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Autore: Barbra    05/02/2020    0 recensioni
Questa fanfiction è un crossover tra l'Universo di Pokémon Adventures (il manga) e l'Universo di "Avatar, the Legend of Aang"/ "Legend of Korra". La storia si svolge, secondo la cronologia Pokémon, dopo gli avvenimenti di Sole e Luna. Secondo la cronologia di Avatar, dopo la morte di Korra e la nascita della sua successiva reincarnazione.
DAL TESTO: Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua. || NOTA: canon-divergent || PERSONAGGI PRINCIPALI (non in elenco): protagonista OC, Sird (pg esclusivo del manga), Lunala, Giratina (Pokémon); Raava e Vaatu (Avatar). TERMINATA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arceus, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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30. HOOPA




 
Luogo sconosciuto


Il vaso dorato riemerso dalla sabbia avrebbe scottato la pelle di un uomo. Qualcuno ruppe il sigillo ed estrasse il tappo modellato a forma di testa bicorne.
Ne uscì una fiammata, seguita da una creatura umanoide che le popolazioni locali identificavano con un djinn1 e chiamavano Halqa2. La sua testa rotonda era sproporzionatamente grande, il suo viso aveva tratti infantili, il suo corpo viola pallido era stretto in un grosso anello d'oro alla cintura e terminava, privo di gambe, in una piccola coda di ectoplasma. Altri due grandi anelli d'oro alchemico penzolavano dalle sue tozze corna nere ai lati della testa.
Gli occhi verdi dalle sclere gialle del piccolo demone luccicarono, e il ghigno malizioso caratteristico della sua specie si trasformò in un sorriso commosso, quando realizzò di non essere più in prigione. Finalmente, vedeva il sole di mezzogiorno battere sulle dune dorate, che lui amava come i marinai amavano il mare aperto. L'unico luogo al mondo che rivaleggiava con quella magnificenza era il Quarto Vuoto3, il deserto sabbioso che il djinn aveva scelto come dimora prima che l'esercito di un principe suo nemico lo cacciasse ad ovest.
Hoopa si voltò sogghignante, per vedere la faccia dell'idiota che aveva commesso l'errore di liberarlo. Ma subito si buttò sulla sabbia arroventata, prostrandosi.
Gli occhi dorati di Azelf continuarono a fissarlo, nel silenzio teso e surreale che la sua sola presenza si portava dietro. Hoopa non conosceva niente di altrettanto glaciale.
Guardami” gli ordinò l'Essere della Volontà.
Hoopa obbedì.
“La tua pena non è ancora conclusa. Ma adesso, fa' quello che vuoi”.
Ruppe il suo speciale Vaso del Vincolo, modificato per essere in tutto e per tutto la sua prigione, e ne lasciò cadere i frammenti sulla sabbia.
Hoopa non osò gioire per il suo gesto: si trattava senz'altro di una trappola.
Azelf l'avrebbe lasciato libero come aveva detto, per poi punirlo con la tortura se fosse tornato alle vecchie abitudini.
Il piccolo djinn si sollevò da terra, ma chinò il capo. “Sì, mio Signore”.
Rimase con il terrificante dubbio di aver sbagliato qualcosa anche quando l'Essere della Volontà scomparve.
Si scrollò la sabbia dorata dal corpo violetto e dai capelli magenta raccolti in un codino a fiamma. Poi scelse uno dei suoi anelli e aprì un varco verso il Quarto Vuoto, per attraversarlo. Lì sarebbe stato quieto e inerte come uno Snorlax dormiente. Neppure i nomadi del deserto si sarebbero accorti del suo ritorno.





 
Crepuscolo




Uno scarabeo stercorario bianco emerse dalla sabbia e zampettò verso i cocci dorati del Vaso del Vincolo. Si trasformò in un pellicano e li raccolse uno per uno nel becco.
Confidando nel suo istinto, Lunala si voltò e si accorse che un Hippopotas la spiava. Vedeva i suoi piccoli occhi sporgere dalla sabbia. Agitò ed allargò stizzita le ali, corse verso di lui e coi suoi poteri psichici proiettò nella mente del povero Pokémon selvatico la visione di un essere mostruoso, che univa le caratteristiche della sua forma di Fata e vampira a quelle delle mummie sepolte dagli umani poco lontano dalla sponda occidentale del grande fiume più ad est, arteria di quello spicchio di mondo. La unì all'illusione acustica di un grido e fece in modo che lo spettatore si vedesse il suo viso sfasciato a un soffio dagli occhi. Hippopotas era forse troppo giovane e ingenuo per capire quanto le sue messinscene fossero innocue. Si ritirò nella sabbia e scappò via mentre la risata cristallina della creatura gli risuonava nella mente.
Il pellicano tornò alla sua scrupolosa raccolta dei cocci.





 
A Sinnoh




«Eccovi qui! Vi stavo aspettando!».
Quella voce lo fece sobbalzare.
Per un attimo, Silver pensò di aver terminato almeno una delle sue ricerche, quando vide la donna albina in divisa Galassia venirgli incontro dalle Rovine di Flemminia4. Ma era tutto un imbroglio, e lui lo sapeva.
Al fianco della madre, corrucciato, silenzioso e composto come un androide, camminava Cyrus. Appariva almeno dieci anni più vecchio di lei.
«Maestro Cyrus!» esultò Mars.
Fece per correre ad abbracciarlo, consapevole che quell'uomo di ghiaccio non avrebbe mosso un muscolo in risposta.
Silver la fermò con un braccio. Anche se Mars non era stupida come la dipingeva Saturno, troppo spesso si lasciava trasportare dall'entusiasmo, dimenticandosi della realtà.
«Beh? Hai paura?» lo provocò beffarda Sird.
«Siamo entrando in una fabbrica di illusioni. Voi siete Unown».
Finalmente, fu Cyrus ad aprire bocca: «Sciocco».
«Dov'è Hua?» gli domandò Silver.
Sird, il Comandante Mercurius, preferiva muoversi da sola. Ma Cyrus aveva bisogno del sostegno psicologico della sorella. Era assurdo che non sapesse rispondere prorpio a quella domanda. Lei, nella messinscena della sua vita pubblica, era il suo suggeritore.
Gli Unown delle Rovine di Flemminia conoscevano Cyrus perché era cresciuto a Sinnoh, e Sird come figlia adottiva di Arceus. Ma non avevano informazioni su quella Hua, che per loro era morta da decenni.
Madre e figlio scomparvero.
Al loro posto, creature volanti simili a lettere dell'alfabeto ruotavano formando due spirali disitnte. Ognuni Unown aveva un grande occhio bianco con una pupilla nera che si muoveva di continuo, a provare lo stato di agitazione in cui l'intero sciame era piombato per quell'unica domanda imprevista.
In un certo senso erano dei disadattati, ma avevano ottime abilità di ricerca. Silver aveva bisogno di loro per trovare Gold.
Non gli restava che spingersi nel loro covo, nelle rovine di quello che in Età Imperiale era stato il Tempio dei Mille Occhi del Signore, e convincerli ad aiuitarlo.
Si voltò verso sua cugina Mars e non la vide più. Lei era andata avanti, passando tra le due colonne di Unown come se ninete fosse.
«Che fai?! Ferma!».
Lei si voltò e lo guardò stupita. «Perché?».
Continuò a camminare in tutta tranquillità per la sua strada.
Silver, che non poteva lasciarle correre un pericolo del genere da sola, la inseguì.
Entrarono nelle Rovine Flemminia uno dopo l'altra, e non successe nulla. «Mars... temo che sia una trappola».
«Nah...!» fece lei, scrollando le spalle.
Poi scomparve nel nulla.
La vera Mars arrivò correndo alle sue spalle. Aveva esitato sulla soglia, prima di seguirlo dentro, nel tentativo di riconoscere in anticipo qualche antica trappola, piazzata nelle rovine dai loro ormai scomparsi abitanti. «Ma perché sei andato avanti così?! Sembrava che inseguissi qualcuno...!».
«Ti ho vista andare avanti e ti ho seguita, infatti».
«Ma no! Io ti ho visto andare avanti e ti ho seguito! Ero dietro di te!».
«Ovvio! Era un'illusione, una trappola!».
«Ah, ecco...!».
«Vieni con me. Andiamocene».
Silver prese Mars per un polso e insieme corsero verso l'uscita, mentre le pareti e il paviemento di pietra ondeggiavano e ruotavano su un asse orizzontale, poi verticale, poi obliquo, come se non fossero reali. La luce esterna era davanti a loro, sopra di loro, alla loro destra, alle loro spalle...
In quel caos, rischiarono di scontrarsi con la persona immobile dell'Essere della Volontà.
I due ragazzi si fermarono prima di toccarlo, per paura di ferirlo scatenando la sua maledizione. Il Pokémon, nella sua forma umanoide, allungò un braccio e spinse Silver a terra, con la facilità con cui in adulto avrebbe spinto un bambino. Il messaggio era chiaro: era lì in carne ed ossa.
Le sue parole non furono rivolte ai due umani, benché loro potessero sentirle, ma a tutti gli Unown mimetizzati contro le spesse pareti di pietra.
«Non date loro cibo, né acqua. Non lasciateli scappare».
Scomparve e l'uscita alle sue spalle si chiuse.
Quella era un'illusione: per quanto la volontà di Azelf fosse forte, non poteva trasformare l'aria in pietra. Sempre che lì ci fosse mai stata realmente una porta. Gli Unown si avventarono su di lui come uno sciame di grosse vespe.
Silver agguantò la prima delle sue Pokéball e liberò Feraligatr. Il coccodrillo d'acqua allontanò lo sciame soffiando un potente getto d'acqua dalla bocca enorme. Con un secondo attacco, andò a colpire i muri.
Il Glamew di Mars apparve dal nulla, soffiò e gli saltò sul muso allungato per graffiarlo. Forse, la sua acqua l'aveva colpito e lui, spocchioso, non aveva gradito. Ma né Feraligatr né Silver l'avevano visto fino a un attimo prima.
Quando l'illusione si dissipò, Mars era seduta con le spalle appoggiate al muro. Era fradicia e ferita, quasi stordita: il getto d'acqua aveva colpito lei, l'aveva spinta indietro e le aveva fatto battere la schiena e la testa.
Silver si precipitò da lei, correndo sul pavimento bagnato, e una saetta scagliata da Electivire passò accanto alla sua spalla sinistra e si scaricò sul muro.
Mars, in piedi dietro di lui, si premette una mano sulla bocca e si lasciò scappare un: «Uh...!» di sorpresa e paura.
Glamew era sparito, e così il taglio sul muso di Feraligatr. I due Allenatori ritirarono i loro Pokémon, determinati a prendere tempo. Gli Unown si chiusero attorno a loro formando un vortice di segni. E loro erano nell'occhio del ciclone.
Combattere era troppo rischioso.
Mars alzò le mani e gridò: «Ci arrendiamo! Ci arrendiamo! Il vostro Padrone è antipatico, però!».
Quegli enormi occhi senza volto parvero ridere. A nessuno di loro piaceva eseguire gli ordini di un gelido tiranno come Azelf. A nessuno di loro piaceva Azelf. Non lo nascondevano, perché sapevano che al Poémon Volontà non importava di essere amanto o odiato, ammirato o disprezzato. Egli non dava alcuna importanza ai sentimenti altrui, perché viveva in un mondo privo di emotività, specchio della sua esistenza interna. Questo lo rendeva incapace soffrire, di dare peso al passato, ma anche di imparare dai propri errori o succssi, o di evocare ricordi di tempi troppo lontani. Lui, fin dalla sua nascita, era sempre nuovo e sempre uguale.





 
Una settimana dopo
Notte
Quarto Vuoto




«Ti avevo detto di fare ciò che volevi. E tu non hai fatto niente».
Detta così, e per di più in linguaggio umano, sermbrava solo una constatazione. Impossibile capire dove Azelf volesse arrivare.
«Appunto» gli rispose Hoopa, con un sorriso nervoso. «Tutti quegli anni in bottiglia hanno ucciso la mia creatività. Ora, non voglio fare niente».
Azelf non lo compatì e non rise. Era assurdo aspettarsi che ridesse.
Scomparve nell'aria notturna, per riapparire poco dopo con un'umana al suo fianco.
«Lei è mia figlia» la presentò. Naturalmente, nella sua voce non c'era alcuna traccia di affetto. «Ti dirà cosa fare».
Il Pokémon Birba restò sbigottito: «Cosa?!».
Troppo tardi. Azelf se n'era già andato
Hoopa guardò la donna che gli aveva lasciato con un misto di diffidenza e scetticismo.
In lei c'era qualcosa di strano. Malgrado il taglio allungato degli occhi grigi, tipico dei popoli stanziati al capo orientale della Via della Seta, aveva i capelli color avorio e la carnagione color latte. Solo per questo, le popolazioni di pelle nera a sud del grande Deserto occidentale l'avrebbero creduta figlia del demonio5. Spingerla in un anello-portale e lasciarla alle loro torture sarebbe stata una delle sue tipiche marachelle.





 
A Sinnoh. Rovine Flemminia




Mars aveva convinto un gruppetto di Unown a infrangere il divieto di portar loro cibo ed acqua, e tutti gli altri a fare finta di nulla. Fallita la strategia bellica, aveva subito provato a farseli amici. Silver sulle prime era stato scettico, ma gli Unown erano felici di incontrare l'affetto e l'approvazione degli esseri umani, con cui avevano un rapporto speciale, come incarnazioni semi-divine della scrittura alfabetica.
«Noi eravamo venuti qui per chiedervi di darci una mano... ehm... un aiuto...».
Se gli Unown M, iniziali sia di Mars sia di Meiko, avessero avuto le orecchie, in quel momento le avrebbero tese per ascoltarla. Tutti i loro occhi erano fissi su di lei, in attesa che si spiegasse.
«Vedete, mio cugino deve ritrovare un suo amico che potrebbe essere nei guai. Guai brutti. Pensiamo che sia stato rapito da una banda criminale, ormai più di una settimana fa».
Gli Unown si combinarono a formare rapidamente la scritta: “quideius”. Con una spinta, E ed I cacciarono U e S. Poi arrivò un'altra scia di lettere volanti, a comporre la domanda: “quideinomenest?”.
Perché li capivano, ma non sapevano parlare né scrivere nella loro lingua.
Mars scosse la testa. «Qui-deino-menest?» provò a leggere.
Gli Unown tentarono di ricombinarsi, ma senza successo.
Da lì ebbe inizio una sorta di bizzarra riunione di consultazione. Gli Unown discutevano tra loro telepaticamente, ma a volte si riunivano in gruppi che proponevano idee componendo scritte diverse. Alla fine si misero d'accordo, e cominciarono a vorticare in gruppo in una specie di danza.
Nell'occhio del ciclone, poco prima che gli Unown si ritirassero rispettosamente nei muri, apparve uno dei tre Avatar di Arceus, Uxie.
Quella strana danza lo aveva evocato.
Mars e Silver si presero per mano e arretrarono istintivamente: erano convinti di averlo già ucciso. Ma stavolta non poteva trattarsi di un'illusione.
Uxie si reggeva a mezz'aria facendo ronzare le quattro enormi ali dorate, e teneva gli occhi chiusi sotto la maschera gialla, come se dormisse. Pareva non prestare alcuna attenzione al mondo esterno.
Taceva. Non gli interessava scoprire perché fosse stato evocato. Lui era solo il depositario inerte di tutta la conoscenza di Arceus, poteva raccogliere o fornire informazioni o eseguire ordini, ma non provava curiosità verso alcunché.
«Forse, se facciamo piano, non ci sente...» sussurrò Mars all'orecchio del cugino.
«Questo è giusto. Se voi parlaste a voce sufficientemente bassa, non distinguerei le vostre parole, perché sarebbero coperte dal ronzio delle mie ali».
Di nuovo, Mars si rivolse a Silver, stavolta a voce bassissima e scandendo il labiale. «Ma questo è peggio di Cyrus! E pensare che io ci sono cresciuta, coi robot! Questo qui è un androide di livello theta...!».
«Questo è errato. Io non sono una macchina, né un programma, bensì un'entità parziale».
Non aveva bisogno di tenere gli occhi aperti o di possedere il senso della vista, per percepire il flusso delle sue idee e il movimento delle sue labbra.
Mars si rifugiò in una frase di circostanza: «Ah sì? Ma pensa...!».
Silver era nervoso. Sentiva di aver perso fin troppo tempo. Si rivolse a Uxie senza né solennità, né gentilezza: «Dov'è Gold?!».
«Quale Gold?».
«Gold di Borgo Foglianova. Il Dexholder che Arceus conosce benissimo».
«Questo è errato. Egli lo conosce ben poco. Quanto alla sua posizione, ora si trova presso le Cascate Tohjo».
Silver digrignò i denti. Era stanco di preoccuparsi per un amico idiota come Gold. «Bastardo, si nasconde dai creditori!».
«Errato. È stato condotto lì con l'inganno, e trattenuto con la forza».
«L'hanno rapito?!».
«Sì».
«C'entra il Team Rocket? C'entra... mio padre?».
«È difficile rispondere a una domanda così formulata. Se tuo padre non avesse ordinato di portare a Johto Shan Yueguang, e se il Team Rocket non avesse catturato con lei anche Moon di Sinnoh, allora Moon non avrebbe rapito proprio Gold».
«L'ha rapito quella ragazza di Sinnoh?! Perché?!».
«Perché sta attraversando un grave crollo psicotico legato ai traumi della sua vita precedente».
«Pensi che... potrebbe ucciderlo? Potrebbe fargli del male?».
«Gli sta già facendo del male. Ella potrebbe ucciderlo e liberarsi del corpo, se non trovasse un nascondiglio più sicuro di quello attuale, e l'opportunità di spostare i prigionieri da vivi».
«Ha... ha preso anche Blaine, vero? Blaine dell'Isola Cannella, il padre di Mewtwo?».
«Il padre di Mewtwo è Arceus. Mew non è riuscito a crescere a causa dell'incidente subito dalla madre durante la gravidanza, mentre il suo clone si è sviluppato fino a raggiungere l'età adulta. Ciò che li fa apparire diversi sono le modifiche epigenetiche. Sono tuttavia, dal punto di vista biologico, lo stesso individuo. Ma è corretto: ella ha catturato anche Blaine».
«Perché?!».
«Perché Blaine è uno Specialista Fuoco. La sua relativa fama e l'età avanzata l'hanno avvicinato al pericolo. Hama cerca gli abitanti della Nazione del Fuoco, ma si sente ancora troppo debole e incerta per affrontare i Dominatori più potenti. Non conosce il territorio, e non ha ancora trovato un nascondiglio adeguato, né una tecnica di caccia che la aiuti a evitare i mostri che popolano ogni angolo del pianeta».
Silver guardò Mars. «Dobbiamo sbrigarci. Se davvero hanno intnenzione di lasciarci andare, questo è il momento buono».
La ragazza alzò una mano e salutò i muri, camminando verso l'uscita dell'antico tempio. «Ciao a tutti!» disse. Era tesa, ma cercava di nasconderlo.
Silver la seguì.
Nessuno si mise sulla loro strada o tentò di fermarli. Uxie scomparve alle loro spalle e il ronzio delle sue ali cessò.
Dopo una settimana, finalmente, videro di nuovo le stelle.





 
A Sinnoh
Monte Corona




Aveva passato il pomeriggio a rivoltare la casa e a fare domande sul mondo attuale, sulla composizione della plastica, sui dispositivi elettronici e sulla nuova geografia politica, e la sera a piangere sulla sua spalla, mentre lei lo teneva in braccio seduta su un vecchio divano, descrivendo le torture subite per mano di Azelf. L'Essere della Volontà non metteva né empatia né sadismo in ciò che faceva.
Aveva saggiato le sue paure, aveva scoperto cosa gli facesse più male e aveva agito di conseguenza, per correggere il suo cattivo comportamento. Gli aveva tolto il gusto di scherzare, l'aveva rinchiuso nel Vaso del Vincolo, come i criminali comuni si rinchiudevano nelle carceri, e infine aveva buttato la sua piccola prigione tra le dune del più grande deserto esistente, lasciando che fosse il vento a seppellirlo.
Adesso gli chiedeva di tornare com'era prima, incurante di quanta fatica i suoi progressi gli fossero costati. Azelf non aveva riguardo per nessuno, non premiava gli sforzi altrui, e non seguiva alcun tipo di logica.
«Lo so, lo so...» gli rispose Sird, vagamente annoiata. Si era persa metà delle sue lagne e dei suoi ragionamenti, sia perché Hoopa aveva parlato tra i singhiozzi, sia perché lei non padroneggiava affatto la lingua araba, né moderna né tanto meno antica.
Non potevano parlare liberamente.
Hoopa alzò la testa dall'incavo della sua spalla e le rivolse una domanda tipicamnete infantile: «Quanti anni hai? Veramente, intendo».
«Sessantaquattro. Ma ho bevuto l'Elisir di Lunga Vita».
«Eh, ma voi vivete poco...».
Sird era troppo stanca per rispondergli.
A salvarla da un'altra conversazione stentata in arabo, alle spalle di Hoopa, comparve non annunciato l'Essere delle Emozioni.
Sird sospirò e fece cenno al piccolo demone di voltarsi. Lui guardò, riconobbe l'ospite e istintivamente saltò dietro al divano.
Mesprit si lasciò scappare una risatina. I suoi piedi scalzi si posarono sul legno del pavimento dopo essere rimasti sospesi per qualche secondo. Aveva qualcosa in mano, ma fortunatamente non era una frusta.
Il Pokémon Birba prese coraggio e uscì dal suo maldestro nascondiglio.
«È troppo tempo che Azelf ti tiene tutto per sé, Hoopa» cominciò Mesprit. «E temo che la sua “cura” non abbia funzionato a dovere».
Dalle sue mani a coppa sporgeva la testa di un gattino bianco. Lo porse al piccolo djinn. «Ecco. Tieni questo».
Hoopa lo prese in braccio e lo guardò perplesso. Non era vivace, sembrava un po' rimbambito.
Mesprit continuò a dargli istruzioni: «Adesso, prendigli la testa, stringi e gira».
«Cosa...?!».
«Spezzagli il collo».
Mimò il gesto ruotando il polso. Sorrideva, cosa che Azelf non avrebbe mai fatto. Sembrava sereno.
Hoopa e Sird lo guardarono come se fosse impazzito. Ma, in fondo, Mesprit era pazzo. Per lui, una morte rapida era una forma di benevolenza, e l'aveva dimostrato senza vergogna anche in passato. Il suo sorriso suggeriva che con il tempo e la noia fosse diventato sadico.
Il Pokémon Birba studiò il fregile gattino bianco che teneva fra le mani. Aveva gli occhi rossi, ma lui non speva se fosse un tratto comune o raro nella sua specie.
Gli accarezzò la testa pelosa, guardò Mesprit e scosse il capo.
«Spezzagli il collo!» gridò lui, improvvisamente adirato. «O mi sarai perfettamente inutile!».
Hoopa, terrorizzato, fece un balzo all'indietro. Se c'era qualcosa di più temibile dell'Essere della Volontà, quello era l'Essere delle Emozioni, per la sua tanto chiachierata follia.
Esitò, poi afferrò la testa del minuscolo gattino, chiuse gli occhi e girò di scatto.
Quello che sentì dentro di sé lo terrorizzò e lo sconvolse a tal punto che non si accorse di quanto tempo più del dovuto fosse durato. Paura, panico, dolore, disperazione e un senso profondo e pesante di angoscia e di morte. Lunala aveveva imbastito la recita e Mesprit l'aveva aiutata a portarla a termine.
Hoopa, ignaro di tutto se non di ciò che provava, lasciò cadere la piccola carcassa e volò fuori dalla finestra senza voltarsi.
Sird lo seguì con gli occhi mentre si allontanava. Poi guardò ieratica il gattino morto sul pavimento. L'animale si alzò sulle quattro zampe con il collo spezzato, con un movimento a scatto si rimise a posto le vertebre e poi si trasformò in una serpe, per strisciare fino ai piedi di Mesprit e arrampicarsi sul suo corpo grigio. Finì col circondargli il collo a mo' di sciarpa. Hoopa la conosceva col nome di Layla6, e la credeva un djinn femminile. Non aveva saputo riconoscerla perché non l'aveva mai incontrata di persona.
Il Pokémon Emozione se la cavò con una presentazione rapida: «Stella, lei è Luna, o Layla a seconda di dove vai. Luna, lei è Stella, o Sird se ti va di prendere un Ultracorridoio e andare nel suo Paese d'origine».
Il serpente divenne una scimmietta bianca e salutò con la mano.
Mesprit scomparve e la portò via con sé prima che la donna potesse dire o fare alcunché in risposta.
Per distrarsi da qualsiasi cosa stesse provando in quel momento, qualcosa a metà tra la curiosità e il nervosismo, Sird agguantò il cappotto e e uscì a cercare Hoopa. Sapeva che si sarebbe sorbita un altro, lunghissimo pianto.
Lo trovò accovacciato sulla neve, in mezzo al nulla. Era così sconvolto che non aveva neppure pensato di ricorrere ai suoi anelli per scappare più lontano.
Fissava il vuoto coi grandi occhi spalancati.
Sird gli si fermò davanti e lo guardò dall'alto in basso. «Non piangi?».
Lui non riuscì a risponderle. Cominciò a versare lacrime. «Lui dov'è?».
«Il gatto? Mesprit l'ha portato via. Era una gattina, comunque».
«Non capisco. Perché me l'ha fatto fare...?».
«Perché è pazzo. Dovevi tenergli testa e dire di no».
«Al Visir di tuo padre?».
«Anche a mio padre stesso. Lui è fatto così: non ama i paurosi, soprattutto se sono potenti come te».
Con un braccio, il Pokémon Birba si asciugò gli occhi che continuavano a lacrimare. Alzò la testa verso di lei, contrariato, e le disse: «Ah, Egli non ama i pavidi? Allora sarò sfacciato: copriti, quando usciamo, perché con quei capelli al vento sembri una zoccola!».
Sird scoppiò a ridere. «Ti sembro un cattivo esempio? Beh, allora... guarda questo».
Estrasse da una delle grandi tasche del suo cappotto una bottiglietta retangolare, piena a metà di un liquido nero. La stappò e ne bevve un sorso. Poi la mise sotto il naso di Hoopa. Profumava di anice e liquirizia, ma l'aroma sottostante era inconfondibile. «È alcol...!».
«Assenzio nero. Ottanta gradi. Ne vuoi?».
Lui guardò combattuto la bottiglietta. La sua sfacciataggine giovanile si trasformò in un altrettanto giovanile imbarazzo. «Ma non dirlo a nessuno...».





 
A Johto




Blaine tossiva di continuo. La loro carceriera trascurava le loro condizioni, e il fisico del vecchio stava cedendo. Nessuno li aveva cercati né trovati per caso, perché la ragazza aveva convinto gli abitanti di entrambe le Regioni limitrofe che l'acqua fosse avvelenata. La tossina poteva essere assorbita atraverso la pelle e paralizzare irreversibilmente le vittime.
Come stretta collaboratrice dei Berlitz, discendenti della dinastia Yu di Sinnoh, Moon non poteva essere smentita a cuor leggero da nessuno, nemmeno da Oak. La sua Toxapex, di guardia all'ingresso rivolto a Johto o nascosta sul fondo, la aiutava a dar credito alla sua balla. L'antro della grotta che guardava verso Kanto era misteriosamente crollato cedendo alla forza dell'acqua, e adesso era chiuso dai macigni.
Gold ne aveva abbastanza di quella bimbetta. Ma la sua dimestichezza con ogni genere di veleno, e il suo sinistro potere risvegliato dalla luna piena, la rendevano molto più pericolosa di quanto il suo visetto pulito facesse pensare. E le sbarre delle sue gabbie erano di ottima qualità, studiate per i Pokémon, e incredibilmente resistenti. Il fragore delle cascate copriva le loro urla. Moon li teneva appositamente nell'antro scavato nella roccia alle loro spalle.
Il ragazzo udì dei passi sulla roccia bagnata avvicinarsi. Uno Sneasel entrò circospetto nella piccola grotta semi-nascosta dietro le cascate. Fece un cenno a chi lo seguiva, e dopo di lui entrò Silver.
Gold si aggrappò alle sbarre. «Mio eroe!».
«Cretino, ti pare il momento?! Dobbiamo portarvi via prima che lei ritorni, tanto per evitare guai».
«Ah, allora lo sai! Quella stronzetta ha infinocchiato tutti!».
Mentre Gold parlava, Silver aveva forzato la serratura della sua gabbia. Fece lo stesso con quella di Blaine. Il vecchio dovette farsi aiutare per uscire, perché era debole e febbricitante e la tosse non gli dava tregua.
Quando uscirono, si trovarono la ragazza davanti. Non poggiava i piedi per terra, ma era sorretta da un mulinello d'acqua che si sollevava dal letto del fiume. Aveva passato quei mesi ad addestrarsi, mentre Silver non aveva fatto niente per migliorare il suo Dominio. Hama scagliò contro di Silver delle lame di ghiaccio, e il ragazzo non riuscì a deviarle. «Traditore!» gli gridò, benché non fossero mai stati amici.
Adirato, Sneasel rizzò il pelo e scagliò contro l'avversaria altre lame congelate, più piccole e numerose delle sue. Ma furono schivate o deviate dai suoi tentacoli d'acqua.
Uno di quei tentacoli agganciò la caviglia di Silver e lo trascinò giù dalla roccia scivolosa. Hama cominciò a percuoterlo ripetutamente, accusandolo di aver tradito la Tribù dell'Acqua per ricevere favori dall'esercito conquistatore della Nazione del Fuoco. In netto svantaggio, Silver tastò il fondo, afferrò una pietra liscia e gliela scagliò contro. La ragazza fu colpita alla testa e perse i sensi.
Quando si risvegliò aveva il capo fasciato, ed era sdraiata su un letto in una stanza tiepida. Le avevano legato le mani per precauzione. Attorno a lei c'erano dei Pokémon che non conosceva, così tanti da formare almeno due squadre al completo, non contando gli esemplari troppo piccoli. Con tutta quella folla, era impossibile tentare la fuga.
Nell'altra stanza, qualcuno tossiva. Ma il chiasso della marmaglia sovrastò i colpi di tosse e convinse uno dei due ragazzi che l'avevano portata lì a controllare la situazione. Era il Dominatore del Fuoco, quello che lei aveva catturato con l'ultima luna piena. Era stato lui a convincere l'altro a non consegnarla alla polizia, o al Team Rocket: conosceva la sua storia dai suoi racconti. Se fosse finita di nuovo in prigione, forse non sarebbe più guarita.
«Ciao, Moon. Johto ti sembra ancora la Nazione del Fuoco?».




 








 
1in soldoni, demone.
2anello (credo). L'ho preso da hoop = cerchio.
3 nella realtà, il “Quarto Vuoto” (Rub-al-Khali) è la parte sabbiosa del deserto arabico.
4Lo so che si chiamerebbero Rovine Flemminia, però mi suona davvero male senza il “di”.
5Pare che in alcune parti dell'Africa sub-sahariana persista questa credenza tradizionale sugli albini.
6Notte
   
 
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