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Autore: Rumenna    26/01/2020    0 recensioni
La vita di Jennifer è difficile a causa delle radiazioni che hanno colpito il pianeta dopo la terza guerra mondiale. Il Governo ha progettato di colonizzare un nuovo pianeta abitabile scoperto da poco e Jennifer è stata convocata per essere una dei procreatori della nuova razza umana.
Genere: Avventura, Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jennifer aprì la porta della sua casa silenziosamente, togliendosi la mascherina dal volto. Vi era l'odore del pollo arrosto sulle tende e nell'aria, stuzzicando il suo appetito: erano l'una passate e non aveva avuto modo di mangiare un boccone durante il suo turno di lavoro. Non avrebbe comunque approfittato della sua posizione di fattorina delle pizze per cenare gratis, quasi non sopportava più quell'odore di salsa cotta e wurstel. Corse in bagno a lavarsi le mani con il disinfettante e si annusò le dita: era impossibile pensare di godersi il fuso di pollo con quell'odore stomachevole sulle mani, ma era necessario per cercare di diminuire una possibilità di contaminazione. Aprì il frigorifero e si prese una bibita gassata, poi si diresse alla pentola coperta e senza neanche togliersi la giacca di dosso, si sedette sul divano e si mise a mangiare sprofondandoci la testa dentro.

Mentre si sfilava un osso di bocca, si lasciò sfuggire un grugnito: la sua ultima consegna era nel distretto Z dove stavano dando una festa con gli ex alunni della sua scuola, c'era anche tutta la sua classe e coloro che Jennifer definiva le sue amiche di comitiva, coloro a cui confidava le sue cotte e persino la timida Lily, che non sembrava più così timida come la ricordava nei giorni di scuola. Non era stata invitata. Nessuno che si fosse degnato di avvisarla eppure, pensò, aveva mandato a Lily gli auguri per il suo compleanno proprio tre giorni prima . Pazienza, evidentemente non era stata una delle loro migliori amiche, non come loro lo erano state per lei. Sbuffò, ripensando alla sua sfortuna sociale di tutta la vita. Sbuffò ancora, pensando che per delle nullità simili stava trascurando il suo bel piatto di pollo arrosto, continuando a mangiare come un maiale.

 

All'alba Jennifer era già pronta per uscire: si era messa in testa da una settimana che avrebbe immortalato il sole nel momento in cui si sollevava da terra, ma senza successo dati i suoi orari di lavoro. Il sole non era ancora sorto eppure in cucina c'era già odore di pancake: era ora per suo padre di andare in azienda, dove lavorava come operaio. Lo baciò e lo abbracciò prima di uscire, ricevendo una carezza con quelle mani grandi e callose che lei adorava tanto: pesanti ma piene d'affetto. Mascherina sul viso, pedali sotto ai piedi e sfrecciò con la sua bici diretta al sentiero sterrato sulla collina ai margini della città, nel punto migliore per fotografare l'alba tra i grattacieli. Arrivata in cima posizionò la sottile macchina e catturò i colori tenui ed ispiranti del sole dormiente, continuando a guardarsi intorno. 

Valbari era una grigia città con dei palazzi alti e tristi. La terza guerra mondiale era finita da decenni, eppure quella città cercava ancora disperatamente di risorgere, come se cinquant'anni non fossero stati abbastanza per riuscirci. I palazzi erano di nuova costruzione eppure sembravano logori di secoli: l'aria malsana che aveva invaso il pianeta con tutte quelle armi chimiche avrebbe avuto il suo riscontro malefico ancora per molto tempo, tempo che Jennifer temeva di non riuscire a vivere pienamente prima che la contaminazione la portasse via senza neanche arrivare alla vecchiaia. Controllò lo schermo della macchina digitale soltanto per storcere il naso: le cupole vetrate d'ossigeno che servivano a purificare l'aria nelle aree più trafficate della città avevano riflesso tutta la luce del sole, rendendo la foto troppo abbagliante.

Si voltò verso il boschetto alle spalle della collina: sarebbe stato bello andare in esplorazione per cercare di fotografare dei fiori colorati o degli scoiattolini sui rami degli alberi. Nonostante avesse vent'anni sua madre le proibiva ancora delle cose, tra le quali bere troppi alcolici, drogarsi, fumare, correre col motorino, bruciare la frittata, andare nel bosco. Sapeva bene che lo diceva per il suo bene, che poteva essere pericoloso addentrarsi senza delle armi, ma il cinguettio di quel passerotto continuava a stuzzicarle la fantasia e l'istinto spericolato che l'aveva sempre contraddistinta.

Lasciò la bicicletta sul sentiero principale ed iniziò ad incamminarsi nel bosco, seguendo il dolce cinguettio del passerotto. Scavalcò un tronco marcio infestato dagli insetti e iniziò a fischiettare, cercando di emulare il piccolo uccellino, mentre tra un passo e l'altro ballava sulle note dello slogan pubblicitario del dentifricio per bambini che aveva in testa da giorni. Le persone l'avevano sempre trovata bizzarra per il suo modo di agire fuori dalla norma e, nonostante questo avesse influenzato negativamente le sue amicizie, Jennifer si piaceva proprio per quello:  odiava essere 'noiosa', anche se il suo atteggiamento bizzarro non era frutto di uno sforzo per distinguersi dalla massa.  

Passo dopo passo, Jennifer iniziò a sentire il verso dell'uccellino sempre più vicino e sempre più vivace, come se fosse agitato. 'Forse è caduto da un albero', pensò, mentre tirava su il naso per cercare un nido tra le chiome degli alberi mezzi morti, mentre scattava delle foto ai rami non molto robusti dell'albero alla sua sinistra: il contrasto tra il verde ed il grigio era tanto interessante visivamente quanto triste, pensando che era stato l'uomo e le sue inutili bombe chimiche a ridurlo così. Sentendo il passerotto cinguettare sempre più forte dietro dei folti cespugli, si accovacciò ed iniziò ad avvicinarsi, con la macchina fotografica ben salda davanti al viso. 

Man mano che Jennifer si avvicinava, l'odore nauseante di marcio si faceva sempre più forte. Le si raggelò il sangue nelle vene quando scoprì perché il passerotto si agitava tanto dall'altra parte dei quel fitto fogliame che aveva un odore di bruciato: un animale strano lo stava mangiando vivo. Lo osservò disgustata: era grande quanto un maiale ed era evidentemente contaminato: la pelliccia sembrava essergli stata staccata a morsi lasciando la carne viva allo scoperto e preda degli insetti, dal muso gli spuntavano degli incisivi grandi che lo rendevano riconducibile alla famiglia dei roditori. Mentre sbranava il piccolo uccello emetteva dei versi simili a delle grida strazianti di un neonato, mentre picchiettava con forza gli incisivi nel petto lacerato della bestiola come se fosse posseduto, con gli occhi sanguinolenti.

Jennifer aveva trovato sia il passerotto che lo scoiattolo che desiderava. Non sapendo cosa fare scattò delle foto compulsivamente  che avrebbe potuto inviare al governo, mentre l'aria malsana le saliva in gola, facendola tossire da dietro la mascherina che doveva servire a proteggerla da quell'aria tossica. Udendola, lo scoiattolo contaminato la fissò negli occhi ruggendo impazzita, mentre si preparava alla carica, con la bava sporca di sangue che gli colava dal muso.

«Cazzo.» Jennifer saltò dal posto ed iniziò a correre il più veloce possibile, cercando di non voltarsi: sapeva che se l'avrebbe fatto si sarebbe rallentata e la bestia l'avrebbe catturata. Un solo morso le sarebbe stato fatale: sarebbe stata contaminata e si sarebbe ridotta anche lei in quello stato. O forse no, in alcuni casi era capitato che i contaminati fossero direttamente soppressi. In preda al panico iniziò a frugare nelle tasche con tale foga che le cadde la macchina fotografica di mano, sentendola andare in pezzi sotto i denti della bestia: fin troppo vicina a giudicare dalla rapida successione tra azione e suono. Tirò fuori dalla tasca interna della giacca la bomboletta spray al peperoncino anti maniaci che sua madre le diede quando iniziò a lavorare come fattorina: sperando che stritolasse anche quella tra i denti, la gettò all'indietro, continuando la sua corsa.

 

   
 
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