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Autore: Soul Mancini    30/01/2020    8 recensioni
[Modern!AU]
John è un ragazzino timido e taciturno con tanti talenti nascosti e una cotta epocale per il suo compagno di classe.
Freddie è un narcisista disposto a tutto pur di spiccare sugli altri, ma che per le scelte importanti si affida al suo cuore.
Brian è uno studente modello, sempre pronto ad aiutare il prossimo, e non desidera altro a parte la pace.
Roger è un duro dal cuore tenero, sempre pronto a difendere i suoi amici ma incapace di difendere se stesso dalle emozioni.
Tra Brian e Freddie non scorre buon sangue, la loro rivalità è ormai diventata celebre nel loro liceo, ma ci penserà un torneo di tennis a sistemare i conti… e far emergere nuovi legami, nuovi sorrisi, nuovi brividi.
- PRIMA CLASSIFICATA e vincitrice del premio speciale "I'm in love with your Roger" al contest "Queen me like there's no tomorrow" indetto da Carmaux sul forum di EFP.
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Teen age, so strange'
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Queen
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“Ragazzi, ho una notizia grandiosa da comunicarvi!” esclamò il professor White, sistemandosi con fare agitato la giacca della tuta; il suo vocione rimbombò tra le pareti della palestra e attirò l’attenzione di tutti, che già si dirigevano all’esterno per tornare in classe.
Si trasferisce in Nuova Zelanda?, pensai tra me, sogghignando appena. Tuttavia seguii i miei compagni, che parevano estremamente curiosi e impazienti di sentire l’annuncio.
Dal canto mio non poteva importarmene di meno, volevo soltanto tornare in classe e riprendere fiato dopo l’ennesima estenuante lezione a tema tennistico.
“Ho ricevuto dal preside il consenso per organizzare un torneo di tennis che coinvolge le mie sezioni, ovvero voi e la A! Giocherete in doppio, quindi vi dovrete iscrivere in coppia!”.
Ancora tennis? Certo che quell’uomo era proprio ossessionato, dall’inizio dell’anno non facevamo altro.
Si levò un coro di protesta e, quando feci scorrere lo sguardo sui volti dei miei compagni, li trovai delusi e annoiati. Cosa si aspettavano?
“Avete tempo fino a giovedì per pensarci e darmi i nomi dei partecipanti” proseguì il prof. “Intanto qualcuno si vuole già iscrivere?”
“Prof, ma non sarebbe stato meglio un torneo di calcio?” commentò qualcuno.
Lui sospirò. “Mi deludete, non posso credere che siate così poco competitivi. Per il corso A ho già due squadre iscritte!”
Mi allontanai di qualche passo, già del tutto disinteressato alla cosa.
“Professore, una curiosità.”
Il mio cuore perse un battito quando udii la voce di Freddie spiccare su tutte le altre, allora tornai subito a concentrarmi su ciò che stava accadendo. Quel ragazzo sapeva sempre come farsi notare, accidenti… e ormai la mia infatuazione nei suoi confronti era fuori controllo, nonostante fossi consapevole che una figura di spicco come lui non si sarebbe mai interessata a uno sfigato come me.
Mi concessi di scrutarlo con la coda dell’occhio e lo trovai impettito e fiero, con lo sguardo affilato e un sorrisetto beffardo sul viso. “Si può sapere da chi sono formate le squadre dell’altra classe?”
Il prof abbassò lo sguardo sulla cartellina rossa che stringeva in mano. “Certo, allora… una è formata da Sumner e Copeland, l’altra invece da May e Taylor.”
“Oh-oh!” esclamò Freddie, per poi incrociare le braccia sul petto.
Supposi che fosse profondamente irritato dalla partecipazione di Brian May insieme al suo amico biondo, dato che più di una volta l’avevo sentito parlar male di quel ragazzo; non avevo ben capito se avessero litigato, in ogni caso non si sopportavano, la loro rivalità aveva fatto il giro di tutta la scuola.
Io conoscevo Brian May soltanto di vista e non sapevo cosa pensare di lui.
“Vuoi partecipare, Mercury? Qualche altro nome?” chiese il prof White, facendo scorrere lo sguardo tra i volti degli studenti.
Mi morsi il labbro inferiore e abbassai subito il capo, sperando di risultare invisibile. Il prof mi aveva detto più volte che possedevo un incredibile talento per il tennis e ora avevo paura che mi prendesse di mira, cercando di convincermi a partecipare al torneo. Non ne avevo nessuna intenzione, mi sarei soltanto reso ridicolo agli occhi di tutti – soprattutto a quelli di Freddie.
“D’accordo, vi lascio ancora un po’ di tempo, però pensateci seriamente. Potete tornare in classe” ci congedò White dopo una manciata di secondi di silenzio.
Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi velocemente fuori dalla palestra, per poi imboccare la strada verso la nostra aula.
Mentre arrancavo stancamente lungo il corridoio dalle pareti gialle, qualcuno dietro di me mi afferrò per una spalla e io sobbalzai, strabuzzando gli occhi spaventato.
“Ehi, John, come va?”
Stava succedendo davvero? Freddie Mercury mi aveva fermato in mezzo al corridoio e mi stava rivolgendo la parola?! Nonostante lo conoscessi da anni, da quando ci eravamo ritrovati in classe insieme, avevamo avuto a che fare davvero di rado.
Col cuore in gola e le mani sudaticce strette intorno alle bretelle dello zaino, mi voltai e rivolsi al mio compagno di classe un sorrisetto imbarazzato, senza riuscire a sostenere il suo sguardo né a proferire parola.
Eravamo quasi soli, il resto della classe ci aveva superato.
Mi sentivo morire.
“Senti, so che io e te non ci frequentiamo, ma devo chiederti un favore, tesoro” proseguì il ragazzo corvino, puntandomi addosso con insistenza i suoi occhi scuri.
Mi costrinsi a sollevare i miei. “Beh, ecco… io non so se posso… insomma, dipende da…” cominciai a balbettare, colto alla sprovvista. Stavo iniziando a sudare freddo e quello sguardo penetrante non migliorava certo la situazione.
“Ma certo che puoi! Sai, vorrei proprio prendermi una rivincita su quel May e tu… beh, Deaky, hai un talento naturale per il tennis” mormorò in tono suadente, calcando l’accento sul mio nomignolo. Non mi aveva mai chiamato Deaky prima di allora.
Un brivido mi percorse la schiena, mentre Freddie mi si accostava appena per potermi guardare meglio negli occhi.
“Mi… mi stai chiedendo di iscrivermi al torneo con te?” riuscii a bofonchiare, mentre le guance mi andavano in fiamme.
Detestavo tutto ciò, detestavo essere preda delle emozioni e non avere il controllo della situazione.
“Esattamente! Io e te dobbiamo assolutamente battere Brian May e Roger Taylor!” esclamò con enfasi, sfiorandomi appena un braccio. “Allora, ci stai?”
Ci riflettei su per qualche istante: l’ultimo dei miei programmi era finire nel bel mezzo di una gara sportiva organizzata dalla scuola, con l’attenzione di tutti puntata addosso e la possibilità di prodigarmi in eclatanti figuracce – in questo modo avrei messo a repentaglio la mia già scarsa reputazione all’interno del liceo –, ma era Freddie Mercury in persona, l’oggetto dei miei desideri da anni, a chiedermelo. Magari se mi fossi reso disponibile gli avrei potuto fare una bella impressione, magari questo poteva essere il pretesto per avvicinarci e allenarci insieme, magari stare al fianco di uno come lui mi avrebbe aiutato a uscire dal vortice di solitudine e anonimato nel quale mi ero sempre crogiolato.
“Veramente io non ho nulla contro Brian e Roger” mormorai titubante.
“Io sì! Sono stanco che quel Brian May sia sempre al centro dell’attenzione e venga osannato da tutti: un ragazzo intelligente, carino, sensibile, sportivo, disponibile… stronzate! Sta solo cercando di fregarmi il posto e mi ha anche battuto alle Olimpiadi di matematica del mese scorso, non posso accettare un’altra umiliazione del genere e un’altra vittoria da parte sua!” strepitò lui, gesticolando teatralmente.
Ecco da dove nasceva tutto quell’odio verso quel ragazzo.
“Quindi tu vuoi… batterlo per dimostrare di essere meglio di lui?” riassunsi io.
Freddie annuì. “Per questo ho bisogno di te, che sei il più bravo della classe e potresti sicuramente battere quei due a occhi chiusi. Allora, Deaky, che dici? Ti va di darmi una mano d’aiuto?” concluse, addolcendo il tono della voce nell’ultima frase e regalandomi poi uno sguardo colmo di speranza.
Avevo il cervello in tilt.
Era un’idea stupida? Assolutamente sì.
Mi stava soltanto sfruttando? Molto probabile.
Ma era Freddie Mercury, il ragazzo per cui avevo una cotta epocale, e in quel momento riponeva in me tutta la sua fiducia.
Mi ritrovai ad annuire senza neanche rendermene conto e il mio gesto di assenso venne accolto da un gridolino vittorioso di Freddie.
“Oh, grazie di cuore Deaky, sei un amico!” esclamò, strizzandomi l’occhio, poi mi superò e mosse qualche passo verso la nostra aula. “Allora… ci vediamo alle tre e mezza di questo pomeriggio al campetto qui dietro. Puntuale, mi raccomando!” concluse poi, dandomi le spalle e percorrendo il corridoio col suo solito passo sicuro.
Tenni gli occhi fissi sulla sua figura e nel frattempo mi chiesi se tutto ciò fosse accaduto davvero o me lo fossi sognato.
Avevo un appuntamento alle tre e mezza con il ragazzo dei miei sogni.
Okay, forse non era proprio così, ma mi piaceva pensarla in questo modo.
 
 
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“Però, Rog, io non sono molto convinto di questa cosa, insomma, con la mia altezza potrei al massimo pensare di giocare a basket, ma il tennis… non mi trovo molto a mio agio” borbottò per l’ennesima volta Brian, sollevando lo sguardo dall’imponente libro di storia che stava poggiato sulle sue ginocchia.
Sbuffai e gli lanciai un’occhiata torva, pur sapendo che non poteva accorgersene per via dei miei occhiali da sole. “Non rompere il cazzo, non ti sai proprio divertire! Per una volta cerca di goderti questa cosa, non sentirti sotto esame e accontenta il tuo vecchio amico Roggie, che è un asso in questo sport!”
Il mio amico sospirò pesantemente e perse lo sguardo fuori dal finestrino, passandosi una mano tra la folta chioma di riccioli. “Però abbiamo poco tempo per esercitarci e io ho mille cose per la testa: dopodomani abbiamo lo scritto di storia, poi domani pomeriggio ho la riunione dei rappresentanti e sul tardi devo passare all’associazione dei cuccioli abbandonati per definire i dettagli del pranzo di beneficienza… per non parlare delle ripetizioni di matematica per il figlio della signora Evans, non abbiamo ancora fissato i giorni!”
Lo stetti a sentire e ancora una volta mi domandai con stupore dove trovasse la voglia e la forza per dedicarsi a tutte queste attività e non dire mai di no a nessuno, io non riuscivo nemmeno a pensarle tutte contemporaneamente.
“Non ti pare di star tirando troppo la corda, Bri?” gli chiesi, aggrottando le sopracciglia.
Lui mi lanciò un’occhiata stralunata. “In che senso?”
Sbuffai e mi allungai per premere il tasto e prenotare la nostra fermata. “Nel senso che sei stanco morto e non ti stai godendo la vita. Hai diciassette anni, cazzo, non puoi impegnarti sempre per tutti e per tutto!”
Lui mi fulminò con lo sguardo. “Dovrei fare come te che invece rischi di essere bocciato?”
“Ma io esco tutti i venerdì e i sabato sera. Ritira il libro, stiamo per scendere” lo avvertii, per poi stiracchiarmi sul sedile e mettermi in piedi.
Lasciammo l’autobus e ci dirigemmo a passo spedito verso il campetto dietro la scuola, l’unico posto munito di racchette e palline in cui avremmo potuto fare un po’ di allenamento, dato che noi non avevamo l’attrezzatura.
“Comunque, Roger, io non voglio farti perdere per via della mia incapacità nel tennis” si incupì Brian mentre passeggiavamo fianco a fianco sul marciapiede.
Gli mollai un’incoraggiante pacca sulla spalla. “Di che ti preoccupi? Sarò il tuo Roger Federer, se ci sono io non perderai di certo! Ti va di essere il mio Nadal?”
Il mio migliore amico scosse il capo e si portò una mano tra i ricci ribelli. “Non è un bel complimento, sai, Nadal sta cominciando a soffrire di calvizie…”
Scoppiai a ridere e gli tirai scherzosamente una ciocca di capelli; sapevo quanto Brian tenesse alla sua capigliatura, era un argomento di massima serietà e importanza per lui.
Quando giungemmo al campetto, però, non lo trovammo deserto come al solito: tra le due figure slanciate che stavano giocando a tennis, riconobbi subito Freddie Mercury, personaggio di spicco della sezione B e acerrimo nemico di Brian.
Mi immobilizzai e diedi di gomito al mio amico. “Guarda un po’ chi si vede” grugnii.
Lui sbuffò. “Roger, questa è tutta colpa tua. Se quel piantagrane di Mercury si è veramente iscritto al torneo di tennis, giuro che mi sotterro!”
Sogghignai. “E anche se fosse? L’abbiamo battuto alle Olimpiadi di matematica e lo stracceremo anche questa volta!”
Lui mi lanciò un’occhiata in tralice. “Io l’ho battuto alle Olimpiadi, tu non hai neanche partecipato” puntualizzò.
Mi strinsi nelle spalle. “Fa lo stesso. Allora, andiamo o dobbiamo stare qui in veste di spettatori?”
“Ora ci sono loro a occupare il campo… tra l’altro, chi è quel tizio che sta giocando con lui?”
Mi sporsi in quella direzione per riuscire a vedere meglio: era un tipo dai capelli castano chiaro abbastanza lunghi, ma mi dava le spalle e non riuscivo a vederlo in viso. “Non ne ho la più pallida idea” ammisi.
Proprio in quel momento i due ragazzi si avvicinarono a bordo campo e recuperarono le loro borse abbandonate sulla diroccata panchina in ferro addossata alla parete dello stanzino degli attrezzi.
“Hanno finito!” esclamai, afferrando Brian per un braccio e trascinandomelo appresso.
Non avevo paura di affrontare Mercury e chiunque gli ruotasse attorno, anche perché sapevo che in ogni caso non poteva competere con Brian, il mio amico era migliore in tutti i sensi e quell’idiota era davvero presuntuoso a credere di poterlo superare.
Freddie Mercury ci vide avvicinarci a passo di marcia, ma ci ignorò finché non gli fummo praticamente a fianco; fino a quel momento si adoperò per tamponarsi con gesti meticolosi e teatrali il sudore con un asciugamano, scambiando qualche parola con il suo amico dai lineamenti dolci e lo sguardo sfuggente.
Una volta accanto a loro, mi schiarii la gola. “Ciao, Freddie Mercury! Allora, come te la passi?” esordii in tono di scherno, afferrando una delle racchette che stazionavano sulla panchina, per poi farci palleggiare sopra una pallina.
Il ragazzo dai capelli corvini, che sfoggiava una leggera canottiera bianca nonostante l’aria fresca di marzo, mi guardò con sufficienza. “Brian, Roger… gira voce che vi siete iscritti al torneo di tennis, eh?”
Annuii con vigore. “Anche tu e il tuo amico…” Mi voltai verso il ragazzino castano e schioccai le dita.
“John” mormorò lui.
“Ah, ecco! Tu e John sarete i nostri sfidanti!”
“Già! Sai com’è, c’è chi è bravo con la matematica e chi invece…” insinuò Freddie, lanciando un’occhiata di fuoco a Brian.
Quest’ultimo, come ogni volta che si trovava di fronte al suo nemico, stava già cominciando a perdere le staffe. Non era facile farlo arrabbiare, ma Freddie Mercury aveva questa capacità.
“Cos’è, la sconfitta fa male?” sibilò, ricambiando lo sguardo.
“Avrai modo di provarla sulla tua pelle, May” ribatté il corvino, indossando la giacca e dandoci le spalle per afferrare la sua bottiglietta d’acqua.
Intanto John, evidentemente a disagio, si era allontanato di qualche passo e fissava con intensità lo schermo del suo cellulare, come se lo volesse bucare con gli occhi. Mi faceva pena.
“Che cosa vuoi da me, Freddie?” sbottò Brian con fare esasperato.
Freddie tornò a rivolgersi a lui. “Da te? Niente, tesoro. Non ho bisogno di qualcosa in particolare per riuscire a dimostrare quanto valgo.”
“Oh, mi sa che qualcuno qui è geloso” insinuai.
“E non di certo io” puntualizzò subito lui, inforcando i suoi occhiali da sole. “Vedete, ragazzi, c’è una cosa che non avete ancora capito: non importa se si vince o si perde, l’importante è farlo con stile. Le piccole vittorie si dimenticano, la leggenda resta” dichiarò in tono solenne.
Mio dio, questo suo modo di fare pieno di sé mi faceva rivoltare lo stomaco. Sapevo che quella non era la mia battaglia, ma affilai lo sguardo e scandii ogni parola con rabbia: “Sei ridicolo, Mercury. Dovresti smetterla di camminare a un metro da terra, perché sei una persona come tutte le altre, anzi, che dico? Sei un pezzo di merda, quindi sparisci e preparati a essere stracciato, tu e il tuo scagnozzo leccaculo!”. Gettai uno sguardo carico d’astio anche a quell’altro ragazzino.
Lui lo sostenne per un istante, poi chinò il capo subito dopo con le guance in fiamme.
Freddie si voltò dal suo amichetto John, lo afferrò per un polso e lo trascinò via, dirigendosi fuori dal campetto. Quando ci passò accanto, i suoi occhi fiammeggianti si posarono su di me e sibilò in tono minaccioso: “Non ti permetto di insultare in questo modo me o le persone che frequento. Chiaro?”.
Gli risi in faccia, per nulla turbato dalle sue parole.
I due si allontanarono di tutta fretta e non si accorsero del gestaccio che rivolsi loro, anche se io sperai fino all’ultimo che si voltassero.
Brian sbuffò e si lasciò cadere sulla panchina, sconfitto. “Non ne posso più. Non capisco perché mi odia, cos’ho fatto?”
Presi posto accanto a lui con fare rilassato, osservando le nuvole grigie che si andavano ad addensare in cielo. “Che te ne fotte? Sicuramente è geloso di te e dei tuoi successi, come vedi non accetta che qualcuno lo superi e sia più importante di lui. Ma io, fossi in te, non mi porrei troppi problemi.”
“Detesto la sua presunzione. Ma almeno mi lasciasse in pace…”
Gli battei amichevolmente una mano sul ginocchio e gli sorrisi. “Su, Brimi, scarichiamo un po’ la tensione con una bella partita a tennis, vedrai che dopo starai molto meglio!” Mi misi in piedi e mi stiracchiai, poi attesi che anche lui facesse lo stesso.
“Spero che tu abbia ragione” bofonchiò il mio amico in tono lugubre.
 
 
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Il tetto malconcio dello stanzino sembrava volerci cadere addosso, sotto il peso dell’acquazzone che si stava riversando all’esterno; l’umidità era talmente pungente da conficcarmisi nelle ossa e io temetti che potesse addirittura rovinare le pagine del quadernetto su cui stavo scribacchiando.
“Cazzo! Possibile che debba per forza scatenarsi il diluvio universale quando noi ci stiamo allenando?” sbottò Freddie, scaraventando la racchetta dentro l’apposito contenitore e prendendo posto accanto a me sulla vecchia panca addossata alla parete.
Deglutii a vuoto – averlo così vicino mi faceva tremare da capo a piedi – e continuai a risolvere gli esercizi di fisica che ci erano stati assegnati per il giorno seguente. Dal momento che io e Freddie eravamo costretti a stare nel ristretto spazio dello stanzino degli attrezzi e la situazione era imbarazzante, avevo ben pensato di distrarmi e rifugiarmi nei compiti, almeno avevo la scusa per non parlarci.
Era il terzo giorno consecutivo di allenamenti e le cose non stavano andando come avevo immaginato: gli scambi di battute ci tenevano occupati, stavamo agli estremi opposti del campo e non c’era quasi mai occasione di chiacchierare e costruire un legame.
Ma cosa mi aspettavo, che Freddie cadesse ai miei piedi dopo un quarto d’ora?
“Metti via quel quaderno, è già abbastanza noioso così. Ci manca solo che mi ignori anche tu!”
A quelle parole il mio cuore perse un battito ed ebbi giusto il coraggio di scrutare Freddie con la coda dell’occhio. “Non posso presentarmi domani a scuola senza aver fatto gli esercizi” farfugliai.
“E chi lo dice?”
Sospirai. “Fred, da giorni ci stiamo allenando come dei matti, neanche ci stessimo preparando per Wimbledon, e da giorni io torno a casa talmente stanco che non riesco ad aprire i libri. Non voglio… andare male a scuola per un…” Mi interruppi e mi portai una mano davanti alla bocca. Avevo esagerato? Freddie poteva essersela presa per quelle parole.
La mia capacità di rovinare tutto colpiva ancora. Perfetto.
“Cioè,” mi affrettai ad aggiungere, “non voglio dire che non tengo a questo torneo, però… insomma, non pensare che…”
Il ragazzo accanto a me prese a ridacchiare e mi posò una mano sul braccio.
Stupito da quel contatto, mi voltai di scatto e il quaderno mi scivolò dalle ginocchia. Nonostante la penombra di quell’angusto stanzino, captai la scintilla che percorse gli occhi scuri e profondi di Freddie e un brivido mi corse lungo la schiena.
Mi ricordava lo sguardo che mi aveva rivolto due giorni prima, poco prima di difendermi apertamente davanti a Brian e Roger e poi trascinarmi via dal campo. Non avevo fatto che pensarci nelle ultime quarantotto ore.
Il mio cuore batteva a mille, Freddie era così vicino
“C’è una cosa che adoro di te, Deaky, ed è questo tuo fare riservato e insicuro. Sei sempre sulla difensiva, ti devi sempre giustificare anche se nessuno ti accusa.”
Trattenni il fiato. Dove voleva andare a parare?
“Ora tu hai cercato di giustificarti perché ti sei reso conto di aver detto qualcosa di poco carino a tuo parere, e avevi paura che mi fossi offeso.”
Deglutii a fatica. Beccato.
Come faceva a leggermi nell’anima in quel modo?
“E so anche cosa pensi di tutta questa faccenda, ovvero che ti ho chiesto di iscriverti al torneo con me solo perché sei il più bravo della classe nel tennis e ora sei convinto di dovermi compiacere in tutto e per tutto. È così?”
Cercai di distogliere lo sguardo e abbassare il capo, ma lui fu più veloce di me e mi bloccò il mento con due dita, facendomi sobbalzare il cuore.
“No, guardami. Voglio che tu sappia che non è così; sono un narcisista, è vero, ma non sono uno stronzo. C’è qualcosa nei tuoi occhi ingenui, nelle tue guance sempre rosse per l’imbarazzo e nei tuoi movimenti goffi… c’è qualcosa che mi parla, mi intriga, che mi ha portato a scegliere proprio te.”
Dalle sue iridi liquide e dalle sue parole sussurrate a pochi centimetri da me traspariva una serietà, una sincerità che mi spiazzò.
E quand’è che avevo cominciato a tremare? Quando la gola mi si era fatta così secca?
Mi baciò. Non seppi spiegarmi come né quando, ma d’un tratto le labbra morbide di Freddie furono sulle mie e le sue mani mi trascinarono con delicatezza più vicino a lui, mi strinse a sé e rimase immobile così per alcuni istanti, senza staccarsi. In attesa.
E io, immensamente stupido come al solito, non ebbi la forza di reagire, rimasi impalato a tremare come una foglia, con lo scrosciare della pioggia che mi riempiva le orecchie e l’ansia che mi inondava il cuore.
Freddie interruppe quel contatto e mi scrutò attentamente negli occhi; per la prima volta dai suoi era scomparsa ogni traccia di arroganza e sicurezza, sembrava quasi… titubante.
“Troppo?” mormorò.
Troppo poco!, gridavano la mia mente e il mio corpo, che avevano atteso quel momento per anni interi e ora non si accontentavano di quel bacio a fior di labbra.
Ma non riuscivo a parlare, tanto ero incredulo e in stato di shock. Così mi limitai a compiere l’unico gesto che mi veniva spontaneo in quel momento: mi gettai tra le braccia di Freddie e lo strinsi forte a me, beandomi del suo calore e sperando di riuscire a placare i miei patetici tremiti. Immersi il viso nella sua spalla e inspirai il suo profumo che negli ultimi giorni avevo imparato a conoscere e amare.
Lui si lasciò sfuggire una risatina – forse era intenerito? – e ricambiò senza esitare, facendo scorrere le dita tra i miei capelli scompigliati. “Oh, Deaky…”
Rischiavo di sciogliermi ogni volta che pronunciava Deaky con quell’inflessione così dolce e fluida, scorreva proprio bene tra le sue labbra.
“Non so cosa succederà, ma va bene così” mormorò lui, lasciandomi un bacio tra i capelli.
In quel momento il piccolo e umido casotto degli attrezzi mi pareva un angolo di paradiso.
 

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Mancavano cinque giorni al weekend in cui si sarebbe tenuto il torneo di tennis, ma io e Brian non saremmo stati coinvolti nella prima giornata, dal momento che l’altra squadra della nostra sezione – formata da Stewart e Gordon – avrebbe sfidato una coppia della sezione B formatasi all’ultimo momento e composta da Terry Kath e Danny Seraphine, due tizi che conoscevo solo di vista.
Quel pomeriggio non ero tornato a casa e, dopo un veloce pranzo al sacco, mi ero recato al campetto dietro la palestra in attesa di Brian; in questo modo avrei potuto assistere agli allenamenti di Freddie Mercury e il suo amico, giusto per capire il loro livello di preparazione. Ormai era consolidato che i due si allenavano ogni pomeriggio prima di noi, li incrociavamo sempre quando giungevamo sul luogo.
Presi posto sulla panchina diroccata e controllai l’orologio: non erano neanche le tre. Portai fuori gli auricolari e decisi di ascoltare un po’ di musica per ammazzare il tempo.
Qualche minuto più tardi una figura ormai familiare svoltò l’angolo e si arrestò non appena si accorse della mia presenza: si trattava di John Deacon, il timido scagnozzo di Mercury.
Accennai un sorriso; dopotutto quel ragazzo mi piaceva e mi stava simpatico, mi sentivo quasi in colpa a essermela presa con lui la prima volta che l’avevo visto. Non era come Freddie, era molto più riservato e si faceva i fatti suoi, non sembrava avere nulla contro di noi nonostante fossimo i nemici.
Lui strinse forte una bretella dello zaino, fino a farsi sbiancare le nocche, e mosse qualche passo incerto verso di me.
Mi sfilai un auricolare. “Vieni, siediti. Non mordo mica, anche se potrebbe sembrare.”
John si morse il labbro e mi raggiunse sulla panchina, sedendosi all’estremo opposto rispetto a me. “Ciao.”
“Ciao” risposi, allungando le gambe e stiracchiandomi appena.
“Come… come mai già qui?” domandò con un filo di voce.
“Mah, non avevo niente da fare questo pomeriggio e ho deciso di passare di qua in anticipo. Tu invece stai aspettando Mercury, vero?”
“Sì. quindi… vedrai i nostri allenamenti?”
Annuii distrattamente. “Ti dà fastidio?”
John perse lo sguardo davanti a sé. “No, a me non cambia niente.”
Trascorse qualche istante di silenzio nel quale soppesai le parole che avrei voluto dire: quel ragazzo sembrava così fragile che avevo paura di spezzarlo con la sola forza delle parole, era la prima volta che mi fermavo a riflettere prima di aprir bocca.
“A te non cambia nulla… ma a Freddie potrebbe dar fastidio, giusto?”
“Beh… non lo so, ma spero che non se la prenda, non vorrei che si scatenassero dei litigi inutili.”
“Ma tu da che parte stai?” gli chiesi di getto. In effetti non avevo ben capito quale fosse la sua posizione, qualche volta aveva rivolto a me e Brian dei timidi sorrisi.
Lui finalmente sollevò lo sguardo e sostenne il mio. “Da nessuna. Cioè, è solo un torneo scolastico, non una guerra nucleare” commentò con un sorriso.
Ricambiai. “D’accordo. Ti prometto che quando arriverà Freddie non dirò e non farò nulla per provocarlo. Sai, neanche io voglio litigare, è solo che mi dà fastidio quando Freddie si accanisce contro Brian.”
John non ribatté e allora tornai a rilassarmi, canticchiando tra me la canzone che stavo ascoltando.
“Oh, ma è… sono i Foo Fighters?” si illuminò il ragazzo accanto a me, sporgendosi leggermente nella mia direzione.
“Sì, Wheels, la mia canzone preferita dei Foo.”
Sorrise. “È anche la mia preferita!”
Il suo entusiasmo genuino mi lasciò strabiliato, era assurdo come una semplice canzone fosse stata in grado di farlo aprire così.
Scollegai le cuffie e lasciai che le note del brano si diffondessero dal mio cellulare.
John era tutto un sorriso e prese ad agitare la testa a tempo senza nemmeno accorgersene, i lunghi capelli gli accarezzavano le spalle. Sembrava un bambino la mattina di Natale, era dolcissimo.
“Sai, suonavo sempre i Foo Fighters quando da piccolo mi cimentavo con la batteria” raccontai.
“E non hai continuato?” indagò curioso.
Scossi il capo. “Però mi piacerebbe riprendere, ho ancora la batteria a casa… mi devo solo ricordare come si monta” spiegai con una risata.
John ridacchiò a sua volta, ma il suo viso si congelò in una smorfia quando Freddie si materializzò dietro di lui e lo afferrò per una spalla, fulminandomi con un’occhiata.
Incredibile, non me n’ero accorto.
Affilai lo sguardo e lo trucidai a mia volta, poi mi ricordai della promessa fatta a John e decisi di lasciar perdere: niente discussioni quel pomeriggio.
“John, andiamo a prendere l’attrezzatura” sentenziò Freddie, strappando letteralmente il suo amico dalla panchina. Si diressero verso l’ingresso dello stanzino, ma prima di entrarvi il corvino si voltò e sibilò: “E non importunarlo, lascialo stare. Intesi?”.
Mi strinsi nelle spalle e guardai altrove, infilandomi di nuovo gli auricolari.
Ma c’era quel mezzo sorriso che non voleva abbandonare le mie labbra e quella sensazione di calore e dolcezza che mi scorreva nelle vene.
Wheels stava volgendo al termine, ma io la feci ripartire daccapo.
Non mi chiesi perché, ma mi andava.
 

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“Non ci credo, l’ha fatto davvero!” Freddie scoppiò a ridere quando adocchiò Roger dall’altra parte del campo, vicino ai suoi compagni di squadra.
Il biondo, in occasione della semifinale, aveva indossato una maglietta verde che sul retro riportava la scritta «ROGER MEDDOWS-FEDERER, IL LEGGENDARIO TENNISTA DELLA SEZIONE A».
Risi a mia volta e mi domandai come sarei riuscito a concentrarmi alla vista di quelle parole sulla t-shirt del mio avversario. Era troppo esilarante.
“Ragazzi, dieci minuti e si inizia. Preparatevi e scendete in campo” ci intercettò il prof White, raggiungendoci in poche falcate. “Siete carichi?” chiese, squadrandoci da capo a piedi.
“Sempre carichi. Vinceremo” affermò Freddie gonfiando il petto.
“Cercate di fare meglio di noi ieri” commentò Danny Seraphine con una risata. Lui e Terry, il suo migliore amico, si erano accomodati per terra, intenzionati a godersi la partita dopo essere stati stracciati da Sumner e Copeland il giorno precedente. Sapevano benissimo di non poter competere, si erano iscritti solo per divertimento e avevano finito per divertire il pubblico, facendo i buffoni come al solito.
“Batteremo Brian May e Roger Taylor, arriveremo in finale e ci vendicheremo da parte vostra sconfiggendo anche quegli altri due!” esclamò Freddie, strizzando l’occhio a Danny e Terry.
Quest’ultimo sorrise ampiamente. “Buona fortuna allora, vi massacreranno!”
Freddie mi afferrò per il polso e mi trascinò dietro l’ormai familiare stanzino degli attrezzi, borbottando qualche scusa sulla preparazione degli atleti; in realtà sapevo bene quali erano le sue reali intenzioni.
Una volta lontani da occhi indiscreti, Freddie posò le mani sui miei fianchi e mi scrutò negli occhi con intensità, le labbra a pochi centimetri dalle mie.
Mi si mozzò il respiro, come ogni volta. Nonostante stessimo vivendo quella sorta di relazione indefinita da quasi due settimane, non avevo ancora fatto l’abitudine a quel brivido che mi scorreva lungo la schiena quando mi stava così vicino.
“Tesoro… quasi mi piange il cuore all’idea che non ti vedrò più giocare ogni giorno, darti lo slancio mentre rispondi a una battuta, con la maglietta che ti si attacca addosso e i muscoli che guizzano…” mormorò, gli occhi languidi e pieni di desiderio, mentre le sue dita percorrevano il mio fianco destro.
Mi sentii andare a fuoco e d’istinto mi sporsi per lasciargli un bacio sulle labbra. Lui mi attirò di più a sé e approfondì quel contatto, ribadendo ancora una volta che gli appartenevo tramite la sua passionalità. Per me era uno shock fare i conti con la sua irruenza, ma dovevo ammettere che non mi dispiaceva e pian piano anche io stavo portando fuori un lato di me che non era mai emerso prima.
Mugolai appena e poi mi separai da lui. Avevamo il fiato corto e nessuna voglia di tornare dagli altri.
“Comunque vada, Deaky, è stata l’esperienza migliore della mia vita” mormorò Freddie, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Inarcai un sopracciglio. “Non ti interessa più di battere Brian May?”
“Ma certo che sì! Però, male che vada, ho guadagnato te.”
Mi sciolsi in un enorme sorriso e gli regalai un ultimo dolce bacio, prima di allontanarmi e dirigermi verso il campo.
Freddie mi seguì, sgranchendo i muscoli di spalle e braccia e facendo scrocchiare le ossa.
Mentre io mi posizionavo discretamente nella mia porzione di campo e giocherellavo col manico della racchetta, lui faceva un ingresso trionfale: avanzava lentamente, gonfiando il petto e mettendo in risalto le braccia lasciate libere da una canotta bianca.
Per fortuna era una giornata tiepida e soleggiata, la primavera si faceva finalmente avanti.
Osservai distrattamente Brian e Roger – il leggendario tennista della sezione B – prendere posto dall’altra parte della rete e scambiarsi qualche battuta incoraggiante.
A quel punto il prof White non perse tempo e prese a parlare in un rudimentale megafono – la scuola non aveva abbastanza fondi per fornirci un impianto di amplificazione – presentando le squadre e ricordando che la coppia vincitrice avrebbe dovuto sfidare Copeland e Sumner nella finale del giorno seguente.
Quando i nostri nomi vennero enunciati, si levarono grida di giubilo e di approvazione da parte del pubblico e io sprofondai in un mare di imbarazzo, rendendomi conto che ormai non sarei più tornato indietro, ero sotto i riflettori, davanti a tutto il liceo.
Non mi restava che giocare al meglio.
“Ehi, John.”
Sollevai lo sguardo e mi ritrovai faccia a faccia con un sorridente Roger dall’altra parte della rete.
“Buona fortuna.”
Accennai un sorriso. “Grazie, anche a te.”
La partita cominciò con il servizio per la nostra squadra e il primo a battere fu Freddie, che eseguì un ottimo lancio a cui Roger rispose prontamente, nonostante la pallina fosse in territorio di Brian; tuttavia il ragazzo riccio non sembrava essere per nulla a suo agio, non aveva i riflessi pronti e sembrava muoversi goffamente in campo.
Il suo essere maldestro si concretizzò quando diverse palline gli passarono accanto senza che lui riuscisse a ribattere dignitosamente, facendoci vincere il primo game con 40-15.
“Uno a zero per Mercury e Deacon, primo game conquistato per il primo set!” annunciò White al megafono, facendomi sobbalzare.
“Brian, che cazzo fai? Ma la vedi la pallina?” sentii sbraitare Roger.
“Vedrai che le cose andranno meglio ora che batteremo noi” tentò di rassicurarlo il suo amico, poco convinto.
Ridacchiai e mi preparai a ricevere.
Effettivamente il secondo game ci diede più filo da torcere perché Brian, grazie alla sua altezza, riuscì a mettere a segno diversi ace, lanciando la pallina così in alto che non potemmo intercettarla. Gli fummo alle calcagna, arrivammo a 40, ma vinsero il game col vantaggio.
Uno pari per il primo set.
Io e Freddie ci scambiammo un’occhiata eloquente.
“Riesci a saltare più in alto e prendere quella diavolo di pallina?” mi chiese.
Gli sorrisi. “Lasciami fare, sto scaldando i motori” lo rassicurai.
“Sei una scheggia.” Mi strizzò l’occhio.
Guadagnammo il primo set senza troppa fatica: Roger e Brian si fermarono a tre game, mentre noi conquistavamo il sesto.
“Pausa!” annunciò il prof al megafono, poi ci indicò un punto – la solita panchina diroccata – in cui avremmo potuto trovare acqua, tovaglioli per tamponare il sudore e perfino qualcosa da mangiare. Ci fiondammo tutti e quattro in quella direzione, così Freddie, ritrovandosi proprio accanto ai suoi avversari, non si fece sfuggire l’occasione e prese a fissare Brian, ridacchiando apertamente.
“Che ridere, Mercury” borbottò lui in tono piatto mentre si sistemava i ricci scompigliati. Avevo il dubbio che quella capigliatura gli avesse impedito qualche volta di vedere la pallina, dato che qualche ciocca gli cadeva sempre sugli occhi.
“Che ti avevo detto? La sconfitta brucia, vero?” lo punzecchiò il mio compagno di squadra.
Dal canto mio, sospirai e presi un lungo sorso d’acqua, sperando di riportare il mio corpo a una temperatura normale. Non ero particolarmente stanco, ma molto accaldato.
“La partita non è ancora finita, siamo solo al primo set.”
“E pensi davvero di avere qualche speranza?”
“Non mi interessa batterti, Freddie, io non faccio nulla per dimostrare qualcosa. Sei tu che porti avanti questa sceneggiata della rivalità, ma quando capirai che è tutto nella tua testa e che stai litigando col vento?” sbottò Brian, lasciando tutti senza parole.
Anche Freddie ammutolì – incredibile che proprio lui non sapesse come ribattere – e forse capì, si rese conto che quel ragazzo che si ostinava a odiare non era interessato a competere, non voleva rubargli la scena.
Io l’avevo intuito da parecchio tempo, ma non volevo mettere bocca in quella questione.
Brian e Freddie si fissarono a lungo, si fronteggiarono ma stavolta in maniera diversa, senza dire una parola, e io mi ritrovai a pensare che con quello scambio di sguardi si fossero detti più di quanto avessero mai fatto nella loro vita.
“La pausa è finita, tutti in campo!” Il prof White interruppe bruscamente quel momento cruciale, giungendo alle mie spalle e facendomi prendere un colpo.
Quando tornammo a giocare, mi resi conto che quella breve pausa non aveva fatto che minare le già dubbie potenzialità dei nostri avversari: mentre Brian si lasciava sfuggire le risposte più semplici da sotto il naso, Roger cominciava ad arrabbiarsi per l’andamento della partita e perdere lucidità e concentrazione.
Io e Freddie non potevamo che sbellicarci ad ascoltare i suoi improperi sempre più coloriti alla fine di ogni game.
Il secondo set si concluse con una clamorosa vittoria da parte nostra – 6-1 – e una standing ovation da parte del pubblico.
“Ah, ma vaffanculo!” strillò Roger con gli occhi fuori dalle orbite, poi scagliò la racchetta a terra in mezzo al campo e trascinò via un mortificato Brian.
Quest’ultimo sospirò, scosse il capo e commentò: “L’avevo detto io, che dovevo giocare a basket!”.
Divertito da quella scena, quasi non mi accorsi dello sguardo attonito di Freddie mentre osservava gli spettatori e allora realizzai che c’era qualcosa di strano.
Affinai l’udito e mi resi conto che tutti stavano gridando in coro la stessa parola: “Deacon! Deacon! Deacon!”.
Non potevo crederci.
Stavano acclamando me? Veramente?
Eppure non avevo fatto nulla di speciale, avevo solo giocato come mi era venuto spontaneo.
Mi lasciai andare a un enorme sorriso e mi imposi di trattenere le lacrime di emozione e incredulità; non mi era mai capitata una cosa del genere.
Dopo un primo momento di perplessità, Freddie si gettò addosso a me e mi strinse in un abbraccio, il più bello, dal sapore di vittoria e soddisfazione.
“Sei arrabbiato perché ti ho rubato la scena?” mormorai, il mento posato sulla sua spalla e il viso sepolto nei suoi capelli.
“Sì, cazzo, questa era la mia vittoria. Ma ti adoro lo stesso.”
 

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“Andiamo, è chiaro come il sole: quei due stanno insieme” affermò Stewart con sicurezza, sghignazzando appena.
“Cosa te lo fa pensare, scusa?” ribattei subito, piccato. Il mio compagno di classe mi stava dando sui nervi.
Anzi, mi dava sui nervi l’idea che John potesse essere impegnato.
Ah, ma che andavo a pensare?
Comunque Stewart era un idiota, come poteva affermare una cosa del genere senza prove?
“Forse tu non hai notato l’abbraccio che si sono scambiati quando hanno vinto… e non hai notato che si sono messi in disparte poco prima della partita…” insinuò lui sogghignando.
“E allora? Anche io avrei abbracciato Brian se avessimo vinto” dissi, incrociando le braccia al petto.
“Invece hai minacciato di tagliarmi i capelli” intervenne lugubre il mio amico.
“Assomiglieresti a Nadal almeno in qualcosa.”
“Senti un po’, leggendario tennista o quello che è, tu mi avevi detto che era solo per divertirsi e che avresti pensato tu alla vittoria” si difese Brian.
Intanto Stewart se l’era svignata e aveva raggiunto Gordon per prepararsi all’imminente finale.
“Ma non pensavo che avrei avuto un compagno di squadra rigido come una quercia” borbottai.
“Almeno io, sapendo che non sei ferrato, non ti ho coinvolto nelle Olimpiadi di matematica!”
“Ragazzi!” Una voce alla nostra destra ci fece sobbalzare, interrompendo i nostri battibecchi.
Quando mi voltai, temetti di avere le allucinazioni: si trattava di Freddie Mercury in persona, che aveva volontariamente deciso di rivolgere la parola a noi, poveri plebei.
“Sì?” rispose prontamente Brian e nel suo sguardo si accese una scintilla di speranza. Forse credeva che il discorso del giorno prima avesse fatto riflettere Mercury? Io non ci avrei giurato.
“Sentite… Brian, soprattutto tu… riconosco che forse il mio atteggiamento negli ultimi tempi non è stato dei migliori…”
Stava davvero ammettendo di aver sbagliato? Okay, quali droghe aveva assunto quel giorno?
“E ciò che mi hai detto ieri mi ha fatto capire che la nostra non è una vera rivalità, perché tu non hai mai cercato di superarmi.”
Brian annuì. “Sì, infatti. Sai, tutte le attività a cui mi dedico non sono per compiacere gli altri, ma per farmi stare bene con me stesso. Ci tengo a studiare e avere buoni voti, ci tengo ad aiutare gli altri e compiere buone azioni, ma non lo faccio perché si parli bene di me.”
“Lo so, l’ho capito. E me ne sono accorto anche perché, quando io ti lancio delle frecciatine, tu non cerchi mai di screditarmi, ma ti difendi e basta.”
Ero sbalordito, non pensavo che quell’individuo fosse in grado di capire qualcosa.
“Quindi, fermo restando che io sono il migliore a prescindere…”
Ecco, gli avevo dato troppa fiducia.
“…io proporrei di instaurare la pace, o almeno una convivenza civile tra di noi.” Freddie tese una mano a Brian e per la prima volta nel suo sguardo lessi disponibilità a fare un passo indietro.
Brian sorrise e gli strinse la mano senza esitazioni. “Stavo aspettando questo momento. Per me è sempre stata pace tra noi.”
“Ammettilo, Mercury: è stato John a suggerirti cosa dire e fare, da solo non ci saresti mai arrivato.” Alla fine non ce l’avevo fatta, era stato più forte di me, dovevo per forza intervenire.
“Roger!” sbottò Brian indignato.
Ma Freddie non sembrò arrabbiarsi e scoppiò a ridere, allungando una mano per attirare a sé John, che intanto si era silenziosamente avvicinato a noi. “Il mio Deaky se n’è tenuto fuori, giuro! Vero, tesoro?” disse, facendo arrossire vistosamente l’altro.
Il mio Deaky?!
Tesoro?!
La mascella rischiò di cadermi a terra. Stewart aveva ragione, era inutile negare l’evidenza.
Anche se faceva male.
Anche se stranamente le mani di Freddie addosso a John e il sorriso timido e beato di quest’ultimo mi facevano male.
Anche se Wheels continuava a risuonarmi in testa ogni volta che posavo lo sguardo su di lui.
“Roggie, tutto bene?” Brian mi osservò con fare dubbioso.
Caddi dalle nuvole. “C-certo, alla grande! Dicevamo?”
“Freddie ha proposto di andare a bere qualcosa tutti assieme dopo la partita” ripeté il mio amico.
“Per me non ci sono problemi” risposi automaticamente, senza neanche rifletterci.
“Ehi, Mercury, Deacon! Pronti a essere stracciati?” gridò Stewart, che si trovava a qualche metro da noi, attirando l’attenzione di tutti.
Gordon accanto a lui sollevò gli occhi al cielo.
Freddie gli lanciò teatralmente un bacio. “Staremo a vedere, tesoro!”
“Non vorrai mica trovarti dei nuovi rivali” sospirò Brian.
“Macché, quei due? Figurati, al massimo mi possono allacciare le scarpe.” Freddie accompagnò le sue parole con un gesto noncurante della mano, come a voler scacciare quella possibilità.
“Andiamo?” mormorò John, lanciando un’occhiata all’orologio da polso.
Il corvino annuì e, prima di allontanarsi, ci scoccò un ultimo sorriso. “Fate il tifo per noi, mi raccomando.”
“Ovvio. In bocca al lupo, ragazzi!” li congedò Brian.
Io mi limitai a un cenno del capo, ma non potei trattenermi dal sorridere appena quando John incrociò per un istante il mio sguardo.
“Rog, che c’è? Hai una faccia strana” indagò il mio amico preoccupato.
Sospirai. “Niente, lascia stare. È che non riesco a capire se questa sia una vittoria o una sconfitta” ammisi, e il mio cuore perse un battito a quelle parole così tremendamente vere.
 


 
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Ragazzi! Sono davvero felice di essere tornata in questa categoria dopo decisamente troppo tempo! E per questo devo ringraziare di cuore Carmaux per il bellissimo contest che ha indetto, oltre che per il fantastico pacchetto da me scelto – che conteneva, appunto, alcune foto della partita a tennis realmente giocata dai quattro ragazzi in quel di Ridge Farm, nel periodo in cui stavano dando vita al loro leggendario A Night At The Opera.
Tuttavia ho deciso di non ambientare la storia in quell’occasione, ma di sfruttare il tennis solo come contesto per poi costruire una Modern!AU ^^ così come ho deciso di non rispettare i reali abbigliamenti dei Queen perché, daaaai, giocare a tennis vestiti in quel modo è semplicemente illegale X’D
Adesso vi lascerò a un mare di doverose note, spero di non annoiarvi ^^”
-      Comincio subito parlando delle piccole comparse provenienti da altre band, che forse alcuni di voi non avranno riconosciuto! Allora, Stewart Copeland e Gordon Sumner – conosciuto come Sting – sono rispettivamente batterista e bassista/cantante dei Police (so che è difficile da credere, ma Sting all’anagrafe si chiama Gordon Matthew Thomas Sumner XD), mentre Terry Kath e Danny Seraphine sono rispettivamente chitarrista e batterista dei Chicago. Il cammeo di questi ultimi è un omaggio alla mia adorata Evelyn, che mi ha fatto conoscere e amare questi ragazzi
-      Per chi non fosse per nulla ferrato, Roger Federer e Rafael Nadal sono due famosi tennisti, tra i due più forti in circolazione nell’ultimo periodo, ed è capitato spesso che giocassero dei doppi insieme sotto il nome di Fedal (che però sa tanto di ship ahahahah). Per questo Roger si definisce Federer (sfruttando l’omonimia) e chiede a Brian se vuole essere il suo Nadal XD
-      È vero e anche piuttosto evidente che ultimamente Nadal sta avendo problemi con la perdita di capelli, anche se lui cerca in tutti i modi di camuffare la cosa XD potete immaginare quanto si sia sentito offeso Brian a essere paragonato a lui!
-      Nel caso non la conosceste (cosa vi siete persi, COSA), vi lascio il link della bellissima Wheels dei Foo Fighters, che è anche la mia loro canzone preferita e da oggi anche la canzone della Dealor distrutta (muahahahahah Carmaux mi metterà 0 in gradimento personale… T.T):
https://www.youtube.com/watch?v=eZIjxGY3Kok
-      Ho cercato di non dilungarmi troppo sulla descrizione della partita, sia perché il limite di parole me lo ha impedito (e forse è meglio così), sia perché temevo di annoiare e confondere i non appassionati di tennis che non conoscono bene le regole. In ogni caso mi sembra giusto lasciarvi almeno il semplice regolamento di Wikipedia, giusto nel caso voleste capire i (pochi) termini tecnici che ho usato:
https://it.wikipedia.org/wiki/Tennis#Regolamento
-      Ci tengo particolarmente a spiegare la scelta del titolo: oltre a riferirsi ovviamente alla famosa canzone dei Queen, assume due significati diversi, ovvero il mettersi in gioco (che è il senso che gli ha attribuito la band) e anche il giocare il game inteso come game della partita di tennis ^^
Bene, ho finito di pontificare XD
Ora però si aprono le scommesse: secondo voi chi ha vinto il torneo tra Copeland-Sumner e Mercury-Deacon? Io non l’ho specificato perché – oltre al solito limite di parole, accidenti! – ho ritenuto inutile allungare il brodo con un’altra scena, però ho bene in testa l’esito del torneo e sono curiosa di vedere cosa ne pensate voi XD
Bene, dopo tutto questo delirio, ringrazio infinitamente chi ha avuto il coraggio di giungere fin qui e spero di avervi regalato una lettura piacevole :3
Mando un abbraccio alla giudice, a tutti voi e ci si sente presto!!! ♥
 
 
   
 
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