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Autore: heliodor    27/01/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Permesso d’uscita
 
Igar sedeva composto sulla sedia, la schiena dritta e lo sguardo fisso in avanti. Gladia lo fissò a lungo interdetta, chiedendosi cosa fare o dire.
Non c’era alcun dubbio che fosse lui. L’aveva visto una o due volte a Malinor, nei pochi giorni che si era trattenuta a palazzo. E avevano compiuto insieme il viaggio verso nord, anche se lo stregone era sempre rimasto in disparte, quasi temesse di dire o fare qualcosa di sbagliato in sua presenza.
Ma era lui, di questo ne era certa.
Prima di concludere il colloquio con Skeli, le aveva fatto una richiesta precisa.
“Voglio parlare con Igar” aveva detto a Skeli. “Col tuo permesso.”
“Come posso negare qualcosa all’inquisitrice più famosa del mondo conosciuto?” aveva risposto la regina. “Ovviamente hai il mio permesso. Posso chiederti una cosa?”
Gladia l’aveva fissata in silenzio.
“Speri di ottenere delle informazioni da lui?”
“Qualsiasi cosa, anche un particolare, potrebbe esserci utile.”
“Per cosa? Ritrovare un cadavere che probabilmente è già stato divorato dalle fiere?”
Gladia cercò di trattenersi. “Un cadavere sarebbe utile.”
“I morti non possono parlare.”
“Alcuni sì, se fai le domande giuste.”
Skeli aveva annuito solenne. “Devo avvertirti che non ricaverai molte informazioni da Igar.”
“Spero che tu non voglia ordinargli di tacere” aveva detto Gladia sperando di non sembrare troppo minacciosa.
“Assolutamente no” aveva esclamato Skeli. “Come puoi pensare una cosa simile? Ti ho appena confermato la lealtà di Orfar all’inquisizione.”
“Perché Igar non dovrebbe parlarmi?”
“Lo vedrai tu stessa.”
Takis, che l’aveva accompagnata nella cella dove lo stregone era ospitato, emise un leggero colpo di tosse. “Volevi vedere Igar e lo hai visto.”
Gladia fissò l’uomo negli occhi. Non sembrava esserci alcun barlume di coscienza in quello sguardo fisso e immobile. Era come guardare una statua di carne e ossa invece di marmo o metallo.
Era certa che se gli avesse tirato un dardo in pieno petto non avrebbe avuto alcuna reazione.
“Che cos’ha?” domandò a Takis.
L’uomo scrollò le spalle. “Dovresti chiederlo a un guaritore.”
“Non ho mai visto una cosa del genere.”
“Nemmeno io, ma so di persone che perdono il senno dopo aver provato un dolore inconcepibile.”
Io ho provato un dolore inconcepibile, pensò Gladia triste, ma non sono diventata così. Cosa può aver passato Igar?
“Quando è arrivato qui” disse Gladia. “Tu lo hai visto?”
Takis annuì. “Eravamo presenti in sette o otto.”
“Ed era già in questo stato?”
Takis esitò.
“È un’inquisitrice che te lo sta chiedendo” disse Gladia con tono duro.
“Lo so chi sei” rispose l’uomo. “No, non era così. Aveva delle ferite, era stanco e provato per il viaggio, ma stava bene. Ragionava.”
“Quindi è accaduto dopo” concluse Gladia.
“Forse quello che gli è successo era già in atto e si è completato dopo aver ricevuto le cure dei guaritori” suggerì Takis.
“Per ora voglio attenermi a ciò che mi hai detto. Igar è tornato qui con le sue forze, era ferito ma la sua mente era lucida. Chi lo ha curato?”
“Non ricordo esattamente chi. C’erano molti guaritori” disse Takis esitando di nuovo.
“Ma le sue ferite erano serie o no?”
“Non so dirtelo.”
“Dimmi un nome. Uno solo.”
Takis esitò.
Gladia lo afferrò per il bavero e lo spinse contro la parete. L’uomo tentò di divincolarsi, ma lei evocò la forza straordinaria e lo tenne bloccato.
“Mi basta spezzarti alcune ossa” gli alitò sul viso. “Per ridurti come Igar. Non so se questo sconvolgerà la tua mente, ma sono certa che trovarsi in un corpo paralizzato e avere ancora la ragione ti farà rimpiangere di non essere come lui.”
Takis respirò a fatica. “Mi soffochi.”
“Quel nome. Ora.”
“Falcandro” disse l’uomo.
Gladia si accigliò. “L’ho già sentito. È l’erudito che sta curando Dodur.”
“È stato lui l’ultimo a prendersi cura di Igar.”
Gladia lo lasciò andare.
“Per il momento non dire alcunché alla regina.”
Takis si limitò a respirare a pieni polmoni.
“Mi stai ascoltando?”
Lui fece di sì con la testa.
“Se lo farai, commetterai il peggior errore della tua vita. Il mio ordine verrà a sapere che hai disubbidito alle mie disposizioni mentre svolgevo i miei compiti di inquisitrice. A quel punto, ti resteranno solo due scelte: ucciderti o vivere da rinnegato. Ma dovrai nasconderti bene, perché se verrai preso, farai un viaggio senza ritorno a Krikor e allora rimpiangerai di non essere morto.” Fece una pausa. “Sono stata chiara o vuoi che te lo ripeta?”
“Ho capito” disse l’uomo.
“Portami da Falcandro.”
 
L’erudito era in piedi in una minuscola cella senza finestre e con una sola uscita. Su di un tavolaccio era disteso Robern, il ventre scoperto e la ferita esposta.
Anche da quella distanza poteva cogliere il livore intenso della carne che stava marcendo e l’odore che iniziava a diventare pungente.
“Se non ti spiace vorrei attendere fuori” disse Takis. “Non mi piace stare qui dentro se non è necessario.”
Gladia lo dispensò con un rapido gesto della mano. “Non allontanarti troppo.”
Falcandro lavorava a qualcosa mentre rivolgeva un occhio a un libro aperto su di un leggio. Alla sua destra, in un piatto di legno, c’era del formaggio ricoperto di una patina verde.
È andato a male, pensò.
Gladia avanzò nella stanza con passo incerto. Robern voltò la testa verso di lei.
“Com’è andata con…” Si interruppe nel mezzo della frase. “Dalla tua espressione direi non bene.”
Falcandro si voltò verso di lei. “Tu devi essere l’inquisitrice. Gladia di Taloras, se non sbaglio.”
“Non sbagli” disse Gladia, lo sguardo che vagava per la cella. Lungo le pareti erano appesi decine di fogli sui quali una mano incerta aveva realizzato dei veloci schizzi di esseri umani dalle strane fattezze. La maggior parte era nuda e senza capelli, privi anche degli attributi sessuali. Solo uno aveva dei seni pronunciati come quelli di una giovane donna appena sbocciata.
“Li hai fatti tu quelli?”
Falcandro annuì deciso. “Ti piacciono?”
“Dipingi? Non vedo quadri.”
“Non sono schizzi” disse l’erudito.
Gladia indicò Robern. “Hai già dato un’occhiata alla ferita?”
Falcandro non mutò espressione. “È brutta, ma non è la peggiore cha abbia visto in vita mia. Una volta mi capitò di dover curare un uomo al quale un leone di montagna aveva quasi staccato una gamba. Riuscii a salvargliela, ma morì lo stesso per le infezioni.”
“Puoi guarire il mio amico?”
L’erudito annuì. “Ho buone speranze.”
“Quanto buone?”
“Abbastanza.”
“Come lo curerai?”
Falcandro esitò. “Se te lo dico, non tenterai di fermarmi?”
Gladia si accigliò. “Perché dovrei?”
“Fa sempre una strana impressione vedermi all’opera, specie nelle menti non abituate a certe conoscenze.”
“Vuoi dire che sono troppo stupida o ignorante per capire?”
Falcandro impallidì. “Non era quello che volevo dire, certo che no.”
“Prova a spiegarmelo in modo semplice.”
L’erudito annuì. Prese il formaggio e glielo mostrò. “Lo curerò con questo.”
Gladia si accigliò. “Con quello peggiorerai la situazione” disse. “È andato a male.”
“Lo so, è questo che lo rende speciale. Vedi” indicò la patina di verde che ricopriva il formaggio. “Userò questa per eliminare l’infezione dal corpo del tuo amico.”
“Mi chiamo Dodur” disse Robern con uno sforzo.
Falcandro rimise il formaggio sul tavolo.
“Spero che tu sappia quello che stai facendo” disse Gladia.
“L’ho già fatto altre volte.”
“E com’è andata?”
L’erudito si strinse nelle spalle. “Sei, no, sette volte su dieci la persona è guarita.”
“Fa che questo sia uno di quei sei, no, sette casi in cui la cura ha successo, o ne rimarrò molto dispiaciuta.”
Falcandro annuì senza dar segno di aver compreso la minaccia o il pericolo che stava correndo. Gladia attese con pazienza che l’erudito staccasse con un coltellino la muffa dal formaggio e, dopo averla mischiata con un intruglio che aveva preparato, la applicasse sulla ferita.
“Dovrebbe bastare” disse mettendo da parte la pozione.
“Se ne metti di più non guarirà prima o più in fretta?”
“Non funziona così, inquisitrice. Se ce n’è troppa o troppo poca possono accadere cose spiacevoli. Fidati di me.”
Fosse così semplice, lo farei.
“Quanto dovremo aspettare perché faccia effetto?”
“Non lo so. Ore? Giorni? Dipende dal suo corpo.”
Gladia trovava irritante quel modo di fare, ma Falcandro sembrava sicuro di sé e decise di non preoccuparsi più di tanto. Per il momento.
C’era un’atra questione sulla quale voleva interrogarlo e ora che aveva terminato con Robern decise che era il momento adatto per presentargliela.
“Ci sono alcune cose che devo chiederti” disse all’erudito.
Questo stava consultando il libro aperto sul leggio. “Ti ho già spiegato che non posso prevedere quando il tuo amico starà meglio.”
“Non riguarda lui” disse Gladia.
“Chi allora?”
“Igar.”
Falcandro strinse gli occhi. “Lo hanno portato da me un paio di Lune fa.”
“Che cosa gli hai fatto?”
“Era ferito. Non in modo grave. Ho applicato qualche benda e ripulito le ferite. Stava bene quando è andato via. Mi ha persino ringraziato.”
“Adesso è diventato una pianta che decora una cella.”
Falcandro si accigliò. “Non capisco.”
“Sai almeno di cosa sto parlando?” chiese spazientita.
“Non esco molto da questa cella. Il più delle volte ci mangio e ci dormo qui dentro e…”
“Non mi interessa. Quindi non sai cosa è successo a Igar.”
“Spero niente di male, ma da quello che hai detto direi che non sta molto bene.”
“Ha perso la ragione.”
“È impazzito?”
“Ti sono noti pazzi che si limitano a fissare un punto davanti a sé senza dire una parola?”
“Esistono molte forme di pazzia.”
“Quando l’hai curato, Igar ha dato segni di stare perdendo la ragione? Parlava in modo strano o agiva in maniera bizzarra, inconsueta?”
Falcandro scosse la testa. “No, che io ricordi. Mi incuriosisce molto la tua storia. Continua per favore.”
“Non è una storia, dannazione” sbottò Gladia esasperata. Quella discussione non stava andando come si era aspettata.
Sperava che l’erudito ne sapesse qualcosa, che fosse responsabile della condizione di Igar e che fosse capace di ridargli la ragione.
“Quel tizio sta molto male e a me serve che riacquisti la ragione” spiegò Gladia.
“Se potessi vederlo…”
“È al livello superiore a questo.”
“Per me è come se fosse a Malinor, allora. Ti ho detto che non esco molto da qui.”
“La porta adesso è aperta e fino al livello delle celle sono solo pochi passi.”
“Tu non capisci. Non posso uscire da questo livello. È già tanto se mi è consentito mettere un piede fuori da quella porta. Sua maestà ha dato ordini precisi.”
“Skeli?”
Falcandro annuì con vigore. “Proprio lei.”
“Ti ha confinato in questo livello?”
“Dice che è per il mio bene.”
Gladia sospirò. “Per il tuo bene, mi accompagnerai da Igar.”
Falcandro sussultò. “Ti ho appena detto che non posso uscire da questo livello e nemmeno da questa cella, se non ho il permesso.”
“Ora ce l’hai.”

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