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Autore: paoletta76    28/01/2020    1 recensioni
"She's not afraid of all the attention
She's not afraid of running wild
How come she's so afraid of falling in love.."
Anna pensò che, se solo fosse stata un tantino più pazza, in quel momento l’avrebbe tranquillamente baciato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccole Storie'
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L’aveva fatto. Di getto, senza fermarcisi a pensare più di tre secondi. Spegni, aspetta, riaccendi, sfoglia chiamate. Trova quel numero, blocca.
Ciao Anna. Addio per sempre. In fondo, è quello che ti meriti.
 
Si era sentito forte, vincente. Un campione. E allora perché erano passati dieci giorni e lo smartphone sembrava ancora bruciare, fra le dita? E perché continuava a far scorrere l’indice sullo schermo, guardando e riguardando quel numero con la spunta su bloccato? Perché continuava a sperare che comparisse di nuovo, che non si arrendesse così facilmente?
 
Va bene, Frà. Va bene così. Del resto, non sei comunque nessuno, per lei. E non lo sarai mai.
 
- Ehi..- la voce di Jo lo fece cadere da quei tre metri sopra il cielo. Codino castano, dita strette attorno allo stipite, l’aria di chi aspetta.- sei pronto?
- Sì.. arrivo.- si scosse appena, nascondendo il cellulare nella tasca dei pantaloni, prima di lasciare la poltroncina dell'ufficio ed il computer, per imbracciare le stampelle e seguirla verso la prossima seduta di fisioterapia.
 
La prima.
Era stato il suo, il primo viso incontrato quando aveva riaperto gli occhi, dopo un volo in elicottero fatto sotto sedativo. Per evitargli il dolore, aveva detto Cecchini, comparendogli a sorpresa accanto alla barella, con aria paterna e dispiaciuta sotto ai suoi baffetti fini.
- Andrà tutto bene, vedrai.- aveva tentato un sorriso, raggiungendogli un braccio e stringendolo appena – ora ti danno qualcosa, sennò spostandoti rischiano di farti vedere tutte le stelle della galassia. Ti fai un sonnellino, e poi sarà tutto ok. Il capitano-
Aveva chiuso gli occhi, stretto i pugni, trattenendo quasi il respiro.
Non la stia nemmeno a nominare, Cecchini. Non doveva permettersi di farmi questo. La odio, la odio, la odio…
 
- Ora è così..- il maresciallo l’aveva intuito, quell’irrigidirsi. Forte e chiaro. E aveva scelto di ignorarlo – ma vedrai che c’ha ragione lei. Hanno sempre ragione loro. Le donne, intendo. Non lo so, come facciano, ma alla fine ci indovinano sempre. Se il capitano ha deciso così, non è perché ti detesta. Anzi, mi sa il contrario. Ti ricordi le stelle che s’è visto, Currarino, quando per scendere nella Roggia Del Frate a recuperare le prove in quella macchina, s’è distrutto i legamenti? Eh. – ora le labbra si aprivano in un sorriso, ricambiate debolmente dal giovane in barella – l’ha spedito a rimettere insieme dal Sa-qualcosa? No. Intervento, sei settimane a casa e via. Tu-
- Sono un po’ più inutile..
- Guasto. Più guasto, semmai. Un carabiniere non lo è mai, inutile. Ricordati che c’è anche il quaranta, percento. Il capitano ha scommesso su quello lì, non vorrai mica delu-
- Non me ne frega niente di deludere nessuno, maresciallo..
- E allora guarisci e faglielo apposta. Pensala come ti pare; pensala che ti ha mandato via perché non le servi più a niente, pensala che hai fatto una stronzata di dimensioni bibliche..- Cecchini apriva le braccia, mimando l’ampiezza del pianeta, e scandendo la parola bibliche con effetto quasi comico – a baciarla, dico. Ma quanto ne avevi bevuto, di rosso della casa?
- Maresciallo..- dal basso, il suo viso si dipingeva d’imbarazzo e quasi di dolore.
- Sì. V’ho visto. Ho tifato per te per almeno cinque secondi. Fino a quando sei scappato come un idiota. E’ rimasta lì che sembrava un cane abbandonato in autostrada, scommetto sul Voltadol.
- Sul-?
- Per stare in piedi, la mattina dopo. A Nardi! - ora Cecchini puntava il dito, come fulminato da un’idea improvvisa – A Nardi, stai sul culo. Ecco a chi. Hai giocato l’asso e –pam!- gliel’hai portata via. Un po’ come fa Don Matteo quando a scacchi-
- Scusate.. possiamo? – una voce estranea gli era comparsa alle spalle, seguita dalla figura dell’ufficiale medico del Liguria Sud – ecco; questo è un sedativo. Niente di troppo forte, ma è meglio se in elicottero resti a riposo e non senti gli scossoni. Ok?
Francesco ricordava di aver annuito, sentito quella voce che gli consigliava di contare fino a cinque.
 
Forse non era arrivato neanche a tre, prima che il baffo di Cecchini lasciasse posto al buio più nero.
 
Aveva riaperto gli occhi e trovato luce. Un soffitto bianco, pareti illuminate dal sole. Su un lato, il -bip- di una macchina molto simile a quella dell’ospedale di Gubbio, e dall’altro un lontano stormire di fronde, oltre il vetro di una finestra. L’ambiente era piccolo, ma rassicurante. Quel viso, incorniciato da ciuffi scuri, sorrideva senza parlare.
Poi era scomparsa dal raggio visivo, lasciando spazio ad una divisa nera. Quella con le mostrine della disciplinare.
Ricordava di aver chiuso gli occhi, mentre lei parlava snocciolando ordini, suggerimenti e nozioni. Non la voleva sentire, non la voleva vedere.
Non voglio.. non voglio te, non voglio nulla.. lasciatemi in pace..
 
Le ultime parole avevano avuto la forza di oltrepassare la barriera delle sue labbra, raggiungendo deboli quella donna e lasciandole stringere le mani a pugno contro i fianchi.
- Forse non ci siamo capiti, appuntato.- la voce le aveva vibrato, appena – non sei qui per una vendetta personale o chissà cosa ti sei immaginato. Il tuo ufficiale responsabile-
- S’è liberata di un peso.. quella.. quella stronza..
- Castiglione.- ora l’espressione della donna si faceva di rimprovero. E lui le rispose quasi ringhiando.
- Lei, quella, tutti.. Lasciatemi in pace.
 
Alessandra aveva raccolto il fiato, lenta e pesante, ed aveva voltato le spalle. Un attimo di pausa, ancora con la maniglia fra le dita. Ed aveva sfoderato il cellulare.

Riunione informale, quella sera, per la "squadra degli aggiustatutto". In cerchio in un angolo della sala, al termine della consueta riunione di consiglio mensile, mentre gli altri se ne andavano o rimanevano a chiacchierare in piccoli gruppi. Poche parole, giusto il necessario. Il capitano Migliacci che annuiva, chiedendo specifiche cliniche e costringendo la collega a cedere la parola a Lombardi. Quello che ci capiva nei referti.
 - Ok.- ricevuto un quadro un po’ più preciso, Jo aveva preso la parola, incrociando le braccia e percorrendo con lo sguardo i colleghi – e a chi lo vorreste affidare?
- A te.- aveva replicato la Ale, seguita dai cenni di assenso di Lombardi.
- E perché? Non sono mica l’unica, preparata per questi casi.
- E’ post traumatico, Bà.
- Del tipo "Oh, ciao, ben svegliato, tre su cinque che non cammini più?"
- EH.
- Per i post traumatici di quel genere lì, ci vuole della psicologia spiccia, non solo-
- Infatti è per questo che viene da voi.
 
Jo emise un sospiro, lento e profondo. E va bè. Vai di nove.
- Posso parlarci? E magari dare una valutazione veloce?
- Andiamo.
 
Troppe divise, davanti a quella stanza d’ospedale. Si sarebbe rivoltata pure lei, come un gatto. Altro che parlarne con la psicologa della disciplinare..
- Sentite..- oltrepassò la porta, giusto il tempo perché il giovane steso nel letto sollevasse lo sguardo ed incrociasse il suo. Un minimo cenno di saluto senza alcuna risposta, e gli voltò le spalle per puntare con l’indice i compagni di viaggio – thank you, ma mi sa che ci sono un po’ troppe divise, qui. Uno con me, gli altri fuori, grazie. Scegliete chi vi pare, tirate il dado. Non Frà.
- Ma come, non-? – il capitano Lombardi provò a protestare, senza sapere se riderci o offendersi per quella confidenza.
- Sei te che me l’hai inchiappettato, non osare negarlo. E poi ho bisogno di una figura rassicurante. Migliacci, con me.
La donna si ritrovò ad annuire, ridacchiando e mordicchiandosi le labbra. E seguì i suoi passi decisi fin quasi addosso a quel letto.
 
- Lo so, che nun ci hai voglia de parlà.- Jo sollevava appena le mani, diretta a quel paio di occhi di cristallo che la scrutavano con sospetto – nun ce l’avrei neppure io, co’ sta mandria de sfiniti qui. Solo due cose: uno, non sei sotto disciplinare, ma questo già lo sai. Due – si puntò col pollice – Barbara De Biase, alias Jo. Vicebrigadiere del SAeS. Non sono qui per chiacchierare ma per rimetterti in piedi. Ok?
Quello si limitò a tirare il fiato, lento e con l’espressione di uno che è completamente in disaccordo. Senza perdere il contatto visivo.
- E non me la dai a bere, che ti sei arreso.- Jo ora si piegava verso di lui, lasciandogli aggrottare le sopracciglia, ed infilando le mani fra la sua schiena ed i cuscini – ti scoccia?
- N- no..- a quell’intrusione, lui si irrigidì chiudendo i pugni. Le mani di quella donna sembravano voler cercare qualcosa. Un punto, una cicatrice – ma se stai cercando una ferita, non- AH!
Uno scatto, d’istinto, quando il tocco di quelle dita arrivò a dargli una specie di dolorosa scossa.
- Lo sapevo.- la donna ritraeva le mani, continuando a mantenere il contatto visivo ed assumendo un tono che sapeva di sfida – quaranta a sessanta, vero?
- Sc- scusa..?
- A quanto ti hanno dato? Quaranta a sessanta, trenta a settanta?
- Io.. non-
- L’hai sentita. Ti ho fatto male, non negarlo.
- Sì. Parecchio.
- Bene.
- Bene..?
- Sì. Bene. Scommetto che qui non ci volevi venire. Post traumatico. Il dottore ti ha svegliato, ti ha detto mi dispiace, e bla bla bla..- lei roteò appena gli occhi, prima di tornare a guardarlo.
- Sessanta.- lui la vide aggrottare le sopracciglia, e si convinse a parlare – ho il sessanta percento di restare paralizzato.
- Che si fottano. L’hai sentito, no? Forte e chiaro. Ti ho fatto male. Sai cosa vuol dire? Che rientri nel quaranta, fanculo a tutti. Che dove passa il dolore, passa il segnale. Che ti faccio ritornare in piedi, se combatti con me. Te l’hanno fatto sapere, che la vita è tua, e che senza divisa non prendi ordini da nessuno? Che sei tu quello che decide, adesso?
Lui rispose annuendo appena, ma l’espressione con cui la guardava non era più né scettica né incattivita.
- Bene, Francesco. Ci stai?
 
La donna tendeva la mano. Era un superiore, tendeva la mano, lo guardava in faccia e lo chiamava per nome.
Non ti ci lascio da solo. Sono qui. Combatto con te..
 
- Ci sto.
La stretta era decisa, e il labbro piegato di Jo recitava lo sapevo, che sei un combattente.
- Perfetto. Allora da domani cominciamo a giocare.
 
Io TiOdio. Ti odio con tutto me stesso.
 
Due settimane, la schiena che faceva un male boia anche sotto i massaggi meno energici, le gambe spinte e tirate. Millemila lentissime ed interminabili flessioni, fin quasi a toccare col naso le ginocchia, altro dolore dappertutto. Jo continuava a piegare le labbra, e solo dopo la prima ora gli concedeva un attimo di tregua.
Era lì che entrava in scena Giannotti e gli portava il caffè:
- Benvenuto nel club.-, spinto via a pattoni dalla fisioterapista delegata.
 
- Ma.. giusto per sapere.. com’è che mi hai definito-?
- Post traumatico. Ribelle, incazzato, silenzioso. Depresso, ti senti inutile e pensi che non ne uscirai mai se non a pezzi.
- Perché l’hai detto con la faccia di una che ne sa qualcosa..
- Non l’ho provato di persona, se è quello che pensi. Ma sei almeno il terzo, che mi è capitato. Con lui poi condividi gli stessi identici sintomi. Ma lui l’ha sfanculato sua cugina.
Jo indicava Pieracci, in transito sul terrazzo col gelato e la linguaccia di serie.
- Si è ripreso in maniera egregia, ieri era di nuovo in giro a salvare capre in cordata. No, non si è stampato salvando una capra. E tu stai sgranando gli occhi in maniera inverosimile, Sic’.
 
Ecco lì. Via l’espressione da tenebroso ed i cupi ed ostinati silenzi, e si beccava dritto dritto un altro soprannome.
Un sospiro, un po’ meno pesante ed un po’ più divertito, guardando per aria e pensando che, sinceramente, al capitano Olivieri doveva un grazie lungo una vita.
 
Anna..
Chissà dove sei, adesso, che fai, a cosa pensi.. se ogni tanto ritorni a quello stupido bacio, in quel giardino.. ti ho amato e ti ho odiato, da morire. Ora non lo so più.
Ho davanti il tuo sguardo, quelle tue manine sul petto. La tua voce che mi chiede di essere due niente che si fanno compagnia. Il freddo, quando mi hai detto di prendermi qualche giorno, e ti sei fatta consegnare la pistola. Il tuo calore accanto quando m’hai detto che tutto questo l’avresti affrontato con me.
L’hai fatto. E io non ho capito. Hai scelto per me. Nel senso non al posto mio, ma per me. Mi hai salvato la vita. E io ti ho odiato. Mi hai mandato in un posto dove guariscono gente che come me porta una cicatrice, quando non due, o di più. In un posto dove tutti imparano a portarle con orgoglio, un posto dove staresti alla perfezione. E ti ho cancellato. Adesso non lo so più. Non credo sia tu, quella che deve chiedere scusa..
  
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