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Autore: NPC_Stories    10/02/2020    4 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Incubi e sogni


Amyl non sapeva perché Daren fosse sulle spine, anche lì, nell’intimità della sua camera. Se c’era uno fra i due che aveva il diritto di essere turbato, era lei. Non vedeva il suo amante da settimane e lui non si era nemmeno preoccupato di comunicare in qualche modo con lei, di farle arrivare un messaggio. Poi aveva pensato bene di tornare così, comparendo dal nulla, e ora si permetteva pure di essere a disagio. Costringengola ad essere lei quella forte e responsabile.
L’elfa non aveva mai avuto intenzione di fargli una scenata, ma le dava fastidio il fatto che lui non le stesse lasciando la possibilità di scegliere come comportarsi.
“Daren, vuoi dirmi cosa ti turba?” Gli domandò di punto in bianco.
Il drow, che si stava sfilando la camicia ancora umida, si fermò a metà del gesto per guardarla. Con le braccia alzate e incastrate nell’indumento, e la treccia che penzolava mezza fuori e mezza dentro dal colletto, aveva un’aria un po’ buffa.
“Uh… in che senso?”
“Non ci vediamo da più di un mese” si lamentò lei, “e va bene, sei arrivato mentre stavo lavorando quindi abbiamo mantenuto il contegno, ma speravo almeno che appena rimasti soli avessi voglia di baciarmi o abbracciarmi. Sono contenta che tu voglia passare la notte con me, ma… non ti comporti come un amante in astinenza, e questo un po’ mi ferisce.”
Il guerriero spalancò gli occhi, la sua espressione prima insondabile ora lasciò trapelare un’ombra di disagio. Lei, che conosceva bene la sua tendenza a nascondere le emozioni negative, capì che se non riusciva a contenere l’ansietà allora la situazione doveva essere grave.
“No!” gli puntò contro un dito e pronunciò quella parola in tono imperativo. “Non tirare fuori il panico da ‘santo cielo, ho contrariato una femmina’! Giuro che se lo fai puoi anche prenderti un'altra stanza. Non sono una femmina, sono Amyl, e sai che puoi dirmi tutto. Se sei a disagio per quello che abbiamo fatto l’ultima volta, se siamo andati troppo oltre i tuoi limiti, non ti chiederò più di farlo, però per l’amor del cielo parlami.”
“Non è quello” lui finì rapidamente di togliersi la camicia, facendo un po’ fatica a sfilarla dalle braccia a causa delle maniche ancora bagnate, e questo gli fornì una scusa per abbassare lo sguardo. “Non stavo pensando alla nostra intimità, e non escludo di riprovare certe pratiche, se è quello che desideri. È solo che” l’elfo scuro si bloccò, mentre ogni fibra del suo essere gli gridava che avrebbe dovuto tacere, che era contrario alla sopravvivenza continuare per quella strada. Non era facile per un drow ammettere di avere bisogno di qualcun altro, perché nel suo mondo questo avrebbe voluto dire mettere un’arma in mano a quella persona. Ma si fece forza, perché certi condizionamenti dovevano essere lasciati nel passato. Molti anni prima era già riuscito a dire a Johel che teneva alla loro amicizia, quindi ora poteva fare qualcosa di simile anche con Amyl. “In queste settimane mi sei mancata.”
Amyl sollevò un rosso sopracciglio. Aveva la sensazione che quella frase, un semplice convenevole per gli elfi normali, avesse un significato diverso per Daren. Eppure il senso del messaggio le sfuggiva ancora.
“Sì? Non so, non me lo stai dimostrando molto…”
“Mi hai chiesto che cosa mi turba.” Le ricordò Daren. “Questo è ciò che mi turba. Mi dispiace che la mia… mancanza di passione ti abbia ferita. Non è che non voglia baciarti. Sono preoccupato e questo ha deviato la mia attenzione.”
“Be’ ma… sei preoccupato perché hai sentito la mia mancanza? Anch’io ho sentito la tua.”
Daren alzò una mano, per chiederle di lasciargli il tempo di riflettere.
“Non è… non è un ‘mi fa sempre piacere vedere Amyl e non la vedo da un po’, quindi mi manca’. È più una cosa come ‘Amyl fa parte della mia vita, e ora che non c’è mi sembra che mi manchi qualcosa’. Non so se ha senso e... non voglio dire che tu sia una cosa.” Tentennò. “Ma sono confuso, mi è successo con pochissime altre persone, e mai con qualcuno con cui io abbia un rapporto complesso come…”
Lo sguardo di Amyl si ammorbidì sempre di più man mano che lui estrapolava. Non lo lasciò finire di parlare, gli saltò al collo stringendolo in un abbraccio riconciliatore.
Suo malgrado, l’elfa si sentiva intenerita dalla sua incapacità di gestire i rapporti affettivi.
Non dovrei sentirmi così, si rimproverò, mordendosi il labbro inferiore per non lasciarsi scappare un sorriso. Lui in quel momento non poteva vederla in faccia, ma la locandiera aveva la sensazione che se ne sarebbe accorto ugualmente. Daren è condizionato da un passato in cui i sentimenti positivi non avevano posto, quindi si lascia spaventare dalle emozioni più normali del mondo e questo è un ostacolo alla nostra relazione. Non è una cosa di cui essere contenta. Allora perché mi viene solo da sorridere?
Forse è perché mi fa sentire speciale, essere una di quelle pochissime persone di cui parla.
“Non stare a pensarci troppo” gli consigliò, accarezzandogli la schiena con una mano nel tentativo di aiutarlo a rilassarsi. “Anche tu mi sei mancato. Qualunque sia la natura dei tuoi sentimenti, mi fa piacere che li provi. Sai che non voglio caricarti di aspettative, ma non voglio neanche farti sentire rifiutato. Io… mi sono persuasa da tempo che la cosa migliore sia adeguarmi al tuo ritmo.”
“Non è solo una questione di ritmo, anche se la tua decisione mi tranquillizza.” Daren si sciolse dall’abbraccio e fece un passo indietro, non per allontanarsi da lei ma solo per poterla guardare in faccia. “Questo desiderio di familiarità e vicinanza, che provo nei tuoi confronti… per me è una cosa nuova. Ho già provato qualcosa di simile verso i miei amici più cari e verso la famiglia di mia sorella, ma stavolta è leggermente diverso. Forse è colpa de… forse è merito del fatto che verso di te provo anche attrazione fisica. O forse quello che provo è diverso dalla semplice somma di attrazione e amicizia, non lo so. Quello che so è che sono preoccupato. In passato ho dato il peggio di me quando non sapevo capire o controllare i miei sentimenti.”
“Che cosa intendi dire?” Amyl corrugò la fronte, cercando di star dietro ai suoi ragionamenti. Secondo lei quel testone rimuginava troppo sulle cose, ma non aveva mai osato dare voce a quella critica, non in modo serio, perché c’era ancora molto di lui che non sapeva e temeva che sarebbe stata fuori luogo.
“È vero che non si tratta dello stesso sentimento, ma mi è già capitato in passato di desiderare una donna in modo involontario, contro il parere del mio buonsenso. All’epoca ero un giovanotto, diciamo un adolescente, anche se questa definizione non ha molto senso nella cultura drow. Fisicamente, però… i sintomi della gioventù non erano molto diversi da quelli che sperimentate voi elfi, e le femmine drow sono molto affascinanti. È stato sconcertante, d’un tratto, non essere più un bambino e iniziare a vedere quelle creature pericolose come oggetti del desiderio. Sapevo che sarebbe stato meglio starne alla larga. Una drow può usare un maschio a suo piacere e tormentarlo o ucciderlo durante l’amplesso anche solo per divertimento, e questo è consentito, è legittimo, a meno che il maschio non sia di rango elevato. Solo un pazzo si sarebbe gettato volontariamente fra le braccia di una di quelle predatrici, e non voglio dire che fossero tutte così, ce n’erano alcune un po’ più sane di mente, ma era sempre un’incognita; le femmine drow sono come i pesci pyrimo del Buio Profondo, deliziose ma potenzialmente velenose. Non puoi mai sapere se arriverai vivo alla fine dell’incontro, specialmente se sei un comune soldato.”
Amyl gli accarezzò un braccio, lentamente, solo per fargli sentire la sua presenza. Lui, per qualche motivo, aveva deviato lo sguardo verso la finestra come se ci trovasse qualcosa di interessante, ma era chiaro che voleva solo evitare lo sguardo dell’elfa.
“Non so se riesci a capire quanta rabbia e quanta frustrazione mi causassero, le mie stesse pulsioni.” Ammise, abbassando ancora la voce. “Se c’è una cosa che da giovane non ho mai tollerato è la stupidità, perché la giudicavo contraria alla sopravvivenza. Ritrovarmi improvvisamente così… schiavo dei miei impulsi… ho passato l’adolescenza accecato dall’odio e dalla rabbia. Odio verso di loro, ma rabbia verso me stesso. Ho… ho perfino ucciso alcune drow, per nessun altro motivo se non il desiderio che provavo per loro. Credevo che quel desiderio mi avrebbe portato alla morte, spingendomi a correre dei rischi, a immolarmi come una vittima sacrificale entusiasta. Le odiavo perché in loro presenza mi sentivo così stupido e avventato.”
Amyl rimase in silenzio per tutto quel racconto, e non interruppe mai il contatto fisico. Anche se Daren le stava raccontando delle cose orribili, lei non riusciva a riconoscerlo in quelle parole. Il drow che aveva frequentato negli ultimi mesi non era così. Aveva mostrato disagio, a volte, durante i loro incontri, ma mai si era comportato in modo aggressivo o rancoroso. Né tantomeno violento.
“La cosa è andata scemando da sola, lo confesso” mormorò alla fine. “Crescendo, le mie passioni si sono fatte meno intense. Ho trovato… o meglio, ritrovato, la mia freddezza mentale e la mia prudenza. Ora sembra difficile crederlo ma quell’epoca ero prudente, sì. Quasi paranoico, perfino nel pianificare omicidi spinti dall’odio. Ma con l’assopirsi di quel desiderio bruciante, anche l’odio ha smesso di tormentarmi. Ho ricominciato a vedere le femmine solo come delle possibili minacce, e la loro bellezza mi ispirava solo ammirazione estetica, non passione viscerale. Ho smesso di essere consumato dalla rabbia verso me stesso e quindi ho cessato di incanalarla verso l’odio e gli omicidi. So benissimo che una cosa del genere non mi potrà succedere mai più, un po’ perché sono troppo vecchio per queste stronzate, un po’ perché la mia moralità da allora è cambiata drasticamente. Ma questo è ciò che è successo l’ultima volta che non ho avuto il controllo dei miei sentimenti, e anche se non può ripetersi, ricordo ancora quell’odiosa sensazione di provare sentimenti involontari e ricordo il terrore dato dal non avere più la padronanza di sé. Tu non sai come sia… sapere che qualcosa è sbagliato e volerlo fare comunque, volerlo fare con tutto il tuo essere, anche se forse ti ucciderà.”
“Ma non è sbagliato” sbottò la rossa, incapace di contenersi oltre. “Quello che facciamo io e te non è sbagliato e non è pericoloso.”
“Lo so, ma non è quello il punto… la mancanza di controllo mi inquieta. Moltissimo.” Ammise lui, tornando finalmente a guardarla in viso. “Sono tormentato dal ricordo di come mi sono sentito quando non avevo il dominio sulle mie emozioni. So che la nostra relazione è completamente diversa, ma ho paura che un giorno potrei guardarti, capire che sto iniziando a provare troppo, o troppo in fretta, e sentire di nuovo quell’ansia paralizzante che rende impossibile andare sia avanti che indietro. E quando ci penso, mi chiedo che cosa ti aspetti tu da me, che cosa posso darti, perché tu potresti avere una persona migliore al tuo fianco semplicemente facendo un sorriso alle persone giuste, e ne avresti anche diritto. Quando oggi pomeriggio quell’elfo ha provato a rendersi amichevole con te, ho pensato che qualsiasi elfo in questa foresta sarebbe una scelta migliore di me. Perché almeno condividereste una cultura, un passato simile, un comune intendimento su come si porta avanti una relazione e su come si gestiscono i sentimenti.”
“Stai dicendo che vuoi lasciarmi perché hai paura di andare avanti su questa strada?” Amyl gli scoccò un'occhiataccia, con aria di sfida: poteva anche accettare di essere rifiutata, ma non per un motivo così stupido.
“No… non lo so. Pensavo solo che meritassi di sapere la verità. Questa relazione che abbiamo è ancora più complessa di un’amicizia, il che è tutto dire, almeno per me. Non so se sono in grado di gestirla in un modo che per te sia accettabile, o in tempi ragionevoli.”
“Ma questo è un problema solo mio” replicò l’elfa, con sicurezza. “Quello che io sento nel tuo discorso, è che ti andavo bene quando la nostra era solo una piacevole frequentazione con un po’ di sesso, ma all’improvviso non ti vado più bene non appena ti accorgi di provare qualche sentimento nei miei confronti.” Il suo tono era amareggiato, ma non poteva farci niente. Era ferita, delusa. “Ricordi quando ci siamo svegliati nello stesso letto per la prima volta? Ti ho pregato di non andartene subito, perché mi sarei sentita disgustosa e miserabile, una donna da usare e basta, una che diventa inadeguata quando il suo amante torna sobrio. Come credi che mi senta, adesso? È la stessa cosa, ma su scala più grande! Diamine, Daren, avrei accettato che tu mi dicessi che… che la nostra relazione non poteva evolvere perché non provi niente per me. Avrei accettato che rimanesse un’amicizia con un po’ di sesso, se tu mi avessi detto che sei incapace di sentimenti diversi. Ma mi stai dicendo l’opposto, e non lo accetto!”
“No, non ho mai detto che sei inadeguata!” Protestò lui, scuotendo la testa. Gli sembrava di aver di nuovo davanti la ragazza vulnerabile e così terribilmente giovane che si era svegliata al suo fianco dopo la notte di Mezzestate. “Proverei lo stesso disagio se questi sentimenti fossero rivolti a un’altra. Non sei tu il problema. E ti dico di più, non c’è mai stata un’altra per cui provassi le stesse cose, nessuna mi ha mai messo a mio agio come hai fatto tu. Non sono certo venuto qui con l’intenzione di mettere fine alla nostra storia! Sono venuto a Myth Dyraalis solo perché mi mancavi, e ti assicuro che ho dovuto dare il tormento a Johel per settimane, per farmi concedere una licenza di un paio di giorni. Ma quando sono arrivato e ti ho vista parlare con quell’elfo, ho capito quanto fossi più compatibile con i tuoi simili, quanto potresti essere più felice con uno di loro… e non so, forse mi sembra di starti togliendo questa possibilità, o forse ho solo paura che un giorno mi guarderai e capirai di aver buttato via il tuo tempo, che io non sono all’altezza di gestire una relazione e sei stanca dei miei difetti e delle mie lungaggini. Se dovesse accadere, che cosa farò? Se questa fiammella che comincio a sentire sarà già diventata un fuoco, come la spegnerò?”
“Oh, tu…” Amyl si passò una mano sul viso, perché finalmente riusciva a tradurre tutti quei vaneggiamenti in termini più comprensibili. “Mi hai fatto tutto questo discorso solo per dire che hai paura di innamorarti? Bene, non è una cosa drow: tutto il mondo ha paura di innamorarsi. Ogni coppia di amanti che abbia mai calcato questa terra, almeno una volta ha sperimentato la paura che l’amore o l’affetto o la passione si esaurissero di colpo lasciando uno dei due a naufragare. Che ti devo dire? Solo tu puoi decidere se io, anzi noi e il nostro possibile futuro insieme, possiamo valere il rischio. Non posso prometterti che andrà tutto liscio, che sarà per sempre o che ci innamoreremo perdutamente l’uno dell’altra. Posso solo prometterti che avrò pazienza, se crederò che abbiamo un futuro. Se crederò che ci sia qualcosa su cui investire. E tanto perché tu lo sappia, non voglio un elfo come Belegron. Avrei potuto tentare in passato, se avessi voluto qualcuno come lui. Ho avuto anche degli amanti occasionali che però poi non mi hanno voluta sul lungo termine. Tu invece stai affrontando molti ostacoli interiori, lo stai facendo per me, e non mi hai ancora lasciata. Per ora sei decisamente più affidabile degli elfi che conosco.”
Daren la fissò sconcertato per un lungo attimo.
“Affidabile, io?” Ripeté, dubbioso. “Hai degli standard davvero strani.”
“Parli tu, che hai degli standard bislacchi per tutto!” L’elfa gli fece una smorfia come provocazione. “Siamo strani, noi due, è per questo che stiamo bene insieme.”
Finalmente il drow si rilassò e rispose al sorriso, quasi con naturalezza. Non aveva superato del tutto i suoi timori, ma era contento di aver avuto quel confronto. Decise di dirglielo.
“Sono sollevato che abbiamo avuto questa conversazione. Insomma… era giusto che ti informassi di quanto sono problematico.”
“Era giusto che mi informassi anche che cominci a essere interessato a me in modo diverso” sorrise lei, e all’elfo scuro sembrò di cogliere un bagliore nei suoi occhi.
“Sì. Mi sei mancata.” Tornò a ripetere lui. “E credo che abbiamo parlato a sufficienza. Mi sei… mancata in tutti i sensi” confessò.
Il sorriso di Amyl prese una piega più maliziosa. Anche a lei era mancato, ed era lusinghiero che lui la desiderasse, considerando com’era finita l’ultima volta. L’elfa poggiò le sue mani chiare sugli avambracci del guerriero e lo invitò ad avvicinarsi, senza forzarlo. Lui non se lo fece ripetere. Si baciarono, all’inizio con esitazione, poi con più naturalezza, riscoprendosi e ritrovando la loro intesa in un attimo. Per quella notte non parlarono più.

Qualcun altro, invece, quella notte si chiedeva se avrebbe dovuto sostenere una conversazione, e di che tipo. Lady Hinistel era incuriosita dalla confessione di Jaylah sui sogni, e da buona veggente aveva intenzione di indagare.
Come tutti gli elfi dei boschi, Hinistel non era abituata a dormire. Di solito preferiva lo stato di meditazione rilassante che la sua gente chiamava reverie, una disciplina elfica che permetteva di riposarsi in molto meno tempo di quanto ne occorresse con il sonno. La reverie, però, non consentiva di sognare. Si potevano rivivere memorie della giornata, oppure ricordi più lontani, ma la meditazione non portava mai a voli di fantasia o messaggi oscuri della mente inconscia. O per dirla in termini più esoterici, la reverie non consentiva l’accesso alla Regione dei Sogni, la dimensione sovrannaturale in cui viaggiavano le menti dei dormienti, creando ognuna il proprio scenario grazie alla natura plasmabile di quel luogo.
Era lì che Jaylah si recava ogni notte mentre dormiva, come tutti gli altri sognatori, e forse era davvero possibile che sua madre la venisse a trovare in sogno. Hinistel non aveva molta familiarità con la Regione dei Sogni, avendola frequentata pochissimo in vita sua. Non aveva conoscenza nemmeno di quali fossero i poteri delle streghe, anche perché in ogni diversa regione quella parola veniva usata per indicare qualunque professione i contadini non sapessero spiegare: una strega poteva essere in realtà una maga, un’indovina, una druida, una malefica fattucchiera, una guaritrice o una sensitiva, o anche semplicemente un’imbrogliona, e l’elfa non sapeva quale accezione del termine fosse in uso in quella lontana regione del nord.
La veggente accarezzò con reverenza il tomo di magia che sua madre le aveva donato quando si era sposata. Rappresentava la sua eredità, e conteneva incantesimi e rituali che le sue antenate avevano scoperto o creato nel corso dei secoli. Il grimorio di Hinistel era relativamente nuovo, perché sua madre le aveva consegnato solo una copia e non l’originale. L’originale probabilmente ormai si era disfatto, un libro non è pensato per resistere ai millenni. Fino a quel momento, la dama elfa aveva dovuto ricorrere molto raramente ai complessi incantesimi di quel libro, di solito si affidava solo alle sue capacità spontanee. Questa volta però avrebbe dovuto addentrarsi in un territorio inesplorato.
Aveva passato tutto il pomeriggio a sfogliare quelle preziose pagine, ma non aveva trovato nulla sul mondo dei sogni. C’era qualcosa sul pilotare i sogni lucidi, ma era praticamente una forma diversa di reverie. Hinistel sapeva che se avesse scelto di dormire, sarebbe approdata naturalmente a quella dimensione onirica, ma come fare per tenere d’occhio Jaylah? Lei e la nipotina, una volta addormentate, si sarebbero trovate ciascuna nel proprio sogno, incapaci di ritrovarsi.
Dopo averci pensato a lungo e aver vagliato diverse possibilità, Hinistel aveva optato per un rituale che aveva il potere di unire due menti nella reverie, per condividere gli stessi ricordi. Con un po’ di fortuna avrebbe funzionato anche per i sogni.

“Nonna, a cosa serve che mi metto quess-to?” domandò Jaylah, studiando con interesse il braccialettino intrecciato che aveva intorno al polso. “Lo hai fatto coi tuoi capelli?”
“Sì tesoro, l’ho fatto intrecciando i miei capelli. E quello che indosso io è fatto con i tuoi.” Le confidò, mostrando la treccia di capelli biondo platino che si era legata intorno al polso.
“Che bello. Ora siamo migliori amiche?” Cinguettò la bambina.
Hinistel si sentì invadere dalla tenerezza, come spesso accadeva quando si prendeva cura di Jaylah. Parlare con Merildil quel pomeriggio l’aveva rattristata, perché le aveva ricordato che un giorno la sua prima nipote sarebbe tornata a vivere da sua madre, lontano dalla sua famiglia elfica.
“Certo che siamo migliori amiche, se vuoi. Adesso andiamo a letto che è già tardi. Che dici, vuoi dormire con me nel lettone dei nonni?”
“Sì! Sì! Sì!” Esclamò la piccola, saltellando contenta per quella bella sorpresa. Di solito le toccava dormire sola. “Bass-ta che vado a dormire prima di mezzanotte.”
“Allora finisci la tua camomilla e poi andiamo.”
Hinistel ripose il suo prezioso libro di magia in una borsa, che sistemò a tracolla in modo che non le desse fastidio. Aspettò con pazienza che Jaylah vuotasse la sua tazza, poi la prese per mano e la portò fuori dalla cucina, verso il tronco dell’albero su cui si sviluppava la loro casa. Da quando la sua gravidanza si era fatta evidente, Tazandil aveva deciso di appendere al tronco una scala di corda, per agevolare la scalata all’elfa che non poteva più muoversi con la stessa agilità di un tempo. La nipotina non sapeva arrampicarsi molto bene sul tronco nudo degli alberi, ma aveva imparato subito a salire la scala di corda, e infatti ora non aspettò nemmeno il permesso di Hinistel; si aggrappò a quella struttura basculante arrampicandosi come se non avesse fatto altro per tutta la vita. La veggente non era troppo preoccupata: la capitale elfica era permeata di una magia antica, che impediva alle persone di farsi male quando cadevano per errore dagli alberi. Purtroppo quel mythal non era intelligente e non impediva di farsi male quando si saltava giù volontariamente, e non sapeva fare distinzioni fra adulti e bambini. La primissima lezione di Jaylah a Myth Dyraalis era stata “Non saltare giù dai ponti e dai rami”.
Di solito la piccola dormiva nella stanza di suo padre, con o senza di lui, ma quando Tazandil e Johel erano entrambi assenti poteva capitare che Hinistel la portasse con sé nella stanza padronale. Quel vizio era un piccolo segreto che doveva restare fra loro, un’innocua trasgressione che le faceva sentire complici.
La stanza di Tazandil e Hinistel si trovava molto più in alto sul tronco, ma non era un problema per le due agili creature; perfino un elfo senza un braccio sarebbe riuscito salire una scala di corda senza la minima difficoltà.
La dama mise a letto Jaylah accanto a sé, le rimboccò le coperte con cura e cominciò a raccontarle una storia sulla vita di un antico re elfico. Era una leggenda piuttosto noiosa, non molto adatta ai bambini, ma Jaylah non era mai sazia di dettagli e curiosità. Forse era il suo modo per dimostrare interesse verso le sue radici elfiche, o almeno questa era la teoria di Hinistel; di sicuro era una delle poche cose che Tazandil apprezzava davvero del suo carattere. Quando il burbero ranger si trovava in città, se la nipotina gli chiedeva di raccontarle antiche storie elfiche, lui non di rado l’accontentava. Che fosse giorno o sera, Tazandil riusciva sempre a trovare qualche minuto per instradare la sua nipote mezzadrow verso la cultura di suo padre. Dopo la partenza di Tazandil, sua moglie era stata ben felice di raccogliere il testimone.
Jaylah di solito era un’ascoltatrice attenta, ma quella sera era stanca. Dopo una mezz’oretta smise di fare domande e poco dopo si addormentò di colpo, come accade ai bambini.
Mancavano ancora tre ore alla mezzanotte. Hinistel non aveva molto sonno, ma sapeva che dormire richiede molto più tempo per rilassare il corpo e la mente, rispetto alla reverie. Era meglio che si sforzasse di addormentarsi, se voleva avere qualche possibilità di svegliarsi prima dell’alba.
Con un sospiro si sdraiò più comodamente possibile, accanto a Jaylah, e cercò di rilassarsi ascoltando il respiro tranquillo e regolare della bambina. Gli elfi non amavano i sogni, erano troppo incontrollabili e questo li rendeva inquietanti, quasi spaventosi. Anche quelli più belli avevano qualcosa di non del tutto sano, per la loro mentalità. Quella sottile inquietudine le stava rendendo davvero difficile addormentarsi, ma cercò di regolarizzare il respiro e di racchiudersi in se stessa, ascoltando il minuscolo battito del cuore del bambino che stava nascendo dentro di lei. Alla fine quel semplice esercizio la calmò, e il sonno non si fece attendere molto.

Hinistel si ritrovò in una stanza vagamente familiare. Non sapeva come ci fosse arrivata, ma non se lo chiese, perché nel sogno aveva la sensazione di essere lì da sempre. Era la stanza di una bambina, sembrava trovarsi al livello del suolo, l’arredamento era uno strano miscuglio di gusto elfico e mobilio umano. Un po’ rozzo, agli occhi di Hinistel. Jaylah era lì con lei e stava giocando con una bambola di pezza.
“Nonna! Sei venuta a trovarmi!” La bimba saltò in piedi non appena si accorse dell’elfa più anziana, e l’abbracciò con slancio. Hinistel registrò in un angolo della mente che riusciva a vederla molto bene, perché non aveva più il pancione. Rimase perplessa, come se le sfuggisse qualcosa.
Non ero incinta? No, ho sognato di essere incinta. Ricordo chiaramente questa cosa. Ma perché non sto continuando a sognarlo? Avrei tanto voluto, mi piaceva quell’idea!
È un peccato essermi svegliata, pensò, con l’incoerenza tipica dei sogni.
“Vieni nonna, gioca con la mia bambola. Poi quando nasce lo zio posso giocare con lui, vero?” Domandò Jaylah, con aria di grande aspettativa. Hinistel si accorse che non riusciva a capire quale linguaggio stesse usando la nipote, sembrava in grado di capirla solo per una sorta di comunione mentale.
“Quando nasce lo zio?” Ripeté la rossa, corrugando la fronte.
“Sì! Il tuo bambino” confermò Jaylah, indicando con un ditino una culla di legno in un angolo della stanza.
Hinistel guardò la culla con grande stupore. Era sempre stata lì? Era davvero incinta, o lo aveva sognato? Quando era nato il bambino? O forse si stava illudendo e nella culla c’era solo un’altra bambola?
Si avvicinò a quel lettino decorato secondo i canoni elfici. All’interno c’era un minuscolo neonato, nudo e scoperto. Era una femmina.
Jaylah trotterellò verso di loro, alzandosi in punta di piedi per sbirciare nella culla.
“Nonna, non vedo bene, non ci arrivo” protestò. “Cosa c’è dentro?”
“Una bambina” mormorò Hinistel, al colmo della meraviglia. Provò la fortissima tentazione di prendere in braccio quell’esserino, ma si fermò, intimorita. La neonata era completamente formata, ma era uno scricciolo, ancora così piccola. Non si fidava a sollevarla dalla culla.
“Tu vuoi stare qui a giocare con la nuova bambina?” Jaylah sembrava vagamente delusa. “Io vado fuori a giocare nel prato, che poi arriva la mia mamma a prendermi.”
“A… prenderti?” Hinistel spostò lo sguardo da Jaylah alla minuscola creatura nella culla, indecisa.
“Sì! Ha detto che mi portava a casa, mi ricordo che sono già tornata a casa prima. Ho chiesto alla mamma se vuole venire nella casa di papà ma lei dice sempre di no.”
“Jaylah, aspetta” Hinistel provò a fermarla, ma la mezzadrow imboccò la porta e uscì. C’era un bel prato verde all’esterno, che era contemporaneamente un pascolo immenso e una radura di Myth Dyraalis. Hinistel vide dalla finestra che Jaylah era lì fuori e cercava di fare capriole nell’erba. Poterla tenere sott’occhio era sicuramente un sollievo, la bambina non era svanita nel nulla, ma la veggente non avrebbe voluto che si allontanasse. Doveva seguirla all’esterno. Hinistel spostò lo sguardo verso sinistra, sulla parete, ma la porta era sparita. Nel punto in cui c’era l’uscio adesso campeggiava la culla. Ma non era accanto a lei un momento prima?
L’elfa dei boschi cominciò a farsi prendere dal panico. Tutto era così illogico. All’improvviso realizzò che si trovava all’interno di un sogno, la sua mente entrò in contrasto con se stessa e come una perfetta dilettante in fatto di sogni si svegliò di colpo.

La veggente scoprì di essere nuovamente nel suo letto, semi-sdraiata, con il fiato corto. Il suo ventre era sempre gonfio per la gravidanza, chissà perché nel sogno era convinta di aver solo sognato di aspettare un figlio… rabbrividì, spaventata dalla mancanza di controllo su quell’esperienza onirica.
“Sei una bambina?” Mormorò, sfiorando la pancia con la punta delle dita. “Quello che ho visto corrisponde al vero? Sei tu che non mi hai consentito di uscire dalla stanza?”
Si impose di rilassarsi, appoggiando di nuovo la schiena al materasso. Facendolo, si rese conto di quanto fosse tesa fino a un momento prima. I muscoli del collo le facevano già male.
Aveva molti interrogativi ma nessuna risposta, quindi decise di metterli da parte per il momento. Fissò il soffitto in silenzio, lavorando sul respiro per recuperare la serenità e mettere in ordine le idee.
Jaylah non può allontanarsi da me, grazie a questi oggetti incantati, si ricordò, toccando il bracciale fatto con la ciocca intrecciata di Jaylah, che portava ancora al polso. Ma questo funziona solo se anche io sto dormendo. Se resto sveglia, l’immagine onirica di mia nipote potrebbe finire ovunque, potrebbe essere rapita da sua madre. Devo riuscire a riaddormentarmi prima che mi venga portata via.
No, no, sto sbagliando tutto. Jaylah non è in pericolo. Stando alle sue parole, vede sua madre tutte le notti. Non sono obbligata a ritentare proprio oggi. Non… non so se sarei utile a qualcosa, in questo stato mentale.
Hinistel rimase in bilico fra la curiosità e la paura, ancora per qualche secondo. Infine decise di meditare e fare la reverie, per quella notte, perché ne aveva avuto abbastanza di tutte quelle emozioni incontrollabili. Nessun esperimento magico riesce mai al primo colpo, e un’elfa sa essere paziente.

           

   
 
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