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Autore: iron_spider    10/02/2020    2 recensioni
La sua mente è un caos infernale, ma ricorda il momento: ricorda la propria morte, ricorda il dolore rosso e scottante e Peter che urla, Rhodey che accorre al suo fianco. Ricorda di aver saputo che non avrebbe rivisto Pepper… ma ce l’avevano fatta. Avevano aggiustato il mondo, cancellato il tempo perso, risolto le cose. E il ragazzino era tornato. Piangeva, quel ragazzino che lo odiava per ciò che aveva fatto, ma era tornato. Era vivo.
E Tony Stark era morto. Ma adesso respira di nuovo mentre cerca di pensare, annaspando, con le mani che tastano le pareti che lo circondano, che lo racchiudono, che lo soffocano.
È in una bara. È sottoterra. È sottoterra, cazzo.

[Traduzione // Hurt-comfort // What If? // Tony&Peter // scritta pre-Endgame // Completa]
Genere: Angst, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 3
 



Tony si assopisce in macchina e i sogni sono pronti a ghermirlo. In quei sogni non ce la fa, in quei sogni la decomposizione permane, gli resta addosso, si infiltra in lui e aggiunge anni e anni e anni alla sua condanna a morte. È un cadavere, è marcio, ha vermi nelle orbite e la pelle che si sfalda dalle ossa, è morto, è morto, è morto–

Risucchia un respiro e si sveglia sulla spalla di Pepper.


«Ehi,» lo chiama, una mano tra i suoi capelli. «Ehi, ehi.»

«Sta bene?» chiede Rhodey, al volante. Bene, sono ancora in macchina. È ancora vivo, ce l’ha fatta. Prova numero uno, sonnellino: passata. Magari non a pieni voti, ma se lo farà bastare. È bravo a cavarsela sotto pressione, a mettersi in gare contro se stesso.

«Tony,» mormora Pepper.

Lui fa un cenno del capo, girando il viso contro la sua spalla. Cerca di scacciare la paura a colpi di palpebre, e di imporre al proprio cuore di rallentare e battere normalmente. Riusciva a gestire abbastanza bene gli attacchi di panico, prima… beh, prima di morire, ma adesso stanno avendo una recrudescenza, e ritiene giustamente. Annuisce di nuovo, calmando il respiro, e si raddrizza un poco a sedere. Sente Peter che si muove e nota che anche lui sta dormendo, con la faccia premuta contro il suo braccio.

Tony si trova bloccato tra il bisogno di essere accudito e quello di volersi prendere lui cura degli altri. Si sposta delicatamente, sfilando il braccio dalla stretta di Peter e posandolo sulle sue spalle. Lo stringe saldamente e il ragazzo si riassesta nel sonno, ora con la testa sul suo petto mentre respira dalla bocca. Tony alza lo sguardo, notando Pepper che li osserva, e intuisce anche solo dal suo sguardo che i due si sono avvicinati, da quando se n’è andato. Lei incontra i suoi occhi, facendolo sorridere dolcemente: non pensa che si stancherà mai di guardarla. Deve ricordarsene più spesso. Deve memorizzare ogni centimetro del suo viso.

Si poggia di nuovo sulla sua spalla chiudendo gli occhi, con lo sfinimento che gli appesantisce le ossa. Lei gli tiene la mano ferita in grembo, e adesso ci sono vari piccoli cerotti a coprire le lesioni. Fa un gesto di OK col pollice, rendendolo visibile a Rhodey e Bruce.


«Mancano un paio di minuti,» annuncia Rhodey. «Ho mandato un messaggio a Happy…»

Tony apre di scatto gli occhi e Rhodey se ne accorge.

«Uh… gli ho solo detto di aspettarci,» specifica. «Dovrebbe già essere al Complesso. È difficile dirlo per messaggio… Ehi, il nostro migliore amico è resuscitato, facciamo festa.»

Tony sorride appena, concordando con un cenno. Festa, già. Una festa… piccola, raccolta, ma comunque una festa. Crede di meritarsela. Si merita anche un centinaio di ore di sonno privo di sogni. Una doccia calda. Un panino col tonno. Un cheeseburger. Un milk-shake alla fragola. La sua voce, dannazione.

«Rimarremo tutti lì per la notte,» dice Bruce, girandosi a guardarlo. «Ti visiterò, cercheremo di capire cosa ti succede, e poi… poi vedremo.»

Tony annuisce, risucchiando un respiro. Bruce gli sta rivolgendo uno sguardo strano, e suppone che dovrà abituarsi a riceverne per un po’, ma questo in particolare sembra carico di domande che non sa come formulare. Tony solleva le sopracciglia e scuote la testa nella sua direzione.

«Uh,» balbetta Bruce, tamburellando le dita sul cruscotto che divide lui e Rhodey. «Vuoi che… che dica agli altri… merda, non saprei, dovremmo aspettare? Non è tipo... come quando scopri che avrai un bambino, cioè, non si aspetta, insomma, un po'?»

Tony sbuffa dal naso. Un bambino. Un bambino, cazzo. Libera un paio di risate silenziose e vede Rhodey che dà uno spintone a Bruce. Pepper scuote la testa. Tony cerca di non pensare alle implicazioni del perché la gente preferisca aspettare prima di annunciare una gravidanza a famiglia e amici, perché lui ha intenzione di rimanere qui. Non accadrà un bel niente che possa mandare tutto all’aria.

Ha ancora il telefono di Peter sulle gambe. Lo prende cautamente con la mano ferita e apre di nuovo gli appunti, cercando di non fare troppi errori di battitura mentre scrive con la sinistra. Completa il messaggio e lo mostra a Pepper.


«Vediamo, dice… sono al settimo mese, direi che è anche troppo per dirlo alla squadra. Ce l’hanno fatta tutti, giusto? Steve, Tasha, Thor, Clint? Strange? Possiamo dirlo anche alla zia del ragazzo, visto che probabilmente lui rimarrà qui per un po’.» Pepper lo guarda. «Sì, stanno tutti bene… c’è stata la, uh, questione della gamba di Steve…»

Tony inclina di lato la testa, mentre entrano nel perimetro del Complesso. Pepper gli restituisce il telefono.

«Sta bene,» interviene Bruce. «Lui e Bucky vivono a Montreal, in effetti…»

Tony scuote la testa, preso in contropiede, e Bruce sembra leggergli nel pensiero.

«Lo so… Capitan America in Canada, esatto. Così stanno le cose.»

«A lui lo diremo quando ci saremo sistemati,» dice Rhodey, e si irrigidisce nel superare il primo checkpoint. Tony non prova davvero a nascondersi, ma si volta comunque verso Peter mentre Rhodey mostra rapidamente il badge dal finestrino. Vorrebbe che l’intero processo del suo ritorno avvenisse alle sue condizioni, dai gemelli che indosserà durante la prima conferenza stampa alle pubblicità che trasmetteranno subito dopo. Non vuole che la notizia venga diffusa perché una delle loro guardie notturne l’ha scorto nel retro del furgone di Banner. Mentre Rhodey è al volante. Non è una situazione pulita, non ha alcun senso, e si chiede se la gente non stia già esprimendo dubbi al riguardo. Le persone in questa macchina, inclusa Pepper, sono dei supereroi, ma nessuno di loro riuscirebbe a pensare e reagire razionalmente, se colto alla sprovvista. Una volta ha visto Bruce cadere di testa dalla tromba delle scale. E le cose folli che ha visto fare a Peter… è agile, quando vuole, ma per il resto è un disastro ambulante.

«Tony, va… va bene se andiamo dritti in ambulatorio?» chiede Bruce, guardandolo.

Tony fa cenno di sì. Rivolge una piccola preghiera al riavere la propria voce, ed è lieto che non loro possano leggergli nel pensiero.

Rhodey si dirige verso il retro, così da poter accedere subito alla zona abitabile, e si ferma sotto il mezzo portico. Spegne il motore e se ne stanno seduti lì per qualche momento, limitandosi a respirare e guardarsi attorno, come se qualunque cosa potesse spezzare l’incantesimo.

Tony esala un sospiro. Peter sta ancora dormendo e lo riscuote piano, stringendogli la spalla. Il ragazzo emette un piccolo verso di protesta, aggrottando le sopracciglia, e Tony gli scosta qualche ciocca dalla fronte, inclinando il capo per guardarlo. Peter alza lo sguardo su di lui mentre si sveglia, con un moto di confusione che si diffonde sul suo volto nel secondo prima di ricordare tutto. Tony gli sorride e lui lo fissa. I suoi occhi sono accesi e intenti a scrutarlo, e Tony scorge il suo dolore. Tutto ciò che gli ha inflitto quando l’ha lasciato solo. Vorrebbe fare un discorso individuale ad ogni persona nella macchina, dire loro che non avrebbe mai voluto lasciarli e che non ha intenzione di farlo di nuovo.

Ma non può. Quindi si limita ad arruffare i capelli di Peter rivolgendo un cenno verso l’edificio; Peter sorride lievemente, ricambiando il gesto. Tony gli restituisce il telefono. Pepper si sposta verso la portiera e lui la segue, accettando la sua mano quando si offre di aiutarlo. Sta sudando, adesso, e non vede l’ora di togliersi di dosso quel completo. Si chiede se all’interno sia rimasto tutto come prima, se i suoi vestiti siano ancora nei cassetti o se li abbiano messi da parte. Immagina già il sottile strato di polvere su tutto ciò che gli è appartenuto, apparentemente congelato nell’istante in cui l’ha toccato per l’ultima volta.

Peter recupera la sua giacca e stringe con forza il guanto dell’armatura mentre scende dall’auto, chiudendo la portiera dietro di sé. Rhodey rivolge a Tony un’altra, lunga occhiata prima di fare strada direttamente verso l’ascensore, e lo seguono in un gruppo serrato. Tony stringe ancora la mano di Pepper e se le porta alle labbra, baciandole le nocche.

Lo circondano anche quando salgono sull’ascensore, come se si aspettassero una minaccia da un momento all’altro, pronti a respingerla. Non gli dispiace quella vicinanza; in realtà la vuole, la vuole davvero, e pensa che, in qualche strano modo, possa renderlo più forte. Bruce pigia il pulsante con un pugno, e iniziano a salire.


«Peter, tu rimani, giusto?» chiede Rhodey.

«Ovvio,» replica lui.

«Manda un messaggio a tua zia, avvertila,» si raccomanda. Lancia un’occhiata a Tony. «Cioè. Dille che rimani a dormire qui. Abbiamo stabilito che questa non è una notizia da dare per messaggio.»

«Va bene,» concorda Peter. Digita rapido un messaggio e lo invia, facendo scivolare di nuovo il cellulare in tasca. Si schiarisce la voce. «Potremmo, uh… fare un abbraccio di gruppo? Credo che ne abbiamo bisogno. Io ne ho bisogno.»

Si guardano a vicenda con dei lievi, esitanti sorrisi in volto; Tony annuisce, sorridendo invece a tutto spiano.

«Già, buona idea…»

«Hai ragione…»

«Okay, venite qui; Tony, tu stai al centro…»

Tony li abbraccia meglio che può e chiude gli occhi, con loro che gli si stringono contro. Pepper nasconde il volto nel suo collo e lui inspira il suo profumo; Rhodey e Bruce lo stringono così forte che gli stanno quasi incrinando le costole. Ma ne vale la pena. Peter gli cinge il busto con le braccia e sembra rattrappirsi su se stesso, tremando appena.

Le porte dell’ascensore si aprono.


«Ma che diavolo state facendo, voi?» chiede la voce di Happy. «Vi siete ubriacati? Non pensavo che avessimo intenzione di farlo di nuovo, dopo…» la sua voce si affievolisce quando loro si scostano e Tony solleva lo sguardo, incontrando i suoi occhi. Happy sbianca totalmente, e spalanca la bocca. «Che succede?» chiede, con voce estranea. «Cosa… cosa–»

Rhodey si fa avanti per impedire alle porte di chiudersi, e Tony sente il cuore che batte più rapido. Happy è un concentrato d’incredulità, e non può assolutamente dargli torto. Alza le mani, come in segno di resa, e gli altri rimangono vicino a lui. Come se Happy potrebbe mai fargli qualcosa, se anche pensasse che fosse uno zombi.

«Happy,» esordisce Pepper, avanzando verso di lui. «È lui, è Tony… non sappiamo come, o perché, ma Peter gli stava facendo visita al cimitero quando è… è uscito dalla sua…» lo guarda quando sta per dire tomba, come se fosse qualcosa di sporco, e scuote la testa concentrandosi di nuovo su Happy. «È davvero lui, e dobbiamo… dobbiamo capire cosa è successo, ma è… è lui.»

«Non riesce a parlare,» dice Peter. «Non sappiamo perché.»

«Faremo luce anche su questo,» aggiunge Bruce, strizzando la spalla di Tony. Grazie a Dio. Speriamo.

Escono tutti dall’ascensore mentre Happy rimane piantato sul posto; scruta Tony da capo a piedi, con la bocca che forma parole mute. Continua a battere le palpebre e ha già le lacrime agli occhi quando Tony gli si avvicina, abbassando lentamente le mani.


«Questo… non è possibile,» balbetta, con la voce che gli si ferma in gola.

«Già,» concorda Bruce. «Nemmeno Hulk dovrebbe essere possibile, eppure sappiamo bene che–»

«Non posso– non–»

A Tony fa male il cuore e piazza le mani sulle spalle di Happy, cercando di ritagliarsi un momento di normalità. Solleva le sopracciglia, cercando di contenere le lacrime perché il suo mal di testa sta peggiorando. Ma Happy risucchia un respiro tremante e porta le mani a stringergli i polsi, ed è abbastanza per fargli perdere di nuovo il controllo.

«Dio, oh mio– Cristo Santo, Tony…» china la testa, per poi rialzarla altrettanto rapidamente. «Seppellirti è stata la cosa peggiore che mi sia… che mi sia mai capitata…»

Tony scuote la testa e si fa avanti per abbracciarlo, con Happy che gli singhiozza contro la spalla. Cerca di non fare lo stesso e sospetta che queste riunioni potrebbero essere in grado di ucciderlo giusto dopo essere miracolosamente scampato alle grinfie della morte.

«Su, Hap,» dice Rhodey, avvicinandosi per dargli una pacca sulla spalla. «Stiamo andando in ambulatorio.»

Tony non è esattamente disposto a lasciarlo andare, ma sa che è solo l’inizio di quella che sarà una lunga notte.
 
§
 

Si sente un po’ una cavia da laboratorio. Si sente decisamente una cavia da laboratorio. Se ne stanno tutti attorno a lui, parlottando tra loro mentre Bruce controlla tutto il controllabile. Cuore, cervello, polmoni, reni, e passa una buona dose di tempo a cercare di capire se ci sia qualcosa che non va nella sua laringe, senza risultato. Non sa se questo fatto lo faccia sentire più o meno nervoso riguardo all’inconveniente del suo insopportabile silenzio.

Si toglie la cravatta, il gilet, si slaccia i primi due bottoni della camicia e prende un’aspirina per il mal di testa. Bruce medica meglio la sua mano, ora che non sono limitati da un kit di pronto soccorso mezzo vuoto, poi punta talmente tante luci e lucette nei suoi occhi che è sicuro di stare per perdere anche la vista.

Ci vogliono due ore, e alla fine sono tutti sull’attenti davanti a lui, come fossero un plotone militare.


«Sta bene,» conclude Bruce, quasi deluso. «Sta bene… ha un’emicrania. È un po’ disidratato. Ma sta bene, cioè, è… è folle. Io mi sento folle, sto andando fuori di testa.»

«E la questione della voce?»

«Non saprei,» dice Bruce, e sembra a corto di parole. «Sembra tutto a posto, spero che sia solo… lo shock, lo stress... non lo so, dovrò fare altre ricerche. Non che ci siano ricerche da fare per questa… situazione specifica, ma farò… farò il possibile.»

Tony non vuole pensarci. Vuole solo che si risolva. Sta già rimuginando su delle soluzioni momentanee da mettere in atto. Si sfrega gli occhi e punta l’indice contro Peter, trattenendo l’impulso di schioccare le dita per richiamarne l’attenzione. Lui si avvicina subito, con occhi grandi e colmi d’aspettativa.

«Che succede?» gli chiede. Gli tende il telefono prima ancora che lui inizi a gesticolare per averlo, e gli scompiglia i capelli senza nemmeno tentare di camuffare quel gesto d’affetto. Digita un appunto rapido, in caps lock, ingrandisce il font e lo mostra loro. Quasi si strozza con la sua stessa saliva quando li vede socchiudere gli occhi e leggerlo ad alta voce ognuno per sé, con la stessa cadenza atona.

HO DISPERATAMENTE BISOGNO DI UNA DOCCIA.

Si riscuotono all’istante e Pepper annuisce, accostandosi a lui.
«Va bene, ecco… uh… va bene, andiamo, faccio– cioè, siamo nella stessa stanza, ma io non–»
Lui le fa un cenno divertito per troncare il suo imbarazzo.

«Cibo!» esclama Happy. «Vuoi del cibo? Sicuro ne hai bisogno.»

Tony lo indica, annuendo con entusiasmo. Digita ciò che vuole sotto al messaggio della doccia, cambiando idea sul panino al tonno e sentendo di volere di più un cheeseburger. Lo completa mostrandolo a Peter, e gli altri si sporgono per leggere.

«Niente patatine fritte? Non le vuoi?» chiede Rhodey.

Tony fa cenno di no.


«Nemmeno le patatine ranch al formaggio? Quelle ti piacciono.»

Tony inclina di lato la testa, con un sorriso. E va bene, non suonano male, Rhodey lo conosce troppo bene. Annuisce, facendolo sogghignare.

«Perfetto, pensateci voi due,» dice Bruce, facendo un gesto verso Rhodey e Happy. «Pepper lo aiuta con la doccia e, Peter, tu puoi darmi una mano a capirci qualcosa qua.»

«Va bene,» concorda Happy. «Inviami l’ordinazione, ragazzino.»

Sembrano sul punto di avviarsi rapidamente fuori di lì, quando i loro sguardi tentennano fino a ritrovare Tony, ed è come se venissero sopraffatti di nuovo dall’emozione di averlo lì. Lui sorride appena, con gli occhi che viaggiano da un volto all’altro.

«Inviata,» annuncia Peter, con gli occhi ancora fissi su di lui.

«Torniamo subito,» conclude Rhodey.

«Subito,» sottolinea Happy.

Tony non può fare a meno di sorridere apertamente al loro entusiasmo. Ha l’impressione che nessuno sia mai stato così felice di averlo attorno.
 
§
 

In vita sua, Tony ha avuto la sua buona dose di momenti imbarazzanti con Pepper. La maggior parte dei quali risale a quando non erano ancora in una relazione impegnata, quando era impegnato a procedere in punta di piedi come un idiota attorno al loro rapporto prima di trovare quel tetto fortuito, ma adesso sente l’imbarazzo che gli fuoriesce da ogni poro mentre la segue come un’ombra, avanzando come un fantasma nella propria camera. La loro camera, qui, nel posto che era il loro e che è poi diventato di Pepper, se non fosse per il fatto che ci sono ancora tutte le sue cose in giro.

Non ha cambiato molto. Sono cambiate le lenzuola, nonostante le altre siano riposte nell’angolo della stanza sulla sua poltrona, ordinatamente piegate come se potessero essere usate da un momento all’altro. Quelle nuove sono nere, in contrasto con le altre di un beige chiaro, e lui si chiede se abbia qualcosa a che vedere con l’umore in cui era quando le ha comprate. E anche la poltrona: è chiaro che abbia relegato le vecchie lenzuola là perché era quella in cui lui si sedeva più spesso, in cui oziava, sulla quale si appisolava quando si lasciava prendere troppo dalle sue ricerche, o era troppo stanco dopo aver fatto chissà cosa e si ritrovava a schiantarsi là sopra. I suoi effetti personali però sono ancora sul comodino, e ha l’impressione che nessuno li abbia toccati. La sua colonia di Gendarme, le chiavi della sua Audi, il suo pettine, il suo portafogli e il suo telefono. Lo fissa, mentre lei apre dei cassetti e sceglie dei vestiti, mormorando tra sé. Non gli sembra più suo.


«Bene,» dice lei, girandosi. «Ti ho preso i pantaloni della tuta, quella maglietta grigia che ti piaceva, i tuoi boxer preferiti…» segue il suo sguardo. «Oh, il telefono… non– non è più attivo… insomma, puoi riaccenderlo e ripristinarlo. Posso– cioè, lo farò di certo, sei qui. Quando– quando potrai di nuovo parlare, intendo, cioè– allora ti servirà.» Sospira, sfregandosi la fronte, e gli è chiaro che sia in conflitto.

Si avvicina a lui, sospingendolo verso il bagno con un braccio sui suoi fianchi.
«Qui è un po’ diverso,» annuncia, aprendo la porta. In effetti è diverso – molto diverso, decisamente. Nuove piastrelle, nuovo pattern, una doccia più ampia. Due lavandini. «Questo perché, forse… ho dato un pugno al muro e l’ho sfondato? E mi sono rotta un polso. Forse, non saprei, è quello che ha detto il Daily Star.» [1]

Tony si volta verso di lei, inarcando le sopracciglia. Pepper alza le spalle.


«L’ho fatto ristrutturare poco dopo,» conclude.

E quell’affermazione gli proietta in testa l’immagine di un gruppo di muratori nerboruti dentro al suo bagno, nella sua camera da letto, vicino alla sua fidanzata, ovvero la sua fidanzata da poco vedova–


«Natasha è sorprendentemente brava in questo genere di faccende,» continua Pepper. «Anche Clint e Maria ci hanno dato una mano, ma non erano decisamente bravi quanto Natasha. Happy ha fatto da supervisore, il che si traduce nel sedersi su una sedia da ufficio e additare ciò che non gli piaceva.»

Perfetto. Adesso si sente meglio.

Pepper si schiarisce la voce e lo supera, posando i suoi vestiti sul piano del bagno.
«Non farò finta di non avere il tuo shampoo, là dentro, o quel sapone verde che ti piace, quindi, ecco, dovresti avere tutto ciò che ti serve.» Si volta a guardarlo, mordendosi il labbro. «Ti prego, non chiuderti a chiave, e ti prego esci se ti serve qualcosa, qualunque cosa. Rimango qua fuori.»

Lui annuisce. Una parte di lui vorrebbe che rimanesse lì, l’altra prova uno strano imbarazzo. Odia quella sensazione e il fatto che al momento stia avendo la meglio su di lui. Pepper si avvicina, prendendogli il volto tra le mani, e ha di nuovo quell’espressione triste negli occhi. Non dice nulla, si limita a passargli delicatamente i palmi sul collo e lungo le spalle.

«Questi vestiti, che ne dici se… so che adori questo completo, ma… mettiamolo via… in un angolo… mettilo via e basta.»

Lui concorda con un cenno. È vero: adorava questo completo, queste scarpe. L’hanno messo letteralmente negli abiti che avrebbe scelto per essere seppellito. Ma non vuole mai più vedere questo maledetto completo in vita sua.

Si sporge verso di lei, baciandola sulla guancia, perché sente che se la baciasse davvero potrebbe dare inizio a qualcosa per il quale non è ancora esattamente pronto. Lei sorride e si poggia contro di lui, strofinandogli le braccia, poi si scosta per guardarlo negli occhi.


«Sul serio, Tony,» insiste. «Per qualunque cosa, se ti serve qualunque cosa, esci fuori. So che è passato un po’ di tempo, ma ti ho visto nudo migliaia di volte. Ricordati che sono sempre io.»

Non se lo scorderà mai, morte o non morte.

Lo bacia sulla guancia e lui intuisce che vorrebbe dirgli dell’altro, altre cose che sta tenendo per sé, ma lo supera senza esternarle. Tony lancia un’occhiata alla porta che si chiude e sospira tra sé. Scalza via le scarpe, lascia cadere il resto dei suoi vestiti da uomo morto in un mucchio ai suoi piedi. Toglie le lettere dalla tasca della giacca: ci sono tre buste, due delle quali leggermente più spesse. Le posa delicatamente da parte, accanto ai vestiti puliti, e ripone lì anche la rosa frantumata e gli occhiali da sole. Entra nella doccia, chiudendo la porta scorrevole smerigliata.

Gli ci vogliono un paio di secondi per regolare la temperatura dell’acqua, ma non appena si mette sotto il getto sente la terra staccarsi via dalla pelle, scivolando lungo le gambe e venendo risucchiata dallo scarico. Chiude gli occhi, passandosi le dita tra i capelli. Sente la garza sulla mano ferita che si bagna, ma al momento non gli importa. Ha l’impressione che l’acqua calda lo stia ponendo sotto un incantesimo, e realizza adesso che è la prima volta in cui è da solo da quando è uscito da sottoterra.

Abbassa lo sguardo, vedendo che le cicatrici sono ancora lì, parallele e incurvate verso il fantasma del suo reattore arc. Sembrano più vecchie di quanto dovrebbero, e non sarebbero dovute guarire così sul corpo di un uomo morto. Si chiede se qualunque cosa l’abbia riportato in vita abbia anche smorzato i danni lasciando però i marchi, come un memento. Due grosse ferite frastagliate al centro del suo petto, in rilievo e tirate, nette e bianche, come un nitido tatuaggio dell’agonia che a ha provato in quell’attimo. Il dolore che si infiltrava dentro di lui, la scossa che gli ha ustionato la pelle. Passa le dita sopra alle cicatrici, quasi temendo di scatenare chissà quale reazione solo a toccarle nel modo sbagliato. Ma non succede nulla e anche l’acqua vi scorre sopra, con dei rigagnoli che si raccolgono sulla pelle lesa per poi continuare per la loro strada.

Anche le ustioni sono ancora là sul braccio, solo sul sinistro, anche se sono molto più tenui di quando se l’è inflitte. Gli risalgono le vene come fumo. Ha usato quel congegno per un istante, un solo, drammatico istante, ma l’ha dilaniato.

Sospira, girandosi e inarcando la schiena all’indietro. Non vuole pensare a quello, non vuole ricordare, e avrebbe voluto che al suo ritorno gli fossero stati cancellati quei ricordi. Sarebbe stato meglio così. Si passa le mani sul volto cercando di concentrarsi sui lati positivi, su ciò che ha adesso, sulla sua famiglia, il suo sistema di supporto, quello che lo ha sempre soccorso ogni volta che si è cacciato nei guai. Cioè molto spesso.

Gli si costringe la gola a pensarci. Non li ha mai guardati abbastanza, prima. Non ha ascoltato abbastanza la loro risata, la cadenza delle loro voci, il modo in cui pronunciavano il suo nome. Non si è mai soffermato a guardare nulla: si è sempre mosso troppo in fretta, cercando di tenere il passo con se stesso, con il ricordo di Howard da inseguire. Tutto ciò per il quale doveva essere all’altezza lo circondava sempre, lo consumava, e si dimenticava che aveva anche bisogno di vivere davvero. Gli era stato fatto il dono di avere delle persone che lo amavano dal profondo del cuore e che lui amava allo stesso modo, e nulla di ciò che faceva era abbastanza.

Si chiede cosa sia esattamente tutto questo. Chi l’abbia scatenato, cosa, se abbia degli effetti collaterali o se questa sia solo… una seconda possibilità. Un vero e proprio miracolo. Si gira di nuovo e poggia la fronte contro le piastrelle tiepide, col vapore che fluttua attorno a lui. Non sa perché stia avendo dei dubbi, perché tutto questo gli sembri così fuori dal mondo. Ha già visto cose che non dovrebbero essere possibili. Ha viaggiato in altri mondi, ha incontrato degli alieni… ma non è il suo ritorno dalla morte che lo sta mettendo in crisi.

È il fatto che qualcuno lo abbia salvato.

C’è una moltitudine di altri eroi. Lui era tra i più deboli. Steve è ancora vivo. Lui, Tony Stark, non serviva a nessuno.

Si pianta i pollici nelle palpebre e fa pressione contro il muro. Pepper lo prenderebbe a schiaffi fino alla fine dei tempi se sapesse cosa sta pensando, soprattutto ora, dopo essere letteralmente tornato dall’aldilà, dopo essere stato un dannato cadavere. Anche Peter lo farebbe. E anche Rhodey, decisamente. Merda, lo farebbero tutti.

Non può gettare via questa opportunità. Deve essere migliore per la sua famiglia, per la sua squadra. E deve smetterla di odiarsi, deve smetterla con questa stronzata. Qualcuno… chiunque abbia fatto tutto questo ha ritenuto di poter scommettere su di lui.

Deve smetterla di piangere, cazzo.

Deve capire come è tornato qui.

Stringe i denti, voltandosi per afferrare lo shampoo, perché non può stare sotto la doccia in eterno.

Deve riprendersi la sua cazzo di voce.

 
§

 
Si siede di fronte all’iPad mentre squilla e dà un grosso morso al suo secondo cheeseburger. Si sono tutti raccolti attorno a lui e, in qualche modo, sono riusciti a entrare nell’inquadratura. Si sente dieci volte meglio dopo la doccia e il cibo, ma il suo cuore fa le bizze alla prospettiva di parlare con Steve.

Parlare. In realtà intende “fissare Steve come un idiota mentre gli altri spiegano cos’è successo”.

Nell’ultima mezz’ora ha dato un’occhiata al linguaggio dei segni sul telefono di Peter e ha già imparato quaranta parole e una manciata di frasi. Si chiede se gli altri lo imparerebbero per lui.


«Lo sa, vero?» chiede Peter, suonando un po’ ansioso dal suo posto accanto a Tony. «Nel senso… quando risponderà alla chiamata si ritroverà Tony seduto davanti come se niente fosse.»

«Gli ho detto che era importante,» dice Bruce. Sospira. «Farà meglio a rispondere.»

«Gli farai venire un infarto,» protesta Peter, scuotendo la testa,

Tony soffoca una risata, prendendo un altro morso del panino e un rapido sorso del suo milk-shake alla fragola.

E poi Steve risponde alla chiamata. Anche lui ha la barba, di nuovo, e risucchia un respiro spezzato come se fosse stato sul punto di dire qualcosa, ma quel qualcosa gli fosse morto sulla lingua. La connessione non è il massimo e non è molto nitida, ma Tony lo vede abbastanza bene, e anche Steve lo vede, è chiaro dall’espressione che ha in faccia. Tony sorride – è così bello vederlo – e lui rimane a bocca aperta.


«Steve,» comincia Pepper. «Ehm, come vedi…»

«È successo qualcosa,» continua Rhodey, sporgendosi col volto tra lui e Pepper. «Qualcosa di serio, ma abbiamo… abbiamo di nuovo qui il nostro amico.»

Tony fa un piccolo cenno di saluto, sorridendo ancor di più. Gli rimbomba il cuore nel petto.

Steve lo guarda fisso, con gli occhi che si fanno lucidi, poi lo schermo si fa sfocato, infine diventa nero. Rimangono tutti in silenzio, e Peter aggrotta le sopracciglia.


«Cos’è successo?» chiede Pepper. «Si è spento di colpo.»

Rhodey si allunga e aggiorna la pagina, ma non succede nulla. Chiude la finestra e la fissa perplesso. «Non… non sono sicuro…»

Tony continua a mangiare il suo panino, e non dice ciò che sta pensando. Beh, non può neanche dirlo, ma non lo direbbe neance se potesse. Perché pensa che Steve abbia spaccato il suo iPhone da mille dollari, visto che è così che un super-soldato reagisce nel rivedere un amico morto di nuovo vivo. Si sente stranamente lusingato.

«Gli hai fatto venire un infarto,» dice Peter, incrociando le braccia. «Lo sapevo.» Non si sta chiaramente rivolgendo a lui, ma sta sgridando gli altri, e Tony prova un certo interesse nel capire come le dinamiche interne del gruppo siano cambiate in questi suoi sette mesi di assenza.

«Non risponde,» dice Pepper, col telefono premuto contro l’orecchio.

Tony continua a bere il suo milk-shake finché non arriva al fondo, e cerca di calmare il respiro. Il suo cuore è fuori controllo. Perché diavolo è così nervoso al pensiero di parlare con Steve Rogers? Cavoli, è imbarazzato perché è morto? Anche Steve è morto una volta, più o meno. Essere sepolti nel ghiaccio è quasi come essere sepolti sottoterra.


«Qualcuno può chiamare Barnes?» chiede Bruce. «So che ha un telefono. Non penso di avere il suo numero…»

L’iPad prende a squillare di nuovo, con un numero sconosciuto che lampeggia sullo schermo.

«Credo sia lui,» conclude Pepper, sporgendosi per accettare la chiamata.

La stessa schermata di prima appare davanti ai loro occhi, solo che Steve è un po’ più distanziato e c’è un Bucky Barnes dall’aria molto più composta in piedi accanto a lui. I suoi occhi trovano Tony, si sgranano appena ed esce prontamente dall’inquadratura. Tony trattiene uno sbuffo, finendo il suo panino. Non essere nervoso. Siete entrambi vivi. Va tutto bene.


«Cos’era successo?» chiede Rhodey.

«Ho… ho rotto il telefono,» risponde Steve, scuotendo la testa. «Non importa, cosa– cosa sta succedendo?» I suoi occhi si puntano su di lui, e non crede di averlo mai visto così in preda al panico. «È un… è un clone? Una trappola? Vi serve… posso venire lì. Posso.»

Tony ride appena. Non lo biasima per essere sospettoso. È l’unico tra tutti loro a non essersi fidato all’istante, probabilmente a causa dei suoi trascorsi con Barnes e i lavaggi del cervello. Tony è lieto di riferire che il proprio cervello è esattamente lo stesso di sempre, e che non c’è bisogno che Cap lo metta sulla lista di cose di cui preoccuparsi.

Se solo potesse dire lo stesso per la sua voce...


«Non è un clone, né una trappola,» dice rapida Pepper. «È lui, è il nostro Tony.»

«Ed è… beh, non riesce a parlare,» aggiunge Peter.

Tony ne ha fin sopra i capelli con questa cazzo di storia del mutismo. Vuole essere in grado di spiegarsi a parole sue; si sente come un bambino dell’asilo circondato da una schiera di insegnanti. È raro che ci sia una dinamica nella quale ha bisogno che altre persone parlino per lui e, assieme al fatto di essere una persona recentemente defunta, non si è ancora abituato a questo nuovo risvolto della sua vita. Abbassa lo sguardo sul telefono di Peter e inizia una ricerca nell’app store.

Il ragazzo prende a raccontare da capo la storia, e Tony cerca di captare le vibrazioni della sua voce. Vuole essere sempre al corrente di come si sentano tutti: solo perché adesso è l’ultimo arrivato non vuol dire che conti solo ciò che prova lui. Peter si stringe le mani in grembo, Pepper tiene una mano sulla spalla di Tony. Happy sembra incapace di decidere se rimanere seduto o in piedi, e continua ad alzarsi per camminare avanti e indietro prima di riprendere il proprio posto. Rhodey e Bruce continuano a scambiarsi sguardi di sottecchi, come se avessero sviluppato una sorta di linguaggio muto, sul quale deve assolutamente fare luce. Trova finalmente un’app che potrebbe fare al caso suo e la scarica, sperando che a Peter non dia fastidio.

Steve, mentre ascolta i dettagli di Peter che lo tira fuori dalla propria tomba, sembra sul punto di svenire. In vita sua ci sono state molte occasioni in cui avrebbe voluto sapere cosa passasse per la testa di Cap, e questa è decisamente una di quelle. Spera di poter riconquistare la sua fiducia – di nuovo – e dimostrargli che non è un qualche robot o un clone o uno zombie, o qualunque altra cosa si stia immaginando. In qualche modo, chissà come, è se stesso. Ed è tornato. Ha davvero bisogno che Steve ci creda, per quanto il tutto possa suonare incredibile.

Alla fine di tutto erano riusciti ad essere fianco a fianco, uniti da ciò che avevano perso. Si è sempre sentito più in controllo delle sue emozioni nell’avere Steve al proprio fianco, e non ha paura di ammettere che è felice di saperlo ancora vivo.


«Quindi, ecco, questo è quanto,» conclude Peter. «Adesso siamo qui.»

Si fa silenzio, a quel punto. Steve fissa Tony con tanta intensità che lui non è sicuro che la chiamata sia ancora in corso, poi lo vede lasciar ricadere in avanti il capo ed esalare un paio di respiri profondi.

«E non ci sono… indizi riguardo alla sua voce?» chiede infine. «Bruce?»

«Non ancora,» risponde lui. «Probabilmente chiamerò Helen per sapere che ne pensa.»

«Non abbiamo nemmeno degli esempi a cui rifarci,» commenta Steve.

Tony avvia la nuova app di dettatura che ha appena scaricato e digita rapidamente un messaggio, alzando poi il volume.


«CIAO UOMO A STELLE E STRISCE,» dice la voce robotica. Suona un po’ come Siri, e all’improvviso gli manca terribilmente FRIDAY. Ecco un’altra cosa sulla quale deve mettersi all’opera: fare il reboot del proprio mondo. «MI PIACEREBBE UN INCONTRO FACCIA A FACCIA, SE NON TI DISPIACE.» Solleva l’angolo delle labbra in un sorrisetto, e Steve butta fuori un respiro, annuendo.

«Tony, io… Dio, è bello rivederti,» dice poi. «È bellissimo rivederti. E sì, ci… saremo lì il prima possibile.»

«NON VEDO L’ORA,» dice la sua app, e vede con la coda dell’occhio il sorriso smagliante di Peter.
 
§
 

È difficile chiudere la chiamata. È difficile cercare di andare a letto. È difficile smettere di far dire cose stupide all’app per far ridere gli altri. Peter gli permette di tenere il suo telefono, poi lo abbraccia per quello che gli sembra un intero minuto. Decidono di dirlo a tutti gli altri il giorno dopo, visto che si è fatto molto tardi, ma Tony già immagina che Natasha lo prenderà a calci quando saprà che ha voluto aspettare per diffondere la notizia.

Gli gravitano tutti attorno dopo aver insistito per farlo andare a dormire, comportandosi da perfetti ipocriti, perché lui sarebbe rimasto sveglio con loro tutta la notte, se solo non gli avessero imposto di andare a letto. Odia quell’espressione che hanno in volto, come se non fossero sicuri di trovarlo ancora lì con loro al mattino. È in quel momento che decide di assicurarsi che sia così, a qualunque costo.

E una volta a letto con Pepper, lei lo guarda per lunghi momenti, si baciano come adolescenti per un po’ e infine lui si ferma, colpito da un tipo di paura del tutto diverso, quel tipo che non l’ha mai fatto preoccupare prima. Ma non è mai stato morto prima d’ora, non ha mai avuto una seconda prima notte nello stesso letto della sua fidanzata prima, non ha mai creato lui silenzi imbarazzanti invece di riempirli.

Chiude con forza gli occhi, con la fronte premuta contro la sua.


«Va tutto bene,» sussurra lei, accarezzandogli la guancia. «Stai bene, stiamo bene… hai solo bisogno di dormire. Rilassati e basta.»

Lui annuisce e lei gli si accoccola contro, stringendolo a sé.

«Ti amo,» gli sussurra. «Ti amo tantissimo. Grazie. Grazie per essere tornato da me.»
 
§

 
Quando Pepper si addormenta, lui si rimette in piedi. Prende le lettere e il telefono di Peter e si dirige in laboratorio. La luce si accende con un ronzio un po’ stentato e immagina che nessuno entri qui da un bel po’. La polvere aleggia nell’aria e gli riporta alla mente brutti ricordi, così posa il telefono e le lettere e si mette al lavoro. Si rifiuta – si rifiuta – di farsi prendere dall’emozione per Dum-E e U – ma permette loro di aiutarlo più del dovuto mentre costruisce e programma il nuovo robot che gli starà attaccato alle calcagna per parlare al suo posto finché non sarà in grado di farlo da solo.

Dovrebbe essere felice. Dovrebbe essere al settimo cielo. Invece sente una bizzarra tristezza mista a dolore che lo avvolge e non riesce a spiegarsela, non riesce a scrollarsela di dosso. Guarda i telegiornali. Una notizia su una fuoriuscita di petrolio. Una su un incendio nel Bronx. Una su un rapimento.

Costruisce il robot come se fosse lui stesso una macchina; pondera se lasciargli captare le sue onde cerebrali per poi realizzare che è un’idea stupida, perché finirebbe per dire anche ciò che non vorrebbe fargli dire. Lo rallegra un po’ il fatto che Peter penserà che questo affare sia il suo droide personale, e in effetti somiglia un po’ a BB-8. È una piccola sfera nera che lo segue rotolando; lui ha il telecomando col quale digitare le proprie risposte con delle scorciatoie sui tasti. Conclude che basterà, per il momento, finché non risolveranno il suo problema. I suoi problemi, che sembrano un abisso di disperazione. Buio e vuoto, senza fondo, come la morte. Non sa come riusciranno a risolvere un qualcosa del quale non sanno assolutamente nulla.

Finisce di imparare il linguaggio dei segni, in caso il robot non dovesse funzionare. Gli ci vogliono un paio d’ore per stiparlo nel proprio cervello, per memorizzarlo ed esercitarsi, e osserva le ore che ticchettano via finché la fievole luce del mattino inizia a filtrare a poco a poco dalle finestre. Compila un biglietto riassuntivo per tutti gli altri, con quelle che spera saranno frasi comuni.

Si ritrova a orbitare attorno alle lettere. Si siede per terra contro il muro, e quando comincia ad aprire la prima si sente come se si stesse intromettendo in qualcosa di non suo – come se fossero destinate a una versione di se stesso che non esiste più. Si sfrega la nuca e non si ferma.

C’è una sola lettera nella prima busta, ed è di Pepper. È la sua carta da lettere personale ed è un po’ spiegazzata, come se fosse stata incerta nell’usarla; tra le sue mani gli sembra fragile.


Eri tutto ciò che avevo, questa era la mia paura più grande, e adesso è accaduta e vivo in un mondo nel quale è reale, si è realizzata, e lo odio, Tony, lo odio con tutta me stessa. Lo odio. Volevo passare tutta la mia vita con te. La mia vita non è la mia vita senza di te. Dio, non riesco nemmeno a scrivere, sentivo semplicemente di doverti lasciare qualcosa ma riesco a malapena a respirare, a compiere i gesti per farlo, per fare qualunque cosa, e non riesco a credere di doverti lasciare andare. Non ne sarò capace.
Ti amo con tutta me stessa. Amo il modo ridicolo in cui tieni la forchetta. Amo le tue omelettes, il fatto cha tu ci metta tantissimo a preparare qualsiasi piatto. Amo quando porti le magliette a maniche lunghe che ti coprono le mani. Amo quando dici il mio nome. Amo la tua dolcezza, la tua bontà, la tua forza. Il fatto che ci provi sempre con tutto te stesso.
Ti rivoglio qui. Ti voglio qui, ti voglio qui. Voglio fare quella stupida vacanza sulle Alpi che dovevamo ricreare. Non respiro senza di te, Tony. Non ci sarà mai un altro te. Mai, mai, mai e poi mai. Quando chiuderò gli occhi sarò tra le tue braccia.
Ti amerò per sempre.
Tua Pepper.



Risucchia un respiro compresso, ed è lui a non respirare, ora. Si sente annegare. C’è l’impronta di un bacio accanto al suo nome e rilascia un colpo di tosse, cercando di controllarsi, di non essere morto, di non essere quella persona che hanno messo in una cassa sepolta sottoterra. Non riesce a dormire, perché somiglia troppo all’essere morti.

Maneggia la sua lettera con cura e la posa sul pavimento accanto al suo ginocchio, vicino al robot che, chissà come, sembra fissarlo con aspettativa.

Apre l’altra busta e dentro ci sono tre fogli distinti: il primo è di Happy. Sono solo due righe.


Non smetterò mai di guardarti le spalle, amico mio. Grazie per avermi dato una casa.
Con tutto il mio affetto,
Happy.



Tony serra la mandibola e scuote la testa. Odia se stesso sempre di più con ogni parola che legge. Di solito Happy ha molto di più da dire e, se pensa alla sua reazione di oggi, si sente come se avesse ucciso qualcosa dentro di lui quando se n’è andato. La lettera successiva è di Rhodey, e sembra che sia stata accartocciata più di dieci volte prima che qualcuno gliela sottraesse per sigillarla nella busta.


Ricordi il nostro secondo anno? Della triennale? Quando qualcuno ha riempito la Kia della Professoressa Hick con della schiuma da barba e hanno dato la colpa a te, e hai dovuto pagare la pulizia e sei andato su tutte le furie perché era uno scherzo stupido e assolutamente non al tuo livello? Beh, sono stato io, e ho fatto apposta uno scherzo cliché e patetico perché avevi detto a Colleen Henderson che dormivo con gli orsacchiotti. Eri il peggiore e ti volevo un bene dell’anima.
Eri il mio migliore amico. Non so come affrontare i giorni che mi aspettano. Ho sempre pensato che avresti continuato a schivare la morte per un soffio, ma alla fine ti ha preso. Ma quel bastardo è morto, Tony. È morto, è morto grazie a te, ed è qualcosa. So che mi prenderesti in giro per quello che sto dicendo, ma per me è stato un onore poter essere lì per te, alla fine. Sono grato di essere stato lì accanto a te. E so che sarai lì quando verrà la mia ora, ad aspettarmi su una soffice nuvoletta o qualcosa del genere, pronto a farmi da guida.
Mi manchi da morire. Ci manchi così tanto da far male. Grazie per essere stato parte della mia vita.
Ti voglio bene, amico mio. Per sempre.
Rhodey.



Tony la mette da parte sopra alla lettera di Happy e si copre il volto con le mani. Lacrime bollenti gli scivolano lungo le guance e le lascia scorrere. Ha pianto più nelle ultime sette ore che in tutta la sua vita. Una nuova vita, piena di sensi di colpa e pianti. Almeno i sensi di colpa sono familiari. Gli batte forte il cuore per la prossima lettera, perché sa che è da parte del ragazzo. Sospira asciugandosi gli occhi, e abbassa lo sguardo per leggerla.


Caro Tony,
Non so cosa dire. Sei stata la mia persona preferita da quando ero bambino. Sei sempre stato il mio idolo, l’ideale al quale ho sempre aspirato, quindi avere la possibilità di averti nella mia vita mi è sembrato un sogno, e mi ha fatto sentire più forte di quanto non mi sia mai sentito prima. Anche di quando ho capito di essere un supereroe. Ma sono abbastanza sicuro di essermi affezionato troppo, perché mi sento come se qualcosa mi stesse strappando in due.
Mi dispiace che tu sia morto per colpa mia. Vorrei non essere mai scomparso perché così forse saresti rimasto, forse le cose sarebbero andate diversamente. Mi dispiace tantissimo. E mi dispiace di aver pianto così tanto, quando stavi... quando stava succedendo. Mi dispiace tanto. Ma non riuscivo a realizzarlo, non riuscivo ad accettarlo, ancora non ci riesco. Eri come un padre per me, mi hai fatto sentire più forte di quanto avrei mai creduto di poter essere, hai ritagliato del tempo nella tua vita frenetica e mi hai fatto sentire importante. Come se valessi il tuo tempo. Ho perso i miei genitori, ho perso Ben, e ora ho perso anche te. Non so cosa ci sia di sbagliato in me, perché l’universo continui a portarmi via le persone che amo. Adesso ho paura di perdere May. Anche lei è triste che tu non ci sia più. Ha pianto, ma non tanto quanto me.
Mi manchi già tantissimo e sono passati solo due giorni. Non riesco a immaginare il resto della mia vita senza di te, con la distanza tra noi che cresce. Farò tutto ciò che posso per essere migliore.
Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo, mi manchi e ti voglio bene, Tony. Grazie per tutto ciò che hai fatto, per me e per Spider-Man. Grazie per essere stato il mio eroe.
Peter.



Tony rivolge lo sguardo al soffitto. Forse sta per svenire. Questo povero ragazzino che si prende tutta la colpa. Non riesce a crederci. Si sente male. Gli serviranno almeno ottocento abbracci da parte di tutti loro, domani, e spera che apprezzeranno questa nuova versione migliorata e iper-affettuosa di Tony Stark.

Apre l’ultima lettera, perché adesso deve arrivare fino in fondo. È una foto. Con lui e i Vendicatori, scattata a quella festa a cui si sono ubriacati tutti e Thor ha sfondato un tavolino. Aveva rifilato a Steve la roba forte di Asgard, e Steve non riusciva a smettere di ripetere che adorava i loro vestiti e le stelle nel cielo quella sera e il modo in cui Tony aveva sistemato il pavimento del soggiorno. Natasha e Clint si erano quasi uccisi a vicenda giocando a Mario Kart e Tony aveva portato in giro Bruce a cavalluccio mentre lui gli rideva come un bambino nell’orecchio. Nella foto sono in salone, addossati gli uni agli altri, Thor con la testa sulle sue gambe, Bruce che schiocca un bacio sulla guancia a Steve, Natasha piazzata dietro Tony con il chiaro intento di prenderlo per il collo e Clint accoccolato addosso a Steve mentre dorme beato.

Tony la fissa, col cuore che incespica. Sa che l’ha scattata Pepper, ed è una delle sue foto preferite. L’hanno stampata in bianco e nero, piegandola delicatamente per farla entrare nella busta; quando la tiene in una certa angolazione nota il messaggio sul retro. La gira.


Saremo sempre con te.


È la grafia di Steve. La riconoscerebbe ovunque. Scuote la testa, continuando a fissarla finché non ha l’impressione di sprofondare tra le maglie del tempo. Crede che niente potrebbe distoglierlo dalla sua bolla di felicità, dolore, morte e rinascita, e la vera portata di quello che tutti provano per lui, venuta alla luce quando lui era morto e sepolto teoricamente per sempre.

Solo che poi vede con la coda dell’occhio lo schermo della TV in muto.

Il titolo recita TONY STARK È RISORTO DALLA TOMBA? e la frase sottostante VIDEO MOSTRA EVENTI SCIOCCANTI IN ATTESA DI VERIFICA ALLA TOMBA DI TONY STARK.

Quasi sente il cuore che gli cade fuori dal petto. È un video sgranato dalla fotocamera di un telefono, ripreso da qualche parte tra i cespugli del cimitero, ma è chiaro cosa stia accadendo. Hanno ripreso tutto. Peter là in piedi che fissa la terra smossa, nel panico. Poi la mano di Tony che sbuca fuori dal terreno. Peter che lo tira fuori e rimangono seduti lì; poi il video passa a Pepper, Rhodey e Bruce che arrivano per portarlo via. Mostrano il filmato all’infinito.

Tony serra gli occhi e preme accidentalmente uno dei tasti-scorciatoia sul telecomando del robot.


«Oh, cazzo,» dice la piccola sfera nera.


 
§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter 3 di iron_spider da _Lightning_


Note:

[1] Daily Star: una rivista di gossip britannica.


Note della traduttrice:

Cari Lettori,
arrivo ad aggiornare fuori tempo massimo; perdonatemi ma è stato un mese crudele nonostante non fosse Aprile e ho favorito altri progetti alle traduzioni.
Ringrazio tutti voi che leggete, seguite e aggiungete alle liste: non dimenticate di lasciare kudos all'autrice originale!
Alla prossima, spero con più puntualità,

-Light-



 
   
 
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