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Autore: Soul of Paper    26/01/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 14 - Cocci


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Buongiorno, dottoressa.”

 

Alzò gli occhi dalle carte e si trovò Diana di fronte, con uno sguardo abbastanza tagliente, come il modo in cui aveva pronunciato il suo titolo.

 

Era ancora arrabbiata con lei dopo quasi una settimana: doveva avere proprio esagerato e se ne rendeva pure conto.

 

“Buongiorno, Diana, spero che le ferie siano andate bene.”

 

“Ah, benissimo. L’avvocato dice che mio marito potrebbe chiudermi i rubinetti e smettere di pagare il mantenimento di Cleo fino a che il giudice non ne stabilisce l’importo, per costringermi a cedere alle sue condizioni. Ma sono stata tradita io per prima, è colpa sua se il nostro matrimonio è finito! Certo, ci avrò pure messo del mio con Capozza ma non mi sarei mai guardata intorno se mi fosse stato fedele!”

 

Ogni parola fu una pugnalata dritta al petto per Imma ed i suoi sensi di colpa per lo stato in cui versava il suo matrimonio. Almeno Pietro si era risparmiato di beccarla con Calogiuri in qualche cespuglio… anche se a cavallo insieme li aveva mancati per un soffio.

 

Ed il pensiero andò in automatico a lui, che non vedeva dal giovedì precedente, da quel momento nel suo ufficio, quando aveva ceduto a quello che provava per lui e lo aveva baciato.

 

Non sapeva come sarebbe potuto andare un nuovo incontro tra loro, se ci sarebbe stato risentimento o imbarazzo o-

 

“Allora dottoressa?”

 

“Come, Diana?” chiese, confusa, essendosi persa nei suoi pensieri, come quasi sempre quando si trattava di lui.

 

“Ho chiesto se ha bisogno di qualcosa in particolare, dottoressa.”

 

“Diana, dai, piantala di chiamarmi dottoressa quando non c’è nessuno in giro! E per il lavoro, ci sono alcune carte sulla tua scrivania da risistemare nei fascicoli, tanto per iniziare.”

 

“Va bene…” sospirò Diana, avviandosi verso il suo ufficio, sembrando ancora molto sulle sue.

 

Almeno finché la sentì fare una specie di mezzo urletto ed emergere dalla porta con una busta e due biglietti in mano.

 

“Ma… ma…” balbettò incredula, brandendo i due biglietti per il Don Chisciotte con Alessio Boni con una mano tremolante.

 

“Visto che so quanto ti piace… così ci puoi andare con Capozza o con chi ti pare a te. Magari, se ci vai con Capozza, fai attenzione a tuo marito, però, che con la causa di separazione meglio evit-”

 

Non fece in tempo a finire la frase perché Diana se la abbracciò fortissimo, che tra un po’ la sedia si ribaltava e cascavano tutte e due.


“Dai, Diana, mo non esageriamo!” cercò di calmarla, dandole due pacche sulle spalle.

 

“Grazie, Imma! Però allora ci devi venire tu con me. Che mica posso andarci con un uomo!”


“Eh, beh, certo: metti che Boni pensa di avere concorrenza, poi magari non si fa avanti!”

 

“Ma piantala!” esclamò Diana con una risata, per poi fermarsi di colpo e guardarla di sottecchi, forse temendo di avere esagerato con la confidenza, “e comunque ti ho già detto che io e Capozza siamo in pausa.”

 

“Sì, va bene, Diana, se lo dici tu. Ma mo possiamo lavorare? Che in pausa noi ancora non siamo.”

 

“Va bene, dottoressa,” sbuffò, ma poi le fece un sorriso dalla porta.

 

Sollevata dall’essere riuscita a farsi perdonare da Diana, stava per riprendere il fascicolo sui Tantalo, che era più lungo ed intricato di una delle soap opera tanto amate da sua suocera, quando bussarono alla porta.


“Avanti!”

 

“Dottoressa.”

 

“Calogiuri!”

 

Il cuore le fece un’accelerata nel petto, mentre scrutava la sua espressione, per capire come fosse la situazione tra di loro.

 

Sembrava neutra, professionale, ma almeno non c’era quella durezza delle settimane precedenti, nonostante l’avesse respinta e l’avesse accusata di averlo trattato come un giocattolo, cosa che ancora le faceva malissimo, più del rifiuto in sé, il fatto che potesse anche solo pensarlo.

 

Non che non lo capisse fin troppo bene, purtroppo: sapeva di essersi comportata in modo irrazionale e contraddittorio, del resto quando c’era di mezzo lui la logica e l’autocontrollo le erano sempre mancati. Ma non era una scusante.

 

“Dimmi, ci sono novità su Davidson e su Panama?” gli chiese, per testare le acque.

 

“No, dottoressa, sto ancora facendo ricerche in proposito, non ho tutti i dati bancari necessari. Ma… ma forse ho scoperto qualcosa che potrebbe c’entrare con questo caso,” spiegò, con quell’aria di quando aveva in mano qualcosa di grosso, con quel forse che in realtà era una certezza, ma che veniva aggiunto per quell’insicurezza latente e quella modestia che ancora emergevano ogni tanto.

 

“In che senso, Calogiuri? Accomodati, dai, non restare lì impalato,” lo invitò, sembrandole per un attimo di essere tornata ai primi mesi della loro conoscenza, sebbene le motivazioni dell’imbarazzo nell’aria non avrebbero potuto essere più diverse.


E anche Calogiuri era cambiato, eccome se era cambiato, a giudicare da come le aveva tenuto testa nelle ultime settimane.

 

Ma non in peggio, come aveva per un attimo temuto dallo sfogo di Matarazzo, anche se con Miss Sicilia aveva indubbiamente sbagliato.

 

Anzi, era più… più forte, più determinato, più… più maturo, forse era quello il termine corretto da usare.

 

“Allora?” gli domandò, una volta che ebbe preso posto.

 

“Venerdì mi stavo occupando del caso Quaratino per la dottoressa D’Antonio,” esordì ed Imma notò che sul nome della collega il tono divenne lievemente sarcastico.

 

Si sentì avvampare, ricordandosi delle sue assurde ipotesi, perfino su Diodato.

 

Che cosa non fa la gelosia, eh, Imma? - le domandò la voce di Diana, direttamente dalla sua coscienza.

 

“Stavo interrogando la compagna di Quaratino che, visto che le cose per lui si mettono male, ha accettato di collaborare con noi in cambio di un permesso permanente per lei ed il figlio ed un inserimento in un programma di protezione,” spiegò, prima di estrarre alcune foto da un fascicolo, “le stavo mostrando alcune immagini di possibili indiziati per il traffico di auto rubate… e sapete com’è, mettiamo dentro anche diversi falsi positivi, ma la signora ha riconosciuto questa foto.”

 

“Ma questo è…” sussurrò, incredula di un simile colpo di fortuna. 

 

“Già… è la foto di Constantinescu dal suo permesso di soggiorno. L’avevo fatta inserire tra le foto dei cittadini rumeni da utilizzare in questi casi, sperando che prima o poi qualcuno magari l’avrebbe riconosciuto e avremmo scoperto qualcosa di più su di lui ma… ma non pensavo certo che lo avrebbe fatto la moglie di Quaratino.”

 

Quella sensazione dolce al cuore si fece fortissima, insieme all’orgoglio e alla commozione: aveva una voglia matta di alzarsi dalla sedia, girare intorno alla scrivania, abbracciarselo e baciarselo. Ma non poteva farlo.

 

“Ed è sicuro che non si sia confusa o che magari abbia sparato nel mucchio, proprio per evitare di coinvolgere persone realmente implicate col Quaratino?” gli chiese, frenando l’entusiasmo, come doveva fare per mestiere.

 

“Anche io l’ho pensato e allora le ho fatto qualche domanda in più. Sostiene che quell’uomo non facesse parte del giro delle auto rubate, non in maniera principale almeno, ma si occupasse insieme a Quaratino di un altro genere di traffico che facevano con dei vecchi camion, portati dall’Est Europa. Che lo ha visto un paio di volte appunto alla guida di questi camion, con targa rumena o ucraina, che poi consegnava a Quaratino. A questo punto, per essere sicuro al cento per cento, ho pensato che forse sarebbe il caso di tornare a parlare con l’ex compagna di Constantinescu. Ma se volete andare a interrogarla voi, visto che questo caso è vostro… insomma, come preferite.”

 

“No, interrogala pure da solo, Calogiuri. Te lo sei meritato,” gli sorrise, sia per l’orgoglio, sia per quel rossore che gli si iniziava ad accennare sul collo, che peggiorò soltanto quando aggiunse, “bravo, hai fatto davvero un lavoro eccezionale, complimenti!”

 

“Grazie…” mormorò, abbassando il capo per l’imbarazzo, per poi guardarla, sembrando esitare, senza aggiungere subito quel se non c’è altro, come aveva fatto nelle ultime settimane.

 

Avrebbe voluto fare mille cose, dirgli mille cose, ma non poteva e non solo per via di Diana che la guardava di sottecchi dall’ufficio accanto.

 

Calogiuri era stato chiaro, chiarissimo e… e prima di rischiare di avvicinarsi di nuovo troppo a lui doveva fare lei chiarezza nella sua vita e capire non tanto cosa voleva, perché quello, purtroppo e per fortuna, lo sapeva fin troppo bene ma… ma prendersi il tempo per ragionare molto attentamente su tutto il resto.

 

“Dottoressa?”

 

La voce di lui la riscosse dai suoi pensieri - il radar funzionava ancora, evidentemente, nonostante la loro frequentazione si fosse interrotta - e lo vide osservarla, confuso.

 

“Scusa, Calogiuri… stavo… stavo ragionando sugli ultimi sviluppi. Se… se vuoi andare, vai pure, e ancora complimenti per l’ottimo lavoro,” gli disse con un sorriso e lui annuì, apparendo ancora più dubbioso, tirandosi poi in piedi, “tienimi aggiornata.”

 

“Naturalmente, dottoressa,” concordò, con uno sguardo strano, prima di sparire oltre la porta.

 

*********************************************************************************************************

 

“Che ne diresti, se andassimo in terapia di coppia?”

 

Pietro sganciò la bomba proprio mentre Imma stava per infilarsi sotto le coperte, dopo essere appena rientrata dal bagno, e per poco non cascò dal letto.

 

“Come?”

 

“Ho… ho sentito che può funzionare in casi come il nostro. Possiamo parlare e capire dove stanno i problemi e le ragioni del tuo… blocco nei miei confronti,” spiegò, affrettandosi a chiarire, probabilmente dopo aver visto l’espressione di lei, “amò, non sto dicendo che sia colpa tua, anzi sicuramente ho contribuito io a questo blocco con… con quello che è successo negli ultimi mesi, però se ne parliamo e ci confrontiamo, magari-”

 

“Pietro, ho capito,” lo interruppe, mentre sentiva un senso di panico stringerla in una morsa, affrettandosi a dire, “e so cos’è la terapia di coppia ma… ma in questo momento non me la sento di affrontare una cosa del genere.”

 

“Ma perché, amò? Tanto rimane tutto tra noi, lo sai, c’è il segreto professionale.”

 

Pensa, Imma, pensa! - si sforzò, perché non voleva buttare via chissà quanti soldi alla settimana per una terapia inutile, dato che non poteva essere sincera e ammettere i motivi del suo blocco. Come se non li conoscesse benissimo poi. E l’idea di dover mentire ogni settimana non solo davanti a Pietro, ma soprattutto davanti a qualcuno che quasi sicuramente a cogliere le bugie era più che abituato… non ci voleva nemmeno pensare.

 

“Tra noi ed una terza persona che sicuramente dovrà mantenere il segreto professionale, Pietro, ma allo stesso tempo siamo nel mezzo di un maxiprocesso, tra due giorni ho pure la seconda udienza, con Latronico che sta cercando ogni cosa a cui attaccarsi. E se scopre in qualche modo che andiamo in terapia di coppia, farà in modo che salti fuori, vedrai, e ci costruirà sopra una sceneggiatura da Oscar sul perché ci andiamo. Vuoi davvero mettere in piazza gli affari nostri e rischiare che lo sappia pure Valentina?”

 

Si sentiva in colpa ad usare quella scusa, nonostante il rischio ci fosse e neppure tanto remoto: Latronico sapeva essere peggio di un segugio ed assolutamente spietato. E Matera restava un paesone nell’anima: una visita una volta alla settimana o più allo stesso professionista difficilmente sarebbe passata inosservata.

 

Ma sempre di una scusa si trattava.

 

“No, amò, hai ragione…” sospirò Pietro, passandole un braccio intorno alle spalle ed attirandola a sé, ed Imma si impose di rimanere rilassata, “ma allora come possiamo fare? Dimmi che posso fare, Imma, e lo farò, te l’ho già detto.”

 

“E se lo sapessi te lo avrei già detto pure io, Pietro. Non lo so… non sono cose che si possono forzare. Ma vorrei… vorrei che ci potessimo godere i momenti in cui siamo insieme, in modo più rilassato, senza… senza il fiato sul collo di dover parlare o discutere o risolvere qualcosa. Che ne dici?” propose, perché era l’unica cosa che desiderava da lui in quel momento, anche se non sapeva se sarebbe bastata. Ma voleva capire se i momenti con Pietro potessero essere di nuovo sereni, se lo stare in coppia potesse essere ancora un valore aggiunto e non solo un peso o un dolore per entrambi.

 

“Dico che mi sembra una buona idea, amò,” concordò Pietro, con un sorriso, stringendola più forte, “che ne dici se questo weekend ci prendiamo un giorno solo per noi, per fare qualcosa che piace ad entrambi?”

 

“Tipo?” gli domandò, perché la verità era che le veniva difficile pensare che potesse esistere qualcosa del genere, avendo avuto sempre gusti molto diversi.

 

E, a giudicare dallo sguardo impanicato di Pietro, probabilmente se ne rendeva conto pure lui.

 

“Ci… ci penso e poi se ti va bene organizziamo, d’accordo?”

 

“D’accordo,” annuì, perché in fondo l’idea di partenza era stata sua, sperando solo di non pentirsene amaramente.

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottoressa!”

 

Il cuore le fece un balzo, proprio mentre il cicalino annunciò l’arrivo dell’ascensore. Stava trasportando le copie dei fascicoli del maxiprocesso che si era portata a casa da studiare, in vista dell’udienza del giorno successivo, ed aveva una sporta per braccio più la borsa. Troppo per fare le scale.

 

“Date a me,” si offrì Calogiuri, con tono neutro e professionale. Imma annuì e gli passò una delle sporte.

 

Ma lui si prese anche l’altra e questo le causò quella strana sensazione al petto. O forse era la troppa vicinanza in quell’ascensore, l’aria che sembrava farsi elettrica e densa come non mai.

 

“A- avevi bisogno di qualcosa, Calogiuri?” domandò, per spezzare la tensione, tormentandosi le mani, mentre sperava che l’ascensore arrivasse in fretta al piano e allo stesso tempo che non ci arrivasse mai.

 

“Ho interrogato la compagna di Constantinescu. Le ho mostrato un po’ di foto e ha riconosciuto subito Quaratino. Mi ha detto di averlo visto diverse volte con Constantinescu, negli ultimi mesi, dopo che quest’ultimo aveva perso il lavoro. Che non le aveva mai voluto dire esattamente cosa facessero, ma sapeva che andava regolarmente a recuperare dei camion e a fare delle consegne vicino a Trieste, non potendo lasciare l’Italia col permesso di soggiorno scaduto."

 

“Bravo, Calogiuri! Hai davvero fatto un ottimo lavoro,” si complimentò nuovamente e, per un istante, quell’espressione neutra cedette e lo vide imbarazzarsi e le sembrò di notare l’accenno di un sorriso.

 

Ma, proprio in quel momento, con un altro cicalino l’ascensore giunse al piano e si aprì, interrompendo quel brevissimo disgelo.

 

La lasciò uscire per prima, rispettoso come sempre delle gerarchie, e la seguì con le sporte in mano, finché giunsero all’ufficio di lei, dove le depositò su quello stesso tavolo addosso al quale erano finiti a baciarsi nemmeno una settimana prima.

 

Sentendosi avvampare, gli fece cenno di accomodarsi e poi cercò di concentrarsi sul caso.

 

“Dobbiamo andare ad interrogare Quaratino, Calogiuri. Provo a parlarne con Vitali e con la D’Antonio, anche se immagino la reazione che avrà la collega,” commentò, con una punta di sarcasmo, sebbene non avesse per niente voglia dell’ennesima discussione con la molto disponibile PM, “novità sul fronte Davidson e Tantalo?”

 

“Per ora i movimenti bancari non hanno dato riscontri dottoressa.”

 

“Beh, del resto, se i soldi venivano da un conto off-shore, è probabile che fossero fondi neri ed è molto difficile che trovino corrispondenza con movimenti qui in Italia, dai conti ufficiali. Era un’ipotesi remota, Calogiuri, ma che dovevamo verificare. Altro?”

 

“Sì, nessuno di loro sembra aver avuto legami con Panama o esserci stato, dalle verifiche sui passaporti. Ma ho notato che Lombardi e la Tantalo erano in vacanza a Miami per capodanno dell’anno scorso. E la Tantalo è tornata negli Stati Uniti pure lo scorso agosto, senza Lombardi che è rimasto qui in Italia, tra le udienze alla Camera ed il processo. Da verifiche dei voli è stata a New York principalmente, ma poi ha fatto anche una tappa di nuovo a Miami. E sapete dove ha fatto scalo Davidson, proprio in quel periodo, di ritorno da Panama?”

 

“Miami?” rispose con un sorriso soddisfatto e lo vide annuire ma poi prendere un respiro, l’aria di chi aveva qualcosa da dire, qualcosa di grosso, “che c’è, Calogiuri?”

 

“C’è che... forse è un’idea assurda, ma ho pensato che magari qualcuno a Miami potrebbe gestire degli… investimenti a Panama per conto della Tantalo o di Lombardi o di entrambi. A quanto ne so, Miami è piena di Sudamericani che si occupano di traffici di quel tipo per conto di investitori americani e non.”

 

Imma ammutolì, il cuore che di nuovo pareva sull’orlo di scoppiarle nel petto, il sorriso che lasciava il posto ad una commozione incredibile. Che Calogiuri avesse del gran potenziale lo aveva sempre saputo, ma… maledizione, se era diventato bravo! Tempo qualche anno e forse l’avrebbe pure superata.

 

Ma la cosa, stranamente, non le causò preoccupazione o invidia, solo orgoglio.

 

“Che c’è?” fu lui a chiederglielo questa volta, sembrando sorpreso, “ho detto qualcosa di sbagliato?”

 

“No, no, Calogiuri, anzi. Da quand’è che sei diventato pure esperto di finanza internazionale?”

 

“Da… da quando mia sorella si è appassionata alle serie sui narcos e me ne sono dovuto sorbire una maratona mentre stavo a Grottaminarda a natale,” ammise, con un certo imbarazzo.


Imma non riuscì a trattenersi dal ridere e pure lui, dopo un paio di secondi, scoppiò in una risata, stemperando del tutto l’atmosfera.

 

Per qualche istante sembrò tornato definitivamente il sereno tra loro, come se niente fosse cambiato, come se fossero tornati al periodo precedente alla loro… relazione.

 

Ma poi, come sempre, ebbe la malaugurata idea di parlare troppo.

 

“Dovrò ringraziare tua sorella, allora, per l’intuizione,” le scappò di dire, senza riflettere e, un secondo dopo averlo fatto, lo vide rannuvolarsi e capì il perché.

 

Sua sorella, la piccola Noemi… e tutto il resto appresso.

 

L’atmosfera tornò triste, malinconica, opprimente, non rabbiosa, ma carica di rimpianto.

 

“C’è altro, dottoressa?” le domandò e quasi le venne da piangere nel sentire quelle poche parole, per quanto assurdo potesse sembrare.

 

“No… anzi, sì,” lo bloccò, mentre si stava tirando in piedi, “ascolta, domani c’è l’udienza e… vorrei che tu assistessi. Ormai è tardi per tirare fuori il filone Tantalo, questa storia di Constantinescu e quella dei Serpenti. Non voglio scoprire le carte troppo in fretta, prima di essere sicura di avere tutti gli elementi in mano, che c’è coinvolto pure un giudice. Ma vorrei che tu fossi i miei occhi e le mie orecchie in platea, per vedere che aria tira. Sei disponibile?”

 

“Certo, dottoressa, pensavo fosse scontata la mia presenza, avendo seguito il maxiprocesso dall’inizio,” rispose, con un misto tra sorpresa e delusione.

 

“Lo è: il maxiprocesso era, è e resta competenza tua, se tu lo vuoi,” lo rassicurò, dandosi di nuovo della cretina.

 

Un brevissimo sguardo d’intesa, troppo breve, e poi sparì dalla sua vista, lasciando però dietro di sé quella strana atmosfera, malinconica ed agrodolce.

 

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“E quindi vorrebbe occuparsi pure del caso Quaratino, mo, dottoressa?”

 

“No, dottor Vitali, vorrei soltanto poter interrogare Quaratino per scoprire quello che sa su Constantinescu. Poi certo, se la sua posizione risultasse collegata al maxiprocesso, ovviamente… capisce anche lei che potrebbe essere necessario accorpare le due inchieste. Ma non lo sapremo finché non lo interrogo.”

 

“E perché non dare modo alla dottoressa D’Antonio di interrogare il Quaratino, allora?” rilanciò Vitali, con l’aria di chi voleva essere ovunque tranne che lì, di chi temeva di trovarsi tirato in mezzo ad uno scontro epocale.

 

Quello tra lei e la disponibilissima collega, ovviamente.

 

“Perché il maxiprocesso è competenza mia, è in una fase delicatissima e francamente non voglio dover dare dettagli sensibili a nessuno finché posso evitarlo, nemmeno ai colleghi. Né dovermi fidare di come e quando utilizzeranno tali dati con un sospettato, dottore. C’è la mia faccia, la mia reputazione e pure la mia sicurezza in ballo, dottor Vitali, e lo sa meglio di me. Con tutto il rispetto per la D’Antonio o per chiunque altro.”

 

Vitali sospirò ma non protestò come avrebbe pensato, rimanendo invece per un attimo pensieroso, prima di sollevare la cornetta e chiamare un numero interno, “Monica, mi puoi convocare la dottoressa D’Antonio? Grazie!”

 

Dopo pochi minuti, la bionda di nero vestita comparve sulla soglia, puntuale e ligia al dovere - o forse sarebbe stato meglio dire ossequiosa - come sempre.

 

“Dottoressa, l’ho convocata perché sono emersi legami tra il Quaratino e Constantinescu, una delle vittime del maxiprocesso di cui si occupa la dottoressa Tataranni. Di conseguenza, la dottoressa chiede di poter interrogare il Quaratino e mi pare sensato concederglielo. Sono certo che troverò la sua approvazione, non è vero?”

 

“Se lo ritiene necessario, dottore, sebbene penso di essere più che qualificata per porre le domande necessarie al Quaratino io stessa. Mi stupisce invece scoprire ora di questo collegamento, visto che il caso Quaratino è di mia competenza. Posso chiedere come si è arrivati a questa scoperta?” chiese la D’Antonio, pungente, squadrando Imma dall’alto in basso.

 

Imma si rese conto, quel senso di calore nel petto che rifioriva fortissimo, che Calogiuri non aveva detto nulla su quanto riguardava il maxiprocesso alla D’Antonio, mettendone a parte solo lei. E sicuramente non lo aveva indicato nemmeno nei verbali, che la compagna di Quaratino aveva riconosciuto Constantinescu, o la D’Antonio l’avrebbe saputo. Ed ora rischiava di finire nei guai, di nuovo per colpa sua.

 

“Parlando con la vedova Constantinescu, ha riconosciuto una foto del Quaratino,” provò a spiegare, tagliando corto.

 

“E come mai ti è venuto in mente di mostrarle una foto di Quaratino, Imma?” incalzò la collega che, pur non essendo una regina del foro, il suo mestiere comunque lo sapeva fare.

 

“Perché trafficava veicoli con la Romania e la vedova di Constantinescu mi aveva parlato di un possibile traffico di camion rumeni ed ucraini in cui era coinvolto il marito. Sono tutti rumeni e stanno a Matera e non a Tokyo, quindi non ci vuole certo Sherlock Holmes per fare il collegamento.”

 

La D’Antonio rimase per un poco in silenzio, apparendo poco convinta, ma poi annuì e concesse, con un sopracciglio alzato, “come il dottor Vitali sa sono molto disponibile, Imma, quindi se vuoi interrogare il Quaratino per me va bene. Ma il caso resta mio, intesi?”

 

“Salvo emergano legami tali col maxiprocesso che richiedano di accorpare le inchieste, secondo il giudizio del dottor Vitali, naturalmente,” rilanciò, guardando di sottecchi Vitali, che aveva un’espressione che era quella che si era sempre immaginata avesse avuto Don Abbondio, fermato dai Bravi, ogni volta che le era toccato leggere i Promessi Sposi a scuola.

 

“Cominciamo con l’interrogatorio, dottoressa, e mi tenga costantemente aggiornato. Prego, potete andare,” le invitò con un gesto della mano, l’aria di chi non vedeva l’ora si levassero di lì.

 

Erano appena arrivate in corridoio e stava per ritornare nel suo ufficio, quando si sentì prendere per un braccio e si voltò, fulminando l’altra donna con un’occhiataccia, ma la bionda non mollò affatto la presa.


“Pensi che non l’ho capito, che è stato il maresciallo a darti l’imbeccata su Quaratino? Mi prendi per scema, Imma?” sibilò, furente, ed Imma si sentì tremendamente in colpa verso Calogiuri, cercando disperatamente un modo per parargli le spalle.

 

“Ma non mi permetterei mai! E non vedo che c’entri Calogiuri, a meno che tu abbia qualche prova di ciò che sostieni. Se devi prendertela con qualcuno, nonostante la tua paventata disponibilità, prenditela con me, anche se ti ricordo che sto soltanto facendo il mio lavoro e che non è certo colpa mia, né colpa di nessuno, se i nostri casi sono collegati un’altra volta.”

 

“No, non è colpa di nessuno quello. Ma il fatto che io sia l’ultima a saperlo, quando si tratta di un mio caso, quello certo che è colpa tua. Ma non finisce qui!” minacciò la bionda, prima di girare i tacchi e camminare a passo marziale fino al suo ufficio, entrando e sbattendo la porta con veemenza alle sue spalle.

 

Doveva avvertire Calogiuri, subito, e, con il cuore in gola, fece le scale e finì in PG.

 

“Il maresciallo non c’è?” chiese a Matarazzo che, al titolo di Calogiuri, si produsse in un’espressione talmente carica di disprezzo che superava perfino le sue.

 

“No, è fuori per la D’Antonio, non so se rientra stasera,” le rispose, con l’aria di chi, pure se non fosse rientrato mai più, non ne sarebbe stata di certo dispiaciuta.

 

Chiamami quando vedi il messaggio, ho bisogno di parlarti urgentemente.

 

Premette invio, sperando di ricevere subito risposta, ma le maledette spunte le segnalarono che evidentemente il maresciallo era in un posto dove il cellulare non prendeva.

 

Quando serve, non funziona mai e quando non serve funziona fin troppo! - pensò, ritirando in tasca l’oggetto infernale ed avviandosi verso l’ufficio.

 

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Una fitta di mal di testa da cervicale la riscosse dal ripasso delle carte per l’udienza del giorno successivo.

 

Guardò l’orologio e si rese conto che erano le diciotto e trenta. Probabilmente in ufficio, come al solito, c’era rimasta solo lei. Diana era da mo che se ne era andata: ultimamente usciva sempre puntuale, salvo fosse lei a chiederle il contrario.


Altro indizio che gatta ci covava e temeva pure di sapere con chi.

Ma non erano affari suoi - e poi chi è senza peccato! - e quindi raccolse la borsa, si impose di lasciare i fascicoli in procura ed evitarsi un ultimo ripasso serale, che non avrebbe in alcun modo aiutato, si infilò il cappotto e si avviò verso le scale.

 

O almeno ci provò, perché fu bloccata da delle grida, provenienti da un ufficio lì vicino. Il nome della D’Antonio sulla targhetta le fece ribaltare lo stomaco, ancora prima che riconoscesse la sua voce suadente e disponibilissima urlare in un modo da rivaleggiare persino con lei.

 

“Come ti sei permesso?! Tu dovevi riferire a me e a me soltanto! Gli sviluppi li hai scoperti indagando su un mio caso e quindi era a me che dovevi comunicarli, subito. E li hai pure omessi dai verbali! Non è solo gravissimo, ma di più!”

 

“Dottoressa, avete ragione e me ne prendo tutte le responsabilità ma vedete-”

 

“E ci manca solo che non te ne prendi le responsabilità, Calogiuri! Domani andiamo da Vitali e vediamo che cosa ti succede!”

 

Imma non potè rimanere ad ascoltare un secondo di più e bussò alla porta.

 

“Avanti!”

 

Entrò e, se gli sguardi avessero potuto uccidere, quello che le lanciò la D’Antonio l’avrebbe fatta secca, mentre Calogiuri sembrò mortificato, sorpreso e allo stesso tempo impanicato nel vederla.

 

“Il maresciallo mi ha spiegato come sono andate le cose, Imma. Che ha saputo di Quaratino e Constantinescu dalla compagna di Quaratino, come immaginavo e-”

 

“E per questo ti pare il caso di fare una piazzata che ti si sente da mezza procura?! La responsabilità è mia e solo mia, perché sono stata io ad ordinare al maresciallo di non dirti niente fino a che ne avessi parlato con Vitali. Lui ne ha parlato prima a me, perché sa benissimo che sulle notizie riguardanti il maxiprocesso deve riferire direttamente a me e solo a me, che non tollero ci siano fughe di notizie con nessuno, e non voleva finire nei guai. Quindi prenditela con me, perché lo sai che il maresciallo non può contravvenire ad un ordine diretto.”

 

“Veramente il maresciallo non mi ha parlato di alcun ordine diretto da parte tua, ma che la decisione di omettere è stata una sua iniziativa personale, che tu ignoravi.”

 

“Smettila di coprirmi, Calogiuri, anche perché non c’è niente da coprire!” intimò al maresciallo, che aveva appena aperto bocca, prima che potesse intervenire, “non stiamo all’asilo Mariuccia ed ho agito per il bene di un processo che coinvolge interessi enormi e che è in una fase delicatissima e se la collega qui, nella sua disponibilità non lo riesce a capire è un problema suo.”

 

“Come ti permetti, Imma?! Vorrei vedere se ci fossi stata tu al posto mio!”

 

“Ma che pensi che non ci sono stata al posto tuo?! Sono stata la prima magistrato donna in questa procura, vuoi che non sappia cosa significa dover lasciare casi importanti a colleghi? E non perché avessero scoperto cose che riguardassero i miei casi, come è successo ora, ma semplicemente perché il procuratore capo di allora decideva che certi casi di alto profilo, quando lo diventavano di alto profilo, dovesse gestirli un uomo. E tu stai a farmi la guerra per un interrogatorio a quel cretino di Quaratino, che non è solo un pesce piccolo, ma piccolissimo? E su cui tu ti sei impuntata solo ed esclusivamente per via del figlio, il cui caso peraltro ho risolto e senza il tuo aiuto, perché da quando Vitali ci ha coassegnate tu te ne sei fregata di quel povero ragazzino! Che se fosse per te ancora starebbe in fondo ad una grotta! Quindi non venirmi a fare la morale e a fare minacce o a minacciare colleghi che stanno solo facendo il loro lavoro, perché con me caschi non male, ma malissimo e se vuoi fare una guerra sappi che chi ne uscirà con le ossa rotte sarai solo tu. Ci sono abbastanza casi e abbastanza criminali in questo schifo di paese per tutte e due. E mo vado che domani ho un’udienza che mi attende. Calogiuri, vieni, che dobbiamo discutere di domattina.”

 

E, senza dare tempo alla D’Antonio di replicare, prese Calogiuri per un braccio e se lo trascinò fuori, lanciandole un’ultima occhiata come a sfidarla a dire qualcosa.

 

Continuò a tirarselo dietro fino a essere di nuovo nel suo ufficio, quando lui puntò i piedi e dovette mollarlo, che per poco non gli cascava all’indietro in braccio.

 

“Dottoressa, io-”

 

“Ti avevo lasciato un messaggio, Calogiuri, per avvertirti della D’Antonio, non lo hai visto?” lo bloccò, l’adrenalina ancora in circolo, l’incazzatura che piano piano scemava ma ancora latente.

 

“Ero nella murgia, non prendeva bene. Ma perché… perché ti sei presa la colpa al posto mio?” le chiese, sembrando ancora mortificato, ma allo stesso tempo con una gratitudine ed una dolcezza nella voce che era da prima che ponesse fine alla loro relazione che non sentiva più.

 

“E perché tu non mi hai detto di non avere parlato alla D’Antonio e soprattutto perché hai cercato di prenderti tutta la colpa con lei?” gli domandò di rimando, guardandolo dritto negli occhi, “non devi fare l’eroe, Calogiuri, te l’ho già detto: non ne vale la pena che rischi la tua carriera per me. Io ho una carriera consolidata, ho le spalle coperte e soprattutto so difendermi da sola e-”

 

“E invece io no?!” la interruppe, la dolcezza che svanì completamente, un lampo di rabbia che gli trasfigurò il viso, il tono della voce che divenne amarissimo.

 

“Non ho detto questo, Calogiuri, io-”

 

“Ma lo pensi! Mi tratti come… come se fossi un ragazzino, è questa la verità!”

 

“Ma non è vero! Tutto ho fatto tranne che trattarti come un ragazzino, Calogiuri, ma che scherzi?! Certe cose non le avrei mai fatte con un ragazzino. Ma come ti salta in testa?!”

 

“Mi salta in testa perché intanto hai deciso per il mio bene, senza chiedermi niente, pure oggi, come se avessi bisogno della balia! Continui a dirmi che non sono stupido, ma sei la prima a trattarmi come se lo fossi! Ma che pensi davvero che non le sappia le conseguenze che avrei avuto prendendomi le mie colpe con la D’Antonio oggi? Pensi che non sapessi cosa avrebbe potuto comportare omettere delle cose nei verbali? Ma soprattutto pensi davvero che non ci abbia mai pensato a cosa sarebbe potuto succedermi, succederci - e non solo sul lavoro - se mai fossimo usciti allo scoperto e se.... se mai avessimo avuto una relazione… vera io e te? Sono mesi che ci penso, mesi!”


“Calogiuri…” sussurrò, sentendo un nodo in gola, gli occhi che iniziavano a bruciarle.

 

“Ma sai qual è la differenza tra me e te? Che per me ne valeva, anzi, ne vale la pena! Ma non… non posso convincerti a pensare lo stesso e-”

 

Si interruppe bruscamente, le lacrime agli occhi, la voce che gli si spezzava, mentre Imma sentì spezzarsi direttamente il cuore, come se qualcuno lo avesse preso e ci avesse fatto una spremuta, le lacrime che le scivolavano sulle guance.

 

Calogiuri la guardò ancora per un istante e poi si avviò verso la porta, senza chiedere il permesso di congedarsi, non che lei sarebbe stata in grado di darglielo in quelle condizioni.

 

Di nuovo, avrebbe solo voluto fermarlo, abbracciarlo e baciarlo ma non voleva fargli ancora più male e lui era stato più che chiaro in proposito.

 

La porta si richiuse e stava per cedere ad una valle di lacrime, ma si riaprì di botto e lo vide rientrare, con uno sguardo che non si sarebbe mai scordata.

 

Stava per buttare i buoni propositi al vento e gettarsi tra le sue braccia, quando Calogiuri parlò, con voce tremante e roca, “domattina… vi… vi vengo a prendere a… a casa… o preferite qui in procura?”

 

“I- in procura,” le riuscì di pronunciare, deglutendo il nodo in gola che però si riformò subito.

 

Lo vide annuire e poi sparire nuovamente dalla sua vista, che si fece appannata nel giro di pochi secondi.

 

Nella sua mente c’era un solo pensiero: certo, che ne sarebbe valsa la pena.

 

Ma, a differenza di Calogiuri, le sue scelte non avrebbero inciso solo sulla sua di vita. E non poteva non tenerne conto.

 

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“Amò che c’hai? Sei preoccupata per l’udienza di domani?”

 

“Pietro… per favore, ho solo bisogno di una dormita,” lo implorò, infilandosi a letto, non volendo altre discussioni: sapeva di essere uno straccio e ci si sentiva pure.

 

“D’accordo. Però ascolta, ho pensato a cosa possiamo fare sabato: che ne dici se ce ne andiamo a Metaponto, ma solo io e te? Ci troviamo un bel ristorantino sulla spiaggia, ci mangiamo del buon pesce e ci facciamo una passeggiata. Che ne pensi?”

 

E che ne penso? - sospirò, non potendo certo esprimere ad alta voce che quel bel programmino le ricordasse fin troppo un’altra giornata al mare trascorsa giusto pochi mesi prima, ma con qualcun altro.

 

Ma alla fine… c’erano proposte ben peggiori che poteva fare Pietro, sebbene una parte di lei sperasse improvvisamente nel maltempo e che la giornata saltasse, per quanto orribile fosse quel pensiero. Ma doveva almeno farlo un ultimo tentativo, per togliersi ogni dubbio su in che stato fosse il suo rapporto con Pietro, al di là del lato fisico che ormai era morto e sepolto. Se, pur con tutte le mancanze, sarebbe stato ancora possibile dividere la vita con lui, o se sarebbe stata solo una sofferenza inutile per entrambi.

 

“Va… va bene,” cedette, trovandosi trascinata in un abbraccio che sentì come un po’ troppo stretto e soffocante.

 

Una volta non le sarebbe successo.

 

Si staccò a fatica, si girò dall’altra parte e chiuse gli occhi, sperando solo che il sonno arrivasse presto.

 

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“E fisso quindi la prossima udienza per il ventotto di giugno."

 

Sospirò, al pensiero che mancassero ancora quasi quattro mesi.

 

Ma forse non sarebbe stato un male: il tempo era proprio ciò di cui aveva bisogno per raccogliere tutti gli elementi mancanti e presentare una tesi a prova di bomba. 

 

L'udienza era stata relativamente tranquilla e Latronico appariva soddisfatto: del resto tutti gli elementi probatori più rilevanti se li era tenuti per sé ed avevano passato l'udienza semplicemente a spiegare perché le morti di Constantinescu e Bruno non fossero credibili come suicidi, ma avessero richiesto la mano di terze persone.

 

Ma i Serpenti… li aveva lasciati ben chiusi nel cesto e anche la lettera di Bruno. Doveva raccogliere più prove prima di farla uscire ma… ma sapeva benissimo che l'unico modo di averle era probabilmente quello di ottenere una confessione da uno di loro.

 

Ed al momento i candidati più promettenti erano la Tantalo, se avesse raccolto abbastanza su di lei ed il suo presunto amante per corroborare la tesi che quello di Lombardi non fosse stato un incidente. O Romaniello, che però si ostinava a rimanere zitto in carcere ed a guardarla dal fondo dell'aula con aria di sfida. 

 

Vide Calogiuri avvicinarsi, come sempre, nel consolidato rituale con i giornalisti, prima di avviarsi verso l'uscita. La sua presenza la rassicurava, certo, ma le metteva anche quel senso di magone, al pensiero di cosa fosse successo tra loro dopo l'udienza della condanna di Romaniello. Sembrava passata un'eternità da allora e non solamente sette mesi.

 

"Dottoressa!"

 

“Signor Romaniello! Mi dica, vuole proprio rifilarci una delle sue solite battute sarcastiche a sfondo sessuale, o per stavolta ce la risparmiamo, che ormai pare un disco rotto?” lo prevenne, alzando gli occhi al cielo.

 

“In realtà volevo complimentarmi con lei, dottoressa, per aver finalmente imparato a tenere la bocca chiusa: non pensavo ne fosse capace,” ribattè con un sorrisetto che le fece prudere le mani, per non parlare di quando decise di aggiungere, “poi, se ha colto il mio consiglio e deciso di utilizzarla per più nobili scopi, ne sono lieto per lei e per il fortunato.”

 

“Ecco, e mo la battuta l’ha fatta, che cominciavo a preoccuparmi! E invece mi chiedo se sia proprio sicuro di volerla tenere lei la bocca chiusa, signor Romaniello. Ma forse la sua nuova residenza le piace così tanto che non la vuole abbandonare.”

 

“Dottoressa… se vuole farmi parlare… l’unica è farmi un’offerta che non posso rifiutare. Ma il denaro non mi serve, quindi lascio a lei intuire a quale genere di… prestazione potrei essere interessato,” sussurrò, guardandola dritto negli occhi in quel modo viscido che la fece rabbrividire per il disgusto, pur mentre tendeva una mano verso Calogiuri per dirgli di non intervenire.

 

“Senta, signor Romaniello, se lei pensa di spaventarmi o scandalizzarmi con queste provocazioni, ha sbagliato persona. La invito a rifletterci molto bene, tanto il tempo per farlo non le manca. Andiamo, Calogiuri,” ordinò, facendo per voltarsi ma la voce di Romaniello, carica di malizia, la bloccò.

 

“Dottoressa, lei crede davvero che sia solo una provocazione? Non mi conosce affatto, allora!”

 

“E non ci tengo a conoscerla, signor Romaniello, ma lei invece evidentemente ci tiene proprio a conoscere molto bene i suoi compagni di cella. Contento lei…” ribattè, cercando di mantenere un tono calmo e neutro, sebbene gli avrebbe soltanto voluto tirare un ceffone, “andiamo Calogiuri, che abbiamo molto da fare, noi.”

 

“Oh, non ne dubito, dottoressa. Divertitevi! Un po’ la invidio, maresciallo, ma tra uomini ci si intende,” proclamò, sempre più insinuante, e Calogiuri serrò i pugni e si avvicinò di un passo.

 

Imma stava per intervenire nuovamente e mettersi in mezzo, quando fu Calogiuri a farle un cenno con la mano, come a dirle va tutto bene e a replicare, con una durezza ed un disprezzo nella voce che raramente gli aveva mai sentito, "abbiamo un'idea molto diversa di che cosa significhi essere un uomo, signor Romaniello."

 

Imma sentì di nuovo quel calore, l'orgoglio che strabordava e che si accrebbe ulteriormente quando, all'ennesima provocazione di Romaniello, uno sprezzante "ma allora il Cavalier Servente è dotato di parola! E io che cominciavo a pensare che fosse muto come la Sirenetta di Andersen!", Calogiuri lo freddò con un: "a differenza sua, signor Romaniello, non parlo se non ho nulla di utile o di intelligente da dire."

 

Romaniello rimase per un attimo di stucco, preso in contropiede, ed Imma ne approfittò per lanciare un'occhiata d'intesa e di approvazione a Calogiuri ed avviarsi insieme a lui verso il portone del tribunale.

 

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“Allora, amò, è proprio bello qui, eh?”

 

“Già…” sospirò Imma, guardando il mare dalla finestra del ristorante, uno dei pochi aperti anche fuori stagione.

 

Il mare era bello, certo, non che non lo conoscesse benissimo dopo aver passato innumerevoli estati a Metaponto, ma, come sempre per il mare d’inverno, poteva essere meravigliosamente romantico o tremendamente malinconico.


E, almeno finora, la gita con Pietro purtroppo rientrava nella seconda categoria. Avevano fatto una passeggiata sulla spiaggia, in un silenzio quasi tombale, interrotto da sporadici tentativi di fare conversazione.


Valentina, il lavoro di lei, Valentina, il lavoro di lui, Valentina, il lavoro di lei, Valentina, il lavoro di lui.

 

Ma ormai, arrivati al primo - degli ottimi spaghetti alle vongole - le sembrava di essere invece arrivata direttamente alla frutta, perché avevano esaurito gli argomenti ed un silenzio opprimente aveva caratterizzato quasi tutto il pranzo, interrotto da ovvietà sparate da Pietro per cercare di rompere l’imbarazzo.

 

Non si era mai resa conto prima di quel momento quanto fosse difficile comunicare, comunicare davvero con Pietro. E non perché lui non ne fosse capace, anzi, lo era sicuramente più di lei, ma perché avevano talmente pochi interessi in comune che dopo poco diventava complicato trovare qualcosa di cui parlare che entrambi potessero capire e che non risultasse noioso ad almeno uno dei due.

 

In passato, l’amore tra loro aveva sopperito alle mancanze, rendendo i silenzi piacevoli e confortanti, insieme alla passione, per quanto forse non era mai stata travolgente quanto aveva sempre creduto.

 

Ed il poco tempo passato insieme, tra gli impegni di entrambi, lei con il lavoro, lui con Valentina, aveva fatto il resto. Perché in quel poco tempo libero potevano appunto discutere degli unici due argomenti che avevano in comune - il lavoro e la figlia - e… e il resto del tempo lo avevano sempre dedicato a fare tutto tranne che parlare.

 

Ma già le estati a Metaponto e la sua insofferenza verso di esse, il suo bisogno di estraniarsi sul materassino ed il bisogno di Pietro di farlo con i suoi fumetti, di vivere giornate in gran parte parallele, senza interagire, avrebbe dovuto farle suonare un campanello d’allarme e questo ben prima di Calogiuri.


Una visione tremenda le comparve davanti agli occhi: loro due pensionati, Valentina grande ed ormai con una sua vita indipendente.

 

Di che avrebbero parlato a quel punto?

 

Una vita fatta di silenzio, di imbarazzo, una convivenza tesa ad evitare il più possibile l’altro, per tenere in piedi un rapporto ormai senza fondamenta, le si prospettò davanti, chiara e limpida come il cielo di marzo.

 

Per carità, non era una cosa così rara: quante coppie aveva visto così, di anziani e non solo, rette sull’abitudine e sul mutuo soccorso.

 

Ma voleva davvero, a poco più di quarant’anni, a metà del suo percorso di vita, più o meno, condannarsi e condannare Pietro ad un futuro del genere?

 

“A che pensi amò?” le chiese Pietro, di colpo, e Imma si chiese se pure lui, come Calogiuri, avesse un radar, o se fosse una cosa tipicamente maschile.

 

“Niente… gli spaghetti sono veramente buoni, stavo cercando di capire la ricetta,” mentì, come se non fosse più che palese e basica.

 

“Magari possiamo chiederla al cuoco e già che ci siamo potremmo anche chiedere se assumono apprendisti per l’estate, sai per Valentina, dopo la maturità….”

 

Ed eccolo tornare all’argomento cavallo di battaglia numero uno.

 

“Dubito stiano ad aspettare i comodi di Valentina e che finisca l’esame, Pietro: la stagione inizia a maggio,” sospirò, grata però di avere almeno un attimo di tregua e di poter, per qualche altro breve minuto, tenere alla larga quell’atmosfera così mesta e deprimente.

 

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"Dottoressa!"

 

"Calogiuri!" esclamò, la mano che le finì sul cuore, la borsa che per poco le cascò di mano.

 

Era appena entrata in procura, pronta ad iniziare la settimana, e non si aspettava di trovarlo appostato lì ad attenderla.

 

"Vi siete spaventata?" le domandò, sembrando però più divertito che dispiaciuto.

 

Ma era già qualcosa, rispetto a quell’espressione semi illeggibile o dura delle ultime settimane.

 

"No, è che mi hai colta di sorpresa. Dimmi, ci sono novità?"

 

"Hanno chiamato dal carcere e possiamo andare ad interrogare Quaratino oggi stesso," spiegò, ed Imma notò che aveva già indosso il giaccone.

 

"E a che ora?" domandò, giusto per confermare la sua intuizione.

 

"Non appena siete disponibile, anche adesso se volete."

 

"D'accordo, meglio farlo subito perché potrebbe andare per le lunghe, visto il soggetto. L'auto di servizio-?"

 

"È già pronta, dottoressa. Da questa parte," le fece strada, senza perdere altro tempo, e ad Imma sfuggì un sorriso: quando voleva, Calogiuri veloce sapeva esserlo davvero.

 

E così, in silenzio, salirono in macchina e Calogiuri partì, con la sua solita guida efficiente ma prudente al tempo stesso, che lei tanto apprezzava.

 

Averlo così vicino, le braccia che quasi si toccavano, e non poterlo nemmeno sfiorare era una tortura vera e propria, in quel silenzio carico di talmente tante cose che non l’avrebbe saputo nemmeno definire, l’elettricità che però era sempre presente, nonostante tutto, riempiendo ogni spazio vuoto tra loro.

 

Lo vide lanciarle qualche occhiata di straforo e si impose di guardare fuori dal finestrino e di cercare di concentrarsi su altro, preferibilmente sul caso. Anche se le era impossibile ignorare la sua presenza, con ogni recettore del corpo che gliela ricordava, pure se si sforzava di non fare contatto visivo.

 

Ma doveva rifletterci molto bene prima di fare altre mosse stupide ed avventate, prima di rischiare di causargli altro dolore e di compromettere ancora di più la situazione tra di loro, mai tanto fragile e volatile.

 

Sul suo matrimonio, da un lato, che ormai pareva essere giunto quasi al punto di non ritorno, ed il weekend non aveva fatto che peggiorare le cose. Ma c’era Pietro che la amava disperatamente e che non si meritava né di essere lasciato, né però neppure di rimanere in un limbo di sofferenza, con lei che non riusciva a dargli quello che una moglie avrebbe dovuto dargli, e non solo fisicamente. E c’era Valentina che era in un periodo difficilissimo, stava andando male a scuola e… e che un’eventuale separazione non l’avrebbe presa solo male, ma peggio, rischiando di compromettere ancora di più quei mesi delicatissimi e fondamentali per il suo futuro.

 

E, poi c’era Calogiuri ed il suo di futuro, il suo di bene, anche se si era arrabbiato come mai prima al fatto che lei lo avesse deciso anche per lui. E, col senno di poi, tutti i torti non li aveva avuti a reagire così, a sentirsi trattato come un ragazzino. Forse era giusto che ne parlassero, ma solo qualora lei fosse stata certa di poter lasciare Pietro, perché non poteva né voleva illuderlo e fargli più male di quanto ne avesse già fatto. Ma, in caso, si rendeva ora conto che la cosa più giusta da fare sarebbe stata parlarne seriamente e decidere insieme che cosa fosse il suo bene.

 

Perché le parole di Sabrina erano giorni che le risuonavano in testa, tentatrici come il canto delle sirene. E, se c’era una persona di cui non avrebbe mai dubitato che sarebbe stata capace di amare alla follia un figlio od una figlia non biologicamente suoi, era proprio Calogiuri. Ma… ma era lui che avrebbe dovuto limitare comunque di molto le sue opzioni nel medio-lungo termine stando con lei e non viceversa, e non solo dal punto di vista della paternità biologica, ma in moltissimi altri ambiti.

 

E, guardando invece al breve termine, era lui che avrebbe dovuto non solo sopportare insieme a lei tutto quello che avrebbero gettato loro addosso, qualora fossero usciti allo scoperto, ma pure quello che lavorativamente era in una situazione più precaria.

 

Ma forse… forse sarebbe stato abbastanza forte da riuscirci, senza farsi distruggere. Perché in quei giorni era stato sicuramente più forte, deciso e pure, le toccava ammetterlo, più professionale di quanto lo fosse stata lei, nonostante il casino combinato con Matarazzo, e solo in quel momento cominciava a rendersene conto del tutto.

 

Era cresciuto talmente tanto in quell’ultimo anno e mezzo, sotto tutti i punti di vista, ben oltre le sue più rosee aspettative, pur avendone riconosciuto quasi subito il potenziale a livello intellettivo. Ma dal punto di vista caratteriale, certe volte la sorprendeva ancora completamente, come quando aveva tenuto testa a Romaniello, e non con le mani, ma appunto con la testa.

 

“Dottoressa…”

 

Si voltò per incrociare il suo sguardo, chiedendosi se il radar si fosse riattivato e se ne sarebbe seguita una richiesta di sapere a cosa stesse pensando.

 

“Sì?”

 

“Vi squilla il telefono.”

 

Presa dai suoi pensieri, non se ne era resa conto.

 

Pietro.

 

Fu tentata di non rispondere, ma poteva essere qualcosa di serio e comunque non voleva dare adito ad ulteriori sospetti.

 

Lanciò un'occhiata a Calogiuri che continuava a guardare la strada.

 

"Pronto?"

 

"Amò, finalmente, ma dove sei?"

 

"Sto andando in carcere per un interrogatorio. È successo qualcosa?"

 

"Ascolta, mi ha appena chiamato uno dei miei compagni di calcetto e stasera devo fare un allenamento extra perché abbiamo una partita tra pochi giorni. Ti spiace se rientro più tardi? Valentina mi ha detto che può preparare lei la cena ed oggi ha ripetizioni quindi non serve che la seguo."

 

"No, figurati, non c'è problema," rispose, ansiosa di tagliare corto, spiando la reazione del maresciallo che mantenne però un'espressione neutra. Non capiva perché Pietro l'avesse chiamata per una cosa del genere, in orario di lavoro oltretutto, invece di mandare un messaggio.

 

"Ok, grazie amò. A stasera!"

 

"Va bene, a dopo."

 

Non era esattamente il saluto più entusiasta del mondo ma era l’unico che si sentiva di fare in quelle condizioni.

 

Trattenne il fiato, aspettandosi qualcosa da Calogiuri: un commento o anche solo uno sguardo sarcastico o di riprovazione, ma niente, continuò a guidare in quel silenzio carico di non detti.

 

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“Le ho già detto che non so niente!”

 

“Quaratino, senta, abbiamo due testimonianze diverse e concordanti che ci dicono che lei conosceva Constantinescu. Quindi le conviene parlare, se non vuole vedere aggiunti ulteriori reati ed anni alla proposta di condanna che già pende sulla sua testa. Lo sa anche lei che non ha speranza di essere assolto al processo, sì?”

 

Quaratino si limitò ad alzare le spalle, con quell’aria strafottente che la mandava in bestia. Ma doveva stare calma e ragionare: dopo tre ore inutili di interrogatorio, forse era giunto il momento di passare al poliziotto buono.

 

E però per farlo aveva bisogno di un’autorizzazione. Fece un cenno a Calogiuri ed uscì dalla sala degli interrogatori, lasciandoci dentro Quaratino ed il maresciallo. Compose il numero di Vitali, sperando rispondesse in fretta.

 

“Pronto?”

 

“Dottore, senta, sono ancora qui con Quaratino ma è completamente reticente a confessare, nonostante gli abbia detto chiaramente che ci sono due testimoni diversi che confermano ciò che sostengo. Mi autorizza ad offrirgli uno sconto di pena se collabora, e l’inserimento in un programma di protezione altrove? Credo che tema ritorsioni. Del resto in questo carcere c’è anche Romaniello e sappiamo bene che fine hanno tentato di far fare a suo tempo a Iannuzzi, e poi ci sono pure riusciti.”

 

“Dottoressa, lo sa che il caso è della dottoressa D’Antonio…”

 

“Lo so, dottore, lo so. Ma se nel traffico di veicoli con la Romania è coinvolta anche la cupola del maxiprocesso, lei si rende conto che non si tratta solo di auto rubate, ma di camion usati per trasportare rifiuti tossici e chissà che altro?”

 

“Me ne rendo conto, dottoressa, me ne rendo conto. D’accordo, ha la mia autorizzazione, con la D’Antonio parlerò io. Sebbene, a quanto mi ha riferito lei stessa, dottoressa, so che questa storia ha causato una certa tensione anche tra la D’Antonio ed il maresciallo e spero vivamente che questi conflitti tra lei e la dottoressa non si ripetano e soprattutto non abbiano un’escalation, mettendo in mezzo i ragazzi della PG.”

 

“Non dipende solo da me, dottore, e lo sa benissimo. E non voglio mettere in mezzo nessuno, mi creda.”

 

“Lo so, ma so anche che lei non è esattamente… accomodante e dedita al lavoro di squadra, Tataranni. In ogni caso, tornando al Quaratino, conto su di lei per ridurre la pena il meno possibile, intesi?”

 

“Che non mi conosce, dottore? Secondo lei ci tengo a fare un favore ad uno come Quaratino che, sarà pure un pesce piccolo, ma dal punto di vista umano… lasciamo perdere.”

 

“Ecco, appunto, dottoressa. Allora siamo intesi,” si congedò Vitali, chiudendo la comunicazione, ed Imma tirò un sospiro di sollievo.

 

La D’Antonio avrebbe fatto il diavolo a quattro, già lo sapeva. Ma Calogiuri era in salvo - prendere il toro per le corna e prendersi la colpa con Vitali prima che la D’Antonio gli andasse a spifferare delle sue omissioni aveva funzionato - e lei… lei aveva la scorza dura ed era fin troppo abituata alla grande disponibilità dei suoi colleghi.

 

“Quaratino, senta, ho una buona notizia e una cattiva,” proclamò, rientrando e piazzandosi al tavolo davanti a lui, in piedi, chinandosi in avanti per sovrastarlo maggiormente, “la cattiva è che, se non parla, alle sue accuse si aggiungono favoreggiamento nel traffico di rifiuti tossici e, soprattutto, in omicidio. Se le va male e la dottoressa D’Antonio ci vuole andare giù particolarmente pesante, e penso abbia intuito che non nutre per lei una grande simpatia, potrebbe chiedere il concorso in omicidio e in associazione per delinquere. O direttamente l’associazione per delinquere. Lei capisce che passa da un semplice traffico di veicoli rubati, con una pena tutto sommato limitata, a qualcosa che potrebbe comportare che lei non esca di qui per una ventina d’anni buoni, come minimo. Se sommiamo tutte le imputazioni a suo carico pure una trentina. Ora, lei ci tiene proprio ad invecchiare qui dentro, Quaratino?”

 

“Meglio invecchiare qui dentro vivo, che fare una brutta fine, dottoressa,” ribattè lui, sempre con quell’apparente sfrontatezza, ma Imma notò un piccolo tic ad un occhio che prima non c’era.

 

“Quaratino, parliamoci chiaro, le persone che lei teme la vogliano far fuori lo faranno anche se lei sta qui dentro. Lei ha presente l’aggressione capitata qualche tempo fa in carcere a Iannuzzi che-”

 

“Che poi è uscito ed è stato fatto fuori!”

 

“Perché è scappato, Quaratino, invece di farsi proteggere. Immagino lei sappia cosa sta succedendo alla maggior parte degli indagati in questo maxiprocesso, no? Gente molto più influente e potente di lei, misteriosamente morta suicidata, o finita in coma o, come Constantinescu, morto, tenuto congelato e poi buttato giù da una trivella per mettere su un bello spettacolino. E lei sa chi c’è detenuto qui dentro, non è vero, Quaratino? Ma lei pensa davvero che una volta che sapranno che siamo arrivati a lei, la lasceranno stare bello bello qui dentro senza provare a farla tacere prima che possa parlare?”


Alcune gocce di sudore gli imperlarono la fronte ed Imma sapeva di esserci quasi, era ora di passare alla carota, dopo le bastonate.

 

“Invece, se lei parla ora, non solo si garantisce un consistente sconto di pena, su questo l’accusa si impegna fin da ora, ma soprattutto le garantisco l’inserimento in un programma di protezione e lo spostamento in un istituto penitenziario ben lontano da qui.”

 

“Ma la mia compagna e mio figlio-”

 

“La sua compagna già è inserita in un programma del genere e pure suo figlio. Non saranno comunque qui nei dintorni, Quaratino. Il resto non dipende da me.”

 

Quaratino la guardò e poi fissò per qualche istante Calogiuri, nemmeno potesse consigliargli il da farsi.

 

“Si fidi della dottoressa, Quaratino. Io c’ero quando è morto Iannuzzi e… non è stato un bello spettacolo. Se parla e firma il verbale già riduce il rischio che la facciano fuori per farle portare i segreti nella tomba. E, in attesa della sua testimonianza al processo, prima, durante e dopo sarà in un’altra località, non raggiungibile da questi signori. Mentre qui… non sarebbe loro difficile farle avere un incidente. Sono specializzati in questo.”

 

Imma incrociò il suo sguardo, grata per quell’intervento in suo aiuto, oltretutto non richiesto.

 

Quaratino sembrò rifletterci ancora per qualche istante, poi scosse il capo e sospirò, mettendosi la testa tra le mani.

 

“D’accordo, tanto ormai sono fregato in ogni caso,” proclamò, sollevando il capo e lanciandole un’occhiata, “ma voglio un suo impegno per iscritto sulla riduzione della pena e su tutto il resto.”

 

“Quaratino, le ho già detto che ho l’approvazione della procura per concedergliela, poi ovviamente è il giudice a decidere, ma se la richiesta parte dall’accusa molto difficilmente può rigettarla. E il maresciallo qui è testimone e sta verbalizzando l’impegno preso. Suvvia, parli e non ci faccia perdere altro tempo che, se non finiamo troppo tardi, abbiamo modo di organizzare il suo trasferimento in tempi brevi e senza farle correre rischi inutili.”

 

“Va bene… io… io so veramente poco di questa storia, dottoressa. Constantinescu lo conoscevo, è vero. Me lo ha presentato un altro rumeno che collaborava con me per il traffico delle auto rubate. Aveva bisogno di lavorare ed era un camionista, poteva trasportare un altro genere di veicoli. All’inizio pensavo di usare anche lui per trasportare le auto dal confine a qui, non potendo lui passare il confine, col permesso scaduto. Ma poco dopo sono stato contattato da… da Romaniello.”

 

“Romaniello Saverio?” chiese Imma, e non solo per precisione formale.

 

“Sì, certo. Aveva bisogno di camion puliti, se lei mi capisce, non registrati, anonimi, da intestare a prestanome. E così glieli abbiamo procurati. Constantinescu andava fino a Trieste, recuperava un camion, tornava col camion, ed il giro si ripeteva in questo modo.”

 

“Ci hanno parlato di consegne, Quaratino, consegne di che cosa?”

 

“Di ciò che c’era da dare in cambio del camion, dottoressa. Soldi o droga principalmente.”


“E vi fidavate a farli trasportare da Constantinescu?”

 

“No, Constantinescu pensava di trasportare prodotti locali da rivendere al nord. La merce di valore in realtà era nascosta in doppi fondi nelle macchine che usava all’andata. Le vetture finivano in Romania, passando il confine, e poi tornavano indietro, tramite il nostro giro.”

 

“Insomma, una bella organizzazione, Quaratino. E tornando ai camion, quindi lei mi vorrebbe fare credere che non sapeva nulla del traffico di rifiuti tossici?” gli chiese, con un sopracciglio alzato, tornando a sporgersi sul tavolo.

 

“No, io consegnavo solo i camion, puliti, poi per cosa li usavano io non lo so.”

 

“Peccato che Constantinescu avesse sintomi tipici di qualcuno che i rifiuti tossici li ha trasportati per lungo tempo, Quaratino, e non di chi guida camion puliti come li definisce lei. Altro che puliti! Dal nord Constatinescu tornava con i camion pieni di rifiuti tossici, non è vero? Dica la verità che le conviene, o l’accusa di concorso in traffico di rifiuti tossici non gliela leva nessuno e la nostra offerta ovviamente decade.”

 

“Ma come, io-”

 

Lo interruppe, togliendosi la soddisfazione di picchiare i pugni sul tavolo, dopo che quello zotico lo aveva fatto sulla sua scrivania, a due passi da Diana oltretutto.

 

“Ho detto che l’offerta è valida se lei confessa, Quaratino, non se ci prende per scemi. Allora?!”

 

“Va bene… va bene…” sospirò nuovamente, passandosi una mano sulla fronte e tra i capelli, ormai completamente fradici di sudore, “è vero, Constatinescu non tornava con i camion vuoti. Ma… ma i dettagli del traffico di rifiuti io realmente non li conosco. Da dove venivano i rifiuti ad esempio, o dove finivano. Mettevo a disposizione i camion e l’autista. Poi se li gestivano Romaniello e gli altri.”

 

“Ma i camion dove li portava Constantinescu? Perché dei veicoli pieni di rifiuti tossici in attesa di sversamento non è che si possano tenere così in giro belli belli per strada.”

 

“C’era… c’era un deposito, un vecchio capannone abbandonato, di un’azienda agricola che ormai credo sia chiusa da anni. Constantinescu li portava lì. Poi altro non so, veramente, dottoressa, mi deve credere. Quando ho saputo che Constantinescu e… che altri autisti si erano sentiti male, come Iannuzzi… io… mi sono molto spaventato.”

 

“Immagino la sua commovente partecipazione emotiva, Quaratino. L’indirizzo di questo capannone e lo voglio prima di subito! E se ci sono altri posti, che mi pare strano le consegne si concentrassero tutte in un luogo solo.”

 

“No, dottoressa, il posto era quello. Almeno nell’ultimo anno. Prima non me ne occupavo io, ma nell’ultimo anno il posto era quello. C’era un camion circa a settimana e in quel deposito di camion ce ne stavano almeno quattro. Poi un modo di smaltire i rifiuti lo trovavano.”

 

“E meno male che non ne sapeva niente! L’indirizzo, Quaratino, ora.”

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottoressa, che volete fare?”

 

La domanda di Calogiuri arrivò non appena furono fuori dalle mura carcerarie, l’aria fresca di inizio marzo nei polmoni e per fortuna nessun giornalista in vista.

 

Aveva già chiamato Vitali per disporre il trasferimento di Quaratino. Ormai era diventata quasi paranoica quando si trattava del maxiprocesso: non voleva l'ennesimo indagato da far testimoniare tramite seduta spiritica.

 

“Sono le quattordici, Calogiuri. Andiamo subito in questo capannone, che qua dentro i muri hanno orecchie ed è meglio arrivarci prima che quelli della cupola mangino la foglia che sappiamo di Quaratino.”

 

“D’accordo ma… solo noi due? Non mi pare prudente, vista la situazione…” obiettò, con un’aria preoccupata, come non gliel’aveva vista sovente.

 

Del resto non aveva tutti i torti: in quel caso c’erano stati più morti che feriti - ed indagati - e lei non era certo addestrata all’azione, al massimo alla sopravvivenza. Ed andarci da soli, se ci fosse ancora stato qualcuno - per quanto la cosa fosse improbabile - poteva essere molto pericoloso.

 

“Chiama in PG, Calogiuri, e chiedi a chi è disponibile di raggiungerci. Anche se preferirei che eventuali prove le vedessimo solo io e te, ma almeno per assicurarci che l’area sia sicura.”

 

“D’accordo, dottoressa, volete che chiami anche la scientifica?”

 

“Una volta sul posto e valutato che elementi troviamo. Però mo, Calogiuri, andiamo, veloce! I colleghi li puoi chiamare pure dalla macchina.”

 

“Agli ordini, dottoressa,” replicò, salendo in macchina insieme a lei, senza però il sarcasmo degli ultimi giorni, ma con quell’apprensione latente.

 

Sfrecciarono verso la campagna, mentre Calogiuri faceva le telefonate di rito. Gli rispose Matarazzo - Imma riconobbe il tono a dir poco ostile di lei pure senza il vivavoce - e lui le diede l’indirizzo a cui raggiungerli.

 

“Dovrebbero arrivare poco dopo di noi, se si attivano subito,” riassunse, chiudendo la telefonata e concentrandosi meglio sulla guida.

 

Rimasero in silenzio, mentre lasciavano la statale per infilarsi su una strada decisamente più stretta, i campi ancora brulli che si estendevano attorno a loro ben oltre l’orizzonte.

 

“Grazie per l’aiuto con Quaratino,” si decise a dire dopo attimi interminabili di silenzio, lanciandogli uno sguardo.

 

“Figuratevi, dottoressa. Avete fatto tutto voi,” le rispose, e le sembrò di cogliere quell’ammirazione nel suo tono di voce che era da un po’ che non sentiva più.

 

Ma non ricambiò lo sguardo, rimanendo concentrato sulla strada.


Forse anche per lui questa vicinanza forzata era difficile da sopportare: l’elettricità che continuava a crescere, a comprimersi, a caricarsi.

 

Stava per esplodere di frustrazione quando finalmente si trovarono vicino ad un capannone, circondato da boscaglia su due lati, ben riparato e nascosto, isolato.

 

Un nascondiglio quasi perfetto.

 

Parcheggiarono la macchina poco distante ma Calogiuri non scese, sganciando solo la cintura e lo vide recuperare la pistola dalla fondina. 

 

Fece per slacciare la cintura anche lei ma lui la bloccò, posandole una mano sul braccio, una scarica che la fulminò immediatamente, facendola tremare. Dopo settimane di lontananza era ipersensibile al suo tocco, ancora più del solito.

 

"Aspettiamo i rinforzi, dottoressa," pronunciò, in quello che pareva assurdamente un ordine che non avrebbe potuto ovviamente darle.

 

Nonostante ciò, sospirò ed annuì: ormai erano sul posto e, per qualche minuto di differenza, non valeva la pena correre rischi inutili.

 

Ma fu in quel momento che lo vide: un filo di fumo, che iniziava ad uscire da una finestra del capannone. 

 

"Dobbiamo chiamare i vigili del fuoco, Calogiuri, subito!"

 

"Chiamateli voi, io vado a vedere che succede: il fumo è poco, forse stanno solo bruciando delle prove. Se li blocchiamo ora siamo ancora in tempo."

 

E, senza aspettare risposta, scese dall'auto, la pistola in mano. Imma, il cuore in gola, compose il 115, slacciandosi la cintura e, contravvenendo "all'ordine", scese dalla macchina: col cavolo che lo lasciava entrare lì dentro da solo!

 

"Sono il sostituto procuratore Tataranni. Mi serve un intervento urgentissimo nel capannone dell'ex azienda agricola Crispino," spiegò concitatamente, dando l'indirizzo preciso, "stanno tentando di bruciare il capannone. È un principio di incendio, ma se non intervenite subito ci potrebbe essere un rischio ambientale. È possibile che qui fossero stoccati rifiuti tossici. Dieci minuti? Va bene, fate più veloce che potete. Noi cerchiamo di mettere in sicurezza l'area."

 

Chiuse la chiamata ed aprì il bagagliaio, afferrando il piccolo estintore portatile, togliendo la sicura. Se per cercare di spegnere l'incendio o come arma di fortuna non l'avrebbe saputo dire: di sicuro in entrambi i casi era terribilmente inadeguato, e lo sapeva. Richiuse il bagagliaio che Calogiuri era già arrivato alla serranda e si era piazzato dietro al portoncino, pronto a fare irruzione.

 

Si affrettò a raggiungerlo, ma lui la sentì arrivare e si bloccò. 

 

"Che fate? Torna- te in auto, per favore!" intimò, in quello che era poco più di un sussurro, il voi che per un secondo aveva lasciato spazio al tu.

 

"Se entri tu, entro anch'io, Calogiuri. I rinforzi ed i pompieri stanno arrivando. Forza, veloce ma con prudenza, mi raccomando."

 

Calogiuri la guardò come se volesse contravvenire all'ordine e trattenerla lì in qualche modo, ma il fumo sembrò peggiorare, l'odore che si diffondeva nell'aria e, dopo un attimo di esitazione, si rimise in posizione, con un "tenetevi sempre dietro alle mie spalle, però."

 

Imma annuì e, con un boato, Calogiuri calciò la porta ed entrò, facendole poi cenno con una mano per darle il via libera.

 

Attaccata alla sua schiena, procedettero nel capannone, apparentemente deserto, a parte per alcuni pallet impilati e dei cassoni di plastica, forse eredità dell'attività precedente.

 

E poi videro una zona uffici in fondo, con una finestra che lasciava intravedere il fumo che veniva da dentro. Sempre camminando con cautela, schiena contro schiena, procedettero verso la porta, fino a fermarsi poco distante.

 

"State riparata qui dietro mentre metto in sicurezza l'ufficio," le sussurrò, accucciandosi dietro ad uno dei cassoni, il più vicino alla porta, e facendole segno di fare lo stesso.

 

Stava per protestare ma sospirò ed annuì, accettando "l'ordine", dovendo riconoscere che era tutto sommato di buonsenso, non avendo lei una pistola in mano.

 

Calogiuri diede una rapida occhiata da dietro il cassone e si tirò in piedi.

 

Imma sentì il rumore di un motore e di ruote sullo sterrato e pregò che fossero i rinforzi - i pompieri non potevano essere, era passato troppo poco tempo - e non altre brutte sorprese.

 

Lo vide fare un paio di passi verso la porta e, in quel momento, non avrebbe saputo dire come, notò un movimento alla loro destra, da dietro ad una delle pile di pallet, uno scintillio metallico e soprattutto che Calogiuri invece aveva ancora gli occhi fissi sulla porta, concentrato e pronto ad entrare in azione. 

 

Fu una questione di secondi, d'istinto, di adrenalina, il mondo che sembrava andare al rallentatore. 

 

Si udì urlare il suo cognome, il corpo che le si muoveva da solo, lanciandoglisi addosso, lui che barcollava in avanti, perdendo l'equilibrio, e poi uno sparo, un boato assordante, vicino, troppo vicino. E fumo, fumo dell'estintore che soffiava e fischiava, riempiendo l'aria e levandole il fiato, intanto che finiva a terra, sopra di lui. E poi braccia sulla testa e sui fianchi, mentre rotolavano sul pavimento, e stavolta Calogiuri era sopra di lei: il peso dei muscoli che la schiacciava a terra, facendole da scudo col suo corpo.

 

E ancora spari, altri spari, vicini e dopo più distanti, il rumore dei vetri che si infrangevano, mentre tratteneva il fiato e gli passava le mani sulla schiena, terrorizzata all'idea di sentire un lamento di dolore o il bagnato appiccicoso del sangue.

 

Ma non sentì niente e lui rimase immobile, continuando a farle da scudo umano, il fumo acre che la fece tossire, finché gli spari non si fecero sempre più distanti ed udì delle voci familiari - non era mai stata tanto felice di sentire Matarazzo e Capozza - gridare concitate "di là, di là, sta scappando!", seguite da altri spari e dal rumore di un motore.

 

Ed in quel momento osò riaprire gli occhi, il fumo che un poco si diradava, trovandosi davanti il giaccone di Calogiuri, che ancora la teneva riparata, le braccia che le circondavano la testa.

 

"Sei- sei ferita?" lo sentì sussurrarle appena più in alto della testa, la massa muscolare sopra di lei che si muoveva, lasciandole più spazio per respirare e per ricominciare a sentire.

 

"N- no, non mi pare," mormorò, il sangue e l'adrenalina che ancora le pompavano nelle vene, "tu?"

 

Calogiuri si risollevò il necessario affinché i loro sguardi si potessero incrociare, e quello che vi lesse le piazzò una pallina da golf in gola, gli occhi che le pungevano e non c'entrava il fumo. Un misto di sollievo e di terrore, due lacrime che gli scendevano sulle guance imbiancate dalla schiuma dell’estintore, come i capelli e parte del giaccone.

 

"Tu?" ripeté, il cuore in gola, tirando un sospiro di sollievo quando le fece segno di no col capo, il fumo che le provocò un altro colpo di tosse.

 

Per qualche istante che sembrò infinito restarono a guardarsi, così, come paralizzati.

 

"Ma… ma sei matta?! Ti potevi fare ammazzare!" esclamò all'improvviso, un lampo di rabbia che gli passò nel viso, oscurando tutto il resto.

 

"Perché se invece ti facevi ammazzare tu, allora andava bene?!" ribatté, non potendo evitare di alzare a sua volta la voce, l'incazzatura irrazionale che montava mentre l'adrenalina scemava.

 

"Ma che c'entra?! Tu sei più importante di me e-"

 

"Ma tu per me sei più importante, lo vuoi capire?!" le sfuggì dalle labbra, prima che potesse fermarsi, e lo vide spalancare e poi richiudere la bocca, sorpreso, una lacrima che gli cadde finendole sulla guancia e provocandole un brivido lungo la schiena, "e non vali meno di me, mettitelo in testa!"

 

"Imma…" sussurrò, in quel modo che non pensava avrebbe mai più sentito, come se il suo stesso nome fosse una dichiarazione d'amore.

 

Sentì dita tra i capelli e poi sul viso, una corrente magnetica che lo attraeva verso di lui, gli occhi che le si chiudevano ed il suo respiro così vicino alle labbra e poi-

 

Crack

 

Il rumore di un vetro che si rompe li fece sobbalzare, l'adrenalina che tornava in circolo, mentre si guardavano disperatamente intorno e poi… e poi la vide.

 

A pochi passi da loro, vicina al cassone, Matarazzo, la pistola puntata davanti a sé, un'espressione scioccata che rendeva quasi comico quel suo bel viso da Miss, i frammenti di vetro della finestra dell'ufficio, rotta durante la sparatoria, sotto il tacco di uno stivaletto.




 

Nota dell’autrice: come avrete potuto desumere dal finale, da questo capitolo in poi ci saranno tutta una serie di colpi di scena e svolte di trama. Stiamo entrando nel vivo delle montagne russe e di questa seconda parte di storia, più agrodolce, e a breve ci saranno parecchi scossoni.

Spero che si mantenga interessante e coinvolgente, nonostante tutti gli alti e bassi e i problemi tra Imma e Calogiuri. Ringrazio chi segue questa storia e chi l’ha inserita tra le preferite. Vi ringrazio di cuore per tutte le recensioni che mi avete lasciato finora, che mi sono state utilissime e mi fanno sempre un piacere immenso. E vi sarò davvero molto grata se anche per questo capitolo mi farete sapere sinceramente che ne pensate, perché questa fase della storia è veramente molto delicata da tarare e da gestire.

Il prossimo capitolo arriverà sempre di domenica, 2 febbraio.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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