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Autore: Moony16    28/01/2020    0 recensioni
Berlino non era ancora una città sporca di sangue quando Caroline vi arrivò contro la sua volontà in quell'estate del 1940, quando nessuno avrebbe potuto immaginare la piega che avrebbe preso la storia. Con sè, solo una nuova identità, un nuovo nome, la stella di Davide finalmente strappata via dai vestiti e una vita intera lasciata alle spalle.
L'accompagna Joseph, un giovane ufficiale delle SS, il perfetto ariano, uno di quei uomini che potrebbe benissimo stare tra le figurine che la ragazze si passano tra i banchi di scuola, in una rivista del partito nazionalsocialista o in un volantino che incita alla guerra, per riprendersi il "Lebensraum", lo spazio vitale tedesco.
Cosa li lega? Nulla in realtà, se non un'infanzia passata insieme e un debito che pende sulla testa del giovane come una condanna.
***
LA STORIA E' INCOMPLETA QUI, MA LA STO REVISIONANDO E RIPUBBLICANDO SU WATTPAD NELL'ACCOUNT Moony_97, DOVE LA COMPLETERO'
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Caroline sorrise annuendo alla ragazza poco più grande di lei che aveva di fronte, stando ben attenta a non farsi beccare mentre prendevano in giro un importante ufficiale presente nella sala, che camminava impettito come pavone.

Se con Dimitri le cose andavano a gonfie vele, aveva anche dovuto rispettare una promessa, in quei mesi: partecipare attivamente alla vita del partito. Capiva la richiesta di Joseph, sapeva che era necessario farsi vedere ogni tanto in quel covo di serpenti.

All'inizio ne era stata solo dannatamente spaventata, poi aveva capito che loro non avrebbero mai immaginato che un'ebrea avesse la faccia tosta di presentarsi a quelle riunioni, così era sopraggiunta la rabbia, la disapprovazione e un odio incondizionato verso pressocchè la totalità dei partecipanti, che però dissimulava abbastanza bene.

La ragazza con i capelli biondi, anche se Caroline sospettava fossero tinti, era tra le peggiori arpie che avesse conosciuto lì dentro e si chiamava Hannah. Non era sposata e aveva la stessa età di Joseph, così aveva pensato di accalappiare il giovane ufficiale prima che si presentasse quella sciaquetta con i capelli orribili. Caroline sospettava che lei si fosse tanto “gentilmente“ offerta volontaria per aiutarla ad organizzare il matrimonio solo per mandarlo all'aria. Poi però avevano passato tanto tempo insieme, così aveva finito in qualche modo per affezzionarsi l'una all'altra. Era stato incredibile, giorno dopo giorno quella che era una farsa era diventata quasi realtà. Quasi, perché Hannah non aveva idea della vera identità di Caroline, e mai avrebbe dovuto scoprirlo.

Però passavano interi pomeriggi ridendo, alla riunioni erano sempre insieme, scherzavano su ogni cosa fosse permesso scherzare. Era la cosa più vicino a un'amica che Caroline avesse avuto da tanto tempo e, anche se continuava a ripetersi che Hannah l'avrebbe denunciata se avesse conosciuto le sue origini, non poteva fare a meno di volerle bene.

Era stata decisa la Chiesa dove si sarebbe svolto il matrimonio e Caroline aveva spiegato al pastore la situazione difficile: l'uomo le aveva assicurato, con un sorriso bonario sul volto pasciuto, che non appena Joseph sarebbe sceso dal treno avrebbero potuto sposarsi. Lei aveva però convenuto con il diretto interessato che sarebbe stato meglio se il giorno dell'arrivo lui avesse dormito in un hotel non troppo lontano da dove abitava, giusto per avere il tempo di una dormita e di un bagno ristoratore.

Era stato deciso anche il luogo in cui fare il rinfresco, un ristorante vicino lo zoo veramente carino anche se non troppo sfarzoso. La moglie del proprietario era un'amica di Hannah, per cui le aveva dato la disponibilità nel farle avere una sala libera, con un massimo di trenta persone e con un preavviso minimo di una settimana.

Caroline aveva quindi scelto il menù, molto abbondante anche se non avrebbe potuto essere ricercato come Joseph avrebbe voluto; gli addobbi, che erano ammassati nella sua vecchia stanzetta, i fiori da usare in base ai mesi dell'anno in cui sarebbe potuto tornare.

Caroline aveva iniziato, ed era anche a buon punto, a darsi da fare per il corredo, che prevedeva una buona dose di lenzuola, vestaglie, camicie da notte, tovaglie e altre mille cose che le erano costate un occhio della testa, e tutte da ricamare per giunta.

Aveva chiesto ad Hannah di farle da testimone un pomeriggio uggioso e lei era saltata dalla poltrona nel salotto della casa di Joseph per abbracciarla e ringraziarla di quell'onore. Prese dall'allegria, Caroline aveva messo il suo disco sul grammofono e avevano passato un paio d'ore spensierate ridendo e ballando.

Non sapeva a chi lo avrebbe chiesto Joseph, anche se le era parso di capire che per quanto non fosse molto amico con nessuno, lo conoscevano più o meno tutti.

Così adesso erano andate dalla sarta, ed Hannah era decisamente in fermento per quell'ulteriore passo. Avevano ordinato il suo vestito da sposa, anche se sarebbero stati necessari dei ritocchi in base alla stagione, stessa cosa dicasi per l'abito di Hannah. Tutta la mattina non aveva fatto altro che decantare i pregi del raso e della seta, a lamentarsi perchè essendo in guerra costavano quasi quanto l'oro, o parlare di quanto era bello il suo anello di fidanzamento, e a sparlare una ragazza, che frequentava il loro stesso circolo e che si era sposata da poco. Nonostante non fossero i suoi argomenti preferiti, Caroline doveva ammettere che l'amica aveva decisamente buon gusto e poi, quando entrava in confidenza, aveva un'ironia pungente niente affatto noiosa e abbastanza divertente.

Era ormai Maggio inoltrato e presto sarebbero stati quattro mesi che Joseph mancava. Era troppo poco perché ottenesse un permesso, considerando che ci volevano due giorni di treno per fare Berlino-Varsavia, però lei era sempre più convinta che non sarebbe riuscita a scappare via prima che lui tornasse.

Sorrise di nuovo ad Hannah, chiedendosi per l'ennesima volta cosa avrebbe fatto lei se avesse saputo la sua vera identità. Era quasi sicura che l'avrebbe denunciata.

***

Domenica, 22 Giugno 1941

Joseph quella domenica mattina era libero. Si era detto che per un sabato sarebbe anche potuto uscire con gli altri ufficiali, così si era ritrovato in un pub dove era evidente che i suoi compagni andassero spesso. Si chiamava La Caserma ed aveva attirato da subito l'attenzione degli ufficiali per il suo nome e per la vicinanza alla caserma dove dormivano la maggior parte dei soldati. Presto era diventato appannaggio esclusivo degli ufficiali, cosa che non andava per niente giù al proprietario polacco. Nel locale, oltre che ottima birra, c'erano anche ottime donne. Le prostitute erano belle e luccicanti lì come da nessuna altra parte in città, la maggior parte delle quali aveva perso tutto in quella guerra e adesso stava provando a risollevare le proprie finanze. E quale modo migliore di farlo, se non scendendo a patti con il nemico? Sorridevano lascive portando altra birra, ridacchiando davanti agli occhi azzurri dei soldati tedeschi.

Così quella notte Joseph, dopo aver passato delle ore tutto sommato piacevoli con quei ragazzi giocando a carte, era tornato a casa accompagnato da una bella rossa, tra le risate dei suoi compagni perchè era evidente che avesse un debole per quel colore. Discretamente ubriaco, anche se meno del solito, aveva passato la notte a trastullarsi tra le coscie e i seni della donna, al punto che se n'era andata quando ormai era l'alba.

Così si era svegliato dannatamente tardi, alle nove e trenta. Probabilmente avrebbe continuato a dormire però, sazio di sesso e alcool, se non fosse stato per il caos che regnava in quella casa. Si era alzato assonnato cercando di capire che diamine fosse successo.

I due ufficiali con i quali condideva la casa erano seduti in cucina, con le uniformi indosso e un sorriso vittorioso a increspargli i visi. La radio era accanto a loro, ma Joseph non distingueva le parole che ne uscivano da quella distanza. Un flebile alito di speranza per Caroline lo invase, insieme alla consapevolezza che se era come credeva lui non si sarebbero mai più rivisti.

«Cosa è successo? L'ghilterra si è arresa?» chiese, con tono piatto ma evidentemente curioso.

Il Maggiore Fischer, il più anziano lì dentro, lo guardò con una mezza risata.

«No, abbiamo invaso la Russia» disse con un ghigno stampato sul viso. L'altro, Capitano come lui, gli diede man forte.

«Stalin non ha speranze contro il nostro esercito, saremo a Mosca prima che venga l'Inverno. E spazzeremo via dalla nostra terra quegli schifosi slavi comunisti» aveva detto con un sorriso vittorioso. Joseph aveva aggrottato le sopraciglia.

Era quello che aveva fatto carriera più velocemente lì dentro, e questo perchè aveva un buon istinto per le strategie e i colpi di mano. E quell'attacco gli sembrava tutto fuorché intelligente.

Si chiese che diamine avessero in testa i generali per fare un attacco tanto sconsiderato. L'esercito tedesco era inarrestabile, vero, ma avevano un patto di non alleanza contro la Russia, perché romperlo? Sarebbe stato più intelligente concentrarsi per far arrendere l'Inghilterra, stipulare un trattato di pace non troppo sconveniente per gli Inglesi così da non inimicarseli e aspettare qualche anno per invadere la Russia, giusto il tempo di rinfoltire l'esercito. Ma in quel modo ... l'esercito tedesco era sparso per mezza europa fino alla Grecia, persino in Africa e adesso anche in Russia. Senza contare l'avventatezza della mossa: se non fossero arrivati a Mosca entro novembre sarebbe stata la fine: i soldati tedeschi non avrebbero avuto bisogno dell'artiglieria nemica, per morire, sarebbe bastato l'inverno.

Scosse la testa senza esternare i suoi pensieri. Sarebbe stato pericoloso.

«Questo, non me lo aspettavo» disse solo, sorpreso.

Il Maggiore lo guardò con un ghigno.

«Capitano, era solo questione di tempo prima che il nostro Fhurer attaccasse quelle merde comuniste» Joseph annuì pensieroso.

Con espressioni di giubilio brindarono al Fhurer, poi lui si ritirò nella sua stanza, prese carta e penna e iniziò a scrivere. Aveva già spedito la sua lettera settimanale a Caroline, ma quello era un caso speciale, doveva parlarle.

22 Giugno 1941

Caroline

La Germania ha attaccato la Russia.

Probabilmente a quest'ora lo saprai già, ma avevo bisogno di scriverti. Non so se sai quali saranno le conseguenze di questa mossa a mio parare azzardata: la guerra non finirà tanto presto. Se c'è una cosa che so però, è che nonostante il nostro esercito sia nettamente superiore, la Russia non si ritirerà senza combattere. Ci sarà uno spargimento di sangue e spero di non ritrovarmi lì quando giungerà l'inverno. Se la Germania non conquisterà Mosca entro novembre non immagino cosa accadrà, ma so una cosa: fin'ora nessun esercito è mai riuscito a sopravvivere all'inverno russo.

So che non dovrei dubitare così del Fhurer, ma sono preoccupato, per te, per noi. Non so quando avrò un congedo, ma mi sembra ormai chiaro che i nostri piani siano finiti in fumo. Mi dispiace di averti trascinata in questa storia, so che avresti preferito tenertene fuori.

Ho bisogno di parlare con qualcuno Caroline ... ci sono così tante cose che non sai, che non ti racconto, perché ho paura del tuo giudizio, perché non voglio angustiarti, perché non potrei dirti nulla comunque. Alla fine avevi ragione tu. Hai sempre avuto ragione tu.

Che persona sono diventata, mi hai chiesto. Chi voglio essere?

E ora io ti rispondo che non so più chi sono. Non so più niente, ormai.

Jhosep

Finì di scrivere e, senza neanche rileggere cosa aveva scritto, sigillò la busta. Non voleva pensare quanto di sè aveva messo in quella lettera, perché odiava sentirsi debole e quella lettera racchiudeva tutte le sue debolezze in poche, coincise, frasi, che si mischiavano tra loro confusamente. Pensare avrebbe solo peggiorato le cose.

Si vestì in fretta e senza neanche tentare di mandare giù qualcosa a parte del caffè si recò all'ufficio postale per spedire la lettera. Sperò che Caroline capisse. Sperò che avesse parole di conforto per lui, aveva bisogno che lei lo confortasse, che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene.

Come faceva quando era solo un bambino disperato, che vedeva il padre in ogni angolo.

Ci sono io con te Jo, dormi. Non preoccuparti, ci sono io. E lui si addormentava, perché di lei si fidava come di nessun altro.

Rivoleva la sua infanzia. Rivoleva la sua vita. E voleva lei, come non l'aveva mai avuta.

***

Dimitri, quando quasi un mese prima aveva saputo dell'assedio in Russia, si era sentito congelare dentro per la paura e la disperazione. Lo avrebbero chiamato alle armi, questo era poco ma sicuro, e adesso, mentre Caroline era sempre più presa da eventi mondani con le sue nuove amiche, lui si faceva in quattro cercando di rendere autonomi i suoi fratelli. La madre lo guardava con il dolore negli occhi e lui cercava di sfuggire il suo sguardo, senza riuscire a sopportare anche la sua pena. I fratelli non capivano. Perché era così irascibile? Perchè finalmente ora che era finita la scuola dovevano lavorare invece che divertirsi come i loro coetani? E lui lì a urlargli di crescere.

“Stai calmo con i bambini” gli diceva sua sorella Lou, la terzogenita, ammonendolo con cipiglio severo. Neanche lei aveva capito, come i bambini, e lui preferiva farsi rimproverare piuttosto che scaricarle addosso quel fardello. Sua madre sospirava, e voltava lo sguardo, come sua sorella Anne, a cui invece la situazione era fin troppo chiara.

“Lou dannazione, quante volte ti ho detto di farti i fatti tuoi? Devono imparare” ripeteva allora lui, prima di continuare a sgridare quei due monelli. Sua sorella sbuffava e i bambini, compreso che non avrebbero avuto l'aiuto sperato, chinavano il capo e riprendevano a lavorare.

Prima svolgeva buona parte del lavoro da solo, ma sapeva che senza di lui tutti avrebbero dovuto lavorare. Le sue due sorelle impastavano già molto pane, ma se lui non ci fosse stato avrebbero dovuto fare tutto loro e non avrebbero potuto pensare anche al forno, considerando che servivano anche i clienti. Sua sorella Anne e sua madre dovevano badare ai bambini e poi probabilmente avrebbero aiutato le altre due sorelle a impastare. Rolf, Fred e George erano troppo piccoli per lavorare, per cui gli unici a cui poteva insegnare qualcosa erano Karl e Anton, che però si rifiutavano di collaborare.

Una mattina però quella bomba a orologeria era inevitabilmente esplosa. Dimitri aveva preso per la collottola Anton, ben deciso a dargli una bella sculacciata per essersi distratto e aver fatto bruciare il pane, quando Lou era intervenuta come una furia.

«Metti giù le mani Dimitri! Lascialo stare! Ma cosa credi? Ha unidici anni, per dio, sei impazzito? Non ti riconosco più, e non capisco com'è che ancora nostra madre ti asseconda, anche se ho sempre saputo che sei il suo preferito non ho mai pensato che sarebbe arrivata a tanto» disse amareggiata. Dimitri si congelò. Non sapeva che fare. Sua sorella aveva sempre avuto una bella lingua lunga, e sapeva come fare male quando voleva, sopratutto quando credeva di avere di fronte una bella ingiustizia.

Sua madre, che per chissà quale ragione era giù al forno con loro, fissò la figlia per un lungo istante, poi guardò Dimitri e sospirò sconfitta.

«Lou cosa faremmo se tuo fratello fosse chiamato in guerra? Moriremmo di fame, te lo dico io» disse con voce piatta.

Lou andò per lamentarsi, ma sua madre la fermò.

«No, adesso parlo io. Basta. Sono settimane che ricopri tuo fratello di insulti senza capire che il primo a stare male è lui. Perchè pensi che abbiamo ritirato i bambini da scuola? Perché ci andava? Sai che siamo entrati in guerra anche contro la Russia» fece una pausa e sospirò. La decisione di non rinnovare l'iscrizione a scuola per l'anno dopo ai due ragazzini era stata sofferta ma necessaria.

«Non sappiamo come andrà, ma quello che sappiamo è che al nostro paese servono soldati. E tuo fratello è un forte e sano ragazzo di quasi venticinque anni, non sposato, senza figli a carico. Quanto pensi che reggerà la scusa che è l'unica fonte di sostentamento per la nostra famiglia?» Lou tacque, guardando con occhi nuovi suo fratello.

Dimitri distolse lo sguardo.

«Dimitri io ...» cominciò sua sorella, ma Dimitri la interruppe.

«Lascia stare Lou, lo capisco. Sono stato scorbutico in questi giorni, è vero» Lei scosse la testa e abbracciò il fratello, venendo presto accolta dalle sue braccia familiari e confortevoli.

«Mi dispiace, fratellone» lui la strinse più forte, baciandole la fronte. Lou era sempre stata la più combattiva delle sue sorelle. Nata dopo Anne, che era dannatamente calma e gentile, lei era sempre stata più propensa a rotolarsi nel fango con lui, a fare a botte e a prendere per le trecce chiunque prendesse in giro la dolce Anne. Loro tre erano cresciuti insieme, erano i più grandi e avevano sempre dovuto spalleggiarsi. Dimitri davvero capiva il comportamento di sua sorella, probabilmente avrebbe fatto lo stesso al suo posto, per questo non era affatto arrabbiato con lei, ma solo molto intenerito.

Lei si staccò dopo qualche attimo e lo guardò in viso, angosciata, poi si allontanò tornando al suo lavoro, con le gambe che tremavano per quell'improvvisa notizia. Niente era certo, ma adesso capiva perché sembravano tutti in continua attesa. E avrebbe preferito non saperlo.

***

Dimitri bussò alla porta di Caroline con impazienza. Aveva voglia di passare un po' di tempo con lei, ed erano tre giorni che non si vedevano, tra gli impegni di lui, che lievitavano come il pane, e quelli di lei, a cui ormai però si erano abituati. Era Luglio e nella brezza leggera c'era odore d'estate, la stagione preferita del giovane. Quanto avrebbe voluto tornare all'anno prima! A quell'estate in cui il suo amore per Caroline era sbocciato come una rosa di Maggio, ed erano entrambi così presi da quel sentimento nuovo da non fare caso a tutto il resto. Presto sarebbe venuto Agosto, e con esso il compleanno di Caroline. Presto sarebbe stato un anno da che si conoscevano.

Era di buon umore quel giorno: finalmente aveva chiarito con sua sorella e adesso si sentiva come se gli avessero tolto un peso dal petto. E poi era una fantastica mattinata di sole e lui non avrebbe potuto essere più allegro di così. Aveva due gelati in mano, incartati, che si sarebbero sciolti completamente se Caroline non si fosse sbrigata ad aprire.

Quando finalmente la porta si spalancò, Dimitri si fiondò su per le scale, per poi superare l'uscio davanti ad una Caroline decisamente stupita di quella sua fretta.

«Ho portato il gelato!» disse entusiasta, mentre si dirigeva in cucina e cominciava a scartare l'involucro.

«Cioccolato al latte per lei, signorina. Ma prima voglio un bacio» le disse, porgendole il cono che si andava sciogliendo sulla sua mano. Caroline ridendo gli diede un bacio fugace sulla guancia e afferrò il cono a tradimento.

«Ehi! Io intendevo un bacio vero, non questo» disse fintamente offeso, osservando la ragazza impasticciarsi allegra con il suo gelato, mentre lo guardava con sguardo biricchino.

«Se stavo a sentire a te, facevamo diventare il gelato acqua» disse con finta aria solenne, facendolo ridere di cuore mentre anche lui si dava da fare con il suo gelato.

«Touché. Però dai, me lo meritavo un bel bacio» le disse appoggiandosi con eleganza al tavolo della cucina, mentre lei lo osservava dalla sedia divertita.

«Non ci vediamo da tre giorni, ti porto il gelato, e tu neanche mi saluti come si deve» disse mettendo su un broncio adorabile e facendo risaltare in modo incredibile i suoi occhioni blu. Caroline scoppiò a ridere, poi si alzò dalla sedia e gli depositò un bacio leggero sulle labbra, mentre lui rimaneva immobile.

«Va meglio, ora?» Lui la guardò con occhi luccicanti.

«Puoi fare di meglio» Lei scosse la testa, poi leccò il gelato con aria seducente.

«Prima devo finire il gelato» disse ostinata, mentre lui scuoteva la testa. Se solo avesse saputo cosa avrebbe voluto farle con quel gelato!

«Allora cosa hai fatto in questi giorni?» chiese quindi, cambiando argomento. Lui scrollò le spalle.

«Il solito ... Anton e Karl che non vogliono lavorare, mia madre che mi guarda come se avessi un piede nella fossa, i bambini che fanno i capricci ... devo continuare?» elencò guardando in alto. Lei sospirò.

«E con Lou?» Caroline sapeva quanto filo da torcere gli stava dando sua sorella, e del motivo per cui preferiva lasciarla nella sua beata ignoranza.

«Mia madre ha cantato, davanti a Karl, Anton e Mary. Fosse stato per me non le avrei detto niente, sopratutto non davanti a tutti, però devo ammettere che adesso va molto meglio. Per lo meno, riesco a fare il mio lavoro» lei annuì pensierosa.

«Mi piacerebbe conoscerli ...» disse quasi sovrappensiero. La sua famiglia era andata perduta, e anche nei momenti migliori lei era figlia unica. Le si strinse lo stomaco pensado a Joseph: anche lui era stato parte della sua famiglia. E suo malgrado lo era ancora.

Dimitri la fissava concentrato.

«Hai sempre detto che non è possibile» osservò. Gli sarebbe piaciuto presentarla alla sua famiglia, su cui ruotava buona parte della sua vita. Gli sarebbe piaciuto che sua nonna la smettesse di cercare di convincerlo a presentarla, perché aveva capito che aveva un “tresca” con qualcuna. Ma presentare una ragazza a casa sarebbe significato avere intenzioni serie mentre Caroline stava organizzando un matrimonio con un altro uomo. Più specificamente, con un Capitano delle SS.

«Infatti non lo è. Ma non significa che non mi piacerebbe» disse sospirando. Aveva ancora il gelato in mano, così si affrettò a leccarlo per evitare che colasse. Dimitri le si avvicinò di soppiatto.

«Andrà tutto bene Caroline. Andrà tutto bene» disse, sollevandole il viso per guardarla in faccia. Lei lo baciò sulle labbra, che sapevano di gelato alla vaniglia, lentamente, godendosi la pressione morbida, calda e fredda allo stesso tempo per via del gelato. Quando si staccò Dimitri la guardava tanto intensamente che Caroline si stupì di non essersi sciolta come i loro gelati.

«Sai stavo pensando ... Hai presente quando ci siamo conosciuti?» chiese, osservandolo curiosa. Era da un po' che voleva chiedergli questa cosa, ma chissà perché il discorso non era mai venuto fuori. E in quel momento, mangiando il gelato, le era venuto in mente il giorno del loro primo incontro.

«Certo che l'ho presente. Eri seduta in un tavolinetto di una gelateria del centro. Avevi i capelli molto più corti di ora, al vento. Guardavi il nulla sorridendo, come se non desiderassi altro che stare lì, sotto il sole tiepido di Berlino, a mangiare un gelato» fece una pausa, per riordinare i pensieri.

«Mi sei sembrata una visione. Nel caos della città, in tutto quel movimento, tu eri ferma. E per un attimo ho pensato che ci fossi tu al centro di quel movimento» le sorrise schiarendosi la voce.

«Sono entrato e ho comprato un gelato. Avevo mille cose da fare, ero di fretta e a casa mi aspettavano, ma non pensai a niente di tutto questo. E poi come un impertitente mi sono seduto accanto a te, senza neanche sapere come ti chiamavi»
Caroline aveva gli occhi lucidi di commozione

«Dimitri io ...» lei aveva gli occhi bassi e le gote arrossate. Ormai non capitava spesso che si imbarazzasse, ma non le aveva mai parlato in quel modo.

«E' stata la scelta avventata più bella della mia vita» aggiunse, interrompendola. E in quel momento Caroline non poté fare altro che chiedersi cosa aveva fatto per meritare un uomo simile. Dimitri in quel momento era di una bellezza disarmante, con la camicia bianca a mezze maniche a mostrare le braccia possenti, gli occhi blu accesi da un sentimento che faticava ormai a contenere, le gote arrossate e i capelli neri sparsi dappertutto. Era un angelo, venuto per lei, per salvare la sua anima dalla perdizione. Era suo.

Caroline lasciò perdere il gelato, per concedersi invece la bocca carnosa e invitante di Dimitri, che sapeva ancora di gelato ma che adesso era bollente, in un bacio appassionato ma dolce come le parole che le aveva appena rivolto. Aveva risposto alla sua domanda senza che lei avesse avuto bisogno di porla. “Che ci facevi lì? Perchè ti sei seduto accanto a me?” Avrebbe voluto chiedergli. Ma lui l'aveva anticipata.

Mentre lo baciava non riusciva a non far scorrere le sue mani piccole sulle sue spalle, larghe e modellate dal lavoro che faceva, sulle sue braccia forti a stento contenute nella camicia, sui suoi zigomi disegnati ruvidi per la barba ...

Dimitri sospirò di piacere quando gli baciò il collo e il pomo d'adamo, sccendendo poi sul primo bottone della camicia. Boccheggiò.

Dannazione non aveva tempo

«Caroline ...» borbottò, anche se dalle sue labbra uscì più un gemito strozzato. Lei lo ignorò, scendendo sempre più giù, vogliosa di sentirlo gemere per lei.

«Caroline non ho il tempo» si sforzò di dire. Lei si staccò stupita, mentre lui con le mani che tremavano abbassava lo sguardo.

«Sono già in ritardo» sospirò guardando l'orologio.

«Ma non ci vediamo da tre giorni» protestò lei, sorpresa. Di solito era lui che la rincorreva, non il contrario, ma durante quel mese erano cambiate tante cose. Lui si passò una mano sul viso, stanco.

«Lo so» disse, cercando di mantenere la voce stabile.

«E dopodomani farai il compleanno» aggiunse lei corrucciata. Già, il tempo era volato e presto il diciotto Luglio sarebbe arrivato, e lui avrebbe compiuto venticinque anni. Non voleva pensarci, si sentiva già terribilemente vecchio. Avrò mai qualcosa di mio in questa vita? Pensava continuamente. Era come se non fosse stato capace di costruire niente: persino la ragazza di cui si era innamorato non gli avrebbe potuto dare niente. Pensare al suo compleanno lo rattristava parecchio, gli ricordava che il tempo passa e lui avrebbe voluto invece che quella parentesi della sua vita durasse in eterno.Sospirò di nuovo e si mise dritto, sistemandosi la camicia e cercando un modo per nascondere l'evidente e imbarazzante gonfiore sotto la cintura.

«Ci vedremo. Non preoccuparti, domani dovrei riuscire a passare. E dovrei avere più tempo» Le sorrise malizioso, e lei si sciolse.

«Beh me lo auguro» disse, facendolo ridere. Le diede un bacio in fronte con dolcezza.

«Ci vediamo domani Caroline» lei annuì e lui sparì nel corridoio, con passo svelto.

E Caroline rimase lì, ad osservarlo sparire dall'uscio.

  
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