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Autore: Phronesis    30/01/2020    0 recensioni
Gabriel, nato e cresciuto nel quartiere parigino di Montmartre, personalità variegata, complessa e dalle mille misteriose sfaccettature. Raffinato, attraente, esigente professore universitario, con la passione smisurata per l’arte.
Clio, nata e cresciuta a Roma, ragazza semplice e riservata, studentessa diligente e caparbia nel perseguire i propri obiettivi.
Tuttavia, l’immagine che ognuno ha creato di sé non è mai immutabile, quello che crediamo di essere può in qualsiasi momento essere messo in discussione, all’improvviso, portando alla decostruzione del proprio io nel più totale sconcerto.
Gabriel e Clio dovranno imparare a fare i conti con queste nuove emozioni, ad accettare una versione di loro stessi che non avevano mai conosciuto prima di allora, a spingersi oltre i propri limiti per assecondare e scoprire i loro desideri più reconditi.
Ma per due persone che hanno sempre raggiunto i propri obiettivi con costanza e sacrificio, calcolando anche il più minimo imprevisto, sarà difficile accettare che a volte la vita ha in serbo altri programmi.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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Capitolo VI

Gabriel Pov.

Arrivò il lunedì. A differenza di tutto il resto del mondo amavo i lunedì; una nuova settimana cominciava e con essa, mille infinite possibilità si dispiegavano.
Quel giorno arrivai in facoltà in netto anticipo, avevo molto lavoro da sbrigare in vista degli esami imminenti e inoltre avrei dovuto organizzare un paio di seminari.
Era una bellissima giornata, l'aria fresca e a tratti pungente faceva venir voglia di fare una lunga passeggiata nella natura; decisi infatti di prendere i mezzi pubblici anziché l’auto in modo tale da prendere una boccata d'aria. La notte precedente c'era stato un brutto temporale, alcune strade erano ancora allagate, ma per fortuna il cielo si era aperto e dava speranze, anche se il petricore salito dalla terra mi solleticava le narici, quanto amavo quella sensazione.
Arrivato in dipartimento mi fermai con un collega a prendere un caffè bollente, era quello che ci voleva per attivare il cervello. Stranamente non mi mancava affatto quello americano, lungo, a cui ero stato abituato per una vita intera; da quando ero in Italia ormai l'espresso aveva rubato il mio cuore. Lessi una frase una volta che recitava: “le cose migliori succedono tutte dopo il primo caffè”.
Salutai il professor Ambrogi, docente di Letteratura Italiana e da qualche mese anche mio amico, e mi diressi verso l'ascensore che mi avrebbe condotto al mio ufficio.
Non appena le porte si aprirono vidi la signorina Cavaglia che trascinava in modo concitato una ragazza bionda, stavano per entrare nei bagni quando mi videro, e fu dopo qualche istante di imbarazzo che l’altra ragazza ruppe il ghiaccio con uno sfacciato “Buongiorno”.
Rimasi ancora qualche istante in silenzio, mettendo insieme i vari pezzi di puzzle nel mio cervello. Non mi ero sbagliato, Clio era proprio la ragazza che avevo visto quella sera al bar, ed ora che avevo riconosciuto la sua amica ne ebbi la conferma.
La invitai frettolosamente ad entrare nel mio ufficio, mentre con la testa bassa proseguii a passo svelto in direzione del corridoio evitando a tutti i costi di incrociare lo sguardo di quella bionda prima che mi riconoscesse.
Diedi avvio al computer e pochi istanti dopo il ticchettio delle scarpe sul pavimento mi preannunciò l’ingresso di Clio.
«Buongiorno professore»
Distolsi lo sguardo dallo schermo e soltanto in quel momento mi focalizzai sulla sua mise che le donava un’aria più da donna rispetto alle altre volte in cui l’avevo vista, ne apprezzai l’elegante sensualità che emanava.
Mi alzai per stringerle la mano, indicandole poi la sedia per farla accomodare.
La osservavo stringere spasmodicamente un raccoglitore al petto mentre contemporaneamente tentava di tirare giù la gonna in un chiaro segno di imbarazzo.
«Vuole che aumenti un po’ la temperatura?» indicai il telecomando dell’aria climatizzata.
«Sto bene così, la ringrazio»
Eppure continuava a dondolarsi lievemente sulla sedia, manifestando un senso di ingiustificata inadeguatezza.
«Mi ricordi l’argomento della sua tesi» chiesi per permetterle di uscire da quell’impasse in cui pareva essersi imbattuta.
Questo sembrò ridestarla, prese dei fogli e li riordinò metodicamente sulla scrivania iniziando ad esporre il suo elaborato.
«Professore a suo tempo ho concordato con la professoressa Biondi che avrei trattato del mito di Amore e Psiche su tre livelli. Il primo capitolo da un punto di vista letterario, basandomi sull’opera di Apuleio. Il secondo capitolo basato su François Gerard ed il suo dipinto. Il terzo capitolo sull’opera scultorea di Canova»
In un istante potei notare il suo repentino cambio d’umore, parlava e gesticolava con le mani con un’aria più rilassata, competente e sicura di sé. Gli occhi erano diventati lucidi, risaltandone ancor di più il colore, a tratti aveva lo sguardo rivolto verso l’alto come a seguire una linea immaginaria di pensiero.
Sapeva quello che diceva e come dirlo, mi ricordò un giovane me affamato di conoscenza.
Mi affascinò parecchio, durante la mia carriera di professore erano stati pochi gli studenti che avevano saputo regalarmi delle soddisfazioni, per questo motivo ero solito accettare l’incarico di relatore soltanto di coloro che sapevo essere realmente validi.
Quando Francesca mi aveva delegato di seguire i suoi tesisti avevo accettato solo per un senso di dovere e di cortesia, dopotutto lei era sempre stata ben disposta nei miei confronti; mi ero già rassegnato all’idea di trovarmi di fronte a degli argomenti mediocri, ma ora sembravo vedere finalmente uno spiraglio di luce.
Mi bastarono quelle poche parole proferite per capire che Clio avesse un’apertura mentale e un modo di approcciarsi allo studio non comune alla massa.
Si preannunciavano mesi di interessante e fecondo lavoro insieme.
«Trovo che la sua visione a trecentosessanta gradi sia davvero interessante.
Ho scritto delle relazioni sul tema che potrebbero tornarle utili, mi ricorderò di portargliele al prossimo incontro»
«La ringrazio» disse con un debole sorriso.
«Non so se lei mastica il francese, ma se dovesse avere delle difficoltà sarò ben lieto di aiutarla. Inoltre conto di vederla alla mostra di Canova questo venerdì» le dissi come in un monito.
«Certo, la professoressa Biondi mi ha già fornito degli ingressi»
«Très bien» esclamai compiaciuto.
Guardai l’ora rendendomi conto – con sorpresa – di essere andato oltre il mio orario di ricevimento, come al solito i miei interessi mi facevano perdere la cognizione del tempo.
«Signorina Cavaglia mi perdoni ma ora devo salutarla, la contatterò per fissare il prossimo appuntamento in base ai miei impegni»
Mi salutò garbatamente e rimasi ad osservarla fino a quando la porta del mio ufficio non si richiuse alle sue spalle.
Preparai alcune carte da portare in segreteria, dovevo consegnare le autorizzazioni per una visita ai musei capitolini con tutti gli studenti del mio corso. Ero veramente in ritardo per andare in aeroporto, camminavo a passo svelto per i corridoi quando fui fermato da uno dei miei nuovi tesisti ma dovetti invitarlo a mandarmi una mail per discutere di qualsiasi cosa volesse chiedermi.
«Bonjour Sonia» salutai la ragazza dietro al desk.
«Buongiorno Professor Lacroix, come posso aiutarla?»
«Le devo lasciare questi documenti, può sistemarli lei? Sono veramente di fretta» le consegnai il plico senza nemmeno preoccuparmi di attendere una risposta «Le auguro una buona giornata» dissi voltando le spalle per andar via, mentre lei ricambiava interdetta il mio saluto.
Uscii di corsa dalla facoltà e mi gettai quasi per strada fermando un taxi al volo chiedendo allo chauffeur di portarmi all’aeroporto di Fiumicino.
Il mio cellulare iniziò a squillare, lo estrassi dal taschino interno del cappotto.
“Maleditiòn” esclamai, beccandomi un’occhiataccia dallo specchietto retrovisore.
«Allo?» risposi «Oui, je suis presque. Excuse moi»*
Non appena arrivammo davanti l’aeroporto lasciai cinquanta euro al tassista anche se il tassametro segnava molto meno.
«Tenga pure il resto. Merçi»
Mi allontanai alla svelta, diretto al gate degli arrivi. Come in ogni luogo di arrivi e partenze regnava il caos, iniziai a guardarmi tra la folla di chi aspettava i bagagli e chi riabbracciava qualche persona cara.
«GABRIEL!» mi sentii chiamare a gran voce.
Voltandomi incrociai lo sguardo del mio migliore amico di sempre, Jacques.
Aveva la solita aria selvaggia con i capelli un po’ lunghi che ricadevano spettinati sul volto, il cappotto aperto sul davanti con l’immancabile reflex appesa al collo quasi come fosse un’estensione naturale del suo corpo.
«Mon ami» gli andai incontro stringendolo in un forte abbraccio.
Erano più di sei mesi che non ci vedevamo, ognuno impegnato col suo lavoro, eppure ogni volta era come se ci fossimo lasciati solo il giorno prima.
«Ti trovo bene , mi avevi detto durante le nostre telefonate che ami la cucina italiana»
Mi pizzicò scherzosamente il fianco, alludendo al fatto che avessi messo su un paio di kili da quando ero arrivato in Italia.
Risi di gusto.
«Fossi in te non farei tanto lo sbruffone, ne riparleremo tra un mese quando dovrai andare via» gli diedi un pugno scherzoso sul petto «Vieni, andiamo a casa a sistemarci e poi usciamo per cena» presi uno dei suoi bagagli e mi avviai verso l’uscita.
Qualche ora più tardi, e diversi calici di vino dopo, eravamo seduti in un’antica osteria romana a raccontarci le vicende degli ultimi mesi.
«Sai, l’ultimo soggiorno in Brasile mi ha un pò destabilizzato. Tre mesi sono stati tanti, troppi. Ho conosciuto tante persone e tante storie…»
«Ti vedo un pò provato, deve averti colpito proprio tanto»
«Ho immortalato ogni istante, ogni volto e sguardo di quella gente così povera, ma cosi felice»
Non avevo mai visto Jacques così, per la prima volta avvertivo il suo tormento interiore; avevo sempre ammirato il suo lavoro, viaggiare per il mondo e conoscere le culture più disparate, immergersi a fondo nelle loro vite e catturare ogni attimo con la sua fotocamera.
Ma come ogni cosa aveva i suoi lati negativi; non era semplice, era una continua fuga dalla routine quotidiana e ciò non gli aveva mai consentito di raggiungere una stabilità fisica e affettiva allo stesso tempo.
«Ma adesso basta parlare di me. Tu piuttosto, raccontami come ti stai trovando qui in Italia. Ha fatto più strage di bocciati  o di cuori, Professor Lacroix?» disse facendomi l’occhiolino.
Non perdeva mai tempo per fare battute e allusioni.
Tra i due era sempre stato quello più scapestrato, leggero ed esibizionista.
«Forse hai rimosso il fatto che sono sposato, caro amico mio »
«Ah si? Eppure non vedo nessuna fede su quell’anulare. D’altronde ancora non mi capacito di come tu abbia fatto a condannarti con le tue stesse mani. Devo essere sincero e forse, complice il vino, ti dirò che non ho mai creduto veramente in voi»
«Vorrei ricordare al mio testimone che sono passati sei anni da quando il prete ha pronunciato le fatidiche parole: “Chi ha qualcosa da dire parli ora o taccia per sempre”»
Stavamo entrando in un argomento off limits, così bevvi un altro sorso dal mio calice.
Jacques mi conosceva da più di vent’anni, sapeva tutto di me ed era consapevole che il mio non era il solito matrimonio.
Avevo conosciuto Sabine in circostanze particolari, la nostra era sempre stata un’unione principalmente di intelletto; eravamo accomunati dal condurre una vita frenetica, sempre in giro per il mondo, io per la mia carriera universitaria, lei con i suoi convegni medici.
«Forse se la storia continua tra di voi, è solo perché vi vedete poco o niente…»
Rise scioccamente della sua stessa sagacia alzando il calice in senso di autocompiacimento per ciò che aveva detto.
Scossi la testa rassegnato, Jacques non sarebbe cambiato mai.
Guardai l’ora, l’orologio segnava le undici; il tempo era passato in fretta e senza rendercene conto.
Mi affrettai a pagare il conto e ci incamminammo verso casa apprezzando la brezza serale; Jacques che era abituato alle nevicate parigine trovava strano che novembre riservasse a Roma un clima relativamente mite.
Ad un tratto ci girammo entrambi di scatto, catturati dal rombo di una moto che risuonava nel silenzio della notte; lo sguardo di Jacques rapì il mio in un silenzio  eloquente. Un brivido mi risalì lungo la schiena propagandosi fino alla nuca, nel punto in cui  istintivamente avevo portato la mano a toccare il segno tangibile di un momento cruciale della mia vita.
Sentii la presa affettuosa di Jacques sulla mia spalla, gli sorrisi per rassicurarlo, non sopportavo l’idea che potesse sentirsi ancora in colpa dopo tutti questi anni, ma in fondo sapevo che era così.
Da quel giorno non era più salito su una moto e quel brutto incidente gli aveva causato non pochi problemi con sé stesso e con gli altri.
«Dovresti smetterla di rimuginare sul passato, dai andiamo a casa che ho voglia di vedere il tuo ultimo documentario mentre ci scoliamo due birre»
Ci incamminammo e in un batter d’occhio ci ritrovammo sul divano davanti al televisore  a ridere come matti quando partì per sbaglio una ripresa di Jacques mentre si cimentava in una danza tipica del posto.
Con lui si finiva sempre così, riusciva a riportare a galla il mio lato più giovanile e spensierato e sentivo che questo non sarebbe mai cambiato.

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*Sono quasi arrivato. Scusami.

 
   
 
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