Funny how the stars crossed right
Il calore del fuoco fu il benvenuto nella notte che, ormai inoltrata,
risultava più fresca. Scoppiettava allegro, consumando i
rami secchi con cui era stato alimentato, e bagnava di luce
tutt’intorno: la sabbia, gli approvvigionamenti abbandonati e
le poche persone ancora presenti – la maggior parte dei
ragazzi era già in acqua per il bagno di mezzanotte.
Stranamente, Castiel non aveva voluto seguirli e tentare
così di affogare Lysandre, colpevole di quella scampagnata
fuori programma.
Non avevo insistito molto per un’uscita a due la notte di San
Lorenzo, ben conoscendo il mio ragazzo poco incline ai futili
festeggiamenti. Certo, con l’avvicinarsi della ricorrenza mi
ero persa in sogni di romantiche passeggiate sotto le stelle, a piedi
nudi lungo la battigia magari, che poco riflettevano i suoi modi
scostanti ma più quella dolcezza che mostrava raramente,
seppure nei momenti più giusti; tuttavia, erano solo
fantasie in cui amavo perdermi di tanto in tanto e che non avevo
intenzione di trasformare in realtà: tanto, ci saremmo visti
nei giorni successivi per gli ultimi bagni a mare prima
dell’arrivo di settembre.
Fu con il pensiero di dovergli parlare proprio di quel mese fautore di
prossimi e grossi cambiamenti nelle nostre vite che verso le nove di
sera mi ritrovai in salotto Castiel – scoprii che era
riuscito a citofonare e a salire indenne, nonostante gli avesse
risposto e aperto mio padre.
«Sbrigati. Lysandre ci aspetta giù», mi
salutò come suo solito.
Le spiegazioni arrivavano sempre su richiesta, con lui…
Così, incrociai le braccia al petto e aspettai che
esplicitasse l’omissis: Lysandre era stato invitato
all’ultimo minuto ad un falò come
“motivatore al canto”. «Non canta senza
la mia chitarra, ovviamente» furono, invece, le testuali
– a suo dire – parole che, ero certa, mascherassero
la realtà di una banale estensione dell’invito.
Estensione in cui ero stata compresa anche io – e che sarebbe
stata ritirata entro dieci minuti, se non mi fossi data una mossa.
Per fortuna c’era mia madre a trattenere mio padre,
altrimenti gli avrebbe staccato la testa a morsi dato che non era stato
compreso nella nostra conversazione, né preventivamente
interpellato. Castiel, purtroppo – o per fortuna, dipende
dalle situazioni –, è così: diretto e
impulsivo; combina la cazzata e pensa alle conseguenze soltanto quando
ormai si sono verificate.
A suo beneficio va la buona volontà di rimediare.
Così, con la promessa di entrambi di evitare gli alcolici
– rettificata, dopo i nostri sguardi esasperati e quello
ammonitore di mia madre, in “andarci piano, dato che siete
entrambi maggiorenni” – e altre pericolose
sostanze, riuscii ad aggregarmi anche io alla compagnia di Lysandre che
mi salutò calorosamente e, prima che lo ringraziassi, mi
rivelò sottovoce che era stato Castiel a voler passare a
prendermi.
Il falò si svolse come ogni altro: risate e giochi, birra e
fumo, musica, barzellette e storie dell’orrore, marshmallow
ed altro cibo spazzatura. La chitarra di Castiel – che per
l’occasione aveva tradito l’amata elettrica per
un’acustica – aveva accompagnato la voce di
Lysandre che, per fortuna, era riuscita a condurre il coro e a far
sembrare il nostro gruppo perfettamente intonato… fino a
quando non fummo portati fuori strada da due buontemponi che iniziarono
ad inventare musica e parole per brindare a quella compagnia
improvvisata.
Allo scoccare della mezzanotte – attesa con tanto di
countdown come fossimo al Veglione di Capodanno –
c’era stata una vera e propria corsa in acqua: vestiti tolti
in fretta, lanciati o abbandonati sulla spiaggia, urla e grida di
giubilo, tuffi e spruzzi; i pochi che erano crollati per
l’alcol e la stanchezza russavano attorno al fuoco.
Mi ero alzata, convinta che Castiel li avrebbe seguiti, ma i suoi occhi
grigi illuminati dalle fiamme e il suo solito mezzo sorriso mi
trattennero lì, insieme alla mano che avvolse attorno al mio
polso sinistro.
«Non volevi vedere le stelle?» mi chiese.
Certo che volevo vederle!
E, poi, non avrei mai rifiutato l’invito di stare da sola
– addormentati a parte – con lui.
Quando tornai a sedermi sul pendio della spiaggia che inclinava verso
la battigia, Castiel accomodò la testa sulle mie cosce,
usandole come cuscino, acciuffò la chitarra e
iniziò a strimpellare una successione di accordi
improvvisati. Deliziata dal quel concerto privato, chiusi gli occhi per
ascoltare meglio e lasciarmi trasportare dalle note che si confondevano
con le lontane risate e lo sciabordio delle onde.
Ben presto, iniziai a riconoscere alcuni passaggi e capii che la
melodia inventata si era trasformata in una sorta di medley delle sue
band e cantanti preferiti, che avevo imparato a conoscere
frequentandolo. Persa, riaprii le palpebre quando attaccò
The sky is a neighborhood dei Foo Fighters, il suo
personale modo di
ricordarmi il motivo per cui eravamo lì e non in mare a
schizzarci acqua come i due idioti che eravamo.
Rivolsi, quindi, la mia attenzione alla volta celeste, ammirandola come
mai ero riuscita a fare tra le luci della città: le stelle
sembrano tanti puntini, alcuni vicini e altri lontani, alcuni
più e altri meno brillanti, la luna appariva piena e nessuna
nuvola rendeva nebbiosa la vista mozzafiato; sarebbe stato facile
individuare qualche costellazione, ma ricordavo più i miti
legati ad essa che le loro caratteristiche astronomiche.
«Il Gran Carro è sopra il tuo naso».
Castiel s’interruppe per una breve incursione nei miei
pensieri.
«Eh?» gli chiesi, abbassando lo sguardo
incuriosita. Da quand’è che s’intendeva
di astronomia?
Picchiettò l’indice della mano destra sul mio
naso, infastidendomi di proposito. «A meno che tu non stessi
cercando le stelle cadenti… che, per la cronaca, ti sono
sfuggite tutte».
Avrei dovuto brontolare a quell’affermazione – e
mozzargli il dito a morsi, magari – con cui sottintendeva, e
sottolineava, come lui fosse stato graziato da una vista da falco e io
da quella di una talpa.
«Quante ne ho perse?» brontolai, invece, sconsolata.
Castiel scrollò le spalle. «Una proprio
adesso».
Con un’esclamazione scomposta ritornai con il naso
all’insù, ma – ovviamente –
era già passata. Rimasi quindi con lo sguardo fisso per
qualche secondo nella speranza che… Eccola!
«L’ho vista!!» quasi urlai e saltai.
«Questa l’ho vista!» Chinai la testa per
sorridergli vittoriosa e con una punta di orgoglio.
Castiel emise uno sbuffo divertito e affondò una mano tra i
miei capelli per avvicinarmi il viso e ricompensarmi come fossi una
bambina.
«Non soffermarti troppo su questo, ragazzina. Altrimenti, non
credo riuscirai a esprimere anche un solo desiderio»,
ammiccò lasciando le mie labbra in uno sciocco.
«Veramente,» confessai, «non so cosa
chiedere». Una previsione sul futuro? O il meteo per quando
avevamo deciso di andare al mare? Giusto per organizzare un piano B e
non far saltare la giornata.
Castiel si risistemò sulle mie gambe con quel sorriso
canzonatorio atto soltanto ad irritare – me, Lysandre e chi
aveva la sfortuna di avvicinarlo – e riprese a suonare
soltanto per accompagnare una stupida filastrocca a mio esclusivo uso e
consumo.
«Ma forse il suo desiderio era di vederleee, le
stelleeee» cantilenò per prendermi in giro.
Gli regalai una linguaccia e mi vendicai con un pizzicotto sulla
guancia. «Guarda che, in qualità di tuo cuscino,
ti conviene tenermi buona, altrimenti ti faccio sbattere la testa sulla
sabbia che non credo sia morbida come le mie cosce».
Il sorrisetto di Castiel si aprì in un vero e proprio ghigno
da mascalzone. «Né calda»
commentò con finta nonchalance.
Sgranai gli occhi al sottinteso malizioso e arrossii vistosamente,
mentre lui rise divertito e scrollò le spalle come non
avesse voce in capitolo.
«Sei tu che pensi sempre male» disse in un falso
tentativo di difesa.
Come se fosse colpa mia e non sua – certo che era colpa sua,
se ormai trovavo doppi sensi in ogni battuta che faceva!
Lo spinsi via e lui rotolò giù dalle risate,
tenendo stretta la chitarra per evitare di sbatterla contro i
sassolini. Quando ritornò in piedi, ancora scosso dagli
ultimi spasmi, controllò prima se fosse entrata sabbia dal
rosone e poi passò a scrollarsela dai bermuda e dalla pelle
nuda.
Strumento alla mano e ben lontano dai terribili granelli sabbiosi, tese
l’altra verso di me con un cenno della testa.
«Andiamo sugli scogli»,
m’invitò.
Sfoderai il miglior sguardo da “ma anche no”, che
ebbe come risultato quello di farlo nuovamente ridere –
perciò, probabilmente mi uscii più una smorfia
che una vera occhiata omicida.
«Non ti fidi?», cercò di convincermi con
un occhiolino.
No, che non mi fidavo, ma afferrai lo stesso la mano.
«Non mordo. Forse» sussurrò, infatti,
attirandomi a lui.
Scossi la testa, rassegnata. Era così da Castiel scherzare e
ostentarsi in quel modo, comportarsi e voler essere sempre il duro, il
bullo, l’inscalfibile, il cinico e sarcastico Castiel.
Stretta al suo petto, risi e giocherellai con la frangia scomposta che
copriva i suoi occhi grigi. Rimasi affascinata dai giochi di luce in
essi per via del falò ancora scoppiettante.
«Non ho promesso a tuo padre di riportarti a casa entro
mezzanotte, vero?» mi chiese dubbioso, arcuando un
sopracciglio – era forse timore quello che avevo appena
sentito?
Risi. «No, ma non ti è mai importato di queste
stupide promesse!»
Con uno strano sguardo allentò l’abbraccio
cosicché potessimo avviarci verso gli scogli, che altro non
erano che un insieme di grossi massi ammucchiati l’uno
sull’altro a formare un separé tra il tratto di
costa pubblico e quello privato. Erano situati poco lontano dalla zona
del nostro bivacco, ma abbastanza da regalarci più
intimità.
Castiel appoggiò la chitarra sul punto più alto e
si arrampicò per raggiungerla. Poi, mi invitò a
fare lo stesso, afferrandomi e sollevandomi di peso quando misi un
piede in fallo e rischiai di scivolare.
«Grazie» borbottai, imbarazzata dalla mia
goffaggine che si presentava nei momenti meno opportuni.
Ormai era abituato… Infatti, non commentò e si
sedette sul bordo con le gambe a penzoloni. Lo imitai e strinsi le
spalle, rabbrividendo appena per l’arietta fredda che
sferzò i nostri capelli.
«Devo tornare giù?» chiese accorgendosi
della mia reazione.
Scossi la testa. «No, sto bene. Non preoccuparti».
Poteva comportarsi da misantropo quanto volesse, dato che, poi, era lui
stesso a smentirsi con quelle piccole premure.
Annuì senza insistere e imbracciò nuovamente la
chitarra.
Portai le gambe al petto e le cinsi con le braccia, appoggiando il
mento sulle ginocchia per godermi quella splendida vista: il mare era
una tavola piatta di blu che si confondeva con il cielo, anche se la
distesa veniva qua e là interrotta dalla presenza dei
bagnanti e della spuma prodotta dai loro sollazzi e
dall’incresparsi delle onde; la spiaggia vi si affacciava
zigzagando, illuminata dai fuochi accesi. Il vento iniziò ad
accarezzare l’acqua e i flutti s’infransero
rumoreggiando sulla battigia. La volta celeste, invece, rimase fermo
sopra le nostre teste: le stelle che quasi ammiccavano e la luna che,
da quella posizione privilegiata, notai somigliasse più a
una grossa falce che a un cerchio pieno.
Individuai anche l’Orsa Maggiore ma, questa volta, decisi di
non interrompere la magia della notte, né Castiel che
intonò la canzone che aveva scritto per me – la
riconobbi dai primi pizzichi delle corde che dettarono un ritmo lento.
Quella melodia era così insolita per lui, per il genere che
prediligeva sentire ed eseguire, già nella versione
originale con la chitarra elettrica. Adesso, in acustica, riusciva a
sprigionare una malinconia di cui non mi ero mai resa conto e che,
forse anche per l’atmosfera intima e romantica,
riuscì ad attorcigliarmi lo stomaco.
La sua voce era calda e graffiante, così bassa che pensai
gli costasse non poca fatica nel modularla. A tratti sembrava
più che sussurrasse le parole, quasi parlasse al posto di
cantare. Fremetti per l’intensità del sentimento
che fuoriusciva da quegli accordi e dal testo che, in inglese, ancora
non ero riuscita a tradurre completamente.
Se mi avessero detto che un giorno l’avrei ispirato a
comporre musica e parole, sarei rotolata a terra dalle risate. Io?
Ispirare Castiel? Quel Castiel che, se non ti rivolgeva almeno una
battuta sarcastica, non poteva dire di aver compiuto la buona azione
quotidiana? Che l’unica cosa che ero certa – che
tutti eravamo certi – potesse mai
ispirarlo fosse Demon?
«Com’è nata?» gli chiesi,
quando la brezza portò con sé le ultime note e
lui si liberò della chitarra.
Castiel si stese puntellandosi sui gomiti per tenere il busto appena
sollevato. «Mah», soffiò contro il
cielo. «Come nascono tutte le canzoni: il momento prima non
c’era e il momento successivo l’avevo
già in testa».
Scossi piano la testa. «Non intendevo questo».
Sbuffò. «Vuoi che lo ripeta?» mi chiese,
riferendosi alla prima volta in cui mi aveva fatto ascoltare la
registrazione. “Pensavo a te e avevo la chitarra in mano. Il
resto è storia…” era stata la risposta,
vaga e al tempo stesso esaustiva.
Purtroppo per lui, quella sera mi sentivo più coraggiosa da
insistere e curiosa di scoprirne la genesi.
«No, ma non c’è stato nulla che ti abbia
fatto scattare? Non hai pensato a niente in particolare? Non so. A
quanto io sia bella, intelligente e molto, molto gentile e
generosa?»
Scoppiò a ridere così forte e con tale
teatralità da sporgersi sul vuoto – quasi quasi
sperai che cadesse.
«Daaai» sbuffai per la presa in giro.
«Insomma, il testo in inglese e i pochi ascolti di cui mi hai
graziata non mi facilitano a capire».
«Cosa dovresti capire?» chiese con uno strano
luccichio negli occhi.
Aprii la bocca per rispondergli, ma la verità era che, nella
mia ingenua convinzione, non sapevo neppure io cosa volessi estorcergli.
Forse soltanto qualcosa che avrebbe zittito i pensieri che, a briglia
sciolta, si perdevano in futili titubanze. Eppure, tutto perdeva di
senso dinanzi a quella canzone, al suo sguardo limpido e al fatto
stesso che mi avesse voluta lì e con lui.
Ragazzina, mi rimproverai.
Scossi la testa con un mezzo sorriso e mi voltai verso
l’orizzonte, intimidita dalla consapevolezza che, se avessi
seguitato a perdermi nei suoi occhi, lui avrebbe potuto leggervi
più di quanto volessi comunicargli.
Le mie speranze durarono il battito di ali che servì al
gabbiano in lontananza per spiccare il volo. Castiel
strofinò il naso contro il mio collo facendomi ridacchiare e
rabbrividire poi, quando posò un bacio sulla pelle
sensibile. Da lì partì per lasciare una scia
lungo la curva, il mento e la guancia. Soffiò
all’interno del mio orecchio e con la punta della lingua
stuzzicò dietro la conchiglia, facendomi il solletico.
Fermai la tortura voltandomi per incontrare la sua bocca pronta con la
mia. Ricambiò pigramente, assecondando i miei movimenti:
baciai le sue labbra, le succhiai e tirai, assaporandole con lentezza e
prendendomi tutto il tempo che desideravo.
Quando mi allontanai per respirare, notai e riconobbi il modo in cui mi
guardava.
Era quel modo. Quel modo che mi mandava in confusione, che non riuscivo
mai completamente a decifrare. Che, forse, nascondeva un di
più che nessuno dei due aveva il coraggio di dire a voce, ma
era presente in ogni gesto, in ogni sguardo, in ogni passo che
compivamo l’uno verso l’altro.
Forse riuscì a scorgerlo nei miei occhi, poiché
vidi accendersi i suoi.
Non m’importò: non avevo voglia di nascondermi.
Mi sporsi e le sue labbra trovarono per prime le mie. Con un ansito di
sorpresa risposi alla sua foga, stringendogli le braccia al collo e
portandolo giù con me quando mi spinse di schiena sui massi.
Fu impaziente, questa volta, e mi travolse.
«C’è qualcosa che avrebbe dovuto saltare
al tuo orecchio, ma forse ti ho troppo sopravvalutata»
sogghignò sulla mia bocca.
Sbattei le palpebre confusa. «Cos-No!» esclamai,
stupita. «Mi stai prendendo in giro» lo accusai
ingiustamente, poiché non vi erano segnali sul suo viso per
farmelo credere. «Ricantala, ché te lo trovo
subito!» M’intestardii e quel sorriso sornione non
fece che mandarmi su tutte le furie.
Castiel scoppiò a ridere e mi crollò addosso,
schiacciandomi con il suo corpo.
«Castiel! Castieeel!» mi lamentai, scalciando e
prendendolo a pugni sulle spalle. «Sei pesante! Non fare
l’idiota! Alzati!!»
Come sempre, non mi accontentò, ma sghignazzò
nell’incavo del collo facendomi il solletico con il respiro,
l’accenno di barba e le dita con cui iniziò a
torturarmi pancia e fianchi. Iniziai a contorcermi per
sfuggirli… Purtroppo, pesava almeno il doppio di me ed era
davvero un’impresa tentare di spingerlo via.
«Nooo! Smettilaaa!» Mi accorsi di stare strillando
soltanto quando soffocò le mie esclamazioni e maledizioni
con una mano, smettendo così di solleticarmi senza remore.
«Sshhh, vuoi che ci trovino?»
Bastardo!
Lo colpii con forza sul petto e mi lasciò, finalmente,
respirare. «Allora non farmi il solletico!» risposi
con le lacrime agli occhi e il respiro affannoso.
Ridacchiò, per nulla pentito di ciò che aveva
fatto. «Devi arrivarci da sola, ragazzina», mi
provocò in tono suadente.
Sospirai. «Posso avere almeno un aiutino?» chiesi,
rinunciando in partenza a tirar fuori la miglior espressione da
cucciolo abbandonato – a cui, tra l’altro, non
aveva mai abboccato. Ero forse un Beauceron di nome Demon? No.
… No, non sono gelosa di un cane!
Forse un pochino.
«Magari la registrazione che mi hai fatto ascoltare la prima
volta? O il testo! Mi basterebbe anche solo il testo», tentai
di blandirlo con voce gentile.
«Nah, altrimenti mi toglieresti tutto il
divertimento». Castiel scosse la testa con un ghigno.
«Non hai appena detto di essere intelligente? Non hai bisogno
di aiuto», mi punzecchiò tronfio.
Soffiai, scocciata. «È una sfida?»
Castiel scrollò le spalle e si allontanò,
stendendosi di schiena accanto a me. Chiuse gli occhi e
incrociò le braccia dietro la testa in una posizione
rilassata.
«Vedila così: se riesci, sarò il primo
a dirti “brava”».
Assottigliai gli occhi in un’espressione omicida.
«… Mi stai prendendo in giro. Non sono mica una
bambina!»
«No, certo. Infatti, ero io quello che si è
esaltato tutto quando ha visto una stella
cadente…» mi canzonò con un mezzo
ghigno di scherno.
Lasciai perdere la presa in giro e riflettei, ritornando con lo sguardo
in alto, tra i corpi celesti e la luna, regina incontrastata della
notte. Chiusi gli occhi, respirando l’aria pregna di
salsedine e ascoltando le risate lontane. Persi per un attimo il
contatto con la realtà e sentii i pensieri galleggiare nel
nulla, cullata dalla voce di Castiel che mormorava il motivetto della
canzone come fosse una ninna nanna. Mugugnai qualcosa che nella mia
testa suonò come l’ennesimo
“scemo”, ma non credo riuscii a pronunciarlo.
Probabilmente sognai tutto, poiché quando riaprii gli occhi
non notai nulla di strano o fuori posto: ero solo un po’
intontita e stanca. Una stella fendette la volta con la sua scia e
scomparve prima che riuscissi a realizzare cosa avessi visto.
La disperazione durò poco, poiché ricordai la
prova a cui mi aveva sottoposto.
La canzone.
Pensai al testo, a quello che mi ricordavo. Alla musica – e
se il riferimento era nascosto lì, sarebbe stato impossibile
trovarlo dato che non ne conoscevo i segreti.
Eppure…
«Non mi hai mai detto come l’hai
intitolata» mormorai, sorpresa, voltandomi verso di lui.
Castiel arcuò un sopracciglio e si mangiò un
sorriso. «No, infatti» rispose senza degnarmi di
uno sguardo – un buon segno.
«Ma ha un titolo?» insistetti.
Scrollò le spalle. «Tutte le canzoni hanno un
titolo».
«Castiel!» sospirai con esasperazione.
«Aaah, quanto insisti!» borbottò,
muovendosi a disagio.
E Castiel non si muoveva mai a disagio. Castiel non era mai
a disagio.
O meglio, lo faceva vedere molto raramente.
«Non vuoi dirmi il titolo! È il titolo la
chiave!» urlai, folgorata dalla realizzazione. Gli arpionai
la spalla, usandola come appoggio per sollevarmi e trovarmi esattamente
davanti al suo viso in modo da rendergli impossibile la fuga.
Mi squadrò con diffidenza, pronto ad attaccare.
«Già che ci sei arrivata da sola…
Indovinalo». Ma quanto ci godeva a stuzzicarmi?
Rimasi imbambolata per qualche secondo e, poi, sprofondai con la testa
sul suo petto. «Sei impossibile» mugugnai.
«Ragazzina» sospirò, quasi gli costasse
la vita.
«Mh?» risposi al richiamo con poca voglia.
«No. Ragazzina»
sottolineò con
esasperazione, prendendomi il mento tra pollice e indice per sollevarmi
la testa. «Little Girl» disse,
guardandomi dritto
negli occhi.
Ah.
Ah!
«E questo doveva saltarmi
all’orecchio?!»
quasi urlai, interdetta. «Sono sicura di non aver sentito
queste due paroline, mentre cantavi!»
Castiel roteò gli occhi. «Perché sei
una sempliciotta assoggettata al pop commerciale che pensa sempre che
nel testo ci sia anche il titolo».
Sbuffai e lasciai perdere il suo essere stronzo un giorno sì
e l’altro pure, nonché quei suoi discorsi sul
declino della musica – a suo dire.
«Contenta adesso?»
Scossi la testa. «Non mi hai detto
“brava”».
Castiel rise di gusto. «Ma se ti ho detto tutto io! Brava in
che cosa?»
M’imbronciai. «Be’… Ho capito
che era il titolo! E sei anche stato sleale, come sempre».
Castiel si lasciò scivolare addosso l’accusa,
ignorandomi. «’Cause I like make you upset
/ Your
eyes sparkle like fire / Little girl»
intonò.
Aggrottai la fronte, pensierosa. «Questi versi li hai
inventati adesso», lo accusai con una punta di incertezza.
Mi agguantò dalla vita, sollevandosi a sedere.
«Può darsi» commentò con
un’alzata di spalle. «Ha importanza? Sono io
l’autore e per accontentarti, dato che sei stata la mia musa
ispiratrice, potrei anche fare delle eccezioni alle mie
regole».
«E seguire la “moda” del titolo nel
testo?» domandai scettica.
«Modificare il brano su esplicita richiesta è uno
degli inviolabili diritti della musa ispiratrice. Potrei finire in
manette altrimenti» replicò così
seriamente che mi colse alla sprovvista per una manciata di secondi.
Realizzando la grossa, ed ennesima, balla che voleva rifilarmi, lo
spinsi di nuovo giù e gli sorrisi maliziosa. «Non
sei stato tu a regalarmene un paio qualche mese fa?»
«Non scherzare col fuoco, ragazzina»
sogghignò, mellifluo.
«Altrimenti?»
Con un colpo di reni tornò seduto e, prima che riuscissi a
capire le sue intenzioni, disse: «Trattieni il
fiato».
Poi, semplicemente, mi sollevò di peso e si buttò
giù.
Nonostante l’avvertimento, urlai mentre precipitavamo e
fendevamo le onde in un fragoroso spruzzo. Chiusi naso e bocca in
ritardo e, quando riemergemmo, sputacchiai acqua salata e imprecazioni,
zuppa dalla testa ai piedi.
«Te l’avevo detto», ebbe il coraggio di
rinfacciarmi.
«Ti odio!» riuscii a inveire tra un colpo di tosse
e l’altro, aggrappata alle sue spalle e ai suoi fianchi con
braccia e gambe nella perfetta imitazione di un koala.
Castiel scoppiò a ridere così tanto che temetti
di ritrovarmi di nuovo sottacqua, ma – miracolosamente
– riuscì a tenerci entrambi a galla.
«Ah, sì?» chiese in tono furbo.
Annuii con il volto nascosto nel suo collo. «Sei…
Sei-», cercai di articolare.
«Un bastardo. Uno stronzo. Un coglione»
elencò, ridacchiando. «Hai l’imbarazzo
della scelta».
Lasciai uscire un sospiro stanco dalle labbra e mi crogiolai per un
po’ nel silenzio, nel dondolio delle onde, nel profumo e nel
calore di Castiel.
«Castiel?» lo chiamai poi, allentando la morsa in
cui era prigioniero.
I suoi occhi si spostarono nei miei e sorrisi.
«Grazie».
Scosse la testa, rassegnato e indifeso dinanzi all’ennesimo
tradimento da colui che considerava più di un semplice
migliore amico.
«Io lo ammazzo» sbuffò con una punta di
divertimento.
Grazie per aver letto ^^
Ho rispolverato questa cosina e mi sono decisa a pubblicarla anche qui.
Credits al titolo: Why – Sabrina Carpenter.