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Autore: BabaYagaIsBack    30/01/2020    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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66. A brave and foolish heart

Doveva voltarsi, capire.

Doveva farsi forza e scoprire se davvero Arwen avesse compiuto l'atrocità più mostruosa a cui la sua mente stesse pensando. Eppure non riusciva a far nulla se non osservare come la sagoma bianca di suo fratello fosse striata di macchie rosse, scure - il suo manto era neve macchiata dal peccato, pensò Aralyn stringendosi le mani al petto con talmente tanta forza da sentire le proprie unghie minacciare la carne.

Pian piano il vuoto in lei prese a crescere all'unisono con i versi minacciosi dei due Alpha, intenti a studiarsi a distanza prima di attaccare realmente. Nessun folle, se non lei, avrebbe sfidato un nemico che non conosceva - anche se in guerra tutto era lecito e nulla recriminabile.

Con il cuore schiacciato nella trachea, la giovane provò a deglutire, ma la saliva non parve voler scendere. 
La possibilità che vi fosse il cadavere di Joseph, ad aspettarla, stava involontariamente dando vita a una ribellione del corpo; forse di quel passo si sarebbe annullato, come avrebbe voluto che invece facessero i pensieri e le decine di terribili immagini che vi vorticavano in mezzo. Crepitavano in lei al pari di fiamme e la benzina che gli veniva versata sopra non trovava fine - più si sforzava di bloccare quelle visioni apocalittiche, più loro trovavano modo di peggiorare.
Era doloroso, al contempo asfissiante. Era come venir area viva pur non provando bollore.
Possibile che una sola persona potesse sentire tutte quelle emozioni percependosi comunque vuota? Possibile che essere legati da un imprinting volesse dire quello?

Il ringhio di Arwen la riportò con brutalità alla realtà e, appena vide Douglas Menalcan piombare su di lui e farlo arretrare di qualche passo, si scansò di lato per evitare di essere travolta dalla loro foga.
Aralyn arrancò, spostandosi a tentoni sul pavimento. Il viso rivolto verso i due animali, gli occhi sgranati e dentro... nulla. Non riusciva né ad avere paura, né a sentire dolore. Avanzava a ritroso verso il muro più vicino, ma non sapeva esattamente perché; in fin dei conti, se le fosse successo qualcosa ora, cosa sarebbe potuto cambiare? Niente, dopotutto aveva già perso la persona per cui, in realtà, era andata fin lì.

Un palmo dietro l'altro mise spazio tra sé e i due lupi, fino a quando con un brivido il polso sfiorò qualcosa di caldo e soffice.

La giovane sussultò.

Qualcosa, come una sorta di vocina, la invitò più volte dal desistere dallo scoprire di che si trattasse, ma lei si fece trovare sorda. Quel tocco era ammaliante, l'attirava come una sorta di litania infinita - un richiamo a cui la sua natura mannara non seppe opporsi. Con il respiro mozzato, la ragazza abbassò lo sguardo oltre la propria spalla e lì, come addormentato, se ne stava lui.

Doloroso come non mai, un battito parve squarciare il silenzio che era diventato padrone del suo petto e, sgranando gli occhi, Aralyn si sentì sopraffare dalle lacrime.

Joseph!, gridò la sua mente, prendendo poi a chiamarlo con una sciocca insistenza, quasi lui potesse sentire i suoi pensieri, come se il loro legame oltrepassasse la fisicità dei corpi e potesse renderli telepatici.

In un movimento del tutto istintivo, privo di qualsiasi premeditazione, gli afferrò il muso e se lo portò vicino, lasciando che la punta le sfiorasse la pelle. Studiò il suo pelo insanguinato, le palpebre chiuse e il naso umido, dove a intermittenza irregolare si muovevano le narici.

Respira... si ritrovò a constatare con talmente tanto stupore da temere di essersi fatta sfuggire un qualsiasi verso, eppure quando si volse verso Douglas e Arwen li trovò intenti a darsi contro, del tutto incuranti di lei. Aveva tempo.
Aveva qualche fugace istante per stargli accanto, toccarlo, ricordarsi il suo profumo e percepirne la presenza che ogni notte aveva riempito i suoi incubi.

In un sussurro spezzato tornò dal licantropo tra le sue dita: «Non andare via. Resta qui» biascicò con la bocca già impastata dal pianto che aveva trattenuto fino a quel momento. Le lacrime avevano preso a colarle silenziose lungo le guance, ma lei nemmeno se ne era resa conto, troppo occupata a saperlo vivo
Ciò che aveva provato era stato una chimera, il fantasma di un'eventualità agghiacciante e distruttiva, ma nulla più. E quindi una speranza forse c'era, una possibilità di salvarlo dalla rabbia di suo fratello esisteva - e quella consapevolezza le bastava per ignorare tutto il resto.

Aralyn prese a esaminare il corpo del purosangue - morsi sparsi ne ornavano la pelle sotto al pelo appiccicato dal sangue, ma l'unica ferita che poteva essere il motivo della sua perdita di coscienza doveva essere un colpo preso alla testa, o almeno era ciò che le era stato insegnato in anni di allenamento.
Così prese a tastargli l'enorme nuca, provando a ricordare dove, mesi prima, lo scontro con i seguaci di Ophelia aveva lasciato il suo ricordo. Sapeva trovarsi poco dietro all'orecchio, ma la moltitudine di pelo le ostacolava la percezione.

Dove diamine era?

Un rantolo la costrinse a riportare lo sguardo sul muso di Joseph e lì vide le palpebre schiudersi appena, lasciando uno scorcio sul cielo racchiuso nelle sue iridi.

Fu una gioia così intensa da scaldarle le viscere e farle infiammare le guance, nulla che avesse mai provato prima e paragonabile solo al loro primo bacio o alla notte passata insieme. Le colmò ogni buco emotivo che quella guerra le aveva creato nell'anima.

A quella visione e assuefatta dall'emozione lo strinse a sé con impeto, ignorando il dolore che avrebbe potuto procurargli: «Il tuo cuore è mio. Io te lo strapperò dal petto, hai capito?» prese a dirgli, schiacciando le proprie labbra a ridosso delle sue orecchie, quasi in una sorta di bacio. Lo minacciò come molte settimane prima, quando aveva conosciuto Kyle e, alla stessa maniera però, gli stava facendo una promessa.
Joseph ad ogni modo non reagì, rimase immobile; una specie di bambola tra le sue braccia. 
L'aveva sentita?
Era riuscito a capire il significato di quelle parole?

Ma prima che Aralyn potesse controllare da sé, un vocione riecheggiò per la sala, chiamandola. E non si trattava di un'allucinazione o chissà che, Gabriel Menalcan le stava letteralmente inveendo contro dalla soglia dello studio.

Il suo petto villoso si alzava e abbassava velocemente, mentre lunghi segni cangianti ne segnavano la carne. I capelli scompigliati, gli occhi cristallini rivolti nella sua direzione, furenti, ne esaltavano la bellezza che, purtroppo per lei, in quel momento le ricordò con eccessiva evidenza quella del fratello minore - colui che ancora stringeva a sé.
Erano così simili, eppure diversi.
Due facce d'una stessa medaglia che la giovane Calhum non volle mettere a confronto.

«Cagna!» le gridò, puntando l'indice al centro del suo viso: «Ora ti ammazzo!» continuò poi, muovendo i primi passi nella direzione in cui si trovava lei. Lunghe linee viscose gli ornavano gli arti e, per un solo momento, ad Aralyn parvero tatuaggi di guerra, capaci di trasformarlo in una vera e propria reincarnazione di Belatucadros.

Le viscere le si strinsero e d'improvviso si rese conto di dover ancora una volta cercare di sopravvivere - cosa che iniziava davvero a starle stretta.

La ragazza allontanò le mani da Joseph con un'infinita malinconia, sentendo il cuore stringersi e il vuoto riprendere in parte possesso di lei, ma in pochi secondi fu nuovamente sulle proprie gambe e pronta a respingere il nemico - in particolare perché non aveva altra scelta, anche se non conservava alcuna speranza di vittoria.

Gabriel, da bravo guerriero, le fu addosso molto più velocemente di quanto il suo barcollare avrebbe potuto far credere. Agile, lei si abbassò in avanti cercando di schivare le sue enormi braccia, pregando tutto il Pantheon nordico di graziarla. Caricò un pugno e, confidando di essere abbastanza precisa, colpì con le nocche lo stomaco dell'uomo, usando tutta la forza che aveva - non molta, visto ciò che aveva dovuto affrontare fino a quel momento.
Appena sentì il suono degli addominali contro le sue ossa, Aralyn scivolò di lato, provando ad allontanarsi, ma purtroppo per lei al figlio di Douglas non sfuggì e, afferrandola per una spalla, la sbatté a terra con violenza.

Il contraccolpo fu doloroso, le ossa parvero venir scosse con eccessiva brutalità e nuovamente la vista le si appannò - ma non aveva tempo né per farsi sopraffare, né per restare in balìa del dolore.

Così, con un colpo di reni, si levò dalla traiettoria delle mani di lui giusto qualche momento prima di venir presa per il collo. Il sollievo d'aver scampato un simile pericolo però fu breve, perché i suoi riflessi fulminei non impedirono al Puro di acciuffare con le dita ciocche bionde e tirarle, riportandola a sé.

La lupa inveì.

Non importava quanto provasse a sfuggirgli, ogni volta quel mostro riusciva a prenderla - che le sue azioni fossero tanto prevedibili? Possibile che per il primogenito dell'Alpha lei fosse un libro aperto? Eppure era sempre sopravvissuta, sfuggita ai pericoli peggiori, ma non a lui. E se nel suo destino la parola fine dovesse essere scritta dalle mani di quel lurido Nobile?

Si ritrovarono entrambi a terra, con il Menalcan a troneggiare in parte su di lei - poteva sentirne il respiro caldo e dolciastro sul viso umido, intravederne da oltre le ciglia socchiuse l'espressione arcigna, in parte vittoriosa.

E le fece schifo, esattamente come il padre; come avrebbe dovuto essere per qualsiasi membro di quel clan di spocchiosi purosangue.

Aralyn ringhiò e scalciò e nel muoversi come una forsennata riuscì a colpire con una ginocchiata la giuntura tra braccio e avambraccio dell'aggressore, facendogli perdere l'equilibrio. Con un grugnito, Gabriel picchiò il viso a terra e la sorpresa dovuta alla botta permise che la stretta sui capelli di lei si allentasse, dandole modo di rotolare via; pur rinunciando a qualche ciocca.

Ansimando si fece strada lontano da lui, cercando con lo sguardo un appiglio. Ormai doveva rinunciare alle due spade o all'ennesimo miracolo: se si voleva tirar fuori da quella situazione doveva riuscirci da sola.

«Fermati, brutta sgualdrina!»
La voce del nemico tuonò, vicina.
Nonostante la mole di muscoli quel licantropo era reattivo, riusciva a incalzare la preda con una velocità quasi impensabile per il fisico che si ritrovava; e ciò non le piaceva, anzi, la preoccupava ogni istante di più.

Come fermarlo? In che modo avrebbe potuto sopraffarlo?

I suoi occhi viaggiarono ovunque per la stanza, incontrando porte, quadri, scaffali e ornamenti inutili. Nulla pareva apparirle capace di contrastarlo se non Arwen, che sfortunatamente era impegnato a non farsi azzannare dall'Alpha nemico. 
L'unica soluzione era quindi allontanarsi da lì, mettere quanto più spazio possibile tra lei e l'avversario. Forse, sgattaiolando via, avrebbe incontrato qualcuno in grado di aiutarla; i gemelli ad esempio non dovevano poi essere tanto lontani da dove si trovava e, se fossero stati ancora ottenebrati dalla loro indole assassina, sarebbero riusciti a massacrare quel bestione.

Fece per alzarsi e correre verso l'uscita dello studio, ma qualcosa finì per bloccarla a metà del movimento. Un dolore atroce al polpaccio le fece perdere lucidità e un grido le si riversò fuori dalla gola, graffiandole le corde vocali.

Sentì il sangue colarle lungo la pelle, bollente, e in un gesto del tutto incontrollato si volse all'indietro con il viso contorto in un'espressione di totale rabbia.
Le unghie di Gabriel erano ancorate nel suo arto e in faccia aveva stampato un sorriso beffardo, quasi a rinfacciarle l'ennesima fuga andata in malora. Fu forse quello a scatenare in lei una furia animale che le fece compiere un movimento tutt'altro che opportuno, rigirando gli artigli nemici nei tagli e peggiorando le ferite, ma comunque sganciandola dalla presa e dandole modo di spingersi verso l'uomo che aveva deciso di sfidarla.

Con dita munite di lame organiche calò su di lui, infilzandolo tra il collo e le spalle in modo da diminuirgli la mobilità delle braccia - quelle stesse che più volte avevano cercato d'imprigionarla in qualche stretta soffocante e, soprattutto, mortale.

Aralyn premette le proprie unghie nella carne, andando così in profondità da percepire del viscido sulle dita, una sorta di liquido denso e appiccicaticcio dall'odore familiare che, d'un tratto, le ricordò quanto in passato avesse desiderato poter ferire e dilaniare il corpo del licantropo che ora stava provando a ucciderla. 
Era lui l'origine di tutti i suoi mali: la ragione per cui Arwen era stato ferito, il motivo per cui il suo amore con Joseph era stato fatto a pezzi e, ora, di quel dolore. Uccidendolo forse non avrebbe ottenuto nulla, anzi, dubitava fortemente di poter riuscire in tale impresa, ma fargli passare lo stesso male che aveva e stava provando tuttora lei era qualcosa a cui poteva anelare con facilità - così pigiò nel muscolo e, ringhiando in modo gutturale, lasciò che una sorta di mutazione le regalasse artigli sempre più lunghi e letali.

Il Menalcan emise un urlo soffocato, storcendo la smorfia in un'espressione di sofferenza. I suoi occhi si levarono su di lei colmi di puro odio, colpendola dritta in mezzo al torace. Erano uno specchio in cui si vide riflessa, in cui scorse tutti i danni che quella guerra le aveva lasciato addosso - e si trovò orribilmente cambiata. Era segnata ovunque e, in particolare, si notò meno innocente, più cresciuta. Fu grazie a quell'istante di momentanea distrazione che, cogliendola alla sprovvista, Gabriel azzannò con i propri denti umani l'avambraccio più vicino a sé.

Una nuova stilettata la fece gridare e, ritraendo gli artigli, ma soprattutto senza valutare i pro e contro di quel gesto, tirò all'uomo una testata tanto forte che si sentì venir meno. Un capogiro le oscurò la vista, mentre brividi freddi le corsero dalle guance alla schiena e poi giù lungo tutto il corpo.

Il cranio di quello schifoso purosangue era duro come la roccia!, riuscì a pensare portandosi una mano alla fronte, lì dove ancora riusciva a sentire rimbombare l'impatto e la carne pulsare. Possibile che ogni parte di lui fosse tanto resistente?
La pelle una corazza, gli addominali uno scudo e adesso pure la testa al pari di un masso!
La ragazza dovette mordersi la lingua per non inveirgli contro ma, piuttosto, ritrovare lucidità e rifugiarsi dietro una delle porte presenti sul perimetro dello studio.

Frapporre qualcosa tra lei e quel colosso era di vitale importanza dopo tutti i danni che le aveva procurato in quella manciata di attacchi.

Per fortuna l'adrenalina fece il suo lavoro, così, in pochissimi minuti, la vista tornò nitida, permettendole di sgattaiolare verso l'anta in legno più prossima.

Dietro di sé, Aralyn lasciò gocce scarlatte che Gabriel, con qualche secondo di ritardo su di lei, prese a fiutare per individuarla - forse, si disse la giovane, la sua percezione visiva stava faticando a tornare: lo aveva colpito con così tanta forza? Eppure lei era ancora abbastanza lucida da mettersi a correre... per quel che le permetteva il polpaccio ferito. Nemmeno il tempo di mettere a fuoco la gravità del danno però, che l'uomo balzò in piedi con il chiaro intento di raggiungerla per vendicarsi.

Persino dopo ciò che gli aveva fatto lo trovò veloce, in poche falcate l'avrebbe acciuffata. Le sue gambe erano nettamente più lunghe di quelle della lupa, un suo passo quasi equivaleva a due dei suoi e, se non si fosse sbrigata, questa volta le avrebbe davvero fatto assaggiare l'Inferno.

La ragazza arrivò a un paio di metri dal suo rettangolo di momentanea salvezza quando, il sentore di qualcosa alle sue spalle, la fece sussultare. 
Era lì, l'aveva in pugno.

Sentì nuovamente i capelli venir sfiorati dalle grosse dita del Puro e chiuse le palpebre, stringendole forte per impedirsi d'immaginare ciò che ne sarebbe seguito. 
Allungò le braccia difronte a sé, scongiurando qualsiasi cosa di farle raggiungere ciò che tanto anelava e,  con la mano, riuscì ad afferrare la maniglia d'ottone, abbassandola e subito dopo tirandola verso l'esterno.

Ma non c'è salvezza, pensò con un nodo di lacrime in gola.

Eppure l'anta si spalancò, accogliendola in un luogo sconosciuto e richiudendosi subito dopo con un tonfo.

I piedi di Aralyn si impigliarono in un tappeto che non riuscì a vedere, facendola cadere in ginocchio nella penombra notturna di un ambiente profumato al gelsomino. Con gli occhi ancora chiusi e il respiro affannato si lasciò andare ai singulti, incapace di trattenerli ancora.
Lui sarebbe arrivato, pensò.
L'avrebbe presa per i capelli e tirata in mezzo alla sala, oppure le avrebbe spaccato il cranio contro un qualsivoglia oggetto duro che avesse trovato - e Gabriel ci sarebbe riuscito senza fatica, dopotutto conosceva quella casa a menadito. 
Sì, lui era un'ombra alle sue spalle, si sarebbe beato nel vederla spirare.

Ma allora cosa stava aspettando? Voleva davvero che il terrore la torturasse in quella maniera?

Dei suoni ovattati le giunsero alle orecchie, ma la paura che aveva provato fino all'ultimo parve troppo intensa per darle modo di prestargli attenzione.
Si strinse nelle spalle, premendosi le braccia al petto.

Sentiva bruciare il segno lasciato dalla corona di denti del figlio di Douglas, così come sotto al sedere avvertiva il sangue farsi meno copioso e iniziare ad addensarsi.

Quanto dolore stava provando? Troppo per un corpicino morbido e delicato come il suo. Quanto era intimorita? Al pari di un bambino lasciato solo nel buio più pesto.
Però era viva, no? Già, lo era, così come le era parso fosse Joseph; ma perchè?

Sbarrando gli occhi si rivolse verso la porta. Serrata. Statica. Minacciosa. Come mai?
Gabriel non era forse dietro di lei, a un passo dal suo collo? Perché non entrava, cosa lo stava trattenendo?

Lenta si mise dritta, osservando il legno con dubbio. 
Versi animali provavano a far capolino lì dentro, eppure restavano fuori, quasi bloccati. Era racchiusa in una sorta di bolla, dove solo il fantasma delle sue paure riusciva a sfiorarla.

Un piede dopo l'altro, Aralyn andò loro incontro.

Con le dita sfiorò la porta, accompagnandosi in un inchino fino al buco della serratura da cui, con il fiato mozzato, si mise a sbirciare. In quello spicchio di spazio che metteva in comunicazione i due ambienti non vide altro che figure fulminee, scure. Ogni tanto spuntava la scia bianca di Arwen, una sorta di flash che le fece perdere più volte il ritmo cardiaco e che, improvvisamente, le ricordò chi ci fosse dall'altra parte e a cosa li avesse lasciati - entrambi.

Il cuore parve bloccarsi del tutto. L'immagine di Joseph prese a riempirgli la mente, tanto che le sembrò fosse un palloncino all'interno del cranio. La gamba di suo fratello non aveva ancora ceduto, permettendogli di contrastare con una certa facilità i diversi avversari - anche chi aveva volontariamente scelto di non tenergli testa - ma quanto avrebbe retto ancora? Non lo sapeva e, guardandosi, constatò di non aver riportato alcuna ferita eccessivamente grave e che quindi doveva tornare di là, sia da suo fratello, sia dal licantropo di cui era innamorata. Salvarli tutti e due era l'unica cosa davvero importante.

A quel pensiero, gli incisivi le si premettero sulle labbra con forza, tagliando la pelle secca. Non poteva più restarsene lì, era necessario che trovasse una soluzione, un modo per essere d'aiuto a tutti; ma come, visto che Gabriel la stava aspettando? Se si fosse azzardata a mettere piede fuori da quella stanza lui le sarebbe andato incontro senza esitazioni, puntando alla sua giugulare - e certamente sarebbe riuscita a prenderla questa volta, viste le condizioni in cui versava. Allo stesso modo, se non si fosse spicciata, avrebbe condannato entrambi gli uomini più importanti della sua vita.

Aralyn strinse ancor più la morsa e, quando il sapore ferroso del sangue prese a riempirle la bocca, decise di distogliere lo sguardo e portarlo lontano dalle immagini che tanto alimentavano i suoi sensi di colpa.

Intorno a lei, nella penombra di quella che ora riconosceva come una camera da letto, ritrovò quadri antichi e i mille occhi di teste imbalsamate: cervi, cinghiali, antilopi... vi era ogni genere di animale che si potesse definire veloce o robusto. Se ne stavano lì, appesi alle pareti al pari di trofei, ma soprattutto, guardandola. Tutte le paia di pupille presenti erano rivolte verso di lei, minacciandola, facendola sentire nel posto sbagliato - cosa che, a dire il vero, era una caratteristica generale della Villa.

Proprio di fronte al suo viso, un enorme letto a baldacchino se ne stava immacolato, quasi nessuno vi dormisse da anni. Il legno scuro era elaborato, inciso con minuzia dalle mani di chissà quale falegnamente, anche se, di tanto in tanto, si potevano scorgere i rovinosi segni lasciati dalle unghie di un qualche mannaro. 
Era inquietante. 
Con le sue coperte spesse trasudava segreti inconfessabili, perversioni che alla giovane sembrarono in qualche modo vive, concrete nell'aria intorno a sé, impossibili da coprire anche con quel nauseante profumo di gelsomino.

Un brivido le fece accapponare la pelle, come se una carezza lieve le fosse stata fatta al centro della schiena, invitandola ad avvicinarsi per essere sopraffatta dalle memorie maligne di chi li dentro vi doveva essere morto; ma a prescindere dallo schifo che poteva generarle quel luogo doveva farsi forza e avanzare, trovare un'arma, una qualsiasi: ciò che era importante è che avesse una qualche utilità.

Un coltello, una daga, un lazo, un fucile o una pistola - non le interessava il metodo, ma solo il risultato.

Aralyn si mise svelta ad aprire i cassetti di tutti i mobili e della scrivania, trovandovi all'interno scartoffie, libri, ninnoli pregiati e poco più. Ribaltò gli oggetti sulle mensole, si arrampicò sugli scaffali dell'unica libreria presente alla ricerca di un nascondiglio segreto, eppure non trovò nulla.
Più ravanava lì in mezzo e meno quella camera da letto pareva appartenere davvero a un Menalcan. Nel suo immaginario le loro stanze erano ricolme di passaggi segreti, lame minacciose a ornare i muri o macchine di tortura a fare da arredo.

Volgendo il capo si decise a ridurre ancora la distanza tra sé e il materasso, così si chinò sui comodini accanto a quel lurido talamo e tastò ogni centimetro di legno in preda all' agitazione, facendo ribaltare alcune cornici d'ottone. All'inizio non aveva dato loro alcun tipo di importanza, ma quando nel muoversi vi appoggiò sopra un piede, crepando il vetro, gli concesse un istante di fugace contemplazione. Magari avrebbe scoperto qualcosa di utile, valutò.

Sfiorando con le unghie la ragnatela di crepe sul vetro, si rese conto di aver pestato una foto vecchia, ingiallita dal tempo. Un ritratto di famiglia che mai si sarebbe aspettata di vedere in un luogo tanto ostile. 
In quello scatto c'erano i Menalcan al completo: Douglas, dieci anni più giovane e con meno rughe; suo figlio Gabriel, identico a come era ora, solo un po' più smilzo e senza barba; poi Joseph - oh, Joseph! - un ragazzetto poco più che adolescente vestito di tutto punto, lo sguardo perso altrove e il cipiglio annoiato, bello esattamente come lei se lo era immaginato nei giorni di pigra tranquillità e, infondo, due femmine. C'era una bambinetta identica a quelli che Aralyn identificò come i fratelli; le sue guance erano rosee e gli occhi grandi e, accanto, aveva una donna sottile come un giunco, dai lunghi capelli castano scuro, quasi neri, e  quelle stesse iridi di cui la giovane si era innamorata. Pareva stanca, malata, eppure le mozzò il fiato per quanto era bella. 
Doveva essere la moglie dell'Alpha, la stessa che Arwen diceva fosse stata uccisa da Douglas in persona in una notte di luna piena.

Quella quindi, constatò l'Impura deglutendo, altro non era che la stanza del patriarca del Clan.

Fu in quel momento che, spostando appena lo sguardo nei dintorni, quasi ad associare tutta la robaccia lì presente al suo proprietario, la sua attenzione venne attirata da qualcosa. Un riflesso lieve, come una specie di vago bagliore, portò il suo sguardo sulle doghe lignee sotto al materasso. Non seppe dire cosa fosse, nella sua mente non vi era nulla se non la vocina assillante della  coscienza che con veemenza le ricordava quanto tempo stesse perdendo, eppure non le diede retta. Ciò non la distrasse abbastanza da allontanarsi da lì e ricominciare la ricerca; piuttosto, aguzzando la vista, provò a trapassare il buio che si addensava in quel rettangolo di stanza.

La ragazza allungò le dita quanto più possibile, appiattendosi con il corpo sul pavimento gelato. Sentì il seno farle male per la pressione, le ossa del bacino premere contro al granito nel tentativo di diventare quasi un tutt'uno, ma alla fine sfiorò i contorni dell'oggetto, riconoscendoli.

Sgranò gli occhi in un gesto di totale sorpresa e, incurante di ciò che avrebbe potuto causarle un simile contatto, ne afferrò la parte più lucente.

Era la prima volta che toccava dell'argento senza alcuna protezione, le era stato insegnato d'evitarlo in ogni modo se non voleva mostrare al mondo umano la sua vera natura o venire in qualche maniera deturpata dal suo potere, ma in quel momento non le importò di alcuna conseguenza, aveva ben altro che il proprio corpo a cui pensare.

Così, appena Aralyn toccò la lama di quell'artefatto sentì la carne delle dita venir bruciata da qualcosa simile ad acqua bollente, una sorta di ustione la fece sobbalzare. Fu così doloroso che dovette allontanare l'arto, mordersi la lingua per non urlare e stringere le palpebre per non scoppiare nuovamente a piangere.

Stupida! si disse, scrutando i danni riportati e dando finalmente un nome definitivo a quell'oggetto.

I polpastrelli erano arrossati, la pelle gonfia e in procinto di dar sfogo a piccole bolle - una visione che le diede il voltastomaco, ma che non la dissuadette dal tentare un'altra volta. 
Non importava se l'argento l'avesse corrosa fino alle ossa, lei avrebbe preso quello stupido Pugnale della Luna e lo avrebbe usato per uccidere qualsiasi Menalcan le si fosse parato innanzi; meglio ancora se fosse stato proprio Gabriel la sua vittima.

Cosa c'era di più importante di portar via Arwen da quell'edificio? Se lui si fosse allontanato, evitando di lasciarci le penne, anche Joseph sarebbe sopravvissuto.

A quel punto, Aralyn rimise mano sull'artefatto, questa volta con molta più convinzione. Tirandolo verso di sé, provò a liberarlo dal nascondiglio che Douglas si era premurato di trovargli, allontanandolo dagli occhi indiscreti di qualsiasi ladro.

Il bruciore si fece più intenso a ogni secondo di contatto: aghi di fuoco presero a penetrarle la carne con sempre maggiore intensità, spingendosi dal palmo lungo il polso, fino ad arrivare al morso che aveva sull'avambraccio. Le parve persino di sentir ribollire i bordi della ferita per quanto quella sensazione fosse forte e destabilizzante - ma non era la prima, e men che meno sarebbe stata l'ultima, sofferenza della sua vita.

Diede uno strattone, secco, e d'improvviso sentì cedere il blocco che tratteneva l'arma. Forse stava davvero per riuscire a riprenderselo!

Tirò ancora, questa volta con la certezza di poter ottenere ciò che desiderava e, prima che riuscisse realmente a rendersene conto, si ritrovò con la schiena contro il muro, il braccio destro quasi completamente insensibile e gli occhi pieni di una visione che le apparve idilliaca.

Eccolo! pensò, è lui!

Senza la sua custodia in cuoio lavorato si presentava con tutt'altro aspetto, ma nulla, nella sua perfezione, riusciva a dire qualcosa che non fosse "Morte". Era scritto in ogni incisione, nel modo in cui le teste di lupo si susseguivano sulla superficie liscia della lama per arrivare in prossimità della punta.

Magnifico e mortale, esattamente come lo aveva percepito la prima volta.

Di fronte a tale visione un ghigno soddisfatto le riempì il viso. Aveva l'arma perfetta, il cimelio più temuto dal mondo a cui apparteneva, il mezzo con cui avrebbe salvato sé stessa, Arwen e Joseph - era lì, accanto a lei e pronto per essere usato. Come però, sarebbe rimasto ancora per un po' un dubbio. Non aveva mai brandito un pugnale in tutti i suoi anni di vita, perché tutto ciò che le era sempre bastato era stato il suo corpo animale, ma d'improvviso quella notte non aveva avuto più alcun valore. Loro, i capostipiti Menalcan, erano forti, molto più di quanto fosse lei dopo tutto il tempo passato ad allenarsi, esattamente come le aveva raccontato il fratello anni prima; la sua immaginazione però non si era mai spinta così in là, nemmeno quando lui era tornato a casa in quello stato pietoso - una parte di lei, la più illusa, aveva sempre creduto di poter tenergli testa un giorno, ma la realtà l'aveva schiaffeggiata con una certa violenza, lasciandole addosso i segni della furia del primogenito del capoclan.

L'artefatto che ora la fissava dal pavimento invece era il modo migliore per accorciare quel divario e aiutarla a contrastare tutta la violenza che stava avendo la meglio su di lei, Arwen e il branco.

Così, ebbra di quelle sensazioni si protese verso l'oggetto, ma le falangi parvero tutto tranne che intenzionate a piegarsi per afferrarlo. In qualche modo il suo corpo si stava opponendo a ulteriori danni. 
L'arto le tremava terribilmente e un alone di sangue copriva buona parte dell'epidermide. Se il bruciore dell'argento era sparito non si poteva dire altrettanto dei postumi del suo potere. Ma sarebbe stato permanente?

Un rumore tuonò sulla porta della stanza e lei sussultò, colta alla sprovvista.

Le sue attenzioni saettarono verso l'anta in legno e, d'improvviso, capì che non c'era più tempo per perdersi in simili sciocchezze. 
Aveva lasciato Arwen da solo a vedersela con due nemici e, solo quello, avrebbe dovuto farla sentire orribile, la più miserabile e vigliacca tra i membri del clan. Per questo doveva accantonare tutti quei pensieri e correre da lui, così, seppur non fosse mancina e si trovasse a disagio, afferrò l'elsa del Pugnale con la mano sinistra e in uno scatto si portò verso la maniglia d'ottone. L'abbassò senza riflettere, venendo investita dalla luce artificiale dello studio da cui era fuggita solo pochi minuti prima. 
Qualsiasi cosa vi fosse stata oltre, pensò, le sarebbe andata incontro armata di quanta più volontà fosse riuscita a trovare dentro il proprio corpo.

Non c'erano altre alternative, dopotutto.

Subito dopo aver superato la soglia, Aralyn venne accecata dalla diversa luminosità tra i due spazi, così fu costretta a coprirsi con un braccio, in modo da evitare qualsiasi effetto indesiderato. Per colpa di quel movimento però, dovette ridurre la propria visibilità e così non si accorse della vicinanza con un qualche licantropo che, nella foga dello scontro, le andò addosso sbattendola a terra.

«Merda!» le sfuggì colpendo il coccige contro il rialzo del camino. Non era nemmeno riuscita a farsi largo nella battaglia che la sua stabilità umana l'aveva già tradita - quel corpo non era adatto a una simile situazione, eppure se si fosse trasformata non sarebbe riuscita a tenere il Pugnale, tornando nuovamente inutile.

Si morse il labbro, provando a mantenersi il più lucida possibile. Non era né il momento, né il luogo giusto per demoralizzarsi o perdersi in sciocchezze.

I ringhi si agitavano nello spazio intorno a lei, anche se non avrebbe saputo dire da quale direzione arrivassero esattamente - le ci volle qualche istante prima di riuscire a riprendere completo controllo sui propri occhi e, a quel punto, scorse qualcosa che non avrebbe voluto vedere.

Arwen era bloccato in un angolo, spalle al muro. Aveva un occhio chiuso a causa del sangue che vi colava sopra e la gamba offesa era piegata in modo preoccupante. Nonostante il netto svantaggio però, continuava a minacciare i propri nemici con le zanne. Non si sarebbe arreso fino all'ultimo, come un vero soldato, ma ciò gli sarebbe costato la vita se lei non si fosse sbrigata.

Sia Douglas sia Gabriel gli erano addosso, pronti a ucciderlo in qualsiasi momento e, di conseguenza, a liberarsi per sempre di una delle più fastidiose spine che il Duca avesse cercato di infilzare nei loro fianchi.
Minare le file di Carlyle era tutto ciò che interessava loro e, qualsiasi occasione gli si fosse presentata, l'avrebbero colta.

Dannazione!
Dannazione, dannazione, dannazione! Ripeté tra sé e sé più volte, sentendosi soffocare di fronte alla possibilità di essersi mossa con davvero troppa lentezza e aver così mandato tutto a quel paese - non bastava Joseph privo di sensi, da cui sarebbe voluta correre ignorando il mondo intero, ora anche suo fratello stava per essere sopraffatto. Ma se uno era momentaneamente al sicuro, sia perché si trovava nel proprio territorio, sia perché l'unica persona a volerlo morto era ora occupata, l'altro non poteva assolutamente dirsi in salvo. E lei doveva prendere una decisione. Alla svelta.

Aveva sempre combattuto per lui, sacrificando ogni cosa - e quell'occasione non sarebbe stata da meno.

Così Aralyn si gonfiò il petto d'aria. In fin dei conti era armata, quindi nel bene o nel male sarebbe riuscita a essere d'aiuto, no?

«Ehi, vecchio stronzo!» gridò dal suo angolo, sentendosi una folle. Se avesse liberato Arwen di quell'uomo almeno, forse gli avrebbe dato modo di trovare una soluzione al guaio in cui si erano cacciati. Gabriel dopotutto aveva subìto molte più ferite, quindi non doveva essere poi tanto in forze d'affrontare lo scontro con il suo acerrimo nemico, constatò la ragazza. Forse suo fratello avrebbe potuto in qualche modo tenergli testa o fuggire via; sarebbe bastato quello.

Chi rispose però, non fu l'Alpha, bensì il figlio maggiore.

Douglas nemmeno la degnò d'uno sguardo, semplicemente allargò il ghigno, infastidito da quell'epiteto. 
L'aveva sentita, ma era una pulce così piccola in confronto al fratello che non valeva le sue attenzioni - ma quelle del suo lacchè sì.

Gabriel la puntò con il suo muso ferino, negli occhi un lampo assassino. Chissà quanto doveva aver sofferto il fatto che gli fosse sfuggita e quanto, adesso, la desiderasse morta.

Aralyn riuscì a immaginarsi nuovamente i denti di lui addosso, ma si costrinse a non andare oltre; non volle pensare a quanto male le avrebbe fatto o quali atrocità avrebbe deciso di perpetrare nei suoi confronti - sapeva che sarebbero state le peggiori che avrebbe mai subìto, se non le ultime.

Il Puro la caricò, allargando le fauci ancor prima di esserle addosso.
Bramava la sua vita più di qualsiasi altra cosa, era così ovvio! Eppure doveva resistere, colpirlo con l'arma che stringeva tra le dita prima che lui potesse ucciderla o Arwen sopperire a Douglas.

Veloce! Vai via veloce, s'incitò nel percepire la presenza del lupo sempre più vicina, asfissiante.
Sapeva bene di non poterlo contrastare in una circostanza del genere, forte di una spinta che le sue gambe animali rendevano ancora più minacciosa; doveva assalirlo quando era fermo, in modo da essere certa di colpire il punto giusto e impedire alla lama di uscire dalla carne prima del dovuto.

Così, in un movimento lesto, scartò di lato, sfuggendo di qualche centimetro ai denti di lui.
Il fiato di Gabriel però le sfiorò il piede, spaventandola più di quanto potesse credere. Persino con tutta la volontà del mondo, conscia di dover dare una possibilità di salvezza agli altri, temette di morire.

Gattonò via quanto più agilmente le permisero le ferite e allo stesso modo si mise dritta, afferrando alla bene e meglio l'elsa con entrambe le mani, puntando poi con decisione la lama del Pugnale verso il suo aggressore.

Tremava, ma provò comunque a non darlo a vedere. E se avesse fallito? Sarebbe stata la fine dei Calhum, del branco e della loro battaglia per un'uguaglianza da troppo tempo negata.
In quel frangente, sentendo il peso delle responsabilità comprimerle il torace, si permise di deglutire.

Gabriel, dall'angolo in cui prima si trovava lei, la studiò con un certo ribrezzo nello sguardo.
Doveva aver capito con cosa lo stava minacciando e, per questo, aveva arrestato la sua foga, ma non l'avanzata. Ad ogni zampa in avanti di lui, lei muoveva un passo indietro. 
Doveva trovare ridicolo che una come lei tenesse con tale speranza un oggetto destinato a esseri nobili come i purosangue.
Aralyn avrebbe voluto dirgli qualcosa d'effetto, fargli sentire il pericolo, concretizzare il rischio a cui stava andando incontro e fargli capire quanto poco le importasse ciò che lui credeva  - eppure non le venne in mente nulla, se non il pensiero che le gambe le stessero diventando ogni minuto sempre più molli.

Era lui quello intimidatorio, lui ciò che più di tutto la spaventava.
Ed era ridicolo no? Dopotutto era tornata lì per essere lei a generare paura in Gabriel, non il contrario.

Si aggrappò all'arma con forza, stringendo la mandibola per impedirsi di cedere.
Resistere, le bastava quello: compiere un ultimo atto di fede e augurarsi che qualcosa potesse accadere per salvarli tutti. Ma non poteva più chiedere benevolenza agli Dèi, l'avevano già graziata a sufficienza quella notte. Era sola e si doveva bastare, non c'era nessuno a proteggerla, ora.

Immersa in quei pensieri non si accorse di essere giunta oltre il centro della stanza, alla mercé di chiunque; così, quando dal nulla un guaito la fece distrarre, il cuore le si incastrò in gola, bloccandole il respiro. 
Fu il monito familiare di un pericolo imminente, il verso con cui suo fratello provò un'ultima volta a proteggerla da un destino infame, sempre pronto a colpirli alle spalle.

Un istante, nulla più. Quello fu il tempo che le bastò per scorgere l'ombra di Douglas piombarle sopra con un salto. 
I suoi artigli le calarono addosso prima che il corpo potesse prepararsi all'impatto, entrarono nella carne con una violenza che le parve innaturale per un vecchio del suo calibro. Le lacerarono la pelle, i muscoli dell'addome e, forse, persino le viscere, procurandole un dolore talmente intenso che un brivido freddo la scosse nel profondo, preannunciando il peggio.

Quello, era morire veramente, si disse.

L'equilibro venne meno e la gravità la spinse a terra.
Douglas l'aveva colpita nel profondo, questa fu l'unica cosa certa. Le sue unghie erano penetrate poco sotto alle costole che gli aveva incrinato, logorando qualcosa che probabilmente doveva essere per lei vitale.

Bastardo! Inveì un'ultima volta, guardandolo con un misto d'odio e stupore nello sguardo, lo stesso che trovò sul suo viso animale, ora troppo vicino per non vederne la nauseante cattiveria.
Aralyn si sentì cedere, avvertì il proprio corpo umano perdere sensibilità e, prima che ogni cosa potesse sparire dalla sua percezione, distolse l'attenzione dal nemico per lanciare un ultimo saluto oltre le spalle di Gabriel Menalcan, lì dove incontrò gli occhi di Joseph, sbarrati di paura.
Fece un mezzo sorriso, poi la botta della nuca contro il granito cancellò ogni cosa intorno a lei, anche il dolore.

Possano Manàgmar, Arawn e la Madre Luna avere pietà di noi.



The End

   
 
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