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Autore: evil 65    08/02/2020    13 recensioni
( Sequel di So Wrong )
Quando vengono assegnati ad una missione congiunta, Peter Parker e Carol Danvers si ritrovano costretti a ad affrontare sentimenti che credevano ormai soppressi da tempo.
A peggiorare ulteriormente la situazione già molto tesa, i problemi per la coppia di Avengers sembrano appena cominciati. Perché ad Harpswell, cittadina natale della stessa Carol, cominciano ad avvenire numerose sparizioni che coinvolgono bambini…
( Crossover Avengers x IT's Stephen King )
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo capitolo!
Vi auguro una buona lettura ;)




Blackbird
 

Carol sapeva dove trovare Joe. Con papà, come sempre. Non era tornata sulla tomba da quando era stata messa la lapide.
La donna non cercò nemmeno l’entrata del cimitero.
Il muro di mattoni alto quasi due metri che lo circondava era annerito dalla pioggia ed eroso dal tempo. Lei lo scavalcò con facilità e atterrò al di là senza rumore. 
Era notte fonda e la luna piena passava spesso dietro una compatta coltre di nuvole in movimento.
Gli alberi, lasciati crescere incolti all’interno del cimitero, schermavano gran parte delle luci della cittadina.
Carol avanzò lentamente al buio. Come un’ombra tra le ombre, scivolò dietro una vecchia lapide inclinata come un dente storto nella bocca di un gigante.
Vide un gufo sorvolare un mausoleo che una volta era stato la principale gloria del cimitero. Il monumento di una famiglia un tempo ricca, e adesso dimenticata, era stato lasciato andare in rovina come il resto delle tombe. I suoi marmi intarsiati erano stati smangiati dalle piogge e dagli escrementi degli uccelli, le dorature si erano scrostate in anni d’incuria.
Continuando a camminare, la donna vide il fratello accasciato ai piedi della lapide dedicata a Joe Danvers, un pezzo di marmo di dimensioni modeste, senza particolari caratteristiche che lo distinguessero dalle altre centinaia di tombe presenti nel cimitero.
Carol gli si avvicinò con passo silenzioso. Joe Jr era impegnato a tracannare una confezione di birra industriale e non si accorse della sua presenza fino a quando non si sedette affianco a lui.
<< Di quello che vuoi su di lui, Carol…ma era pur sempre nostro padre >> borbottò dopo un attimo di silenzio, bevendo un sorso di alcol e alzando la lattina verso la volta stellata.
In tutta risposta, la donna si limitò a sbuffare.
<< Suvvia, Joe, sappiamo entrambi che non c’è niente di cui essere fieri >> disse con tono acido, ricevendo un’occhiataccia ad opera del fratello.
Questi trangugiò un altro sorso di birra, come per trattenere una replica velenosa. Poi, porse la lattina verso Carol.
<< Tieni, tocca a te >>
<< No, grazie >>
<< Certo. Hai sempre pensato di essere troppo superiore a noi >> sbuffò lui, suscitando un sussulto da parte dell’Avenger.
<< Questo non è vero >> disse con tono difensivo.
Joe abbaiò una risata amara.
<< Certo che è vero. E ora il mondo intero la pensa così. Non ti basta? Non sei felice? >> sibilò a denti stretti.
Carol sentì una stretta sgradevole attanagliargli il cuore. Odiava quando suo fratello le parlava in questo modo, sembrava quasi come…come LUI.
<< Credo…che non sia così semplice >> sussurrò con voce flebile.
Joe la fissò incredulo. Scosse la testa e si alzò in piedi barcollando, rovesciando un po’ di birra nel processo.
<< Vuoi sapere cos’è semplice? Te ne sei andata >> ringhiò con tono di fatto, per poi schiacciare la lattina e lanciarla oltre la lapida del padre. << Sentiti libera di volartene via ancora >>
E, detto questo, cominciò ad allontanarsi sotto lo sguardo ferito della sorella.
Una parte di lei sapeva che avrebbe dovuto corrergli dietro. Nessuno della sua famiglia era mai stato in grado di gestire bene l’alcol. Ma un’altra parte di lei sapeva il vero motivo per cui aveva deciso di tornare in questa città. Non a causa degli omicidi…ma per fare una lunga chiacchierata con qualcuno. L’unico uomo che se lo meritava davvero.
Stringendo ambe le mani in pugni serrati, si alzò con uno scatto e volse la propria attenzione nei confronti della tomba di Joe Danvers.
<< Sei felice adesso, papà ?>> domandò rabbiosamente. Al contempo, il suo corpo cominciò a illuminarsi di un intenso bagliore dorato.
<< Vorrei tanto che tu fossi stato solo uno schifoso ubriacone. Almeno questo avrei potuto capirlo >> continuò implacabile, riversando in quelle parole tutto il disprezzo e la rabbia che aveva accumulati in quei due anni passati lontano dalla Terra. Sentimenti ed emozioni che Carnage aveva risvegliato in lei durante il loro ultimo scontro, riportando alla memoria ricordi di un passato che aveva cercato di dimenticare con tutta se stessa.
<< Ma non c’è niente di te che abbia mai capito, quindi…perché cominciare adesso ?! >> urlò, per poi colpire la lapide con un pugno impregnato di energia cosmica.
Il pezzo di marmo venne sradicato dal terreno a causa della forza d’impatto e rotolò per diversi metri. Finì la sua avanzata quando incontrò un’altra tomba, sbriciolandosi in mille pezzi.
Carol prese un paio di respiri calmanti, cercando di metabolizzare quello che aveva appena fatto.
“ Ecco, ora dovrò pure comprargli una nuova lapide” pensò con aria stizzita. “ Quello stronzo ha sempre l’ultima risata”.
Abbassando gli occhi a terra, notò che Joe Jr aveva lasciato la confezione di birra dietro di sé, a cui erano attaccata ancora un paio di lattine.
Rimase a fissarle per quello che sembrò un tempo interminabile, come se stesse valutando attentamente quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Esitante, afferrò una delle lattine e la aprì con uno scattò del polso. Fece per portarsela alla bocca…ma si bloccò.
C’era qualcun altro in quel cimitero, a pochi passi da lei.
In un primo momento, a causa dell’oscurità della notte,  credette che Joe Jr fosse tornato a riprendersi la confezione di birre. Ma quando le fattezze del nuovo arrivato si fecero più marcate, Carol si ritrovò sorpresa nello scoprire che si trattava di un clown.
Le sopracciglia della donna si sollevarono per la sorpresa. Che diavolo ci faceva un clown in un cimitero?
Indossava vestiti piuttosto strani, bianchi come un lenzuolo, di fattura apparentemente vittoriana. L’accostamento le giunse spontaneo a causa del distinto collare che circondava la testa del nuovo arrivato, molto simile a quelli che avevi visto rappresentati nei ritratti di personaggi d’epoca, come William Shakespeare e la stessa Regina Vittoria.
Aveva un folto ciuffo di capelli rossi che spiccava su una grossa fronte pallida e sproporzionata. E poi c’erano gli occhi…un paio di lanterne gialle che sembravano danzare nell’oscurità.
<< Salve >> salutò Carol, con tono incerto.
Il clown non rispose e si limitò a fissarla, inclinando leggermente la testa. Per qualche ragione, la donna si sentì snervata da quell’azione insolita. Era quasi come se quel pagliaccio stesse cercando di valutarla.
<< Posso aiutarla? >> continuò con voce più forte, incrociando ambe le braccia davanti al petto per sembrare più intimidatoria.
Internamente, cominciò a valutare l’idea che quel clown potesse essere un individuo poco raccomandabile, perfino un potenziale maniaco. Non si stava comportando come una persona normale.
L’uomo, nel mentre, rimase in silenzio anche questa volta e continuò a scrutarla con occhi curiosi.
“ Fanculo” pensò Carol. Quella sera non era certo in vena di trattare con qualche pazzoide.
Rilasciando un sonoro sbuffò, si voltò e cominciò ad allontanarsi dalla tomba del padre.
<< Dovresti andartene >> arrivò una voce graffiante alle sue spalle, costringendola a fermarsi.
Un brivido attraversò la spina dorsale della donna. Una sensazione agghiacciante, come se qualcuno le avesse infilato un coltello nella schiena.
Si voltò di scatto, i pugni illuminati di energia cosmica…ma del clown nemmeno l’ombra.
Sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Il cimitero era tornato completamente deserto.
Carol inarcò un sopracciglio. Che se lo fosse immaginata? Ne dubitava fortemente. Perché mai avrebbe dovuto immaginarsi un clown, specialmente in circostanze come queste?
<< Dio, sto impazzendo >> borbottò a bassa voce.
Poi, i suoi occhi si posarono ancora una volta sulla lattina di birra che teneva nelle mano destra.
<< Beh, tanto vale… >>

                                                                                                                                          * * *  
 
Joe Junior attraversò l’uscita del cimitero con passo marcato, più che desideroso di raggiungere la macchina e allontanarsi da sua sorella entro i prossimi cinque minuti.
Mentre camminava verso il parcheggio del  mausoleo, notò con sorpresa la figura di Peter Parker che si stava avvicinando a lui.
<< Come mi hai trovato? >> domandò con tono burbero, squadrando il ragazzo da capo a piedi.
Non aveva prestato molta attenzione a lui durante la cena, ma ora che lo guardava meglio capì che non doveva avere più di vent’anni. Probabilmente andava ancora all’università.
<< Ho seguito Carol >> rispose Peter, stringendosi nelle spalle.
Joe Jr lo fissò sorpreso.
<< A piedi? >> disse con sospetto. Dopotutto, aveva visto Carol volare fino a qui…e nei dintorni non c’era alcun segno della macchina che lei e il ragazzo avevano usato per arrivare in città.
L’adolescente arrossì, come se fosse stato colto con le mani in un barattolo di biscotti.
<< Sono un corridore molto veloce >> rispose imbarazzato.
Inutile dire che Joe Jr non credeva ad una sola parola. Quel ragazzo stava sicuramente nascondendo qualcosa.
<< Allora, qual è il tuo rapporto con mia sorella? >> chiese dopo un attimo di silenzio.
Se possibile, il volto di Peter si fece ancora più scarlatto, cosa che non passò certo inosservata agli occhi dell’uomo.
<< R-rapporto? Io e lei non abbiamo alcun rapporto! Voglio dire… >> balbettò l’altro, per poi prendere un paio di respiri calmanti. << Sono uno stagista per gli Avengers e recentemente sono stato messo sotto la sua supervisione >>
Joe Jr inarcò un sopracciglio. Uno stagista per gli Avengers? Poissibile…ma improbabile. O forse non era tutta la verità.
Aveva vissuto abbastanza a lungo da riconoscere una storia di copertura quando ne sentiva una. Soprattutto a causa di sua sorella, che spesso e volentieri ometteva dettagli riguardanti le sue missioni per non turbare la madre.
<< Capisco. E perché siete venuti qui? >> riprese con voce inquisitoria, pur cercando di non sembrare sgarbato. L’ultima cosa che voleva era che Carol gli desse il terzo grado per aver trattato male il suo…amico? Impiegato? Apprendista? Non aveva ancora compreso la relazione tra i due, ma di una cosa era abbastanza sicuro : il ragazzo aveva una cotta per sua sorella. Il modo in cui arrossì quando citò il loro rapporto, le balbuzie…beh, erano tutti segni abbastanza riconoscibili.
Certo, non poteva dargli torto, sua sorella era indiscutibilmente una bella donna, i ragazzini sbavano su di lei dalle elementari.
Internamente, provò un briciolo di compassione per lui. Carol non era certo il tipo con cui era facile aprirsi, e questo ragazzo non aveva per niente l’aria di chi potesse sfondare le pareti della sua personalità solitaria.
In risposta alla domanda dell’uomo, Peter prese a fissarlo con aria incerta.
 << Come ho detto, non sono così stupido da pensare che Carol abbia deciso di fare un salto in città solo per farci visita >> spiegò Joe Jr, con una scrollata di spalle.
L’adolescente cominciò a dondolarsi sulla punta dei piedi, visibilmente imbarazzato. Non sapeva se Carol avrebbe voluto coinvolgere la sua famiglia nella loro missione, ma non voleva nemmeno fare una brutta impressione su suo fratello.
<< Siamo qui a causa delle sparizioni di bambini >> spiegò dopo qualche attimo di silenzio, ricevendo un’espressione comprensiva da parte dell’interlocutore.
<< Ah, finalmente il governo ha deciso di agire. Pensavo che si fossero dimenticati di noi >> sbuffò questi, con tono sprezzante.
Peter gli offrì un debole sorriso.
<< Sai per caso se è successo qualcosa di…strano, di recente?>> chiese a bassa voce, facendo ben attenzione che nessuno fosse nei paraggi.
Joe Jr lo fissò divertito.
<< Oltre alla sparizione di 13 bambini che per qualche ragione non ha attirato l’attenzione della Guardia Nazionale? >> domandò beffardo.
L’adolescente arrossì una seconda volta.
<< Sì, oltre a quello >> borbottò imbarazzato.
Questa volta, Joe Jr decise di avere pietà di lui. Incrociò ambe le braccia davanti al petto e chiese : << Del tipo? >>
<< Sai…il solito? Fenomeni strani, nuovi arrivi sospetti…quel genere di cose >> rispose l’altro, gesticolando verso l’area circostante.
Joe Jr rimase in silenzio, soppesandolo con lo sguardo.
<< Sei davvero uno stagista per gli Avengers? >> disse all’improvviso, facendo sussultare il vigilante.
<< Certo, perché dovrei mentire? >> ribattè questi, con tono apparentemente disinvolto.
Joe mantenne un’espressione impassibile.
Ora ne era assolutamente sicuro.  Aveva maturato abbastanza esperienza con la sua famiglia per riconoscere una recita. Quel giorno stava assistendo alla commedia “ Peter Parke, giovane stagista per il gruppo di supereroi più famosi al mondo”.
Annuendo a se steso, tirò fuori un foglietto e una penna dalla tasca dei pantaloni.
<< E va bene. La persona che ti serve è Richard Bachman >> disse con tono di fatto, scrivendo qualcosa sul pezzo di carta e porgendolo a Peter.
L’adolescente inarcò un sopracciglio.
<< Chi è? >>
<< Gestisce la maggior parte delle piccole imprese della città. In questo posto non accade niente senza che lui venga informato >> spiegò l’uomo. << In poche parole, è la tua migliore possibilità di trovare una pista >>
<< La polizia non ha trovato niente di utile? >> chiese l’altro, mentre accettava il foglietto.
Joe Jr gli lanciò un’occhiata incredula.
<< Se lo avessero fatto…non sareste qui >> disse lentamente, facendo arrossire ulteriormente l’arrampica-muri. << Credimi, Bachman è l’uomo giusto. Ogni sera si riunisce con i suoi amici in questo locale >>
 Peter annuì comprensivo e lesse la scritta sul foglietto. << Il Blackbird. Questo Bachman è per caso…ecco, uhm… un ubriacone? >>
<< Non proprio >> rispose Joe, con un’altra scrollata di spalle. << Non è che ti dia un pugno in faccia se non gli offri un drink, ma è uno che di solito sa le cose, o sa come scoprirle. In genere usa il Blackbird come ufficio >>
E, detto questo, superò l’adolescente e lo salutò con un rapido cenno della mano destra.
<< Cerca di non farti coinvolgere in qualche rissa >> borbottò con tono pacato, lasciandosi dietro la figura contemplativa del vigilante.
 
                                                                                                                                        * * *  

Peter non fece molta fatica a scovare il Blackbird. Si trovava proprio nei pressi del piccolo centro cittadino, circondato da attrazioni , chioschi e spettacoli da baraccone.
L’interno del locale, buio e angusto, odorava di birra andata a male e segatura. Una donna si stava dando  da fare su un minuscolo palco, facendo roteare le nappe del suo corpetto di paillettes e agitando il posteriore a suon di musica.
Il posto era abbastanza spoglio, quindi il barista a cui Peter chiese informazioni riuscì a individuare Bachman quasi subito.
<< Vengo qui da anni>> disse l’uomo, non appena il ragazzo si sedette di fronte a lui. << Ho un debole per la bellezza scarna. >>
Bach era magro, piuttosto alto, apparentemente sulla settantina, e indossava un paio di occhiali da vista. La sua parlata era quella tipica di uno cresciuto fuori città.
<< È... un bel posto >> disse Peter, dopo essersi guardato attorno.  
<< E questo è solo un assaggio >> replicò Bachman. << Di solito è molto più affollato >>
L’adolescente annuì, più per cortesia che per altro.
<< Di cosa si occupa nel resto del tempo? >> chiese all’improvviso, nel tentativo di portare avanti un qualche tipo di conversazione.
<< Si potrebbe dire che sono un fantasma>> rispose l’uomo, per poi aggiungere: << Ghost writing, memorie estrapolate da interviste, discorsi. Un po’ di tutto. Qualche storia horror per pubblicazioni di second’ordine>>
<< E…come se la passa? >>
<< Alcuni racconti mi vengono pagati abbastanza bene. Prima della guerra in Vietnam ero arruolato in Marina, ma poi mi spararono alla gamba e fui rispedito a terra >>
<< E non tentò di rientrare in servizio durante la guerra? >>
<< Ci ho provato e riprovato, ma non mi hanno più voluto>> borbottò con amarezza. Poi, buttò giù tutto d’un fiato il drink che aveva di fronte e incrociò le dita.
<< Che cosa posso fare per te, giovanotto? >> chiese con circospezione.
Peter simulò un’espressione imbarazzata.
<< Ecco…lavoro per un giornale locale. Vorrei farle qualche domanda sulle recenti sparizioni avvenute qui in città, se non le dispiace. Un mio amico ha detto che lei potrebbe saperne più di chiunque altro in città >> disse con il tono più piacevole che riuscì a trovare.
La reazione dell’uomo fu praticamente istantanea.
Strinse la presa sul bicchiere, finchè le nocche non gli diventarono bianche, dilatò le pupille come piatti e inspirò bruscamente. Il tutto durò appena un secondo.
Simili azioni, svoltesi in un lasso di tempo così breve, sarebbero quasi sicuramente passate inosservate agli occhi di una persona normale. Ma Peter era tutt’altro che una persona normale, e i suoi sensi più sviluppati gli permisero di cogliere l’improvviso cambio di atteggiamento di Bachman.
<< Signore, si sente bene? >> chiese preoccupato.
L’uomo non rispose e si limitò a fissarlo per quello che sembrò un tempo interminabile, stringendo ambe le palpebre degli occhi in un paio di sottili fessure piene di sospetto.
Dopo un po’, Peter cominciò a sentirsi come se Bachman stesse cercando di leggere la sua stessa anima. Era una sensazione snervante.
Poi, l’espressione sul volto del vecchio si fece molto più accomodante, seppur attraversata da un guizzo di timore reverenziale.
<< Vuoi sapere delle sparizioni? Molto bene >> borbottò, per poi bere un altro sorso del suo drink. << Viene dopodomani a questo emporio, sarò più che felice di darti un quadro completo della situazione >>
Peter inarcò un sopracciglio.
<< Perché non adesso? >> chiese con voce perplessa.
In tutta risposta, l’uomo si limitò ad indicare la ballerina del locale, cosa che fece arrossire l’adolescente.
<< Domani? >> offrì il vigilante, suscitando un sonoro sbuffo ad opera di Bachman.
<< Domani c’è la fiera, ragazzo. Sarò impegnato tutto il giorno >> spiegò questi, per poi porgergli il bicchiere ormai vuoto. << Ora pagami da bere, così sigilliamo l’accordo. >>
Peter rilasciò un sospiro rassegnato, quasi come se si aspettasse che quello sarebbe stato l’esito di quella conversazione.
Posò cinque dollari sul tavolo e borbottò un rapido : << Le auguro una buona serata. >>
Fatto questo, cominciò a dirigersi verso l’uscita del locale.
 
                                                                                                                                               * * *  
 
Mentre camminava lungo lo stabilimento sportivo di Harspwell, Carol chiuse gli occhi e ascoltò i suoni familiari dello stadio di baseball, il richiamo dei venditori, le conversazioni dei tifosi, l’inconfondibile rumore della mazza che colpiva la palla.
Inaspettatamente, si rese conto che erano passati 40 anni dall’ultima volta che aveva visto una partita, e quasi 5 da quando era morto suo padre. Lui tifava per gli Yankees e l’aveva portata a molte partite.
Carol non era mai stata una gran tifosa, ma lo aveva sempre accompagnato volentieri. Era una bella scusa per stare un po’ al sole o all’aria fresca della sera.
Ricordava ancora la prima partita a cui suo padre l’aveva portata. Era il 1980, gli Yankees contro i Kansas City.
I ricordi dell’esultanza di quel giorno, quando un’intera città aveva ruggito un grido collettivo di gioia, portò un sorriso sul viso della donna.
Era stato un momento raro e, guardandosi indietro, avrebbe voluto essere abbastanza adulta da apprezzarne la gioia assoluta e pura, priva di qualsiasi altra emozione o pensiero. In seguito, aveva sperimentato raramente quella sensazione, e mai insieme a suo padre.
Il suono secco di una mazza che colpiva la palla la riportò al presente, dissipando il sorriso dal suo viso. Quei ricordi non le facevano bene. Fuggire dai pericoli del presente rifugiandosi in memorie piacevoli del passato non le sarebbe servito, lo sapeva bene.
Con quella convinzione, aprì un’altra lattina di birra e ne bevve il contenuto tutto d’un fiato.
Mentre percorreva le strade strette e contorte della cittadina, Carol scorse uno stabilimento assai familiare. Il bar si chiamava Blackbird, ed era stato per molti anni uno dei suoi punti di ritrovo preferiti.
Presa da un altro senso di nostalgia, la donna attraversò la porta d’ingresso.
Dentro era buio, e ci volle un po’ perché i suoi occhi si adattassero. Attraversò la sala rettangolare, i gusci delle noccioline scricchiolavano sotto le suole delle sue scarpe.
Il barista alzò la testa mentre lucidava un vassoio di bicchieri. << Desidera? >>
<< Una birra >> fu la sua unica risposta.
Senza perdere tempo, l’uomo le posò davanti un boccale riempito con un liquido ambrato dall’odore inconfondibile.
Carol lo svuotò tutto d’un fiato e represse un rutto assai poco femminile.
Si guardò attorno, notando che nello stabilimento c’erano solamente altri due individui al bancone, anche se alcuni tavoli erano occupati.
L’unica luce proveniva dalle insegne al neon che lampeggiavano al centro del bar, dove una ballerina era intenta a intrattenere alcuni uomini.
Carol udiva lo schiocco delle palle da biliardo che cozzavano nella sala sul retro.
<< Ne vuole un’altra? >> chiese il barman, con un sorriso accomodante.
<< …Certo >> borbottò la donna, sentendosi la testa leggera.
Le dita delle mani e dei piedi si stavano intorpidendo. Era anche ora.
 Aveva passato tutta la serata bevendo a intermittenza, cercando di dimenticare la fastidiosa sensazione di rimpianto mista a collera che aveva cercato di farsi strada dentro di lei da quando aveva messo piede in questa cittadina.
Il barman gli versò un’altra birra alla spina e l’appoggiò sul bancone scheggiato e macchiato.
Carol assaporò l’intera bevanda con un paio di sorsi e mise i soldi sul balcone.
Poi, si alzò dallo sgabello barcollando, e solo la presenza di un tavolino le impedì di cadere a terra.
<< Signorina, si sente bene? Sembra sul punto di svenire >> disse il barista, con voce preoccupata.
Carol scosse la testa.
 << Sì... no... sto bene >> balbettò.
Dietro di lei, l’uomo prese a fissarla con aria incerta.
<< Ne è sicura? Forse dovrebbe sedersi… >>
 << Ho detto che sto bene >> ribattè freddamente Carol, reprimendo un singhiozzo e avviandosi verso l’uscita.
L’ultima cosa che voleva era passare il resto della serata con qualcuno e finirci a letto per errore. Non sarebbe certo stata la prima volta.
<< Carol? >>
Il suono di quella voce familiare la richiamò alla realtà.
Si girò di scatto, trovandosi di fronte alla familiare figura di Peter Parker. La donna si accigliò mentalmente, Che diavolo ci faceva qui? Dopotutto, sapeva molto bene che non era tipo da locale notturno. Certo, a meno che non avesse maturato una sana passione per questo tipo di stabilimenti negli ultimi due anni.
 << Hey, Peter! >> salutò con un sorriso tremante. << Vuoi unirti a me? >>
Dio, era sicuramente sbronza, e il ragazzo se ne accorse quasi subito.
La scrutò da capo a piedi e si guardò intorno.
<< Ehm…non penso sia una buona idea >> disse con tono incerto, mentre Carol rilasciava un sonoro sbuffo.
<< Sempre così noioso, anche dopo due anni. Speravo che il college ti avrebbe alleggerito >> borbottò, camminando fino a lui e cercando di posargli una mano sulla.
Tuttavia, l’effetto dell’alcol si rivelò più forte del previsto. Inciampò in avanti e venne frenata solo grazie all’intervento dell’arrampica-muri, che la prese tra le braccia per impedirle di cadere.
<< Stai bene? >> domandò preoccupato.
Carol alzò la testa, pronta a ribattere, ma quando il suo sguardo s’incrociò con quello del vigilante rimase come pietrificata.
Peter arrossì appena, notando la vicinanza improvvisa dei loro volti.
<< Hai degli occhi bellissimi, lo sai? >> borbottò la bionda, porgendo una mano in avanti e coppandogli una guancia.
Peter avrebbe tanto voluto lasciarsi cullare da quel tocco tanto agognato, ma si costrinse a mantenere una mente lucida.
<< Sei ubriaca >> disse con tono di fatto, rimettendola in piedi e allontanando bruscamente la mano tesa.
Carol inclinò leggermente la testa, guardandolo con un sorriso sciocco.
<< Lo sono? >> chiese con voce allegra, per poi perdere l’equilibrio ancora una volta.
Peter l’afferrò di nuovo e rilasciò un sospiro stanco.
<< Penso sia meglio portarti a casa >> borbottò seccamente.
In tutta risposta, Carol si strinse a lui, affondando il volto nel collo del ragazzo.
<< Ti prendi sempre cura di me >> borbottò assonnata.
Peter sospirò una seconda volta e procedette ad accompagnarla al di fuori del locale. Poi, entrambi si diressero verso l’abitazione dei Danvers, non notando che qualcuno li stava osservando da una macchina parcheggiata poco distante dal Blackbird.
Abbassando il binocolo notturno che teneva tra le mani, Silver Sable estrasse un walkie talkie dalla tasca dei pantaloni e lo sintonizzò su una frequenza ben specifica.
<< L’ho trovato. >>
 
 


 
E così termina un altro capitolo. Non è successo molto dal punto di vista dell’avanzare della trama, ma qui volevo concentrarmi su due degli aspetti principali che ruotano attorno alla figura di Capitan Marvel dei fumetti, e che sono stati tristemente ignorati o solo accennati nel film : il rapporto complicato con la sua famiglia e l’alcolismo.
Il primo è un po’ il fulcro del personaggio anche in questa storia. Chi ha letto So Wrong e i fumetti su Carol sa che il padre la picchiava, ed era spesso ubriaco. Carol stessa divenne un’alcolista, e il vizio del bere per poco non ne causò la morte per intossicazione.
Questi due aspetti sono ciò che mi ha sempre affascinato del suo personaggio e si adattano perfettamente ai romanzi di King. King stesso, infatti, inserisce in molte delle sue opere i temi dell’alcolismo e dell’abuso di bambini ad opera dei genitori, e per una storia con IT/Pennywise mi sembravano quasi d’obbligo.
Spero che la scelta sia stata di vostro gradimento.
Richard Bachman è una caricatura di Stephen King, il quale utilizzava questo nome come pseudonimo.
  
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