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Autore: Orenya    01/02/2020    1 recensioni
"Aveva creduto che con la corona sarebbero arrivati il rispetto, la gloria, l'affetto di coloro che lo avevano sempre circondato, ma per i quali aveva sempre creduto di essere invisibile. Invece, gli era sempre più chiaro che quella che all'inizio del suo regno gli era sembrata semplice diffidenza si stesse tramutando sempre più velocemente in sconforto e malcontento. Il peggio, però, era che ciò che vedeva quando chiudeva gli occhi per cercare riposo aveva iniziato a far vacillare persino le sue convinzioni sull'aldilà."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Scar, Zira
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quando aprì gli occhi, istintivamente li rivolse verso l'ingresso della caverna, e immaginò che dovesse essere ancora notte fonda. Quella si era rivelata essere l'ennesima di molte notti insonni, alle quali si era ormai arreso; si era appena svegliato di soprassalto, come gli era già capitato molte altre volte. Udì distintamente il frinire dei grilli nel buio al di fuori della tana, e fu allora che ebbe la certezza che fosse ancora notte. Da molti giorni, nei cieli sopra la Rupe dei Re si era formata una coltre di nubi talmente oscura e fitta da impedire quasi del tutto il penetrare dei raggi del sole, cosa che aveva iniziato a rendere davvero arduo per lui e per le leonesse distinguere l'arrivo dell'aurora. Aveva osato sperare che quelle nubi portassero finalmente un po' di sollievo dalla gelida morsa della siccità che aveva attanagliato il suo regno fin quasi dal principio; tuttavia, con suo gran rammarico, aveva presto dovuto accettare che non una sola goccia di pioggia avrebbe bagnato il suolo inaridito della savana. Quelle nubi che tanto avevano fatto ben sperare sembravano ormai sostare sulle Terre del Branco come a prendersi gioco di lui, o come se gli spettri dei Grandi Re, dagli echi del passato dove sopravviveva la loro memoria, volessero deriderlo.
O punirlo, sussurrò una voce appena udibile tra i suoi pensieri, ma Scar la zittì immediatamente.
No, quelle erano solo sciocchezze. Superstizioni alle quali non aveva mai voluto dare troppo peso. Non c'era vita dopo la morte, era questo ciò che aveva sempre sostenuto con un certo sprezzo fin da giovanissimo, più che altro per il semplice gusto di contraddire gli insegnamenti di suo padre, ma col passare del tempo si era convinto che nella vita contasse solo l'autodeterminazione, che il più forte dovesse prevalere con ogni mezzo in un gioco senza esclusione di colpi, in cui dare ascolto ai moralismi della coscienza era il modo migliore per farsi assoggettare e schiacciare. E lui aveva dato prova di essere il più forte. Aveva dato prova a se stesso della misura infinita della propria ambizione, che l'aveva portato a ciò che aveva sempre bramato sopra ogni cosa.
Eppure, da un po' di tempo, una strana consapevolezza aveva preso a farsi strada in lui; una voce che aveva iniziato ad insinuarsi tra i suoi pensieri, prima flebile come un sospiro, ma che nel tempo era diventata sempre più distinta, e che gli sussurrava parole che si imponeva di non ascoltare. Gli rammentava che il regno che si era preso con la forza, il regno che era sempre stato convinto fosse destinato a lui, non era l'incoronazione del sogno di una vita, ma un macigno il cui peso aveva creduto ingenuamente di poter sopportare. Gli rammentava anche  che camminava in bilico su un filo sottilissimo, e che la pazienza dei suoi sudditi andava scemando ogni giorno di più. Cresceva la consapevolezza, e con essa cresceva il senso di impotenza e di frustrazione. Aveva creduto che con la corona sarebbero arrivati il rispetto, la gloria, l'affetto di coloro che lo avevano sempre circondato, ma per i quali aveva sempre creduto di essere invisibile. Invece, gli era sempre più chiaro che quella che all'inizio del suo regno gli era sembrata semplice diffidenza si stesse tramutando sempre più velocemente in sconforto e malcontento.
Il peggio, però, era che ciò che vedeva quando chiudeva gli occhi per cercare riposo aveva iniziato a far vacillare persino le sue convinzioni sull'aldilà.
Per alcuni istanti fissò lo sguardo nel buio, perso in quel turbinio di pensieri, il petto sempre più attanagliato da una sensazione di gelo. Improvvisamente, però, allontanò quelle preoccupazioni con un verso sprezzante e si incamminò silenziosamente verso la bocca della caverna, nella speranza di respirare un po' d'aria fresca. La difficile condizione in cui versavano le Terre del Branco non era colpa sua. Non gli importava cosa dicessero le malelingue. La siccità era un evento indipendente dalle sue azioni, ed era del tutto casuale, non certo opera di spiriti o altre simili idiozie; il suo predecessore, come in tutto, del resto, era semplicemente stato più fortunato di lui, pensò amareggiato.
Volse lo sguardo alle sue spalle, posandolo sull'unica altra figura visibile nella piccola caverna dove avevano preso l'abitudine di trascorrere le notti. Zira sembrava profondamente addormentata, e non aveva dato segno di essersi accorta del fatto che lui non fosse più al suo fianco. A differenza sua, lei non aveva perso il sonno, anzi, sembrava quasi riporre una cieca fiducia in un imminente miglioramento. Nel guardarla, gli tornò in mente il giorno in cui lei, col suo branco di leonesse nomadi, era comparsa ai piedi della Rupe, chiedendogli di unirsi a loro. Provenivano da terre poco generose, ed in cambio di protezione e cibo in abbondanza gli avevano garantito la loro abilità nella caccia e, naturalmente, la loro totale fedeltà. Correvano tempi migliori, e all'epoca un branco più nutrito e completamente asservito alla sua volontà gli era parso un ottimo mezzo attraverso cui fortificare e stabilizzare la sua posizione; non l'avrebbe mai ammesso apertamente, ma aveva anche segretamente sperato che più leonesse lo avrebbero aiutato a tenere a bada le iene, che col tempo avevano iniziato a pretendere sempre più carne, e i loro ghigni compiaciuti avevano cominciato a farsi sempre meno benevoli nei confronti del loro benefattore. All'inizio, l'alleanza aveva dato prova di essere stata una giusta intuizione, ma ciò che lo aveva colpito di più era l'atteggiamento di Zira: la sua iniziale diffidenza nei confronti della leonessa si era rivelata presto completamente malriposta. Non solo aveva dimostrato di non avere cattive intenzioni e di voler tenere fede ai propri impegni verso il suo nuovo branco, ma in breve tempo aveva trasformato la sua riconoscenza in obbedienza, e l'obbedienza in totale abnegazione. E, di lì a poco, l'abnegazione della leonessa aveva preso a  manifestarsi attraverso un sentimento più profondo e complesso. Dal canto suo, Scar aveva impiegato del tempo a comprenderlo ma, quando poi gli fu chiaro, valutò bene come avrebbe potuto sfruttare la cosa, poiché sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto preoccuparsi di generare un erede. Di Zira ammirava la sua totale fedeltà, sapeva di potersi fidare di lei, e per questo la rispettava. Tanta era la sua fiducia, che le aveva confidato i suoi più oscuri segreti; anche allora riuscì a sorprenderlo, poiché l'atteggiamento che la leonessa aveva nei suoi confronti non mutò minimamente, anzi, la sua stima e ammirazione sembrarono crescere ancora. Si era domandato spesso se quello che provava per lei fosse affetto; quella domanda gli riportava sempre alla mente il ricordo di sua madre, l'unica che gli avesse mai dedicato cure e attenzioni in maniera del tutto disinteressata e amorevole, almeno per quel che ricordasse, ma lei era ormai scomparsa da molto tempo e quei ricordi gli sembravano quasi  appartenere ad un'altra vita. Non era certo di ricordarsi cosa significasse provare affetto verso qualcuno, e, anche se immaginava che per Zira si sarebbe trattato di un sentimento diverso, non era mai riuscito a darsi una risposta.
In quel momento, lo sguardo gli cadde sul ventre della sua compagna, ormai visibilmente gonfio, che si muoveva lentamente al ritmo dei suoi profondi respiri, e la sua  mente corse alle assillanti lamentele sulla scarsità di cibo e acqua che da un po' di tempo serpeggiavano tra alcuni membri del branco e persino tra le iene, che si erano dimostrate molto più insolenti nel dare voce alle proprie rimostranze. Quasi come se temesse che il suo sguardo insistente potesse svegliare la sua compagna, Scar si voltò di nuovo verso l'esterno, dove cominciava vagamente a distinguersi il panorama. Era consapevole che un erede fosse necessario, ma non poteva certo negare che un'altra bocca da sfamare stesse arrivando proprio nel momento meno propizio.
Improvvisamente, una voce lo distrasse da quei pensieri e lo riportò alla realtà.
«Un'altra notte insonne?» gli domandò Zira, che, proprio come aveva immaginato, si era svegliata e aveva sollevato la testa. Lui non le rispose - raramente aveva bisogno di farlo, lei sembrava sempre cogliere ogni suo cambiamento d'umore ed ogni minima sfumatura nella sua espressione, e non era sicuro di come ciò lo facesse sentire. Si limitò a spostare nuovamente lo sguardo verso l'esterno, dove il buio della notte andava via via scemando.
«Ti preoccupi troppo.» aggiunse, dopo un lungo minuto di silenzio. L'unica risposta che ottenne da lui fu un secco verso amareggiato.
«Devi solo avere ancora un po' di pazienza. Queste nubi portano pioggia, non c'è dubbio.» continuò Zira, con aria tranquilla. «L'acqua porrà fine alla siccità, e le mandrie torneranno indietro. Ormai si tratta solo di...»
«Non era la questione metereologica a tenermi sveglio.» la interruppe bruscamente lui, con una nota di amaro sarcasmo nella voce. Zira rimase ancora una volta in silenzio per alcuni istanti, osservandolo attentamente, poi emise un lungo sospiro.
«Hai di nuovo sognato... quell'altra faccenda?» gli domandò, cercando di fare ricorso a tutto il tatto di cui fosse capace. Se da un lato sapeva di godere di una posizione privilegiata, era anche ben consapevole che nemmeno a lei fosse concesso il lusso di menzionare certi accadimenti. O, peggio ancora, certi nomi.
Ancora una volta Scar non rispose e restò immobile, dando le spalle alla caverna.
«Tu sai benissimo di non avere nulla da rimproverarti.» disse lei. «È nella natura delle cose che il più forte abbia la meglio, e tu hai dimostrato di esserlo. Non sempre si tratta di forza bruta, nel tuo caso sono state la forza di spirito e la scaltrezza ad aiutarti.» sentenziò, rivolgendogli un sorrisetto complice, che però lui non vide. Era troppo assorto nei suoi pensieri, e Zira ebbe il dubbio che non avesse ascoltato una sola delle sue parole.
«Tu credi agli spiriti, Zira?» le domandò improvvisamente Scar. Il sorriso della leonessa svaní.
«Di che stai parlando?» chiese lei, colta alla sprovvista da quella domanda, che le parve completamente priva di senso.
«Crescendo, non ti hanno mai raccontato storie di spiriti e antenati? E di un fuoco inestinguibile che divora coloro che dissacrano la loro memoria? Sono in molti qui crederci.» la incalzò lui, continuando ad osservare l'orizzonte appena visibile nella foschia.
«Io credo che tu debba tornare a dormire e smettere per una buona volta di tormentarti con queste assurdità.» replicò lei, seccamente. In quel momento, finalmente, Scar si voltò a guardarla, con un'espressione indecifrabile sul volto; per un terribile istante, Zira temette di aver osato troppo. Con suo grande sollievo, però, Scar abbassò lo sguardo con aria assorta.
«Nemmeno io c'ho mai creduto...» disse.
«Naturalmente. Solo sciocchi superstiziosi possono davvero pensare che...»
«... ma ultimamente il mio sonno è tormentato da visioni terribili.» la interruppe lui, di nuovo. «Lingue di fuoco che lambiscono la Rupe, la avvolgono, e distruggono tutto ciò che incontrano sul loro cammino verso il cielo. Continuo a vedere giganteschi volti indistinguibili nel fumo, occhi malevoli che mi scrutano l'anima...» raccontò, come se stesse parlando con se stesso, come se lei non fosse lì ad ascoltare quella confessione. Zira lo scrutò con aria interrogativa, preoccupata nel vederlo in quello stato: raramente appariva così scosso, e capì che qualcosa doveva averlo profondamente turbato.
«Sono solo sogni.» rispose, cercando di assumere un tono risoluto, nel tentativo di tranquillizzarlo. «Nulla di più. In questo periodo hai molti pensieri, è normale che non sia più in te. Sono quelle maledette leonesse infingarde e piene di pretese che ti riempiono di ansie con le loro continue lamentele.» disse, alzandosi dal suo giaciglio e avvicinandoglisi. «Passerà presto questo periodo buio, e tutto tornerà come prima.»
Lui, però, seppur grato delle sue premurose attenzioni, non sembrò del tutto rincuorato da quelle parole.
«Non hai risposto davvero alla mia domanda.» insistette.
Zira sospirò, facendo roteare gli occhi con aria spazientita.
«Te l'ho detto: penso che siano solo sciocchezze.» replicò. «Prima o poi la morte giunge per tutti, e il mondo là fuori è pieno di pericoli. Chi se n'è andato non torna più indietro per lamentarsene. Nessuno spirito si sta intromettendo tra te e i tuoi sonni tranquilli. Sei solo pieno di pensieri.» disse, e, sperando di aver finalmente posto fine a quella strana conversazione, si voltò e fece per tornare in fondo alla caverna, impaziente di riprendere sonno.
«Io lo vedo.» disse lui, all'improvviso. La leonessa rimase immobile e si voltò a guardarlo, sorpresa, senza sapere bene come reagire.
«Tu credi siano solo dicerie, e non molto tempo fa ne avrei riso anch'io. Eppure, io lo vedo. Sempre.» continuò Scar, fissando gli occhi nei suoi. «Non mi abbandona mai, non mi dà tregua.»
«Ah sì? E invece il moccioso che dice?» cercò di sdrammatizzare Zira, ma lo sguardo gelido e stravolto del suo compagno le fece immediatamente passare la voglia di scherzare. Si rese improvvisamente conto di non averlo mai visto in uno stato del genere e, per la prima volta da quando avevano iniziato a parlarne, un brivido le corse lungo la schiena.
«Non dirai sul serio...?»
«Gli spettri ritornano, Zira. Sussurrano, osservano, additano. Loro sanno. E nel buio profondo della notte, nella dimensione intangibile tra la veglia e il sonno, lui è sempre lì ad attendermi. I suoi occhi mi giudicano, mi chiedono una spiegazione, un perché. E io scopro di non sapere cosa rispondere. Ho troppo timore di farlo. Sento il suo dolore, come se fossi io stesso a precipitare in un baratro senza fine. Non posso fuggire. Ovunque vaghi il mio sguardo, lui è lì.» distolse gli occhi, e li riportò a fissare la linea evanescente dell'orizzonte. «È per questo che non sopporto di sentir pronunciare il suo nome. Lui vive nella memoria di tutti coloro che mi circondano, sono quei maledetti a tenerlo in vita, sussurrando il suo nome, invocandolo. Io voglio solo che sparisca, che mi lasci in pace.»
Il suo volto scarno era ora appena illuminato dalla pallidissima luce del primo sole che traspariva a fatica attraverso la fitta coltre di nubi, e, nel notare quanto fosse scosso e quanto il suo sguardo fosse vitreo e inespressivo, Zira ne fu sconvolta.
«Tu mi dirai che sto solo diventando folle.» disse, voltandosi improvvisamente verso di lei. La leonessa ebbe troppo timore di annuire.
«Allontana questi orribili pensieri di morte dalla tua mente, Scar.» replicò lei, tornando a sedersi al suo fianco, e cercando ancora una volta di fare appello alla propria risolutezza. «Tutto ciò che vedi quando ti addormenti non è reale. Hai fatto ciò che andava fatto, ed è ora che te lo lasci alle spalle. Non lasciare che uno sciocco senso di colpa ti divori. So che non sei un debole, come tutti hanno sempre creduto: dimostralo anche a chi ancora dubita di te. Sopravviveremo a queste difficoltà, e ritroverai la tua pace.» gli disse, seppur ancora sconcertata dalla vaneggiante confessione del suo compagno. «Andrà tutto per il meglio, devi solo avere pazienza.» aggiunse.
Scar, però, ricadde nel suo silenzio, e non aggiunse altro. In quel silenzio vi rimasero a lungo entrambi, seduti all'ingresso della caverna, ad attendere il ritorno del sole.

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Angolo autrice:
salve a tutti! Questa storia introspettiva sul personaggio di Scar è ispirata in particolare ad una scena eliminata dal film, che è stata poi reintrodotta nel musical "Il Re Leone", accompagnata dalla canzone "The Madness of King Scar". In questa scena, viene approfondita la psicologia del personaggio, che ammette di non essere (mai stato) amato da nessuno, e di essere "perseguitato" dal fantasma del fratello, cosa che lo sta portando alla follia ("Zazu, why am I not loved? /  Even in death, his shadow looms over me /  There he is! No! There he is! And there! /  I am perfectly fine! I'm better than Mufasa was I'm revered I am reviled I'm idolized I am despised I'm keeping calm I'm going wild! I tell myself I'm fine Yes I am, no you're not Yes I am, no you're not I tell myself I'm fine No you're not, yes I am, no you're not Yes I am No you're not Yes, no, yes, no, who am I talking to...? /  Nobody loved me, there's the rub, not even as a cub"). 
Spero che questa one shot possa piacervi. Pareri e critiche sono sempre ben accetti. Alla prossima! :) 
   
 
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