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Autore: Soul Mancini    05/02/2020    5 recensioni
«Una volta ritrovato l’equilibrio, spinse via il tastierista con più forza, sfinito, e si voltò dall’altra parte, dandogli le spalle. Non sopportava quando qualcuno gli stava così addosso, era una persona riservata di natura, e poi ultimamente condividere la stanza con Roddy lo metteva a disagio.
“Dai Jim, non fare l’orso, stavo scherzando!” esclamò il tastierista, mettendosi in ginocchio sul materasso e avvicinandosi nuovamente. Lo guardò dall’alto in basso, un sorriso appena accennato sulle labbra e alcune ciocche bionde e scompigliate che gli coprivano gli occhi.
“Lasciami in pace” borbottò Jim, coprendosi anche il viso con le coperte.»
- NONA CLASSIFICATA al contest "Generi a catena" indetto da Dark Sider sul forum di EFP.
- Partecipa alla "Headcanon Challenge" indetta da HarrietStrimell sul forum di EFP.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Jim Martin, Roddy Bottum
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It shouldn't bother me
 
 
 
 
 
 
Jim schiuse appena gli occhi e fece scorrere lo sguardo per la squallida e spoglia camera d’albergo, illuminata appena dalla luce grigiastra del mattino che filtrava dalla tapparella abbassata. Probabilmente era ancora presto e si maledisse per essersi già risvegliato, ma aveva la gola secca e doveva assolutamente bere un sorso d’acqua; sicuramente era stato quel fastidio ad averlo riportato alla realtà.
Il chitarrista serrò nuovamente le palpebre e si rannicchiò sotto le coperte, cercando di riprendere sonno.
Roddy, raggomitolato sul bordo del materasso matrimoniale, gli dava le spalle e non muoveva un muscolo, pareva essere ancora nel mondo dei sogni.
Dopo qualche minuto trascorso a rigirarsi e trovare la giusta posizione, Jim capì che non sarebbe riuscito a dormire senza prima dissetarsi; così, senza nemmeno riaprire gli occhi, allungò il braccio destro verso il comodino, dove sapeva esserci una bottiglietta d’acqua, ma nel compiere quel brusco movimento assestò una forte spallata alla testiera del letto in ferro verniciato.
“Cazzo” borbottò tra i denti, massaggiandosi la parte lesa. Sperava di non svegliare il suo compagno di band, ma ormai il suo obiettivo di fare silenzio era andato a rotoli.
Infatti, come a voler confermare i suoi pensieri, alla sua sinistra Roddy scoppiò a ridere di gusto.
“Ti ho svegliato?” bofonchiò il chitarrista, afferrando finalmente la bottiglia. Si sentiva un po’ in colpa.
“Ero già sveglio da un quarto d’ora, mi stavo divertendo ad ascoltarti mentre ti rigiravi come una trottola” ribatté l’altro con voce impastata, senza però voltarsi.
“Vaffanculo” borbottò Jim prima di bere un lungo sorso. Tornò a sistemarsi sotto le coperte, per nulla intenzionato ad abbandonare il calore del letto. Immobile nella sua posizione, sentì Roddy rigirarsi nel letto e tirargli con insistenza le coperte.
Sbuffò. “Non hai fatto che levarmi le lenzuola di dosso per tutta la notte.”
“Davvero?” Il tastierista si posizionò su un fianco, in modo da poter osservare il suo compagno di band – o il poco che spuntava da sotto le coperte – poi tirò su col naso un paio di volte. “Cazzo, che puzza!” esclamò disgustato.
Jim era perplesso. Senza rispondere, cercò di recuperare qualche centimetro di coperta per coprirsi meglio, ma nel farlo urtò col gomito l’altro ragazzo.
Roddy mugolò in segno di protesta e si massaggiò distrattamente il costato, dove era stato colpito, poi prese a tastare con circospezione il materasso, senza smettere di fiutare l’aria.
Jim non capiva, lui non sentiva niente. Si limitò a restare immobile e tenere ancora gli occhi chiusi.
“Che cazzo è questo?” sbottò Roddy, strattonando appena il cuscino di Jim.
Quest’ultimo si lasciò scappare uno sbadiglio. “Eh?”
“Hai un maglione sotto il cuscino… e puzza.” Il tastierista aveva trovato qualcosa che sembrava la manica di un indumento, era blu scura e di un materiale simile alla lana.
Allora il chitarrista capì; profondamente divertito, aprì finalmente gli occhi e osservò l’espressione corrucciata sul viso delicato di Roddy. “Maglione? Sono le mie calze, Bottum.”
Il tastierista gridò disgustato, poi si lanciò sul suo compagno di band per fargli il solletico, disfacendo completamente il letto e mandando in fumo le speranze di Jim di riaddormentarsi.
“Brutto bastardo, no, dai!” cercò di difendersi il più grande, tentando di divincolarsi e sfuggire all’attacco dell’amico, ma Roddy era spietato, lo aveva bloccato sottò di sé e rideva sguaiatamente mentre lo torturava con le dita. “Non avrò pace finché non ti avrò ammazzato. Lo sai, vero?”
Jim cominciò a ridacchiare a sua volta e tentò di spingerlo via, continuando a insultarlo. “Bottum, sei un coglione, basta! Lo sai che soffro il solletico!”
“Appunto!” Roddy finì disteso accanto a Jim, ma non demorse e prese a fargli il solletico sul collo.
Jim rotolò via, fermandosi poco prima del bordo del materasso: era in trappola.
“Non devi mai più lasciare certe schifezze sul mio letto!” sbottò Roddy, poi si avventò nuovamente su di lui e Jim fu costretto ad aggrapparsi alla sua maglia per non cadere a terra. Una volta ritrovato l’equilibrio, spinse via il tastierista con più forza, sfinito, e si voltò dall’altra parte, dandogli le spalle. Non sopportava quando qualcuno gli stava così addosso, era una persona riservata di natura, e poi ultimamente condividere la stanza con Roddy lo metteva a disagio.
“Dai Jim, non fare l’orso, stavo scherzando!” esclamò il tastierista, mettendosi in ginocchio sul materasso e avvicinandosi nuovamente. Lo guardò dall’alto in basso, un sorriso appena accennato sulle labbra e alcune ciocche bionde e scompigliate che gli coprivano gli occhi.
“Lasciami in pace” borbottò Jim, coprendosi anche il viso con le coperte.
“Ah, che palle! Dovrei essere io quello incazzato, lo sai? Le tue calze puzzano terribilmente.” Roddy afferrò i due indumenti e li lanciò maldestramente sulla valigia di Jim, abbandonata in un angolo della stanza.
Ma lui non rispose e non si mosse.
Roddy allora si sdraiò di nuovo accanto a lui e tentò di levargli le coperte di dosso. In fondo si divertiva un sacco con Jim, era sempre così serio e chiuso e lui adorava cercare di portarlo fuori dal suo guscio.
Ma Jim si allontanò ulteriormente da lui, rannicchiandosi su se stesso.
“Cos’è, ora mi eviti pure? Non avrai mica paura che io ci provi con te!” scherzò Roddy con una risatina. Tutti sapevano che era attratto dai ragazzi, non era un problema e lui stesso sfruttava la cosa per fare battute e scherzarci su.
Era sicuro che Jim avrebbe mugugnato e risposto con uno dei suoi soliti commenti laconici, ma il chitarrista non reagì, rimase in silenzio, come se non sapesse cosa ribattere.
Dal canto suo, Jim fu grato alle coperte che ancora gli nascondevano il viso, dal momento che era arrossito. Roddy era andato a toccare un tasto dolente, forse proprio il motivo per cui provava tutto quel disagio. Non voleva ammetterlo a se stesso, si faceva schifo a formulare pensieri del genere, ma la verità era che l’omosessualità di Roddy gli metteva ansia, soprattutto quando si trovavano da soli. Conosceva ormai da anni il tastierista, sapeva che non avrebbe mai compiuto un gesto avventato nei suoi confronti, ma il suo inconscio gli giocava spesso brutti scherzi e lo metteva sempre in allerta quando il biondo era nei paraggi.
Se ne vergognava, non lo avrebbe mai ammesso.
Ma il suo silenzio valse più di mille parole per Roddy: il sorrisetto sulle sue labbra si spense pian piano e le sue sopracciglia si aggrottarono appena; si rimise seduto sul letto e lanciò uno sguardo al chitarrista. “Merda, non lo starai pensando sul serio!”
Quella era una delle tipiche situazioni che Jim avrebbe evitato a tutti i costi. Ostentando noncuranza e sperando che questo servisse a portarlo fuori dai guai, bofonchiò: “Non sto pensando a niente”.
“Lo so, hai il cervello troppo piccolo per poterlo fare” lo prese in giro Roddy, poi tornò serio. “Dai, girati. Altrimenti chiamo Mike e ti saltiamo entrambi addosso.”
La minaccia parve funzionare – vedere Mike Patton di buon mattino era l’ultimo degli interessi di Jim, e sapeva che Roddy avrebbe mantenuto la parola – e il chitarrista si costrinse a dissotterrare il viso dalle coperte, anche se non osò guardare l’altro negli occhi.
Il tastierista sorrise e si sporse per osservarlo. “Senti Jim, tu sei senz’altro un uomo affascinante e sicuramente molte ragazze cadono ai tuoi piedi, ma non sei decisamente il mio tipo. E anche se lo fossi, ormai per me sei come un fratello e io non farei mai qualcosa che tu non vuoi. So che avere un amico gay può essere strano, ma non voglio che pensi qualche stronzata sul mio conto, ormai ci conosciamo da anni e mi dà fastidio che tu abbia dei dubbi su di me. Insomma, dormi tranquillo, non ti stuprerò.” Concluse il discorso con una risata, poi si tuffò nuovamente tra le lenzuola e, come a sottolineare il concetto, si accoccolò accanto a lui ma non fece nient’altro, non allungò le mani, si limitò a stargli vicino, contro la sua schiena.
Jim prese un profondo respiro e cercò di placare il leggero tremore che gli scuoteva il corpo. Era sempre così quando si sentiva in ansia, sembrava grande e grosso e invece si lasciava turbare da eventi del genere. Non era disturbato dai continui scherzi e insulti di Mike Patton, il loro nuovo cantante, e non faceva una piega quando si ritrovava solo contro il resto della band a difendere il suo lavoro e le sue idee artistiche, ma qualsiasi questione riguardante la sfera delle emozioni lo mandava nel pallone.
Roddy poi era il suo esatto opposto: era minuto, aveva i capelli chiari che gli incorniciavano il viso pulito e dolce, era sensibile, aperto, sorridente e dotato di un grande senso dell’umorismo che gli permetteva di sdrammatizzare su qualsiasi cosa. Lui al contrario era scuro, d’aspetto e di carattere, e non si capacitava come loro due potessero ancora andare d’accordo.
Ma il contatto con Roddy dopotutto non gli dispiaceva. Certo, lo metteva a disagio, ma non poteva neanche negare che fosse piacevole. Era dura da ammettere.
Poteva derivare da una carenza d’affetto, si ritrovò a riflettere.
“Hai smesso di farti le paranoie?” Roddy ruppe il silenzio, ponendo quella domanda con genuinità e leggerezza.
“Mmh” mugugnò Jim, non sapendo bene cosa rispondere. Tuttavia si voltò, si mise supino e lanciò una fugace occhiata al suo amico.
“Però adesso mi devi spiegare come ci sono finite le tue calze sotto il cuscino” cambiò discorso il tastierista, sperando di stemperare l’atmosfera. Sapeva che Jim quel giorno aveva già fatto un grande sforzo, doveva essere terribile per una persona così introversa vivere un momento di tensione come quello.
Il chitarrista sospirò. “C’è un motivo, okay? Non è solo per il fatto che sono disordinato.”
“E sarebbe?”
Jim arrossì. “Devo proprio dirtelo?”
“Certo. Altrimenti posso sempre chiamare Mike e chiedergli di torturarti finché non sputerai il rospo” lo minacciò Roddy con un sorriso beffardo.
“E va bene! Ho sempre i piedi freddi, quindi le metto sotto il cuscino per riscaldarle prima di indossarle” ammise in imbarazzo.
L’altro scoppiò a ridere. “Il burbero metallaro Jim Martin con i piedi freddi?!”
Indispettito, il chitarrista gli si avvicinò e lo bloccò per un braccio. “Vuoi provare?” sussurrò, per poi posargli la pianta del piede gelido sul polpaccio.
Colto alla sprovvista, Roddy gridò e lo spinse via, poi si accanì contro di lui per cercare di buttarlo giù dal letto, spingendolo verso il bordo. Jim ridacchiava sotto i baffi e cercava di bloccargli i polsi, ma infine, quasi fuori dal perimetro del materasso, fu costretto ad aggrapparsi a lui per non ruzzolare giù.
“Ti avverto, se mi fai cadere ti trascinerò giù con me” lo ammonì Jim.
Roddy ebbe pietà e, afferrandolo per le braccia, lo trasse nuovamente verso il centro del letto, poi lo lasciò andare, posizionandosi a pancia in su per riprendere fiato dopo la lotta. Trascorso qualche minuto, rotolò nuovamente verso il suo amico che gli dava le spalle, ritrovandosi con le dita incastrate nei suoi ricci scuri. Fece scorrere la mano tra le ciocche del chitarrista e andò a impigliarsi in una miriade di nodi più o meno intricati.
“Ahi! Cazzo, fai piano, Bottum” si lamentò lui.
“Hai un campo di battaglia in testa” replicò Roddy, prendendo a snodare i capelli con delicatezza.
Jim venne percorso da un brivido: adorava quando qualcuno giocava con i suoi capelli. E stavolta, anche se si trattava di Roddy, non riusciva a ritrarsi o farsi prendere dall’ansia, era soltanto rilassante.
“Forse sono così incasinati perché qualcuno mi ha aiutato a scompigliarli, prima saltandomi addosso e facendomi il solletico, poi cercando di sfrattarmi dal letto” commentò ironico.
“O forse è l’umidità della sera” ribatté Roddy in tono innocente.
Con uno sbadiglio, Jim si mise supino, ma raccolse i suoi capelli con una mano e fece in modo che rimanessero a disposizione del tastierista; quest’ultimo si stava divertendo un mondo a giocarci con movimenti misurati e attenti, facendovi scorrere in mezzo le dita esperte.
Accadde tutto così spontaneamente che nessuno dei due ebbe il tempo di chiedersi come fosse possibile: Roddy si accoccolò con la testa sulla spalla del chitarrista, accanto a lui, e continuò a giocare con i suoi capelli.
Jim venne invaso da una punta d’ansia, ma stavolta la scacciò e cercò di non pensarci troppo. Qualsiasi fosse il significato di quel gesto e qualsiasi conseguenza avrebbe avuto, in quel momento stava bene e decise di non chiedersi il perché.
Poteva capitare, qualche volta, di non avere il controllo della situazione.
Poteva capitare, qualche volta, di mandare al diavolo i pregiudizi e lasciarsi coccolare.
 
 
 
 
 
 
 
♥ ♥ ♥ ♥ ♥
 
 
Alloooooora, come motivare questo strambo e delirante esordio nella categoria dei Faith No More? Non lo so nemmeno io, ma a mia discolpa (???) vi posso solo dire che è tutta colpa di Kim, che mi ha ispirato con ben due storie: prima nella sua shot Swallow ha accennato al fatto che Roddy e Jim condividessero il letto matrimoniale (anche se nella sua storia non è questa la coppia, ma sorvoliamo!) e poi nella sua drabble Puzze sospette (da cui ho ripreso l’intero dialogo delle calze, grazie Kim per avermi permesso di prendere spunto), dove ha sviluppato ulteriormente questo aspetto del letto condiviso!
Non so assolutamente come me la sono cavata con la caratterizzazione, non ho per niente dimestichezza con questi personaggi e ho deciso di utilizzare la terza persona perché ancora non me la sentivo di immergermi nei pensieri di uno dei due. Tuttavia ho voluto provare l’impossibile, non solo ispirata da Kim, ma anche dal pacchetto del contest “Generi a catena”, fornitomi dalla cara GiuniaPalma:
 
Genere: fluff
Prompt: "Non avrò pace finché non ti ammazzo. Lo sai, vero?"
 
Grazie anche a te, Palma, per il pacchetto assolutamente fantastico che hai suggerito *-*
Come avrete notato, questa bizzarra coppia non è ancora una coppia a tutti gli effetti, ma ho deciso di raccontare un momento precedente a qualsiasi cosa possa capitare (o che magari non capiterà mai, chissà), in cui le cose non sono ancora molto definite… perché AMO i rapporti non definiti, è una cosa che mi fa uscire di testa *____*
Ora è il caso di dare alcune spiegazioni per chi non conosce la band, ma ha deciso ugualmente di addentrarsi in questa lettura:
-      La storia è ambientata intorno al 1989/1990, periodo in cui i Faith No More hanno cominciato ad avere successo a seguito di The Real Thing, il loro primo album con Mike Patton come cantante.
-      Jim Martin è stato il chitarrista della band fino al 1993, quando infine se n’è andato per via di divergenze artistiche. A un certo punto lui ha smesso di andare d’accordo con tutta la band, ma i conflitti sono nati soprattutto con Mike Patton, dato che il cantante gli ha spesso giocato degli scherzi anche sul palco (una volta gli ha spalmato una fetta di pizza in faccia). Ecco perché Roddy lo minaccia di chiamare Mike XD
-      Sempre parlando di Jim, è stato dichiarato tante volte che lui era quello chiuso e introverso della band. Spero di essere riuscita a evidenziare questo fattore ^^
-      Parlando invece di Roddy, è vero che il tastierista è gay, ha fatto coming out nella prima metà degli anni Novanta ma il resto della band l’ha sempre saputo. Il fatto che questa cosa mettesse Jim a disagio è una mia licenza poetica!
-      Il titolo della storia significa “non dovrebbe darmi fastidio” ed è un verso del brano A Small Victory dei FNM, tratto dall’album Angel Dust del 1992 (l'ultimo con Jim). Non l'ho scelta a caso, mi piace l'atmosfera di quella canzone unita a questa storia e penso sia un ottimo esempio di come tastiera e chitarra si amalgamano bene - eeeeh, vedi, anche nella musica, mica solo nella mia testa *-* XD
Dovrebbe essere tutto, spero che ora tutti i vostri eventuali dubbi siano stati chiariti :)
Grazie mille per aver dato un’occhiata a questa storia e spero di avervi strappato un sorriso! :3
Alla prossima!!! ♥
 

   
 
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