Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Zaelit_    05/02/2020    0 recensioni
Il giovane Dio Brando cerca vendetta nei confronti del padre, che detesta con tutto il suo animo poiché responsabile della morte dell'adorata madre. Tra ricordi di gioia e di pura rabbia, incontra a Ogre Street un misterioso venditore che sembra conoscerlo molto bene e che gli rivela l'esistenza di una curiosa profezia...
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Prima di una serie di one-shot di vario tipo, in questo caso relativa a Phantom Blood. Ho scelto di approfondire una scena che nel manga e nell'anime è solo accennata e di proporre una mia personale interpretazione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dio Brando
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ogre Street puzzava di fetido. L'odore del letame, della malattia e del sangue si amalgamava in un miasma insopportabile per chiunque tranne che per le persone che abitavano quella zona.
Il ragazzo camminava tra le ombre misteriose di quella zona: la flebile luce dei rari lampioni che costellavano di tanto in tanto il ciottolato sotto i suoi piedi era l'unica fonte di luce oltre agli strani e piccoli fuochi che bruciavano anonimi nei vicoli. Luridi vagabondi dalle vesti logore si riscaldavano al calore di fiamme accese in bidoni di metallo grazie alla combustione di giornali trovati per strada o di chissà quale altro materiale.
Anche per lui, che era nato e vissuto in una misera periferia di Londra, quella situazione era troppo da sopportare. L'odore dell'aria gli aveva fatto arricciare il naso e stringere le palpebre, nascoste sotto una maschera dipinta di nero che copriva il suo viso alla fronte alle narici. Le labbra distorte in una smorfia, però, erano ben evidenti sulla pelle pallida al di sotto di essa.
Non vedeva l'ora di sbrigare quell'affare e tornarsene a casa, dove avrebbe portato a termine il suo piano. Unico carburante che gli consentiva di proseguire nel suo intento era quella crescente sensazione di odio e ribrezzo che lo aveva accompagnato sin dalla tenera età, quando aveva scoperto come realmente girasse il mondo, al di fuori del tiepido abbraccio di una madre amorevole che, peraltro, non aveva neppure potuto conoscere come alla fin fine desiderava.
Più di ogni cosa si sentiva abbandonato. Si era cresciuto da solo, caduta dopo caduta, e aveva pagato caro ogni errore e ogni nuova lezione.
Aveva impiegato mesi a raccogliere i soldi di cui aveva bisogno. Per farlo, aveva imparato a barare impeccabile a carte e aveva prosciugato un ubriacone in un bar, riuscendo ad aggiudicarsi il montepremi che egli aveva puntato: qualche sterlina argentata, nulla di eclatante per un comune uomo inglese di quel tempo, ma un vero tesoro per lui, che non aveva mai stretto fra le mani una somma tanto consistente. E poi aveva iniziato a partecipare ai tornei di boxe, a fare a pugni con chiunque avesse in mente la sua stessa idea e fosse pronto a metterla in pratica per portare un po' di pane a casa. Eppure lui aveva una determinazione fuori dal comune, nonché un duro passato alle spalle nonostante la giovane età. Era stato pestato a sangue più di una volta e questo non l'aveva demoralizzato ma reso più forte. Oramai aveva una pellaccia dura come il marmo, come dicevano gli spettatori che accorrevano a tifare per lui a ogni nuovo combattimento, motivo per il quale non c'era tecnica che reggesse contro i suoi attacchi o colpo che lo ferisse davvero quando tornava a difendersi.
Nel profondo del suo cuore, però, si vergognava. Non di quello che stava per fare, ma di essersi abbassato al livello di zoticoni e nullafacenti che, a detta sua, non meritavano altro di essere calpestati come insetti. Quei reietti della società lo disgustavano e questo lo aveva spinto a fare di tutto pur di distinguersi da loro. Questo comportava dei sacrifici, e l'idea non lo spaventava.
Sapeva di essere arrivato all'atto conclusivo del suo piano, ma che quella decisione avrebbe dato inizio a un nuovo capitolo della sua vita. Lo realizzò quando i suoi occhi dorati si posarono sull'insegna lignea di un negozio incastonato tra le sudice casupole di Ogre Street. Ripetè mentalmente il nome del venditore che gli era stato consigliato da una conoscenza qualche mese prima, dietro adeguato pagamento: Wang Chan. Doveva parlare con Wang Chan.
Poggiò una mano sulla porta e provò a spingerla, realizzando che fosse chiusa. A quel punto, cercando di non perdere completamente le staffe, bussò con forza. Il legno cigolò sotto le sue nocche.
Nel giro di qualche secondo una finestrella si aprì davanti a lui, proprio sulla porta: un paio di occhi scuri fece capolino nella fessura, scrutandolo con attenzione.
«Va' via, moccioso.» intimò l'uomo che aveva risposto, «Questo non è un luogo adatto a un ragazzino. Torna ad appenderti alla gonna di tua madre.»
Giudicandolo con sdegno, l'altro strinse i denti e trattenne il forte impulso di cavargli gli occhi con due dita.
«Sto cercando Wang Chan. Mi è stato detto che avrei potuto trovarlo qui.» annunciò allora, più tranquillo.
Gli occhi scuri lo squadrarono ancora per un po'; l'uomo non ribatté. Non era il suo accento puramente londinese ad attirare la sua attenzione, né tanto meno la capacità di esprimersi con una grazia impossibile da paragonare ai modi di fare dei residenti del posto.
Con un brontolio pensoso, l'adulto richiuse la finestrella e armeggiò con alcuni lucchetti.
In un attimo, la porta si aprì di nuovo davanti al giovane.
«Entra.» gli concesse quello che si rivelò essere un omone dalla pelle scura alto almeno il doppio di lui. Cicatrici chiare adornavano la sua pelle come souvenir da collezione.
Il ragazzo, però, non batté ciglio. Non aveva paura di lui. Se necessario avrebbe estratto il coltello dal cinturone, portato con sé per ovvia precauzione, e lo avrebbe conficcato in uno dei suoi fianchi, ma mai e poi mai avrebbe abbandonato la sua missione ora che era arrivato fino a questo punto.
Gli sfilò di fianco e sentì chiudere la porta alle sue spalle. Finalmente il tanfo della strada sparì e venne rimpiazzato da un pungente quanto gradevole odore d'incenso.
«Che sei venuto a cercare?» tuonò quindi l'uomo, avvicinandosi a lui.
«Non sono affari che ti riguardano. Portami da Wang Chan.» replicò il giovane, seccato e per niente interessato a intraprendere una conversazione con lui. Non poteva importargli di meno e fremeva all'idea di fare ciò per cui era venuto, partendo dal lato opposto della città e andandosi a cacciare in un cunicolo di vie famoso solo per essere il luogo più pericoloso di Londra, culla di epidemie e criminali di ogni tipo.
L'uomo si rabbuiò e grugnì in risposta. Non aveva intenzione di accompagnarlo, evidentemente. Per questo motivo, gli indicò una porticina più piccola.
«Segui le scale, poi attraversa il corridoio. Troverai chi stai cercando nel negozio.» spiegò solamente.
Il ragazzo non ripose e s'incamminò.
«Prova a fare scherzi e ti spezzo le ossa.» aggiunse l'altro alle sue spalle, ma venne ignorato.
Il giovane si ritrovò presto su un pianerottolo grigio: delle scale a chiocciola l'avrebbero portato al piano inferiore... al suo obiettivo. Il suo futuro si stava pian piano plasmando come desiderava.
Una persona comune avrebbe avuto paura. Molta, per giunta. O quantomeno si sarebbe sentita in colpa. Lui non poteva che essere felice di aver preso quella decisione.
A ogni scalino che calpestava il ricordo delle sue motivazioni si faceva più vivido nella sua mente.
E ben presto divenne un ricordo, una memoria nella quale si perse...

Era ancora molto piccolo, ma ricordava il viso della donna che lo teneva fra le braccia. Aveva il viso stanco e segnato da profonde occhiaie, ma era bella come un raggio di sole in primavera. Aveva lunghi capelli castani raccolti in una treccia sotto un cappellino lillà, e profondi occhi azzurri che contemplavano il figlio in ammirazione, con l'amore che solo una madre saprebbe dimostrare.
Gli carezzava i capelli biondi ancora molto corti, facendolo sedere sulle sue ginocchia, e ogni tanto gli solleticava la pancia provocando qualche risatina da parte del piccolo.
Il padre non era in casa e il bambino sapeva che era meglio così. Solo quando non era lì con loro riusciva a vedere la madre più serena, anche se a volte restava da solo. Non sapeva ancora che lavoro facesse ma era lei a mandare avanti l'intera famigliola. Oltre a questo, quando era a casa si occupava anche del piccolo, badava alle faccende domestiche e cucinava per tutti.
Ma quando l'uomo che lo aveva messo al mondo tornava, con una bottiglia in mano e il viso sudato, la sua vita diventava un inferno. Essendo troppo piccolo per comprendere la natura dei litigi, il bambino si nascondeva sotto il letto e aspettava che tutto finisse. Ciò accadeva, solitamente, quando la donna veniva spinta oltre alla porta, esortata a tornare a lavoro per guadagnare altro denaro che lui avrebbe poi speso in quelle bottiglie.
Eppure, restava sempre una donna amorevole e gentile con il suo unico figlio.
«Dio,» gli diceva spesso, chiamandolo per nome e continuando a carezzargli i capelli o una guancia, «Sei il mio piccolo angelo.»
E lo sarebbe diventato, molto probabilmente, se il destino non avesse preso una piega tanto sfavorevole per lei.
Suo marito non le dava tregua, pretendesse che lavorasse di continuo, e questo portò la donna a star male.
Quando fu ormai costretta a letto, fu il figlioletto a prendersi cura di lei ricambiando il favore.
Le premeva la pezza bagnata contro la fronte, singhiozzando.
«Mamma, quando starai di nuovo bene?» chiedeva ingenuamente il bambino, troppo giovane per capire.
E allora lei gli poggiava una mano sulla guancia ed evitava di rispondergli . Non gli avrebbe mentito mai e poi mai, motivo per il quale preferiva restare in silenzio.
«Vieni qua, piccolo mio.» diceva solamente, picchiettando la veste rosa che portava negli ultimi tempie lui si rannicchiava accanto a lei sul materasso, chiudendo gli occhi e pregando che potesse stare meglio.

Quel ricordo lo fece sorridere per un attimo, poi le sue emozioni si tramutarono in astio.

Ricordava che, solo qualche mese prima, suo padre si era ammalato e come la defunta moglie era stato costretto a rimanere a letto, incapace di alzarsi e lavorare.
Dio gli aveva procurato una medicina. Aveva impiegato settimane per raccogliere i soldi necessari anche quella volta, giocando a scacchi nelle locande. Lui l'aveva ripagato con nient'altro che offese e percosse.
Al culmine del litigio, gli aveva lanciato contro quella stessa veste rosa che sua madre tanto aveva amato prima che la malattia alla quale lui l'aveva condotta la portasse alla morte.
«Questo... questo è il vestito della mamma!» aveva esclamato il ragazzo, prendendo tra le mani l'abito e riuscendo a sentire ancora il profumo dolce e pulito che ne proveniva.
«Vendilo e comprami qualcosa da bere!» aveva continuato a urlare suo padre, «Non potrebbe importarmi di meno del vestito di una prostituta morta!»

Le sue parole lo avevano fatto infuriare più che mai, portandolo alla scelta definitiva che aveva preso quella volta.
Era per lui che si trovava lì, a Ogre Street, quella sera. Per fargliela pagare.
Perché nessuno dei malati di quel posto, nessun vagabondo o criminale che si nascondeva come un ratto in quel quartiere dove tutto era lecito e permesso, avrebbe mai potuto disgustarlo quanto Dario Brando, quel mostro che aveva come padre.
Aumentò il passo per sbrigarsi, oramai non stava più nella pelle. Voleva farla finita, voleva liberarsi di quel maledetto ubriacone, voleva che sparisse dalla sua vista e che finisse all'inferno. Così, almeno, sua madre avrebbe potuto riposare in pace.
Raggiunse il pianerottolo del piano inferiore e notò che la nube d'incenso proveniva da lì, dov'era situato il negozio. Quando valicò la soglia si sorprese dell'arredamento di quel posto, immerso in un puro stile orientale.
Non aveva mai visitato la Cina - a dire il vero non aveva mai neppure lasciato Londra, ma aveva sentito storie dai viaggiatori, cittadini del mondo che esploravano terre lontane come quella. Ora sapeva che nulla di tutto ciò che gli era stato detto era una fantasia o una menzogna: statue di pietra dalla forma di drago s'intrecciavano in colossali pilastri che sostenevano la sala. L'incenso era come nebbia e dovette attraversarlo per trovare ciò che stava cercando. L'odore pungente lo costrinse a coprirsi per qualche secondo le labbra con una manica per tossire e filtrare aria pulita, non abituato a quel tipo di profumo.
«Avvicinati, ragazzo.» proferì una voce sconosciuta, acuta come se provenisse da una vecchia strega.
Dio seguì quel segnale, il suono che lo avrebbe portato alla libertà. Si ritrovò davanti a un tavolo circolare: un uomo molto basso sedeva dal lato opposto. Aveva occhi estremamente piccoli e scuri e capelli decisamente bizzarri, che partivano da un'attaccatura stempiata sull'ampia fronte. Il vecchio lo guardava con molto interesse, quasi con gioia, e intanto si massaggiava i lunghi baffi neri.
«Tu devi essere Wang Chan.» dedusse astutamente il ragazzo. Quell'uomo aveva tutta l'aria di essere un cinese, non aveva affatto dubbi riguardo alla sua identità.
«Esatto.» sghignazzò egli, prima di continuare, «E tu sei Dio Brando, dico bene?»
Il giovane sussultò.
«Come fai a conoscere...»
«Ti stavo aspettando, Dio. Il tuo arrivo era stato predetto. Ti ho riconosciuto non appena hai messo piede in questo negozio.»
Il cinese lo indicò con una delle dita ossute.
Dio retrasse la testa, non volendo essere neppure sfiorato, e mise mano al coltello sotto la lunga giacca nera. Non capiva come fosse possibile, per lui, sapere il suo nome. Non lo aveva mai visto prima e, anche se fosse, indossava una maschera per precauzione. Aveva pensato a tutto, a tutto! Dove aveva sbagliato?
«Sì... la forma del tuo viso, i tre nei sul lobo del tuo orecchio sinistro... tutto corrisponde alla profezia. Tu... tu sei un uomo molto importante, Dio Brando.» continuò a sorridere il vecchio. «E so anche perché sei venuto fin qui.»
Il ragazzo non si sentiva a suo agio. Odiava l'idea che qualcuno avesse previsto una sua mossa o raggirato una sua strategia. Aveva trascorso anni e anni a leggere libri, a studiare e impegnarsi per diventare più intelligente degli altri, per schiacciare i propri avversari non solo con la forza dei muscoli ma anche con quella di una mente ben allenata.
«Allora sbrigati a darmi ciò che voglio.» lo spronò.
Prima che potesse chiederglielo, lanciò un sacchetto di cuoio marroncino sul tavolo rotondo. Monete argentate rotolarono sulla superficie coperta da una tovaglia morbida e scura.
Il cinese si massaggiò di nuovo i baffi, rise e gli voltò le spalle. Tornò poco dopo con un piccolo scatolo, che aprì davanti agli occhi del ragazzo.
Gli mostrò una piccola e curiosa pasticca bianca, sottile come un'unghia e dall'aria innocua.
«Potrebbe sembrare una medicina...» gli spiegò con una forte delicatezza nella voce, come se gli stesse presentando una bella donna anziché un oggetto, «In realtà, però, è un potentissimo veleno. Fa' in modo che lo assuma come se fosse una pillola e otterrai il risultato che desideri.»
Finì di spiegarsi e richiuse la pasticca nel piccolo scatolo, cedendolo a lui.
Quando lo prese fra le dita, Dio non poté trattenersi. Sorrise.
Finalmente aveva ciò per cui aveva lavorato tanto duramente. Finalmente, quella sera, la sua libertà sarebbe diventata estremamente più vicina a lui. E l'avrebbe afferrata saldamente, senza mai lasciarla andare. La sua vita lo aspettava.
«Ottimo. Ti ringrazio, addio.» salutò bruscamente, dandogli subito le spalle e dimenticandosi di aver appena pagato una consistente somma di denaro per acquistare quel veleno.
La voce del vecchio, però, lo attirò per un attimo.
«Ci rivedremo, un giorno.» lo avvisò sghignazzando come sempre, «La profezia dice anche questo. E, quando accadrà, sarai pronto a diventare l'uomo più potente di questo intero mondo... padrone.»
Scoppiò in una risata e Dio non poté non pensare che fosse semplicemente un pazzo. In ogni caso, però, l'idea di diventare il più forte lo attirava oltre ogni immaginazione. Come sarebbe stato, dunque, dominare Il Mondo?
Non lo sapeva. Francamente, non sapeva nemmeno cosa sarebbe accaduto l'indomani mattina, motivo per il quale preferiva, almeno per quel giorno, concentrarsi sul presente e sulla sua missione. Solo di una cosa era certo, a proposito del futuro...
Suo padre era un uomo orribile, fallito sotto ogni punto di vista. Quando sarebbe toccato a lui avere dei figli, però, non avrebbe mai preso il suo esempio. Nessun bambino, sangue del suo sangue, avrebbe mai dovuto condurre l'infanzia che era spettata a lui. Mai e poi mai.
Lo promise a se stesso. Era pronto a uccidere, a torturare, a farsi strada con il sudore e con il sangue. Tutto, pur di diventare il più forte. Ma nessuno sarebbe mai diventato come Dario Brando e quel suo piccolo, spaventato bambino, costretto a nascondersi sotto a un letto per sfuggire alle proprie paure.

 

* * *

Salve, cari lettori! Oggi ritorno su questa piattaforma con una one-shot scritta in due serate, dopo aver preso la decisione di pubblicare le varie idee, un po' folli, che ogni tanto mi vengono in mente. In questo brano ho voluto analizzare il mistero della profezia di Dio, che per me rimane un enigma, e il suo rapporto con la madre. Insomma... sono fermamente convinta che avesse un rapporto meraviglioso con lei, e che quella donna fosse l'unica persona al mondo a cui lui abbia mai tenuto veramente al di fuori di se stesso e, sotto sotto, anche di Jonathan (o almeno... del suo corpo). Fatemi dunque sapere, se vi va, cosa ne pensate di questa one-shot con una recensione. Ci tenevo molto a scriverla in quanto DIO resta uno dei miei personaggi preferiti (eh già, lui e Bruno lottano per avere il primo posto). Io vi saluto e vi aspetto, se vorrete leggere altro, alla mia prossima one-shot! Un bacione e arrivederci!

   
 
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