si stupiva che tutti quei demoni volessero disperatamente restare di più, respirare aria pulita e osservare anche il semplice bosco in cui si trovavano.

-Sai, conosciamo tutti la storia della vostra dinastia, gli Evocatori, come siete soprannominati su Qinghe, e presumo anche qui- aveva continuato tenendo le labbra socchiuse e gorgogliando una risata aspra -Vostra madre, soprattuto, è la famosa mortale che ha affascinato il nostro Generale più retto, tanto che ha deciso di prendere il vostro nome di famiglia come suo. Ora si fa chiamare solo Maestro Lan, non più Qingheng-Jun 2- si era seduto a terra e aveva incrociato braccia e gambe, sistemandosi in una posizione meditativa per fissare il cielo in pace.

Aveva continuato a parlare guardando le stelle spostarsi nella volta celeste per gran parte del tempo, rispondendo alle silenziose domande di Lan XiChen e svelando alcuni dettagli che loro madre non gli aveva mai rivelato.

-Maestro Lan ha detto che si è innamorato di lei a prima vista, e che lei ha ricambiato il suo amore cantando per due giorni e due notti di fila pur di tenerlo con se- aveva raccontato con un sorriso vuoto in volto, agitando una mano in aria per scacciare la tristezza -Non ho mai visto il mio Generale così sconsolato come quando è stato rispedito nel nostro mondo. Sai, ha provato subito a riprendere la scalata, ma non sarà neppure a metà, ora. Il pensiero che lei possa aver avuto dei figli che lui non conoscerà mai… lo ha stravolto- gli aveva detto guardandolo negli occhi e sospirando.

E a quel punto, lo stregone aveva capito che sua madre gli risparmiava solo dell’ulteriore dolore, non parlandogli di loro padre e impedendogli di evocare spesso le orde infernali. Perché a volte la conoscenza è solo un altro modo per chiamare la triste consapevolezza che ci rende deboli.

Solo allora, davanti ad un demone senza lingua, aveva compreso che l’amore è sacrificio, e quello di sua madre era stato doppio. Prima lasciando andare il suo amato, e poi sacrificando il proprio cuore per i suoi figli.

Quella sera, perciò, Lan Haun aveva prolungato il canto quanto aveva potuto, per far godere a quel demone un’intera nottata nella sua agognata Terra Promessa.

 

 

Non cantava più da tre anni, quando dovette farlo di nuovo.

Seduto sui gradini del terrazzo fuori dal suo ufficio, si godeva il tramonto davanti ad una tazza di the caldo che profumava di gelsomino, crogiolandosi negli ultimi raggi del sole calante. La giornata si stava concludendo al meglio, dopo un Concilio tra streghe avvenuto senza nessuno spargimento di sangue o maledizione.

Poi, all’improvviso, sentì le difese della casa spezzarsi, ed una freccia gli sibilò vicino all’orecchio, piantandosi sullo stipite della porta dietro di lui. La sensazione dello scudo protettivo che circondava la loro magione che andava in frantumi gli rimbombò nel petto.

Con una sola occhiata al piumaggio rosso-dorato del dardo, capì che si trattava di un attacco da parte della Congrega Wen, eterna rivale di ogni altra famiglia di stregoni esistente.

-Com’è possibile che abbiano sorpassato le nostre difese? Le hanno installate gli stregoni di Yunmeng, è impossibile- esclamò ad alta voce mentre correva nello studio e si aggrappava alla sua scrivania, preparandosi all’evocazione.

Non appena, attraverso la grande vetrata, vide un gruppo di stregoni con il simbolo del sole tatuato sulla fronte avanzare verso la casa, iniziò a cantare. La modulazione della sua voce e il ritmo della canzone erano frenetiche, un richiamo alla battaglia per coloro che, sapeva, dall’Altro Inferno stavano ascoltando.

La crepa che si creò sul muro di pietra che limitava il confine del bosco era rossa scarlatta, aperta come una ferita fresca e rumorosa come un vero baccanale. Il miscuglio di membra, armature e spade che ne fuoriuscì sembrò non finire mai, eppure il canto di Lan XiChen lasciò passare solo trenta guerrieri, ne era sicuro.

Guidati da un’imponente demone affiancato da una chimera-leone, il gruppo si scagliò ferocemente contro i poveri stregoni che, resi innocui dall’immunità che i demoni di Qinghe avevano dalla magia, furono costretti a scappare.

O, per lo meno, tentarono. 

La ritirata non ebbe successo, e le creature furono addosso agli stregoni in pochi attimi, uccidendone alcuni così velocemente da riuscire a raggiungere altri e colpirli, prima che i corpi raggiungessero terra.

Alla fine della battaglia, durata meno di quindici minuti, dei cinquanta assaltatori Wen non restavano che le vesti strappate e inzuppate di sangue. I demoni si ritennero soddisfatti, e anche Lan XiChen, che gli intimò con il canto di ritornare al portale.

Si ritirarono tutti con un fracasso infernale, seguendo l’orda furiosa che si avviava per il proprio mondo di appartenenza gioendo della battaglia che si erano goduti. Tra urla di giubilo ed esclamazioni di vittoria, quasi tutti sparirono lasciando la radura imbrattata di sangue nuovamente silenziosa.

L’ultimo guerriero, rimasto indietro rispetto agli altri, era il Comandante, quello che non aveva staccato gli occhi di dosso da Lan Huan neppure mentre combatteva, dando fendenti alla cieca ma colpendo sempre il bersaglio con assoluta precisione.

Quegli occhi castani rossastri non lo avevano abbandonato per tutta la lotta, scaldandogli il viso anche mentre cantava, impegnato a rievocare la melodia nella sua mente e allo stesso tempo sentendo quelle iridi su di se.

Era bello come pochi altri l’evocatore avesse mai visto, umani o demoni che fossero. Guardandolo bene, si rese conto che più i suoi occhi gli scorrevano addosso, meno difetti trovavano e più il suo cuore impazziva nel petto.

I capelli lunghi, scuri e fluenti erano legati in un’alta coda di cavallo che ondeggiava al ritmo dei suoi passi sicuri. Il viso mascolino, le labbra carnose, la mascella squadrata e i tratti virili erano quasi irreali, per la perfezione con cui si combinavano. 

Possedeva un fisico massiccio che Lan Huan aveva visto in altre creature provenienti dal suo mondo, ma che a quel demone in particolare aggiungeva solo altro fascino alla già statuaria forma. Vestito con un’armatura da battaglia grigia decorata d’oro e con un’affilatissima dao 3 al suo fianco, sembrava un dio della guerra vittorioso.

Era inginocchiato vicino ad uno dei cadaveri, o almeno quello che ne restava, e gli stava staccando il vessillo dei Wen dalla veste. Mentre se lo rigirava tra le mani, il pezzo di stoffa prese fuoco e si ridusse in pochi secondi in cenere bianca. 

Una dimostrazione di forza, pensò lo stregone, come se ne servissero altre.

Facendosi scivolare il mantello scuro dalle spalle con un suono frusciante, il demone si sollevò rimettendo nel fodero la sciabola ancora grondante di liquido rossastro. Con la grazia di un felino che gira intorno alla preda, prese a dirigersi verso Lan XiChen, ancora seduto sul tavolo.

Nonostante la paura, questi non interruppe la sua canzone, anche se la melodia si ridusse ad un mormorio appena accennato. 

-Continua- disse il demone per esortarlo a non fermarsi, avvicinandosi a lui con passo felpato -Hai una voce così melodiosa che non me ne potrei mai andare, finché ancora canti, neanche se tu mi liberassi dal Vincolo- continuò accarezzandogli la gola con un’unghia affilata, scorrendo sul suo polo d’Adamo con delicatezza e costringendolo ad alzare il mento con un colpetto dell’indice.

-Oh, ma che begli occhi che hai- lo lodò ancora, accarezzandogli con le nocche fredde gli zigomi -Posso leggerci dentro un mondo nuovo e mille altri ancora- proseguì affascinato. 

Quando si chinò per baciarlo, Lan XiChen aveva ridotto la canzone ad un sospiro tremulo che gli sgorgava dalla bocca a sussurri. Le loro labbra si sfiorarono mentre ancora stava intonando il canto, provocando all’uomo un brivido al sentire la sua voce mentre veniva divorata dal demone.

Quello inghiottì le sue parole come se fossero miele, assaporando il gusto dolce della sua bocca e lasciandogli a mala pena il fiato per mantenere attivo l’incantesimo.

I minuti erano scanditi solo dai respiri dei due, che si mescolavano al ritmo delle loro lingue intrecciate. Le mani gelide del demone gli scorrevano sulle guance, sulle tempie e sul collo, arricciando i suoi capelli scuri tra le dita artigliate.

Nonostante la pericolosità dei suoi denti appuntiti e delle sue unghie affilate che fino a pochi attimi prima avevano squarciato la carne dei nemici, Lan XiChen si arrese volentieri a quelle attenzioni. 

In risposta alla passione bruciante con cui l’altro gli assaporava le labbra, l’evocatore fece scorrere le sue mani tra i folti capelli neri della creatura dell’altro mondo. Sciogliendo il nastro che li teneva legati, glieli fece ricadere attorno al viso in una cascata morbida come il velluto.

-Qual’è il tuo nome, Padrone?- domandò il demone inginocchiandosi davanti a lui e sistemandosi comodamente con il mento sulle sue cosce, afferrandogli i fianchi con le mani forti.

Con una carezza continua e lenta, proseguì risalendo il suo busto con i palmi freddi, infilando le dita sotto la casacca bianca dell’umano. Quando poi Lan XiChen provò ad allungarsi lungo il tavolo per afferrare un foglio ed una penna e scriverglielo, la creatura glielo impedì, trascinandolo di nuovo a se.

-No, no, no- mormorò il demone con voce cantilenante che seguiva il ritmo sempre più affrettato del brano dello stregone -Non devi scappare da me, mi spezzeresti il cuore- continuò assumendo uno sguardo di finta sofferenza e appoggiandogli le labbra alla coscia.

Poi, senza riuscire ad impedirsi di ghignare malignamente, gli morse con forza la gamba ancora fasciata dai pantaloni di lino chiaro.

La canzone sussultò. Le note subirono un’interruzione melodica provocata da un singulto che gli sfuggì dalla gola per lo shock. Lan XiChen si lasciò andare all’indietro sulla superficie tiepida dei legno e spalancò le labbra, le corde vocali che intonavano un grido che non esprimeva dolore.

-Padrone, non fermare la musica- gli intimò perentorio, lasciando la presa dei denti che gli imprigionava la carne tenera dell’inguine -Puoi scrivere il tuo nome sulla mia pelle. Non voglio che tu mi tolga gli occhi di dosso, nemmeno per guardarti attorno- spiegò alzandosi per gravargli addosso con la sua mole e mostrandogli il palmo destro, rivolto verso lo stregone e contenente un pennello elegantemente decorato.

-Non serve inchiostro, se usi questo- gli mormorò anticipando la sua domanda con un sorriso quasi tenero, vedendo Lan XiChen in evidente difficoltà, costretto a continuare la sua canzone e quindi impossibilitato a parlare.

Ripreso dal bacio e da quello che ne era seguito, l’uomo si piegò in avanti per afferrare l’oggetto, trovandosi poi a scorrere con le setole delicate sul braccio che l’altro gli porgeva per scriverci i caratteri del suo nome. Al passaggio del pennello, la pelle del demone si tinse di azzurro, gli ideogrammi che apparivano addosso come un tatuaggio sottocutaneo. 

-Lan Huan- mormorò la creatura facendo brillare quegli esotici occhi marroni rossicci -Ora porterò il tuo marchio per sempre su di me- confessò sfilandogli il pennellino di mano e baciandogli le guance, il naso e gli occhi. 

La dolcezza che dimostravano le sue labbra era in netta contrapposizione con la foga delle sue mani che lo stavano spogliando dei vestiti, strappandogli la stoffa di dosso e squarciandola con gli artigli. In pochi attimi, la creatura infernale si ritrovò a posare le dita sulla pelle nuda e bollente dell’uomo che continuava a cantare.

-Le mie legioni mi hanno nominato Chifeng-zūn 4, la loro "lama scarlatta"- spiegò posizionandosi tra le sue cosce spalancate e facendogli distendere la schiena sul tavolo per poterlo sovrastare di nuovo -Ma tu, Padrone, puoi chiamarmi Nie MingJue… e lo farai, credimi- gli giurò all’orecchio, mordendogli piano il lobo.

La promessa fu mantenuta. Per tutta la notte che ne seguì, la voce melodiosa dello stregone cantò solo il suo nome.

 

 

Fortuna volle che il figlio fosse più resistente della madre. In realtà, lo era sempre stato. 

Forse era la sua natura da mezzo-demone ad alleggerire quel peso che avrebbe schiacciato già molti dei più bravi stregoni, dopo ben tre giorni di canto ininterrotto. Ma la sua magia non era infinita, e nemmeno la sua voce.

Beveva solo grazie a Nie MingJue, direttamente dalle sue labbra morbide che gli facevano scorrere acqua fresca in gola mentre lui continuava a canticchiare con tono sottile, le corde vocali provate da quell’enorme sforzo. Non aveva mai cantato così tanto in vita sua.

La terza sera, il demone lo aveva fatto sedere sul terrazzo fuori dalla vetrata, abbandonando le coltri che li avevano ascolti per quegli ultimi giorni. Si era posizionato dietro di lui, facendolo sedere tra le sue gambe muscolose e avvolgendolo tra le braccia.

-Per il tuo bene, e per il bene della tua voce, dovrei dirti di smettere e di rimandarmi nel mio mondo- gli aveva sussurrato stringendolo sul suo petto e affondandogli il viso nei cappelli. Aveva respirato il suo odore a lungo, prima di continuare -Ma sono un demone, e su una cosa il tuo popolo ha ragione: siamo esseri fatti di egoismo. Perciò non voglio lasciarti andare, non ancora- aveva completato con voce rotta da un pianto secco, senza lacrime.

Quelli come lui non piangevano, gli aveva spiegato ore prima. Era un meccanismo di difesa per evitare che, se catturati e torturati, il nemico capisse il dolore che provavano. Una sola volta ho visto uno della mia razza piangere, gli aveva detto perso nei suoi pensieri, e le lacrime erano rosse come il sangue dei suo figli, quelli che non avrebbe mai potuto conoscere.

Al posto di gridare ciò che provava nel sentire dell’assoluta disperazione del padre, Lan XiChen aveva continuato a cantare, ignorando il bruciore assolutamente insopportabile alla gola e reprimendo la sofferenza modulando la tonalità. Nonostante questo, il demone si era accorto del cambiamento, accogliendo in silenzio la notizia che, nel giro di poco, avrebbe dovuto andarsene.

-Restiamo così ancora per un pò- aveva detto, rafforzando la presa su di lui fino a fargli male. Lo stregone, in ogni caso, lo aveva stretto di rimando.

 

 

Era l’alba quando la voce di Lan Huan cedette. Un tremolio appena accennato, e l’unico suono che riuscì a produrre furono dei respiri vagamente armonici, anche se pieni di sconforto. 

Con un ultimo sforzo disperato, l’evocatore provò a serrare le labbra, stringere i denti e canticchiare una cantilena antica per cui non aveva mai avuto bisogno di impegnarsi, ma quasi impazzì dal dolore. Non poteva reggere oltre, e lo sapevano entrambi.

Nie MingJue gli accarezzò le labbra con delicatezza e lo guardò negli occhi come a volerlo ricordare per sempre. Poi, scosse la testa.

-Basta così- mormorò solo. Nessun addio, nessuna supplica o ultima frase d’amore come quelle che si erano sussurrati per tutte quelle notti. Una singola goccia salata, però, gli tinse la guancia di rosso.

Noi non piangiamo, erano state le sue parole esatte, e nessun demone ha mai provato abbastanza dolore da sentire il bisogno di farlo. Solo uno, fino ad ora…

Non aveva mentito, ma aveva involontariamente spezzato una tradizione. L’amore per il quale aveva versato quell’unica lacrima scarlatta era un sentimento non meno importante di quello che il padre di Lan XiChen aveva provato per la sua compagna. Infatti, entrambi erano finiti allo stesso modo.

Il demone sparì in uno sbuffo di fumo grigio, quando lo stregone fermò la canzone. Come un sogno che sfuma nella mente non appena ci si risveglia, ogni traccia della sua presenza svanì dalla stanza di Lan Huan.

La sciabola ancora macchiata di sangue, appoggiata sulla scrivania tra i fogli e gli spartiti. Il mantello vellutato, adagiato elegantemente sulla poltrona azzurra. I copri-spalle d’oro massiccio a forma di bestia ruggente. Perfino il nastro dorato che gli aveva legato i capelli svanì.

Non era rimasto nulla, di quel guerriero demone che tanto amava. Il profumo e i segni che lo stregone portava sulla pelle sarebbero dovuto bastargli per l’eternità, nella sua nuova solitudine.

Si abbandonò sulla sponda del letto, le dita che artigliavano le lenzuola sfatte e le stropicciavano ancor di più. Singhiozzando come un bambino, l’uomo affondò il viso nelle coperte che sapevano di lui e sperò di morire nel sonno.

Quando alla fine crollò addormentato, Lan XiChen aveva pianto tutte le sue lacrime.

 

 

Una speranza di nuovi tramonti, ecco cos’era la porta che apriva sull’altro mondo con le sue canzoni. Uno spiraglio su Qinghe, quella realtà piena di fuoco e guerrieri, dava speranza non a lui, ma agli altri.

Non era nulla di più che una visione di quello che sarebbe potuto essere, se solo quelli come lui avesse fatto determinate scelte. Tenere aperto il portale a costo della vita, morire per farli restare… Era un miraggio lontano che intravedevano e ammiravano, ma era molto meno perfetto di quanto non sembrasse da quella notevole distanza.

Il gioco valeva la candela?

Lan XiChen sapeva che l’amore non era un gioco e le conseguenze non erano candele, perché non si consumavano così in fretta come si sperava. Ma pensava che la risposta fosse diversa, in base a chi si poneva la domanda.

Non contava l’esperienza, perché in amore succedono cose belle e brutte in egual misura, ma i ricordi che ci si portava dento alla fine del percorso. La via che si aveva scelto di percorrere mano nella mano con quel qualcuno, prima che un bivio improvviso dividesse i due destini, era davvero bella come pareva?

Guardandosi indietro, Lan Huan non vedeva altro che amore, per i tre tramonti che aveva condiviso con Nie MingJue. Ma la sofferenza che ne era derivata… Ci vuole solo tempo, si ripeteva, perché le ferite stanno guarendo, lo sento.

Ma stava mentendo a se stesso. Semplificava troppo le cose, confondendo la logica coi sentimenti e mescolandone le leggi.

Forse era una maledizione, e non un dono, quello della sua famiglia. Forse si meritavano di soffrire perché le loro doti avevano ferito qualcuno, nel passato, e dovevano espiare una grave colpa. Forse si sarebbe estinto con lui, quel tormento da tramandare col sangue.

Ma io, pensava piangendo in silenzio, con i singhiozzi muti incastrati in gola, non ho fatto niente per meritarmi tutto questo dolore.

Chissà se, per amore, tutti sarebbero stati disposti a fare come lui. A rinunciare ad una parte di se stessi essenziale, ma che pare del tutto sacrificabile, davanti alla prospettiva di quel desiderio irraggiungibile.

Che la tua vita sia muta e silenziosa, era stata la sua condanna, scagliata da un dio in cui non credeva ma che lo poteva comandare a suo piacimento, perché hai voluto usare la voce per ottenere qualcosa che non ti apparteneva.

Ogni sera, guardando le nuvole che si addensavano in cielo, gonfie di pioggia, Lan XiChen si diceva che ne era valsa la pena.

 

 

 

 

ANGOLINO D’AUTRICE
1. Una… bocca: è una citazione, un pò modificata, di Bocca di rosa di Fabrizio De André 

2. Qingheng-Jun: è l’unico onorifico che ho trovato per descrivere Papà Lan, dato che il nome non ce lo dicono manco per la miseria!

3. Dao: è il nome di una categoria di armi bianche che contiene anche la tipica sciabola cinese a una mano, anche se avrei voluto fargli usare un’arma a due mani come la Zhǎnmǎ dāo (letteralmente: sciabola taglia-cavallo). Ma la tradizione del Clan Nie dice sciabola, quindi sciabola semplice sia

4. Chìfēng-zūn: (赤锋尊) vuole dire "lama scarlatta", poeticamente tradotto dai due termini chì (), ovvero rosso, e fēng (), lama o spada. Zūn () è un onorifico, invece.


Prima cosa: ringrazio Tumblr per il titolo, sono una frana a deciderli e per fortuna questa citazione ci stava a pennello.
É un’AU strana, perché era partita dal mondo di Boku no Hero Academia ma poi si è evoluta in una specie di storia in cui la gente ha poteri magici e questo è solo uno tra i tanti. Potrebbe essere un’AU di X-Man, oppure un qualcosa sulle streghe tipo Il libro della vita e della morte? Non lo so, ditemi voi come vi è parso il contesto, anche se è molto vago.
Forse c’è stata anche un’influenza da parte della Sirenetta… la storia dei tre giorni, la voce rubata per amore. Si, potrebbe essere. Dovete rendervi conto che per la maggior parte del tempo non ho la minima idea di cosa succeda nella mia testa, quindi ne dovete subire le conseguenze.
Infondo però, non è quello il punto. Il fulcro della storia sono l’amore e la musica, se sia in un universo Marvel o fantascientifico non ha davvero grande peso. L’importante è che il concetto sia arrivato, ecco.

La dedico a Atheyè, che shippa con me la NieLan e che è costretta a sopportarmi in un gruppo 24/24. Ora non hai scampo.
Prima di dimenticarmene: il demone che viene evocato per primo e che gli da le spiegazioni è Song Lan, non Wen Ning, per chi se lo stesse chiedendo… se mai scriverò una fan fiction basata su questa (tipo un sequel) sulla WangXian, allora potrei metterci il Generale Fantasma come sottoposto di Wei WuXian, magari. Vedrò se mi andrà di imbarcarmi in questo progetto.
Grazie per aver letto, spero di esser stata chiara e che vi sia piaciuta. :3

Baci a tutti, Sarah_lilith

   
 
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