Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    04/02/2020    22 recensioni
Era stato l’ultimo ad essere accolto all’agenzia di ricerca di nuovi talenti nel mondo della musica, l’ultimo di conseguenza ad essersi unito al gruppo.
Park Jimin, questo il suo nome: un nome che Jeon Jungkook, neppure con tutta la forza di volontà del mondo avrebbe potuto dimenticare. Un nome che già conosceva, e che aveva imparato a detestare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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N
o time for Regrets

Chaotic new roommates




Intorpidimento.
Mal di schiena.
Prima imprecazione.
Crampo al polpaccio, ginocchio contro lo spigolo del tavolino, sbilanciato dal divano.
Seconda imprecazione.
Un piede in fallo chissà come, chissà dove: rovesciato di lato sul tappeto.
Terza e non ultima.
Il primo risveglio di Jimin nella nuova abitazione non era certo stato dei migliori, come l’idea di adagiarsi su un divanetto in piena notte. Gli occhi ancora chiusi, tentava di capacitarsi del motivo della caduta: quello stesso motivo stava mugugnando sul pavimento, grattandosi la pancia scoperta con una mano.
Taehyung, steso accanto al sofà, dormiva ancora della grossa e Jimin ci era inciampato sopra.
“Ottimo. Buongiorno un cazzo.”
Il buonumore era un miraggio lontano, surclassato completamente dal desiderio di caffeina misto alla curiosità di uno dei nuovi colleghi che aveva confuso il salotto per il mondo dei sogni. Decise di controllare la situazione inginocchiandoglisi accanto e punzecchiandogli la guancia con un polpastrello. Una volta. Due volte. Tre volte. Niente, non dava segno di tornare tra i vivi. Poco male, affrontare di prima mattina una persona che conosceva da meno di dodici ore non rientrava nella lista di cose da fare. Ci avrebbe pensato dopo.
“Dov’è?” Gironzolava in cerchio cercando di orientarsi ma niente: di un fornello, una moka o semplicemente una macchinetta del caffè nemmeno l’ombra. Si sedette sconsolato su una delle poltroncine adiacenti il piccolo tavolo; poteva uscire e andarsene al bar, optando per un espresso rinvigorente, ma sarebbe dovuto entrare in camera a cercare un cambio pulito.
Non voleva assolutamente andarci, non dopo l’astio da smaltire di due dei coinquilini. Ne avrebbe fatto dolorosamente a meno.

Namjoon stava godendosi il silenzio della domenica mattina, un sacro momento di rara bellezza nel piccolo stabilimento di proprietà dell’azienda che li aveva ingaggiati. Nessuno avrebbe lavorato quel giorno, dunque le sveglie silenziate non avrebbero destato i compagni chiassosi e difficilmente gestibili al post risveglio. Il cucinino a fianco della sala comune profumava di miscele calde e rinfrancanti, e l’aroma della necessaria bevanda bollente s’estendeva al corridoio, sollevandosi fino alle narici di un Jimin nuovamente addormentato. Al richiamo del profumo il ragazzo spalancò le palpebre gettando una rapida occhiata a Taehyung: giaceva ancora lì dove lo aveva lasciato, non s’era spostato neppure d’un millimetro. Alzò le spalle sorridendo e seguendo la scia; ne avrebbe scoperto l’origine a tutti i costi, e così fu. La testolina spettinata spuntò all’uscio osservando con fare circospetto lo spazio per nulla familiare.
«Oh? Buongiorno, hai dormito bene?» Namjoon accolse il ragazzo con un sorriso cordiale, sorseggiando quieto da una tazzina fumante; «non deve essere stato tanto facile ieri, mi scuso per il comportamento di quei due. Vedi, sono così di carattere, dagli il tempo di abituarsi a te.» Suonava come una rassicurazione ponderata, ogni parola studiata e adagiata di modo da risultare confortante ed efficace. «Ti va un caffè? Oggi siamo i primi, goditi questo momento di pace prima che arrivino tutti.»
Jimin non se lo fece ripetere due volte: si sedette ad uno degli sgabelli poggiando stancamente i gomiti sulla corta penisola, masticando a vuoto un paio di volte non reprimendo uno sbadiglio vigoroso. Attendeva il proprio turno come ne andasse della stessa sopravvivenza.
E fu così, con il calore bruciante del caffè giù per l’esofago e le fossette cordiali nel volto del leader del gruppo, che iniziò nuovamente la giornata. Credeva sarebbe stato più difficile, dopo una partenza simile.
«Mi spiace per ieri sera.»
Il ragazzo tentava di focalizzare il significato di quella affermazione, non trovando traccia di malizia: Namjoon sembrava sinceramente affranto per l’andamento del suo esordio nei Bangtan.
«Non lo fanno apposta, Yoongi è sempre stato così in fondo.» Nessuna parola però per il comportamento stizzito di Jungkook su cui aveva glissato elegantemente. «Mi sembra però di notare che stai simpatico a qualcuno, o sbaglio? Ho visto Taehyung stamattina, era così preoccupato per te che si è addormentato in sala nella speranza di vederti riposare bene. E poi Hoseok non è da meno, è sempre disponibile con tutti.» Allungò la mano poggiandola sulla sua spalla, sorridendo amabile; «vedrai, non sarà così tanto male stare qui con noi. Cercherò di rendere il tuo soggiorno qui il meno fastidioso possibile.»
Parole quiete, dalle tinte pastello; parole confortanti, come quella mattina che sembrava procedere finalmente per il verso giusto. Il silenzio calato nella saletta non era affatto imbarazzante, anzi: Jimin approfittò di guardarsi attorno curioso mentre Nam trafficava con le tazzine della colazione nel lavello. Una scena familiare, forse una futura buona abitudine, si disse speranzoso il ragazzo. Tutta quella positiva sensazione di calore svanì nel momento in cui si rese conto di dover tornare in camera, dove aveva abbandonato con noncuranza il borsone con gli effetti personali. Si alzò ringraziando l’altro con un cenno del capo.
“Spero dormano tutti.”
“Devono dormire tutti.”
“Dormiranno ancora?” Il nodo allo stomaco non voleva sciogliersi in alcun modo, e non aveva il coraggio di abbassare la maniglia: se avesse contato i secondi passati davanti all’ostacolo, si sarebbe perso un paio di volte. “Entra. Dai, entra.”
La porta si spalancò mostrando l’aria mezza addormentata di Jungkook che mugugnò un buongiorno a fior di labbra stropicciandosi gli occhi. Non lo aveva insultato, non lo aveva guardato con aria cinica, non lo aveva evitato di proposito.
Che diavolo stava succedendo?
La testa del ragazzino ancora ciondolava per il sonno, le palpebre abbassate.
Era di una tenerezza disarmante, il petto coperto da un pigiama leggero mentre le cosce nude toniche lasciavano intuire anni e anni di duro allenamento. Pareva ancora un bambino nel completo dormiveglia e Jimin si stupì non poco nel sentirsi rivolgere la parola in modo così disinteressato, garbato. Rispose prontamente, e nel sentirne la voce, il più giovane si bloccò spalancando le iridi come ridestato da un sonno pesante.
Lo fulminò letteralmente scansandolo in malo modo ed urtandone la spalla nell’uscire dalla stanza.
S’era sbagliato, come poteva pensare che si fosse trattata di una semplice giornata storta? No, il suo atteggiamento certo non sarebbe cambiato da un momento all’altro. E questo stava cominciando ad infastidirlo in un angolino profondo della coscienza; una motivazione, pretendeva almeno una piccola motivazione per un trattamento simile, e prima o poi l’avrebbe trovata, a costo di strappargliela da dentro.

«Tiratelo su, per favore.»
Yoongi osservava Taehyung sul pavimento: il sopracciglio alzato indicava la crescente irritazione che l’idiozia di quel gesto palesato al mattino aveva scatenato in lui. Era tentato di tirargli un calcio sullo stinco, solo per infastidirlo. Stava davvero superando il limite nei confronti del nuovo arrivato: non era mai riuscito a spiegarsi come fosse possibile perdere tanto facilmente il senno per qualcuno che di fatto ancora non conosceva. Quanto poteva essere labile un carattere simile? Hoseok si abbassò su di lui stuzzicandogli il naso e tappandone le narici un paio di volte.
Un colpo di tosse, e di nuovo il russare sonoro.
«Niente, morto. Lascialo lì.» Yoongi afferrò l’amico per il braccio trascinandolo via.
«Certo che è da ieri che sei così, si può sapere cosa è successo? È da quando è arrivato Jimin che non fai altro che lamentarti e trattare male tutti. È per Jungkook, vero?»
Le labbra ridotte a sottile pelle stesa in segno di diniego.
Hoseok ci aveva preso in pieno.
«Non sono cose che ti riguardano, e di sicuro non perderò il mio tempo a spiegarti ciò che non capiresti nemmeno.»
«Più acidello del solito, eh.»
«Senti, vai a farti fottere Hobi. Ho da fare.»
«Di domenica?»
«Esatto. Evitarvi, ecco cosa.»
Lingua tagliente, atteggiamento cinico: il ragazzo stava mostrando parte del proprio carattere difficile, arrivando a litigare persino con uno degli amici più cari per una motivazione non palesata. Che avesse avuto ragione o meno non importava, non voleva lasciare Jungkook in quello stato; detestava vedere tutti attorniare Jimin e sorridergli, accantonando le sensazioni del più giovane. Anche se il motivo ancora non si sapeva, chi erano loro per poter tralasciare lui e dedicare mille attenzioni a uno qualunque? No, non avrebbe reagito come loro. L’altro aveva bisogno di compagnia più che mai, equilibrio e tranquillità, e se loro non se n’erano accorti, allora non sarebbero stati all’altezza di aiutarlo. I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo di Jin, perfetto ed impeccabile: nulla in lui era fuori posto, neppure se sveglio da poco. Esordì con una battuta di pessimo gusto rivolta al collega addormentato per poi alzarlo di peso e caricarselo sulle spalle, accompagnandolo nella camera ormai vuota in cui aveva appena trovato rifugio lo stesso Jimin. Il ragazzo entrò con il pesante fagotto a peso morto scaraventandolo sul materasso del coinquilino. «Eccotelo, ora è un problema tuo.» Gli sorrise per poi sparire chiudendosi la porta alle spalle.
Bel modo di parlare per il più anziano del gruppo, pensò. Si avvicinò curioso all’altro che stava impropriamente occupando il suo letto. Capelli castani sottili, pelle leggermente ambrata, l’espressione serena di chi avrebbe dormito volentieri per il resto della vita. Gli si avvicinò sbuffando divertito.
«Sei assurdo.» Sussurrò accarezzandogli il dorso della mano ed uscì stringendo il proprio bagaglio.


 
   
 
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