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Autore: Lamy_    07/02/2020    0 recensioni
Ernest Hemingway ha scritto “ma noi non eravamo mai soli e non avevamo paura quando eravamo insieme’’.
Thomas e Amabel si sono ritrovati dopo la Guerra, dopo anni di lontananza, dopo le difficoltà che hanno dovuto affrontare. Insieme non devono più temere i nemici, eppure nei vicoli sudici e fumosi di Birmingham si nascondono nuove minacce in agguato.
La città è sull’orlo di una crisi: Amabel contro Evelyn; i Peaky Blinders contro i Birmingham Boys. Non c’è spazio per la paura. E’ arrivato il momento di lottare.
Thomas e Amabel si lasceranno annientare dalla paura oppure la vinceranno?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. IL SACRO VINCOLO

“Still your hands,
and still your heart,
for still your face comes shining through.
And all the morning glows anew,
still your mind,
still your soul.
For still, the fire of love is true,
And I am breathless without you.”
(Breathless, Nick Cave and the Bad Seeds)
 
Settembre 1916, Somme.
Amabel si svegliò di soprassalto a causa di un rumore improvviso. Solo due ore prima si era appisolata accanto al letto di un soldato a cui avevano estratto una cinquantina di frammenti di metallo dalla schiena. Era stata un’operazione lunga e sfiancante, e il sonno aveva sopraffatto la ragazza in pochi minuti. Si stropicciò gli occhi e si alzò per controllare i pazienti: uno di loro si stava lamentando mentre dormiva; era il sergente maggiore Shelby. Stava avendo un incubo, sussultava tra le lenzuola, borbottava tra sé, e con le dita si graffiava il volto coperto dalle bende.
“Sergente! Sergente, svegliatevi!” sussurrò Amabel, non voleva disturbare anche gli altri soldati. Trattenne un grido quando la mano del sergente le agguantò il polso. Gli occhi dell’uomo erano di un azzurro tempestoso, simili a un cielo sul punto di esplodere.
“Sergente, siete al sicuro. Non c’è nulla da temere.”
Tommy lasciò andare il braccio della dottoressa e si mise seduto, sentiva la testa pulsare e il sudore che gli imperlava la fronte.
“Oh … io … perdonatemi, dottoressa.”
“Non vi preoccupate. Piuttosto, parlatemi del vostro incubo.”
Amabel si sedette sul letto e aggiustò il lenzuolo sulle gambe del sergente in modo che non prendesse freddo, era una nottata particolarmente fresca. Gli versò dell’acqua e lo aiutò a bere. Tommy respirava a fondo per riprendere il controllo della situazione, ma lo sguardo apprensivo della dottoressa non era d’aiuto.
“Vi preoccupate troppo, dottoressa. Io me la cavo.”
“Beh, preoccuparmi è il mio lavoro. Che razza di medico sarei se non mi prendessi cura dei miei pazienti?”
Poche settimane prima la dottoressa si era seduta accanto a lui e gli aveva letto delle poesie con quella sua vocina dolce e ingenua che poteva appartenere soltanto ad una ragazza di venti anni. Tommy non era un appassionato di poesia, a stento aveva imparato a leggere e a scrivere, eppure era rimasto affascinato da quelle parole semplici e profonde al tempo stesso.
“Siete un ottimo medico, non abbiate dubbi.”
“Vi ringrazio. – sorrise Amabel – Ora raccontatemi perché vi stavate agitando.”
“Voi non mollate mai la presa, eh?” scherzò Tommy, al che la dottoressa ridacchiò.
“Perché mollare la presa quando la tengo ben stretta fra le mani?”
Tommy rimaneva stupito ogni volta che si confrontava con lei, gli teneva testa con una facilità disarmante.
“Sognavo quei fottuti tunnel, sporchi, infiniti, infestati dal tanfo dei morti. Ho rivissuto il momento in cui i nemici ci hanno sorpreso, le urla, lo sparo, l’esplosione.”
“Non ricordate altro del vostro incidente? E’ passato parecchio tempo, potrebbero essere affiorati altri ricordi che vi tormentano.
Tommy bevve di nuovo, più per evitare lo sguardo della ragazza che per necessità.
“Dopo l’esplosione l’unica cosa che ricordo è la vostra voce che mi dice di fidarmi di voi.”
“Sono davvero brava a dare consigli, vero?” disse Amabel facendo spallucce. Tommy rise, si sentiva più sollevato di pochi minuti prima.
“Sì, siete piuttosto brava.”
Di colpo Amabel diventò seria e Tommy si irrigidì, sotto quella tenda il pericolo era costante.
“Devo comunicarvi una notizia, sergente.”
“Sarebbe?”
“Ho spedito una lettera alla vostra famiglia perché vengano a prendervi settimana prossima a Londra. Ho chiesto al Comando Militare di congedarvi e la mia richiesta è stata accolta. Tornerete a casa. La guerra per voi è finita. Inoltre, vi toglieremo le bende al volto tra un paio di giorni.”
Tommy si portò una mano sul cuore per accertarsi che battesse ancora dopo quella notizia. Non pensava di tornare a casa tanto presto. Anzi, non pensava di tornare vivo.
“Perché lo avete fatto? Sono ancora in grado di scav…”
“No! – lo interruppe Amabel – Voi non avete nessun obbligo a restare. Vi sto offrendo la possibilità di evadere da questo orrore e vorrei che la coglieste. E’ l’unica possibilità che avete, tra due settimane non concederanno più congedi. Ho faticato per farvi tornare a casa.”
Tommy sospirò, sopraffatto da una miriade di emozioni: paura, gioia, dolore, smarrimento.
“Grazie. Grazie davvero, dottoressa. Voi non eravate costretta a farlo.”
Amabel gli toccò la spalla con un gesto quasi impercettibile, eppure Tommy rabbrividì.
“L’ho fatto perché volevo. La vostra famiglia vi aspetta.”
“E voi quando tornerete a casa?” domandò Tommy.
“Non lascerò questi uomini fino a quando la guerra non cesserà.”
Tommy negli occhi della dottoressa lesse una tenacia che nessun soldato aveva mai dimostrato. Lei era forte, decisa, e non avrebbe permesso alla guerra di scalfirla.
“Affronterete l’inferno, dottoressa.”
“Prima o poi tutti dovremo incontrare il diavolo in vita nostra.”
Tommy avrebbe voluto abbracciarla – per consolarla, per consolarsi – ma si limitò ad annuire.
“Vi va di leggermi una delle vostre poesie? Mi piacerebbe condividere con voi un ultimo momento.”
Amabel tirò fuori dalla tasca del camice un piccolo libro dalla copertina logora, all’interno le pagine erano segnate dagli angoli piegati, e aprì un brano a caso.
“Nella vita ci sono giorni pieni di vento e pieni di rabbia. Ci sono giorni pieni di pioggia e pieni di dolore, ci sono giorni pieni di lacrime; ma poi ci sono giorni pieni d’amore che ci danno il coraggio di andare avanti per tutti gli altri giorni.” (Notte Infinta di Romano Battaglia)
E in quella notte buia entrambi si chiesero se avrebbero mai trovato un amore che li avrebbe fatti andare avanti.
 
 
Settembre 1925, Birmingham.
 
Tommy osservava il lento scorrere dell’acqua del canale dalla finestra del vecchio appartamento di Small Heath. In quella casa fatiscente era nato, cresciuto, era diventato un soldato prima e un gangster poi. In quelle quattro mura era racchiusa tutta la sua vita. I timidi raggi del sole piombavano nella stanza illuminando la coltre di polvere che ricopriva i mobili. Tommy sospirò. Era stanco, ma per la prima volta si trattava di una stanchezza buona. Non aveva dormito la notte precedente perché il pensiero dell’imminente matrimonio lo aveva tenuto sveglio. In quel letto aveva pensato a tante cose – a sua madre, ai suoi fratelli, alla guerra, a Greta – ma non aveva mai pensato che un giorno si sarebbe spostato. Per di più, cosa ben più incredibile, non aveva mai pensato che avrebbe sposato una donna come Amabel. Era difficile credere che una come lei, ragazza dabbene dell’alta società e in gamba come poche persone, sarebbe diventata la moglie di un povero zingaro proveniente da uno dei più degradati quartieri di Birmingham.
Quel vorticare di pensieri si interruppe quando la porta si spalancò, rivelando un Arthur assonnato sulla soglia.
“Ohi, Tom! Tra due ore ti sposi. Sei pronto?”
Arthur era lucido, ma sarebbe durato poco, e sorrideva allegro. Tommy spense la sigaretta sul davanzale della finestra, si alzò e si passò una mano sul viso.
“Sono pronto. Ti va un goccio di whiskey?”
“No, niente alcol fino alla fine della messa.” Disse Polly, che era comparsa alle spalle di Arthur. Aveva i bigodini fra i capelli, la sigaretta in bocca e una tazzina di the in mano.
“Agli ordini!” esclamò Arthur, poi scese in cucina per sgranocchiare qualcosa. Polly si prese qualche istante per studiare Tommy: all’apparenza era calmo come sempre, eppure un leggero tremore del labbro superiore tradiva la sua maschera stoica.
“Guarda, Tommy Shelby che è terrorizzato dal matrimonio.”
Tommy sbuffò e si accese un’altra sigaretta, ci avrebbe pensato il profumo a celare la puzza di fumo.
“Non sono terrorizzato. E’ solo che …”
“Hai paura di rovinare tutto con Amabel.” Concluse Polly per lui. Tommy annuì.
“Con lei non posso sbagliare. Non devo sbagliare.”
La zia bevve un sorso di the senza staccare gli occhi da lui.
“Allora non sbagliare.”
 
Amabel mangiucchiava un biscotto mentre intorno a lei Ada e Diana si affaccendavano per preparare abiti, scarpe e trucco.
“Altro caffè, dottoressa?” domandò Jalia reggendo la caffettiera. Amabel scosse la testa e automaticamente prese un altro biscotto.
“Sto bene così, grazie. Verrai con Michael al matrimonio?”
Jalia tossì per l’invadenza di quella domanda; la dottoressa Hamilton non aveva peli sulla lingua.
“Cosa vi fa credere che io e il signor Gray abbiamo una tale confidenza?”
“Jalia, non sono mica tonta. Lo so che voi due siete amici. Venire al matrimonio insieme non fa di voi una coppia.” Disse Amabel, e nel frattempo aveva addentato un altro biscotto.
“No. – disse Jalia – Non verrò al matrimonio con il signor Gray. Tra di noi c’è solo una profonda stima, nulla di più.”
Amabel stava per replicare quando Diana fece irruzione in cucina con le gote arrossate.
“Bel, ti ricordi che oggi ti sposi? Sei in ritardo!”
“E’ solo un matrimonio, non un affare di stato. Calmati, sorellina. Andrà tutto bene.”
Amabel aveva preso i preparativi del matrimonio con serenità. Aveva organizzato tutto senza troppo stress, in fondo sapeva esattamente cosa voleva. Il rito sarebbe stato celebrato nella cattedrale cittadina e la festa si sarebbe tenuta in aperta campagna come voleva la tradizione zingara. Amabel non desiderava un matrimonio normale, lei voleva qualcosa di bizzarro e diverso, qualcosa che avrebbe lasciato un segno.
“Io ero agitatissima il giorno del mio matrimonio.” Disse Ada, e Amabel sbatté le palpebre per tornare alla realtà.
“Eri bellissima. Polly mi ha mostrato una foto, avevi un vestito adorabile.”
“Ed ero anche molto giovane!” ribatté Ada ridendo.
Amabel lanciò un’occhiata al pendolo, era il momento di prepararsi.
“Signore mie, che questa giornata abbia inizio!”
 
La cupola della chiesa di Saint Philip si stagliava contro il cielo azzurro come fosse un sole di pietra. L’imponente facciata della chiesa in pieno stile barocco donava all’edificio una bellezza eterna, come se il tempo si fosse congelato e tutti potessero godere per sempre di quella meraviglia. Tommy gettò la sigaretta a terra e la calpestò, incurante dell’erba sottostante. Gli invitati erano arrivati e attendevano all’interno, all’ombra da una giornata particolarmente soleggiata. Si trattava di poche persone: la famiglia Shelby al completo, zio Charlie e Curly, Diana e la signora Miles, la famiglia Lee, e alcuni colleghi di Amabel. Tommy aveva chiamato Oliver più e più volte per convincerlo a venire, ma non aveva mai ricevuto una risposta. Amabel si sarebbe sposata senza Evelyn e Oliver al suo fianco, per lei era doloroso anche se non lo dava a vedere.
“Ci siamo.” Disse Michael.
Un’auto parcheggiò a un metro dalla chiesa, dal finestrino si intravedevano quattro donne. Ada scese dal lato del conducente e Diana dal lato del passeggero, insieme si voltarono verso Tommy e Michael.
“Tommy, entra dentro. Non puoi vedere la sposa prima delle nozze, porta sfortuna!” gli ricordò la sorella.
Tommy fece un mezzo sorriso e rivolse un saluto verso l’auto, sicuro che Amabel lo avesse visto. Quando i due uomini si furono allontanati, Amabel scese e Polly le sistemò il vestito.
“Pronta?”
“Prontissima.”
Diana, con indosso il suo abitino color pesca dalle maniche gonfie, raccattò un cestino colmo di petali di rose e si piazzò davanti alla sposa. Ada e Polly presero Amabel a braccetto perché loro l’avrebbero accompagnata all’altare.
“Andiamo.”
 
 
Quando l’organo intonò la marcia nuziale, Tommy si rese conto che stava davvero per sposarsi. Non era più un evento ipotetico, era una realtà che camminava verso di lui. Portò lo sguardo su Amabel e di colpo tutte le preoccupazioni svanirono. Era la donna più bella che avesse mai visto. Sorrideva agli invitati man mano che avanzava, stretta fra Ada e Polly, con Diana che gettava petali di rose sul pavimento per l’entrata degna di una sposa. Amabel indossava un abito semplice: un tubino bianco lungo fino al ginocchio con lo scollo a barca e uno scialle altrettanto bianco per coprire la pelle in bella mostra, dato che si trovavano pur sempre in una chiesa. Una sottile cintura di perle le avvolgeva la vita e i capelli, acconciati in una treccia decorata da perline e nastrini bianchi, erano coperti da un velo ricamato; era il velo che sua madre aveva indossato quando si era sposata.
“Thomas, stai bene?”
Tommy sbatté le palpebre e si rese conto che Amabel era arrivata all’altare, perciò fece un passo indietro per lasciarle lo spazio necessario.
“Adesso che ci sei sto bene.”
Amabel sorrise e annuì, mentre Tommy deglutì per il nervosismo.
“Possiamo cominciare.” Disse Polly al prete, e andò a sedersi insieme al resto della famiglia.
Dopo la predica del prete, qualche lacrima di Diana e un paio di risate di Arthur, il rito giunse alla parte centrale.
“E dunque vuoi tu, Thomas Michael Shelby, prendere come tua legittima sposa la qui presente Amabel Marie Hamilton?”
Tommy si girò verso Amabel e sorrise compiaciuto, dopodiché tornò a guardare il prete.
“Lo voglio.”
“E vuoi tu, Amabel  Marie Hamilton, prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Thomas Michael Shelby?”
A quel punto fu Amabel a guardare Tommy e a sorridere facendogli l’occhiolino.
“Lo voglio.”
“Per l’autorità conferitami da Cristo Nostro Signore e dalla Chiesa di Roma, io vi dichiaro marito e moglie. Potete baciare la sposa.”
Un applauso chiassoso proruppe intorno a loro mentre si baciavano.
 
Amabel non immaginava che i Lee avessero organizzato una festa tanto bella. Al centro dello spiazzo, un vasto terreno nel mezzo della campagna, si alzava un grande tendone simile a quello del circo ornato da festoni e fiori colorati. Tutto intorno l’area era occupata da auto, carrozze, e altri caravan. Due ragazze della famiglia Lee accolsero Amabel con una coroncina di fiori che le deposero sul capo in segno di rispetto, poi la trascinarono verso il tendone. All’interno il clima era surreale, quasi magico. L’ambiente era illuminato da una serie di lanterne disseminate qua e là che creavano ombre dinamiche sui drappi colorati. Il lungo tavolo posto al centro era coperto da tovaglie di pizzo ricamate e sopra vi erano caraffe di vino e piatti fumanti che emanavano un odore gradevole.
“Era così che te lo aspettavi?” chiese Tommy, togliendosi la giacca per appenderla alla sedia.
“Sì. – disse Amabel – Anzi, è di gran lunga migliore di quello che mi aspettavo.”
“Un brindisi agli sposi!” grida zio Charlie.
Tutti gli invitati sollevarono i calici laccati d’oro, compresi gli sposi, e bevvero alla salute della coppia.
“Tieni, bevi tu per me.” disse Amabel cedendo il proprio calice intatto a Tommy. Lui mandò giù l’alcol in un colpo solo.
“Un medico non beve neanche nel giorno del suo matrimonio?”
Amabel rise e gli diede un pizzicotto sul braccio, al che Tommy si finse offeso.
“Uno bravo no.”
“Non devi sempre essere pronta a salvare il mondo, Bel. Anche tu meriti un po’ di riposo.”
“Disse l’uomo che non dorme mai a causa degli affari.”
“Mmh.”
“Questo è il suono che fa Tommy Shelby quando sa che sua moglie ha ragione.” Disse Bel, e rise per l’espressione accigliata del marito.
Era strano ed emozionante pensare a lui come a suo marito, eppure la fede dorata che luccicava all’anulare ne era la prova concreta.
“Dopo questo affronto domattina farò ricorso per annullare il matrimonio, eh.”
Amabel lo attirò a sé per baciarlo e Tommy si sciolse come neve al sole.
“Tu resterai sposato con me fino a quando non moriremo.”
“Non chiedo di meglio, signora Shelby.”
 
Verso le undici di sera la musica riprese a riecheggiare nel tendone invitando tutti a prendere parte alle danze. Amabel era stata rapita dalle donne dei Lee e costretta a ballare per tutta la serata, mentre Tommy beveva e rideva per l’incapacità della moglie in fatto di coordinazione. Diana se ne stava seduta per terra a giocare con Charlie, il bambino non sembrava affatto stanco e continuava ad inseguire la piccola palla che Curly gli aveva regalato.
“Palla!” esclamò il piccolo facendo rotolare il giocattolo verso Diana.
“Sì, Charlie, stiamo giocando a palla. E stiamo giocando da due lunghissime ore ormai.”
Fuori dal tendone, Finn fumava in compagnia di Martin, un nuovo membro dei Peaky Blinders che sostituiva Isaiah. Da qualche tempo Diana e Finn si erano allontanati. Certo, stavano ancora insieme, ma lui passava più tempo a Birmingham che a Londra a girare tra i pub e a combinare chissà quali disastri. La ragazza un momento prima temeva che Finn la tradisse, ma l’attimo dopo si ricredeva perché sapeva che lui l’amava e non le avrebbe mai fatto del male.
“Questa è tua?”
Diana alzò gli occhi e vide qualcuno che le porgeva la palla di Charlie. Era un ragazzo alto e snello, ricci neri come la pece e brillanti occhi verdi. Ai lobi delle orecchie portava due orecchini a cerchio.
“Sì, è del bambino. Ti ringrazio.”
“Io sono Milos Lee, sono il nipote di Johnny Dogs.” Disse lui tendendo la mano.
Diana la strinse con una certa fretta, non capiva perché uno dei Lee si fosse avvicinato a lei.
“Io mi chiamo …”
“Diana Hamilton. Tu sei la sorella della sposa. Lo so.”
Diana rimase sorpresa, ma cercò di non darlo a vedere. Mostrarsi vulnerabili con gli sconosciuti era un male, così le aveva insegnato Bertha.
“Sembri sapere parecchie cose di me.”
Milos sfoggiò un sorriso malizioso che fece arrossire Diana.
“Io sono uno informato su parecchie cose, soprattutto su quelle che attirano la mia attenzione.”
“Levati dalle palle, amico.” Tuonò Finn, appostato alle spalle di Diana.
La ragazza si mise in piedi, si pulì il vestito e prese Charlie in braccio.
“Tranquillo, Finn. Milos mi ha solo riportato la palla di Charlie, non è successo niente.”
Finn gettò un’occhiataccia a Milos, che invece ridacchiò con fare divertito.
“Diana ha ragione, le ho solo consegnato il ninnolo del bambino.”
Finn mosse un passo verso l’altro ragazzo con lo sguardo minaccioso, i suoi occhi erano scuri di rabbia.
“Non pronunciare il nome della mia donna. E adesso sparisci prima che finisca male per te.”
Milos fece un inchino e regalò un sorriso a Diana, la quale mascherò il rossore sulle gote distogliendo lo sguardo.
“Buonasera, milady.”
Non appena il ragazzo fu lontano, Diana colpì Finn alla nuca.
“Sul serio, Finn? ‘La mia donna’? Potevi fare di meglio. Hai fatto la figura dell’idiota.”
“Cos’è, ti sta simpatico quel mezzo uomo? Non essere stupida.”
Diana abbracciò Charlie più stretto per trovare un pizzico di conforto almeno nel bambino.
“Ma che cosa ti succede? Tu non sei così, Finn.”
 
Amabel fu lieta quando si sedette per riposarsi dalle danze sfrenate. Si tolse le scarpe sotto il tavolo, si versò un bicchiere d’acqua e sgranocchiò un pezzetto di pane. D’improvviso due mani le coprirono gli occhi, erano callose e odoravano di tabacco.
“Thomas, lo so che sei tu.”
L’attimo dopo le labbra di Tommy le lasciarono un bacio sulla spalla scoperta dallo scollo del vestito.
“Sono sempre io, tesoro. Come fai a capirlo ogni volta? Insomma, anche le mani di Arthur sono simili alle mie.”
Amabel gli accarezzò delicatamente le mani e Tommy fu percosso da un brivido lungo la schiena.
“Lo capisco perché sul palmo hai una piccola cicatrice che ti sei procurato in guerra. Io conosco il tuo corpo a memoria, Thomas.”
In effetti, una minuscola cicatrice biancastra segnava la mano di Tommy nel punto in cui si era infilzato con una scheggia durante un turno di scavo a Somme.
“Questo mi spaventa. Il fatto che tu mi conosca è terrificante perché vuol dire che non posso mentire con te.”
“Perché dovresti mentirmi? Tu con me non devi essere Tommy il gangster. Tu per me sei solo Thomas.”
“Il tuo Thomas.”
“Il mio Thomas.” Disse Amabel, e gli diede un bacio sulla cicatrice.
La loro conversazione fu disturbata dal suono del violino che aveva fatto zittire tutti i presenti. Milos era salito su un tavolo e stava suonando il vecchio strumento che un tempo era appartenuto a suo nonno.
“E’ una vecchia ballata del folklore zingaro. Viene suonata quando una coppia si sposa, è un augurio di felicità e prosperità.”
“Dobbiamo ballare? Dimmi che non dobbiamo ballare, le mie gambe non ce la fanno più.”
Amabel sbuffò quando Tommy la obbligò a raggiungere il centro del tendone. Tutti gli invitati si erano messi in cerchio attorno a loro, alcuni canticchiavano a bassa voce, altri facevano piccoli passi di danza, e altri ancora osservavano la scena. Amabel appoggiò la testa contro la spalla di Tommy e lui fece incastrare le loro dita mentre muovevano i primi passi di un lento.
“Devo darti una bella notizia, Bel.”
“Dimmi pure.”
“Ho vinto le elezioni. Sono ufficialmente un membro del Parlamento. Me lo hanno riferito stamattina.”
Amabel sorrise e strinse più forte la sua mano, al che Tommy sorrise a sua volta.
“Sono davvero contenta. Adesso può iniziare un nuovo capitolo della tua vita.”
Tommy le fece compiere una giravolta e poi le stampò un bacio sulle labbra.
“Della nostra vita.”
“Suona bene, sai.” Disse Amabel accoccolandosi con la guancia sul suo petto.
 
 
Amabel scese dall’auto con un rantolo, era stanca e aveva male ai piedi per tutti i balli che aveva fatto. Si fermò qualche istante ad ammirare la loro nuova casa, piccola ma molto graziosa. Amabel aveva lasciato la casa di famiglia nelle mani di Jalia perché altrimenti la ragazza non avrebbe avuto un altro posto e anche perchè era troppo grande per condividerla con Tommy e Charlie. Avevano preferito un’abitazione più intima e accogliente, che sapesse di famiglia.
“Aspetta.” Disse Tommy.
Amabel si sistemò meglio lo scialle sulle spalle dal momento che la brezza notturna era fredda.
“Che succede?”
“Tradizione vuole che lo sposo porti in braccio la sposa in casa loro.”
“Oh, no. Non ci pensare! Da quando rispettiamo la tradizione?”
Le proteste di Amabel non servirono a nulla. Tommy, anziché prenderla a mo’ di sposa, la caricò in spalla come fosse un sacco di patate.
“Visto? Noi non rispettiamo mai la tradizione.”
Amabel scoppiò a ridere, la sua risata rimbombò nella loro nuova casa come fosse un augurio. Tommy la portò in braccio fino al soggiorno, dove lei finalmente cadde sul divano e poté togliersi le scarpe.
“Sei un farabutto, Shelby.”
“Fa parte del mio fascino.” Ribatté Tommy versandosi il whiskey nel bicchiere.
Si sedette accanto alla moglie, si liberò della giacca e si accese una sigaretta. Il silenzio era piacevole, loro si parlavano anche senza parlare. Charlie restava a dormire da Polly, perciò quella notte era tutta per loro.
“Thomas …”
“No. Se devi parlare di qualche problema, non farlo. Godiamoci questa pace ancora per un po’.”
“Volevo soltanto dirti che ho comprato un regalo di benvenuto per Charlie, è un trenino intagliato da uno dei migliori artigiani di Birmingham.”
Tommy sorrise portandosi il bicchiere alle labbra. Amabel riusciva sempre a dimostrarsi la persona giusta con cui condividere la sua vita.
“Lo vizi troppo.”
“Certo che lo vizio! Hai visto che faccino paffuto ha? E’ troppo tenero!” disse Amabel, e i suoi occhi si spostarono su una foto del bambino posta sul camino.
Tommy abbozzò un sorriso stanco, era stata una lunga e faticosa giornata.
“Charlie ti adora, sai.”
Amabel si tirò su a sedere e gli diede un bacio sulla guancia ben rasata.
“E io adoro voi.”
Tommy si sporse per lasciarle un tenero bacio sulla bocca.
“Ho un regalo per te. Seguimi.”
Mano nella mano si diressero al piano superiore, dove si collocavano due camere da letto e un secondo bagno, e Amabel sorrideva raggiante. Sul letto c’era un pacchettino quadrato incartato e chiuso da un fiocco rosso.
“Posso aprirlo?”
“Certamente.”
Amabel scartò il pacchettino con la curiosità dipinta negli occhi, di solito Tommy faceva dei regali molto azzeccati. All’interno, custodito in un panno di velluto nero, c’era un sottile e rigido bracciale d’oro giallo con una frase incisa: eternamente tuo.
“Thomas, è meraviglioso. Io … non ho parole.”
Tommy l’aiutò ad appuntare il bracciale al polso e vi posò un bacio sopra.
“Non sono bravo nelle dichiarazioni d’amore, però mi sembrava carino dirti quando ci tengo nel giorno del nostro matrimonio. Poi ho capito che devo dirtelo ogni giorno, quindi ho pensato di regalarti un bracciale da indossare sempre. E’ un modo per ricordarti che io sono eternamente tuo, Bel. Tuo e di nessun altro.”
“Mio.” Sussurrò Amabel, dopodiché gli circondò il collo con le mani per baciarlo.
Tommy la strinse a sé come fosse la sua àncora di salvezza. Il bacio crebbe di intensità, ogni volta che erano vicini bruciavano come fiamme. Amabel gli sfilò il panciotto e subito gli sbottonò la camicia bianca. Tutte le volte che si baciavano sembrava la prima. Tommy si ritrovò seduto sul bordo del letto, a petto nudo, gli occhi che brillavano per l’eccitazione.
“Bel. La mia Bel.” disse Tommy in tono suadente, e le sue mani andarono a posarsi sui fianchi della moglie.
 Amabel gli passò le mani fra i capelli e lui emise un sospiro, era esausto. E non solo era esausto per via di quella giornata, ma lo era soprattutto per tutti i demoni che gli pesavano sulle spalle dai tempi della guerra.
“Va tutto bene. Sei a casa.”
Tommy la fece sedere sulle gambe e affondò il viso nella curva del collo, al sicuro dal mondo esterno.
“Sì, sono a casa.”
Amabel gli accarezzò gli zigomi con la punta delle dita, un tocco delicato che solo un’anima tormentata come lui meritava.
“Fai l’amore con me, Thomas.”
Tommy la guardò e si morse le labbra, il desiderio divampava come una scintilla in lui. La face sdraiare sotto di sé e iniziò a lasciarle baci umidi sul collo e sulle clavicole. Con le mani abbassava lo scollo del vestito perché la sua bocca lambisse altra pelle. Amabel faceva scorrere le mani sulle spalle muscolose di Tommy, scendendo verso i muscoli guizzanti della schiena, era tutta pelle calda e segnata da cicatrici.
“Fammi tuo, ti supplico.” Mormorò Tommy tra i baci.
 Amabel, ben lieta di accontentarlo, ribaltò la posizione trovandosi a cavalcioni su di lui. Tommy era uno che voleva mantenere il controllo ossessivo di ciò che gli capitava, sia in famiglia sia negli affari. Soltanto con Amabel si abbandonava alla pace, permetteva a se stesso di spogliarsi dei panni da gangster per vestire quelli di uomo. Sentiva l’esigenza vitale di ricevere calore, amore, sostegno e lei era la persona perfetta. Amabel aveva conosciuto il vero Thomas, quello giovane e spensierato prima della guerra, quello ferito durante la guerra, e poi quello rovinato e spezzato dentro dopo la guerra. Lei conosceva la sua anima, e lui non aveva paura di mostrargliela. Soltanto tra le braccia della sua Bel riscopriva la sua umanità.
“Thomas, va tutto bene?”
Amabel era spaventata dall’espressione alienata con cui la stava fissando Tommy, quegli occhi azzurri erano persi in chissà quali pensieri.
“Sì.”
Tommy la baciò perché non facesse altre domande, ne aveva abbastanza di parlare per quella sera. Abbassò la zip dell’abito bianco e lo fece ruzzolare sul pavimento, poi riprese a baciarla come fosse la sola cosa a tenerlo in vita. Tommy gettò la testa indietro con un gemito quando Amabel gli slacciò i pantaloni.
“Bel, ti prego.”
Si baciarono con una foga tale da mozzare il fiato. Nudi tra le lenzuola, i loro corpi si unirono e aderirono perfettamente l’uno all’altro. Con il respiro accelerato, Tommy allungò le mani all’indietro afferrando la testiera. Amabel si abbassò a baciare i muscoli tesi del petto e dell’addome facendolo rabbrividire. Mosse i fianchi e Tommy accompagnò ogni movimento, e intanto continuavano a scambiarsi baci voraci. Ogni spinta era il giusto stimolo per accrescere il piacere. I loro gemiti si alternavano ai baci ricolmi di foga. Le mani di Tommy si staccarono dalla testiera per stringere quelle di Amabel mentre i loro corpi reclamavano maggiore contatto. Con la fronte poggiata sulla spalla di Tommy, Amabel annaspava a quella sensazione di beatitudine che derivava da quell’abbraccio peccaminoso.
“Guardami.” Disse Tommy, la voce ridotta a un soffio.
Amabel, sebbene la vista un poco annebbiata, lo guardò e sorrise perché le labbra di lui erano rosse di baci.
“Mi piace molto quello che sto guardando.”
Tommy ridacchiò e fece risalire le mani sui capelli della moglie per sciogliere uno dei nastri bianchi che reggevano l’acconciatura. Fece un nodo stretto e lo allacciò al polso di Amabel.
“E’ così che siamo noi e che dovremo essere sempre: uniti, legati stretti.”
“Te lo prometto.” Disse Amabel, e una certa emozione le colorava la voce.
Tommy non era un uomo particolarmente aperto in fatto di sentimenti, perciò ogni dichiarazione valeva più dell’oro.
“Ti amo, Thomas. Infinitamente.” Aggiunse lei.
Tommy sorrise mentre giocava con il nastro attorno al polso della moglie.  
“Ti amo anche io.”
Questa volta il bacio che si diedero fu lento, stracolmo di sentimento, travolgente. Tommy la fece scivolare sotto di sé e Amabel gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi. Le unghie della ragazza affondavano nella pelle di Tommy mentre riprendevano a fare l’amore. Quando il piacere giunse all’apice e loro crollarono abbracciati tra le lenzuola, era quasi l’alba.
Tommy posò la testa sul petto di Amabel, il naso che sfiorava il seno destro, e cercò di recuperare le forze. Si fissò la fede per qualche secondo, dorata e lucente alla fioca luce della lampada.
“Mi sfinisci, Bel. Non sono più giovane come un tempo.”
Amabel si mise a ridere e gli diede un buffetto sul naso.
“Tommy Shelby che invecchia? Nah, non ci credo.”
Tommy si fece più vicino a lei, con le dita tracciava segni immaginari sulla sua coscia nuda.
“Sarà meglio dormire un po’, tra poche ore Charlie sarà di ritorno.”
 
Tommy si svegliò solo quando percepì una serie di bruschi colpi alla porta. Amabel dormiva ancora, perciò si rivestì in silenzio e andò ad aprire. Era Polly che aveva riaccompagnato Charlie.
“Papà!” disse il bambino allungando le braccia verso il padre.
 Tommy lo prese e il piccolo si accoccolò contro la sua spalla.
“Suppongo che tu e Amabel abbiate passato una nottata fantastica.” Disse Polly ridacchiando.
“Va a fare ciò che devi fare, Pol. Ci si vede.” Replicò Tommy, chiudendosi la porta alle spalle. Quando entrò in cucina, Amabel stava preparando la colazione. La ragazza andò subito a baciare la guancia paffuta di Charlie.
“Buongiorno, tesoro.”
“Mamma!”esclamò il piccolo accarezzando i capelli di Amabel in maniera maldestra.
Amabel sbarrò gli occhi, era la prima volta che Charlie la chiamava ‘mamma’. Era strano dato che tutti parlavano di Grace in modo che lui la ricordasse. Tommy, invece, non sembrava affatto turbato.
“Charlie, io non sono la tua mamma. Io sono Bel.” chiarì Amabel, e per un momento Charlie sembrò oscurarsi in volto.
“Bel, non importa. – disse Tommy – Charlie può chiamarti come vuole. Anche ‘mamma’ va bene.”
Tommy aveva usato il solito tono fermo che inibiva qualsiasi obiezione: lui aveva parlato e gli altri dovevano adeguarsi.
“D’accordo.”
Nel frattempo Charlie era scivolato via dall’abbraccio del padre per arrampicarsi sulla sedia e mangiare un biscotto. Amabel sussulto quando Tommy le accarezzò il collo.
“Non tormentarti. Charlie sa quello che fa, è un bambino intelligente.”
“Come suo padre.” Disse Amabel ridendo.
“Come suo padre, sì.”
Si riunirono intorno al tavolo, Charlie seduto in braccio ad Amabel e Tommy che gli ripuliva il mento dalle briciole. La colazione passò tra bevande calde, biscotti dolci e risate.
Eppure quella gioia ben presto sarebbe stata spezzata perché la fumosa Birmingham nascondeva una nuova minaccia.
 
 
Salve a tutti! ^_^
Eccomi tornata con l’ultima parte della storia.
Saranno dei capitoli ricchi di colpi di scena, sangue, violenza e amore: insomma, una tipica storia di Peaky Blinders!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
 
P.S. come sempre vi ricordo che le citazioni a inizio capitolo sono riprese dalla colonna sonora della seria tv.

 
  
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