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Autore: Ghost Writer TNCS    08/02/2020    2 recensioni
Niflheim è sempre stato famoso per essere un pianeta tetro e ostile, ma questo non aveva fermato i coloni. Il loro spirito intraprendente e gli interessi economici di una grande multinazionale sembravano sufficienti per far fronte a qualsiasi avversità, ma si sbagliavano.
Il sogno si è infranto contro misteriose interferenze, e alla frustrazione ha fatto seguito la criminalità. Se per un amante degli esplosivi la situazione è particolarmente allettante, lo stesso non si può dire per le forze di polizia che cercano di ristabilire l’ordine, costrette a combattere un’organizzazione malavitosa più influente delle autorità ufficiali.
La sfida per la frontiera è iniziata e il più forte imporrà la sua giustizia.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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Prologo

«E finalmente potremo mantenere le nostre promesse!» esclamò l’ologramma del nuovo governatore. «L’elevata criminalità e la gestione scellerata dei miei predecessori saranno presto un lontano ricordo! Vi garantisco fin da ora che le forze dell’ordine lavoreranno di più e meglio. Nuovi uomini e nuovi mezzi sono già in arrivo. Ci riprenderemo la frontiera, e poi l’intero pianeta!»

Un oggetto metallico rimbalzò contro il proiettore e scatenò una violenta onda d’urto che lo distrusse completamente. Pochi istanti dopo una moto a levitazione della polizia sfrecciò accanto ai rottami, seguita a ruota da un’agente a piedi, talmente rapida da riuscire a tenere il passo con il veicolo.

«Merda, ce l’hanno tutti come me!» esclamò il goblin in fuga, anche lui su una moto volante. Indossava degli abiti piuttosto logori e aveva delle protesi metalliche al posto delle orecchie. «Guardate che era già rubata quando l’ho presa!»

La velocista, una teriantropa[1] di tipo ghepardo, gli sparò con la sua pistola d’ordinanza. Il fuorilegge schivò i proiettili d’energia, aprì una mano e sul suo palmo apparve una nuova granata. Anche questa aveva un’aria molto artigianale, ma funzionò a dovere e l’onda d’urto costrinse la poliziotta a rallentare.

Una piccola fata alta circa una spanna spuntò dalla giacca del goblin e si mise vicino al lunotto per fare dei segni al compagno.

«Lo so, lo so, è che in questo bracciale ho poca roba!» rispose il goblin. «Nell’altro avevo un mezzo arsenale, e ho pure perso il casco! Ci ero affezionato!»

Da una strada laterale spuntò un massiccio animale da traino, costringendo il goblin a una brusca virata che per poco non lo fece ribaltare.

La fata esclamò qualcosa nel linguaggio dei segni, stizzita.

«Sei tu che mi distrai!» ribatté l’altro. Notò un cantiere poco più avanti e si concesse un sorrisetto. «Forse mi è venuta un’idea.»

Con un’altra granata si aprì un passaggio nella barriera di sicurezza e si fiondò tra i robot impegnati nella costruzione di alti prefabbricati. Individuò una delle macchine più grandi e lanciò una bomba contro le sue tozze zampe. L’onda d’urto danneggiò l’articolazione del pesante robot, costringendolo a poggiare un braccio a terra per mantenere l’equilibrio.

Il goblin usò un comando mentale per cambiare il tipo di granata e saltò sul braccio della macchina come se fosse una rampa. Mentre la moto prendeva velocità, lasciò dietro di sé un manipolo di bombe che rimbalzarono fino a terra, pronte a far collassare il malcapitato robot.

La piccola fata afferrò il braccio del suo compagno, terrorizzata da quel folle piano. Se avesse potuto, avrebbe sicuramente urlato.

Nel locale l’aria era pesante, densa di fumo e odori. C’erano persone che bevevano, altre che mangiavano, altre che parlavano tra loro in maniera più o meno animata.

Seduti a un piccolo tavolo mezzo ammaccato, un elfo e un’orchessa stavano discutendo a bassa voce, i volti seri.

«Non metto in dubbio le tue capacità, ma capirai che il mio capo è abituato a un certo tipo di standard» affermò l’uomo, forse la persona dall’aria più rispettabile in tutto il bar.

«Certo, lo capisco molto bene» annuì l’orchessa. Aveva le lentiggini e i suoi capelli blu erano raccolti in treccine in stile egiziano. «È proprio per questo che voglio lavorare per lui. Sono appena arrivata qui alla frontiera, quindi mi va bene anche un lavoretto semplice. Vedrai che non vi deluderò.»

L’elfo si concesse un momento per riflettere. «D’accordo. Ci sarebbe un lavoretto da fare: tra un paio di giorni arriverà una spedizione con delle nuove attrezzature per le comunicazioni. Abbiamo già una piccola squadra, ma ci servirebbe qualche uomo in più per mettere fuori gioco la scorta. Ti intere-»

«Ehi, Mowatalji!» lo interruppe qualcuno. «Quel lavoro era mio!»

L’elfo alzò lo sguardo e riconobbe subito il goblin con le protesi al posto delle orecchie. «Salve, D’Jagger.» Si alzò per salutarlo. «Credevo fossi ancora in prigione.»

«Le celle qui fanno acqua da tutte le parti, è stato facile uscire» minimizzò lui prendendo una sedia libera. «Piuttosto, chi è la tua nuova…» La sua lingua si bloccò appena si voltò verso la giovane. Forse erano stati i suoi intensi occhi rossi, o più probabilmente il seno pieno messo in risalto dalla scollatura della camicia, fatto sta che ci mise alcuni secondi per completare la frase: «… amica?»

L’elfo si accorse che anche l’orchessa era molto stupita di vederlo, quasi preoccupata, così il dubbio gli venne spontaneo: «Vi conoscete?»

D’Jagger, ancora scioccato, ci mise alcuni istanti per elaborare una risposta, così lei ebbe modo di anticiparlo: «Purtroppo sì» ammise, visibilmente seccata. «Stavamo insieme, ma è successo molto, molto tempo fa.»

Mowatalji mosse lievemente il capo in segno d’assenso. «Capisco. In tal caso non intendo immischiarmi nelle vostre faccende personali, mi basta che il lavoro sia fatto. Se volete, c’è posto per entrambi. Ci state?»

«Io ci stavo fin da prima» confermò il goblin senza smettere di tenere d’occhio l’altra.

«Ci sto anch’io» aggiunse l’orchessa, altrettanto attenta a non perdere di vista il nuovo arrivato.

«Bene, domani vi farò avere i dettagli.» Si alzò. «Ora torno dalla mia famiglia, ma sia chiaro: se mandate a monte l’operazione per motivi personali, il Sindaco non sarà indulgente.»

«Rilassati, Mowatalji, siamo adulti!» commentò D’Jagger.

«Ti assicuro che non ci sarà nessun tipo di problema» affermò l’orchessa, abbastanza seria da risultare minacciosa.

«Bene, allora. Buona serata.»

I due risposero al saluto e seguirono con lo sguardo l’elfo finché non lasciò il locale.

Solo allora il goblin mise un gomito sul tavolo e appoggiò il volto sul pugno. «La mia ex, eh?» Lanciò un altro sguardo alla scollatura della giovane. «Beh, in effetti-»

Lei gli prese la testa con una mano e la schiacciò sul tavolo, sottolineando la disparità di forza tra i due. «Se provi a far saltare la mia copertura, ti risbatto dentro. E questa volta mi assicurerò che la tua cella non “faccia acqua da tutte le parti”.»


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[1] Il nome è una fusione delle parole greche “therion” (bestia) e “anthropos” (uomo).

   
 
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